Se un detenuto lamenta la violazione di un proprio diritto, di quali strumenti giurisdizionali dispone per farla valere? Come funzionano quelli di cui agli articoli 35 bis e 35 ter dell’ordinamento penitenziario?

 

L’introduzione degli strumenti giurisdizionali per i detenuti

Prima di addentrarci nella specificità degli articoli 35 bis e 35 ter dell’ordinamento penitenziario bisogna fare un’importante considerazione. In materia di esecuzione della pena, a livello costituzionale, rileva l’articolo 27 comma 3 Cost. In base a questa disposizione, le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità né in mortificazioni della dignità umana, dovendo, invece, tendere alla rieducazione del condannato. In piena conformità al principio costituzionale, l’articolo 1 dell’ordinamento penitenziario (L. 354/1975) dispone che il trattamento riservato alle persone private della libertà non sia lesivo dei loro diritti; sia improntato al reinserimento sociale; ed informato al principio di innocenza, per cui gli imputati non sono considerati colpevoli fino a condanna definitiva.

In particolar modo, l’idea della rieducazione del condannato, declinata dalla legge n. 354 nel senso della risocializzazione, viene attuata nell’evoluzione della detenzione, che passa dall’essere intra-muraria all’essere extra-muraria, attraverso la concessione di benefici e misure alternative.

Per tutto ciò che attiene alla detenzione intra-muraria, ad esempio i colloqui dei detenuti o la ricezione della corrispondenza, l’Amministrazione penitenziaria è stata a lungo considerata il soggetto deputato ad occuparsene dal momento che la privazione dei diritti era concepita come intrinsecamente contenuta nella privazione della libertà. Dunque si sta dicendo che era del tutto pacifico che ai detenuti si precludessero gli strumenti giurisdizionali da esercitare presso un giudice ordinario. Il solo, previsto all’articolo 35 L. penitenziaria, era il reclamo generico, che tuttavia non aveva natura giurisdizionale per mancanza di contraddittorio, per via della decisione assunta de plano (cioè in mancanza di istruttoria) e poiché la stessa non risultava vincolante per l’Amministrazione penitenziaria.

La sentenza n. 26/1999 della Corte Costituzionale[1], concernente la lesione del diritto alla corrispondenza[2] ai sensi dell’articolo 18 L. penitenziaria e 21 Cost., ha modificato la situazione finora descritta.

L’idea che la restrizione della libertà personale possa comportare conseguenzialmente il disconoscimento delle posizioni soggettive attraverso un generalizzato assoggettamento all’organizzazione penitenziaria è estranea al vigente ordinamento costituzionale”. E ancora la Corte afferma: “la restrizione della libertà personale secondo la Costituzione vigente non comporta affatto una capitis deminutio di fronte alla discrezionalità dell’autorità preposta alla sua esecuzione”.

Soprattutto, ed è il punto focale della pronuncia, “al riconoscimento della titolarità dei diritti non può non accompagnarsi il riconoscimento del potere di farli valere innanzi a un giudice in un procedimento di natura giurisdizionale”.

 

Così la Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 35, invitando il Legislatore ad individuare un rimedio generale di natura giurisdizionale. Tuttavia questi è rimasto a lungo inerte: il sistema di tutela viene, dunque, apprestato dalla giurisprudenza, che riconosce nell’articolo 14 ter[3] (configurante il rimedio per la sorveglianza speciale) lo strumento da utilizzare ogniqualvolta un detenuto lamenti la violazione di un proprio diritto, dovuta alle modalità applicative della pena detentiva.

Solo in ultima battuta, per effetto della sentenza pilota Torreggiani della Corte EDU[4], il Legislatore è intervenuto, con il decreto legislativo n. 146/2013, per inserire nell’ordinamento penitenziario due forme di reclamo, di cui agli articoli 35 bis e 35 ter L. penitenziaria.

 

Il 35 bis: il reclamo giurisdizionale

A livello normativo, l’articolo 69 lettera b dell’ordinamento penitenziario dispone che il detenuto possa ricorrere al reclamo di cui all’articolo 35 bis della L. penitenziaria quando l’Amministrazione non osservi le disposizioni ivi previste, cagionando un pregiudizio grave ed attuale all’esercizio dei suoi diritti. Il reclamo è chiamato anche “reclamo giurisdizionale per condotta illegittima dell’amministrazione”. Competente a provvedervi è la Magistratura di sorveglianza.

Per far valere tale facoltà è necessario riconoscere in capo al detenuto ricorrente, stante il disposto dell’articolo 69, la sussistenza di un diritto soggettivo, e non una posizione di mero interesse legittimo. Alla tutela del diritto soggettivo è, infatti, riservato il ricorso giurisdizionale; al mero interesse legittimo, il ricorso generico. Inoltre il pregiudizio deve essere giudicato “grave ed attuale”.

A tal proposito proponiamo qualche caso recente:

  • Sent. Cass. penale 6740/2020: un detenuto, già sottoposto al regime detentivo speciale di cui all’articolo 41 bis ordinamento penitenziario, denuncia l’illegittimità della collocazione “in area riservata” poiché pregiudizievole per la sua salute, compromessa già di per sé da una patologia: viene leso il diritto soggettivo al trattamento “comune”.
  • Sent. Cass. penale 21335/2020: un detenuto lamenta il frastuono proveniente dai vicini che gli impedisce la serenità e la riservatezza nello svolgimento del proprio colloquio con i parenti: viene leso il diritto soggettivo ai colloqui, strettamente connesso alle condizioni degli stessi.
  • Sent. Cass. penale 31032/2020: un detenuto si vede negata la somministrazione gratuita di un farmaco attraverso il servizio sanitario nazionale, con conseguente lesione del suo diritto alla salute.
  • Sent. Cass. penale 23533/2020: un detenuto richiede di attivare, a proprie spese, canali televisivi: sarebbe coinvolto il diritto soggettivo all’informazione tuttavia il provvedimento di rigetto della richiesta non incide propriamente sul diritto ma soltanto sulle modalità del suo esercizio; dunque non sarebbe suscettibile di reclamo giurisdizionale.

 

La Corte costituzionale, con sentenza n. 135/2013[5], ha sancito che le decisioni della Magistratura di sorveglianza sui reclami non possono essere private dei loro effetti pratici.

Presupposte le condizioni per il reclamo giurisdizionale, questo si caratterizza, ai sensi dell’articolo 35 bis ordinamento penitenziario:

  • per la partecipazione dell’Amministrazione interessata (DAP, Asl, Amministrazione scolastica);
  • per l’impulso di parte;
  • per la contrapposizione processuale tra due soggetti, l’Amministrazione e il Magistrato di Sorveglianza;
  • per la stabilità del provvedimento decisorio.

 

Le fasi del reclamo ex art. 35 bis, passo passo

La fase introduttiva è volta a selezionare i casi di richiesta ammissibili da quelli non ammissibili. L’inammissibilità è data:

  • dall’incompetenza funzionale della Magistratura di sorveglianza;
  • dal difetto di legittimazione dell’istante;
  • dal difetto di interesse alla decisione.

 

Il magistrato di sorveglianza fissa la data dell’udienza e ne fa dare avviso, oltre che al soggetto che ha proposto reclamo, anche all’amministrazione interessata, a cui è comunicato contestualmente il reclamo, e che può comparire con un proprio dipendente ovvero trasmettere osservazioni e richieste”. Deve dunque essere dato avviso dell’udienza all’amministrazione interessata, almeno 10 giorni prima. L’avviso, contenente l’avvertimento della facoltà di partecipazione personale all’udienza, è destinato anche al detenuto reclamante. Si può presentare osservazioni o richieste fino a 5 giorni prima dell’udienza, la quale si svolge in piena pubblicità.

La fase istruttoria è imperniata sul principio generale di acquisizione delle prove ex officio (cioè senza richiesta di parte, su iniziativa del giudice), mentre il reclamante ha l’onere di allegazione. Le prove sono assunte senza formalità ma nel rispetto del principio del contraddittorio.

Nella fase decisoria, in caso di accoglimento da parte del magistrato di sorveglianza

  • se il reclamo è contro un provvedimento disciplinare, egli annulla il provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare (fase caducatoria);
  • se il reclamo è stato proposto per l’esistenza di un pregiudizio grave ed attuale all’esercizio di diritti, ordina all’amministrazione di porre rimedio entro il termine indicato dal giudice (fase ripristinatoria).

 

L’articolo 35 bis comma 4 disciplina il mezzo di impugnazione esperibile contro la decisione del magistrato di sorveglianza: si tratta del reclamo al tribunale di sorveglianza, nel termine di 15 giorni dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito della decisione. L’articolo 35 bis comma 4 bis, invece, disciplina il ricorso avverso la decisione del tribunale di sorveglianza: si tratta del ricorso per Cassazione per violazione di legge, nel termine di 15 giorni dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito della decisione. Vi è dunque un doppio grado di merito.

Il giudizio di ottemperanza è previsto per il caso di mancata esecuzione del provvedimento non più soggetto ad impugnazione: l’interessato o il suo difensore munito di procura speciale possono richiedere l’ottemperanza al magistrato di sorveglianza che ha emesso il provvedimento[6].

Il magistrato di sorveglianza, se accoglie la richiesta:

  • ordina l’ottemperanza, indicando modalità e tempi di adempimento, tenuto conto del programma attuativo predisposto dall’amministrazione al fine di dare esecuzione al provvedimento, sempre che detto programma sia compatibile col soddisfacimento del diritto;
  • dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del provvedimento rimasto ineseguito;
  • nomina, ove occorra, un commissario ad acta[7].

 

Avverso il provvedimento emesso in sede di ottemperanza è sempre ammesso il ricorso per Cassazione per violazione di legge.

 

Il 35 ter: i rimedi risarcitori

L’articolo 35 ter ordinamento penitenziario dispone che, nel caso venga integrata l’ipotesi di cui alla lettera b) dell’articolo 69 (ricorso per pregiudizio grave ed attuale del diritto soggettivo del detenuto) ed il pregiudizio consista, per un periodo di tempo non inferiore a 15 giorni, in condizioni di detenzione tali da violare l’articolo 3 CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, il detenuto possa presentare un’istanza al magistrato di sorveglianza.

Viene disposta una riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari a un giorno ogni dieci di pregiudizio subito. Quando il periodo di pena da espiare è tale da non consentire la anzidetta detrazione, il magistrato di sorveglianza liquida al richiedente una somma di danaro pari a 8 euro per ciascun giorno di pregiudizio subito.

Dunque il presupposto è l’aver subito un trattamento inumano e degradante e i rimedi sono di due nature:

  • l’una specifica (riduzione di pena detentiva, 1 giorno ogni 10 di pregiudizio);
  • l’altra pecuniaria (8 euro per ciascuna giornata in cui è stato subito il pregiudizio), in mancanza delle condizioni per attuare il rimedio specifico.

 

Sussiste, invece, la competenza del tribunale civile qualora il soggetto non sia più detenuto o abbia subito il pregiudizio in stato di custodia cautelare, ed il reclamo viene proposto entro 6 mesi dalla cessazione della custodia o dello stato detentivo.