Il Medio Oriente è un’area nota del traffico illecito dell’arte. In che condizioni sono i beni culturali in Siria e Iraq?
L’instabilità economica e politica indebolisce la protezione dei beni culturali in Siria e Iraq
La complessità della ricostruzione del mercato in cui si muovono i beni culturali è legato da fattori geografici, politici, culturali ed economici[1]. È per tanti motivi che il problema del mercato nero dell’arte persiste. La presenza di instabilità in alcuni contesti crea terreno fertile per la diffusione del fenomeno della rimozione dei beni culturali da luoghi archeologici e paleontologici. I beni culturali in Siria e Iraq sono stati non solamente danneggiati ma anche rubati e rivenduti all’estero. Negli ultimi 30 anni questi due Stati sono stati depredati di moltissimi tesori sia noti che meno noti.
In Iraq[2], finanche istituti culturali e musei sono stati vittime di furti. Il caso più eclatante è quello del Museo nazionale iracheno di Baghdad: 15.000 reperti archeologici, questo il numero più probabile[3].
Anche la Siria ha vissuto momenti drammatici: indimenticabili le immagini e i video di alcuni membri dell’ISIS che attaccarono e distrussero alcune parti di Palmira, la celeberrima attrazione turistica di una delle antiche città meglio conservate al mondo.
Ma questi appena citati sono solamente la punta dell’iceberg: in che modo è possibile preservare i beni culturali in Siria e Iraq?
Le condizioni dei beni culturali in Siria e Iraq
Proprio sul tema della instabilità, l’Iraq ha vissuto per molto più tempo una situazione di violenza terrorista e di occupazione e la conseguente precarietà politico-istituzionale. Si deve perciò citare la risoluzione[4] del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla restituzione di beni culturali saccheggiati in Iraq. Moltissimi beni infatti sono stati rubati nel corso delle varie vicende che si sono susseguite a partire dal 6 agosto 1990. La risoluzione infatti dispone al paragrafo 7[5] che:
“tutti gli Stati membri adottano le misure appropriate per facilitare la restituzione sicura alle istituzioni irachene dei beni culturali iracheni e di altri oggetti di importanza archeologica, storica, culturale, scientifica rara e religiosa rimossi illegalmente dal Museo nazionale iracheno, dalla Biblioteca nazionale e da altri luoghi in Iraq dall’adozione della risoluzione 661 (1990) del 6 agosto 1990, anche stabilendo un divieto al commercio o al trasferimento di tali oggetti e articoli per i quali esiste il ragionevole sospetto che siano stati rimossi illegalmente, e fa appello all’UNESCO, all’INTERPOL e altre organizzazioni internazionali, a seconda dei casi, per assistere nell’attuazione del presente paragrafo”.
Ma non è solo l’Iraq, anche la Siria ha sofferto dal 2011 ad oggi gravissimi danni. Il patrimonio siriano è stato danneggiato e saccheggiato. Come spiega Brodie[6]:
“L’inizio dei disordini civili e il successivo conflitto armato in Siria nel marzo 2011 è stato accompagnato da un’ondata di segnalazioni nei media convenzionali e sui social dei danni inflitti al patrimonio culturale. Siti archeologici, musei, monumenti storici ed edifici religiosi sono stati danneggiati sia intenzionalmente che non intenzionalmente da azioni militari, attacchi ideologicamente motivati, furti e saccheggi per motivi commerciali e lavori di costruzione non autorizzati. È stato segnalato che materiale saccheggiato è passato dalla Siria in Libano, Giordania e Turchia. L’UNESCO ha risposto organizzando una serie di workshop regionali e incontri di esperti ad Amman (10-13 febbraio 2013), Damasco (12-13 maggio 2013) e Parigi (29 agosto 2013). Uno degli obiettivi principali dell’incontro di Amman era quello di sviluppare un piano d’azione in linea con la politica di protezione e recupero che avrebbe “…protetto musei e siti archeologici dal saccheggio, prevenuto i traffici illeciti, migliorato le restituzioni alla Siria…. ”. Per raggiungere questi obiettivi, è stato concordato un programma d’azione globale che definisce una serie di obiettivi operativi. Veniva richiesta la ratifica da parte dello Stato siriano del secondo protocollo del 1999 alla Convenzione dell’Aia del 1954 e della Convenzione UNIDROIT del 1995, e una migliore protezione dei siti attraverso la sensibilizzazione e lo sviluppo di programmi operativi in Siria e in altri paesi e mediazioni sostenute dall’UNESCO con i paesi vicini e altri Stati per il ritorno di oggetti siriani sfruttando appieno lo Stolen Works of Art Database dell’INTERPOL.”
Fare luce sulla distruzione di interi luoghi e sulla spoliazione di beni
Tra gli studi più recenti su questo fenomeno vi è quello di Vlasic e Turku[7]. Nel loro contributo si considera il tema della sicurezza e della stabilità nel Medio Oriente e l’autofinanziamento dell’ISIS come organizzazione terroristica dedita sia a esportare oggetti di grande valore artistico e storico sia a distruggere resti delle antiche civiltà[8].
In questo studio è delineata la sconcertante situazione in cui versano i beni culturali in Siria ed Iraq. Questi due Stati sono accomunati dalle dirette conseguenze dei furti, dei saccheggi e dalle distruzioni. Le più brutali ed eclatanti possibili avvengono tra il 2015 e il 2016. Poiché la volontà del sedicente Stato dell’ISIS è stata proprio quella di danneggiare irreparabilmente o distruggere interi siti antichi di enorme prestigio culturale, prima fra tutti la città di Palmira[9], è rinato l’interesse in Siria ed Iraq per la tutela dei siti a rischio e per i beni culturali coinvolti nelle distruzioni o nei saccheggi.
Ciò ha dimostrato di fatto quanto siano effettivamente in pericolo i beni culturali e i luoghi di grande importanza storica, artistica e culturale: tra le distruzioni a Palmira si ricordano il Tempio di Bel, il Tempio di Baalshamin e l’Arco di Trionfo. Nello studio citato si legge:
“Da quando l’organizzazione criminale ha conquistato vaste aree di territorio in Siria e Iraq, il saccheggio e il traffico di antichità hanno raggiunto proporzioni industriali.”
Gli studiosi ricordano che i dati che erano stati raccolti dai satelliti hanno fotografato distruzioni su larga scala addirittura con l’uso di bulldozer. Eppure, sebbene siano state diffuse immagini e video della distruzione del museo di Mosul[10] e delle città di Nimrud, di Hatra e di Palmira, vi sono prove che prima delle distruzioni vi fossero state spoliazioni di beni di piccole e medie dimensioni da tali luoghi.
Nello studio viene riportato che l’ISIS vendeva beni illegalmente scavati dal valore di milioni di sterline direttamente a collezionisti occidentali. Nella debolezza e nella mancanza di dati precisi si stima che meno dell’un per cento dei beni rubati da chiese e antiche città in Siria e in Iraq sono stati recuperati o restituiti.
Lo studio affronta inoltre un ulteriore aspetto sul tema dei guadagni provenienti dai beni antichi saccheggiati e poi venduti[11]. Dato il forte legame tra finanziamento delle attività terroristiche e la vendita di beni, sicurezza e stabilità in uno Stato o in una regione sono gli anticorpi per evitare, tra i tanti, il fenomeno in questione.
Negli ultimi 20 anni la preservazione dei beni culturali in Medio Oriente è stata messa a dura prova. La comunità internazionale si è impegnata là dove possibile mantenendo alta l’attenzione dei rischi enormi che avrebbe corso il patrimonio iracheno e siriano[12]. In particolare nello studio sopramenzionato si sottolinea l’importanza di ben tre risoluzioni dell’ONU per combattere il fenomeno del finanziamento del terrorismo attraverso il traffico di beni culturali: di seguito l’analisi delle risoluzioni.
Le risoluzioni dell’ONU
Il tema di fondo comune delle risoluzioni è l’eliminazione del traffico illecito di beni culturali in Siria e in Iraq per garantire la pace e la sicurezza. La prima risoluzione[13], del Consiglio di Sicurezza, invita tutti gli Stati membri a:
“adottare misure appropriate per prevenire il commercio di beni culturali iracheni e siriani e altri oggetti di importanza archeologica, storica, culturale, scientifica rara e religiosa rimossi illegalmente dall’Iraq dal 6 agosto 1990 e dalla Siria dal 15 marzo 2011.”.
La seconda risoluzione[14] è dell’Assemblea Generale, “Saving the Cultural Heritage of Iraq”. Essa stabilisce[15] che:
“gli attacchi diretti intenzionalmente contro edifici dedicati alla religione, all’istruzione, all’arte, alla scienza o a scopi di beneficenza, o a monumenti storici, possono costituire crimini di guerra.”.
La terza risoluzione[16] è del Consiglio di Sicurezza. La risoluzione condanna la violenza sistematica dell’ISIS sottolineando le barbare attività di distruzione e saccheggio di beni culturali. Nel testo della risoluzione si legge[17]:
“l’eliminazione del patrimonio culturale e il traffico di beni culturali … costituisce una minaccia globale e senza precedenti alla pace e alla sicurezza internazionali.”.
Cosa bisognerebbe fare?
Per tentare di rimediare alle spoliazioni e alle distruzioni avvenute, è fondamentale:
- che Iraq e Siria diventino Stati parti dei trattati che prevedono la tutela del patrimonio e la restituzione dello stesso nel caso di esportazione illecita;
- rafforzare il sistema di cooperazione tra gli Stati e favorire la restituzione dei beni culturali illecitamente rimossi ed esportati;
- sensibilizzare gli Stati perché sono in possesso di tesori inestimabili che rappresentano non solamente la storia antica di popoli e culture lontane ma un bene prezioso per l’umanità.
Informazioni
Manacorda and Chappell, Crime in the art and antiquities world : illegal trafficking in cultural property, New York, 2011, pp. 144 – 152
Vlasic and Turku, Protecting Cultural Heritage as a Means for International Peace, Security and Stability: The Case of ISIS, Syria and Iraq, in Vanderbilt Journal of Transnational Law, 2016, pp. 1371 – 1416
Jones: Understanding ISIS’s Destruction of Antiquities as a Rejection of Nationalism in Journal of Eastern Mediterranean Archaeology & Heritage Studies, Vol. 6, No. 1-2, 2018, pp. 31-58
https://en.unesco.org/news/call-save-iraqs-cultural-heritage
https://traffickingculture.org/app/uploads/2015/10/Brodie-Syria-Neighbours.pdf
https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/13527258.2019.1608585
[1] In particolare si deve prestare attenzione a particolarità di questo mercato illecito come la distinzione tra source countries, transit countries e market countries. Per un approfondimento: http://www.dirittoconsenso.it/2021/03/22/mercato-illecito-beni-culturali/ . In più non è bene di fare di tutta l’erba un fascio: l’Afghanistan per esempio non può essere paragonato a Siria e Iraq. Link: http://www.dirittoconsenso.it/2021/02/22/afghanistan-traffico-illecito-beni-culturali/
[2] Si veda Bogdanos, Thieves of Baghdad: The Global Traffic in Stolen Iraqi Antiquities in Manacorda and Chappell, Crime in the art and antiquities world : illegal trafficking in cultural property, New York, 2011, pp. 144 – 152. Bogdanos si riferisce al furto dal museo nazionale iracheno come “one of the greatest art crimes in recent memory”
[3] Molti dei quali trafugati a partire dall’invasione anglo-americana del 2003 e dei successivi conflitti armati svoltisi in Iraq
[4] S.C. Res. 1483 – reperibile nella rete interconnessa
[5] Testualmente, “all Member States shall take appropriate steps to facilitate the safe return to Iraqi institutions of Iraqi cultural property and other items of archaeological, historical, cultural, rare scientific, and religious importance illegally removed from the Iraq National Museum, the National Library, and other locations in Iraq since the adoption of resolution 661 (1990) of 6 August 1990, including by establishing a prohibition on trade in or transfer of such items and items with respect to which reasonable suspicion exists that they have been illegally removed, and calls upon the United Nations Educational, Scientific, and Cultural Organization, Interpol, and other international organizations, as appropriate, to assist in the implementation of this paragraph”
[6] Brodie, Syria and its Regional Neighbors: A Case of Cultural Property Protection Policy Failure, 2015 (consultabilie al link: https://traffickingculture.org/app/uploads/2015/10/Brodie-Syria-Neighbours.pdf )
[7] Vlasic and Turku, Protecting Cultural Heritage as a Means for International Peace, Security and Stability: The Case of ISIS, Syria and Iraq, in Vanderbilt Journal of Transnational Law, 2016, pp. 1371 – 1416
[8] Si rinvia ad un’interessante pubblicazione accademica di Christopher W. Jones: “Understanding ISIS’s Destruction of Antiquities as a Rejection of Nationalism“ in Journal of Eastern Mediterranean Archaeology & Heritage Studies, Vol. 6, No. 1-2, 2018, pp. 31-58 (28 pages), Penn State University Press
[9] Tristemente noto è anche l’uccisione di Khaled al-Asaad, l’archeologo che ha protetto Palmira dalla furia iconoclasta dei tesori più nascosti del luogo: fu decapitato per questo. Il corpo è stato ritrovato nel 2021 poco fuori Palmira
[10] Già pesantemente saccheggiato nel 2003 venne danneggiato dall’ISIS nel 2015
[11] A cui può essere aggiunta un’interessante analisi pubblicata sull’Atlantic di pochi anni fa che racconta di un pezzo eccezionale: la Dama di Warka. Link: https://www.theatlantic.com/international/archive/2018/03/iraq-war-archeology-invasion/555200/
[12] Quello siriano è stato fortemente impoverito. Brodie in Syria and its Regional Neighbors: A Case of Cultural Property Protection Policy Failure (consultabilie al link: https://traffickingculture.org/app/uploads/2015/10/Brodie-Syria-Neighbours.pdf) ha affermato: “L’inizio dei disordini civili e il successivo conflitto armato in Siria nel marzo 2011 è stato accompagnato da un’ondata di segnalazioni nei media convenzionali e sui social dei danni inflitti al patrimonio culturale. Siti archeologici, musei, monumenti storici ed edifici religiosi sono stati danneggiati intenzionalmente e non intenzionalmente da azioni militari, attacchi ideologicamente motivati, furti e saccheggi di ispirazione commerciale e lavori di costruzione non autorizzati. È stato segnalato che materiale saccheggiato è passato dalla Siria in Libano, Giordania e Turchia.”
[13] S.C. Res. 2199 – reperibile nella rete interconnessa
[14] G.A. Res. A/69/281 – reperibile nella rete interconnessa
[15] Testualmente, “attacks intentionally directed against buildings dedicated to religion, education, art, science or charitable purposes, or historic monuments, may amount to war crimes.”
[16] S.C. Res. 2249 – reperibile nella rete interconnessa
[17] Testualmente, “eradication of cultural heritage and trafficking of cultural property … constitutes a global and unprecedented threat to international peace and security.”

Lorenzo Venezia
Ciao, sono Lorenzo. Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca con una tesi sul recupero dei beni culturali nel diritto internazionale e sul ruolo dell'INTERPOL e con il master "Cultural property protection in crisis response" all'Università degli Studi di Torino, sono interessato ai temi della tutela dei beni culturali nel diritto internazionale, del traffico illecito di beni culturali e dei fenomeni di criminalità organizzata e transnazionale.