Per facilitare la risocializzazione ed evitare la recidiva dei condannati a detenzioni brevi, il legislatore ha introdotto le misure alternative alla pena detentiva

 

L’introduzione delle misure alternative alla pena detentiva

Le misure alternative alla pena detentiva sono state introdotte dal legislatore dagli articoli 47 e successivi della Legge sull’Ordinamento Penitenziario per rispondere all’esigenza del sovraffollamento carcerario[1] e ai possibili effetti dannosi della detenzione breve in carcere.

A tal proposito, l’ingresso nell’istituto penitenziario segna profondamente l’individuo, in quanto implica una effettiva separazione dalla vita che si conduceva in precedenza, in particolar modo, in ambito lavorativo, relazionale e familiare. Questa rottura e le condizioni critiche in cui versano le carceri italiane possono indurre il condannato a ritenere che la strada del crimine sia l’unica via percorribile, e ciò anche in conseguenza dello sdegno e dell’emarginazione della società e alla vicinanza con altri criminali, che possono facilitare l’orientamento definitivo del condannato verso la criminalità.

Per questo, il legislatore ha ritenuto che, per quanto concerne le pene detentive brevi che sono applicate esclusivamente nei confronti di soggetti che abbiano commesso reati cosiddetti minori, sia opportuno evitare l’ingresso nel penitenziario e favorire la punizione, la deterrenza e la risocializzazione – che costituiscono le funzioni della pena sancite dalla Costituzione all’articolo 27 – al di fuori di tale contesto.

Le misure alternative alla detenzione disciplinate dall’Ordinamento Penitenziario – l’insieme di norme che regolano l’attività carceraria – sono:

  • l’affidamento in prova al servizio sociale di cui all’art. 47,
  • la detenzione domiciliare disciplinata dall’art. 47 ter,
  • la semilibertà sancito dall’art. 48 e
  • la liberazione anticipata introdotta dall’art. 54, sebbene quest’ultimo strumento non possa essere qualificato come del tutto alternativo alla pena detentiva, in quanto costituisce uno sconto per buona condotta.

 

Affinché tale disciplina non sia fonte di abusi e distorsioni del sistema, l’accesso è precluso agli autori di reati particolarmente efferati aventi legami con la criminalità organizzata e sono state previste delle limitazioni nei confronti dei recidivi.

L’istituto delle misure alternative rientra nella disciplina dell’ordinamento penitenziario in quanto non viene disposta dal giudice che condanna l’imputato – definito giudice di cognizione – ma dal cosiddetto tribunale di sorveglianza, che subentra nella fase esecutiva della sentenza. Infatti, a seguito della decisione del giudice di cognizione, il pubblico ministero è tenuto a sospendere l’esecuzione della condanna per un termine di trenta giorni, entro il quale il condannato può fare richiesta di applicazione di una misura alternativa alla pena detentiva.

 

L’affidamento in prova al servizio sociale

Questo istituto permette al condannato di scontare una pena alternativa al di fuori dell’istituto penitenziario, sottoforma di una prova della durata pari a quella individuata dal giudice di cognizione nella sentenza di condanna, durante la quale è tenuto a rispettare una serie di obblighi e doveri individuati dal tribunale di sorveglianza.

Ai fini di una buona riuscita della prova che consente l’estinzione della pena, il reo viene controllato e aiutato dai servizi sociali. Nell’accoglimento della richiesta di applicazione dell’istituto in questione, il tribunale di sorveglianza può individuare una serie di obblighi e divieti e deve verificare che il provvedimento consenta una rieducazione del reo, ed eviti una recidiva.

Non è permesso accedere a questa misura alternativa se la pena ancora da espiare sia maggiore di tre anni, con innalzamento di tale limite a quattro anni, previa valutazione del giudice. In quest’ultimo caso, il tribunale mantiene un ampio margine di discrezionalità in merito all’applicazione dell’istituto, che deve fondarsi su una valutazione dell’atteggiamento tenuto dal condannato in un arco di tempo considerevole, per esempio, dell’anno precedente la richiesta.

Si tratta, senza dubbio, della tipologia di misura alternativa più largamente utilizzata ma, ai fini dell’efficienza di tale istituto, è necessario un vero e proprio coinvolgimento e controllo da parte dei servizi sociali. In assenza di tale sostegno, l’affidamento in prova potrebbe mascherarsi in una sospensione condizionale della pena. Questa modalità è molto diffusa anche per via dell’introduzione di forme speciali di affidamento in prova con funzione prevalentemente terapeutica, previste per i soggetti affetti da AIDS o da grave deficienza immunitaria, per i tossicodipendenti e per gli alcoldipendenti.

 

La detenzione domiciliare

La misura alternativa della detenzione domiciliare prevede che il condannato sconti la pena presso la propria abitazione, in un luogo di privata dimora, oppure un luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza.

Anche in questo caso, il tribunale di sorveglianza ha la possibilità di individuare una gamma di obblighi e doveri che il condannato è tenuto a rispettare, andando a ricalcare la disciplina prevista per la misura cautelare degli arresti domiciliari, innanzitutto prevedendo il divieto di allontanamento dal luogo presso il quale sconta la pena. Trasgredendo tale divieto, il condannato è accusato di evasione e viene disposta la revoca della detenzione domiciliare. Per verificare che vengano rispettate le prescrizioni individuate dal tribunale di sorveglianza, attualmente il legislatore consente il monitoraggio tramite mezzi elettronici, oppure tramite modalità tradizionali, quali la firma giornaliera presso la stazione di polizia, in assenza di tali mezzi.

Numerosi sono i requisiti necessari ai fini dell’applicazione dell’istituto della pena detentiva generica:

  • la pena da eseguire non deve essere superiore a diciotto mesi;
  • non deve sussistere pericolo di fuga del condannato;
  • deve essere disponibile un alloggio presso cui scontare la pena;
  • non deve essere applicabile né la sospensione condizionale, né la pena sostitutiva, né una qualsiasi altra misura alternativa.

 

Il campo di applicazione della misura è ampio e varia a seconda della tipologia di detenzione domiciliare.

  • Un primo tipo di detenzione domiciliare prevede che il condannato che abbia più di settant’anni e non sia considerato un delinquente abituale, professionale o recidivo, indipendentemente dalla pena da scontare.
  • Una seconda ipotesi riguarda una serie di soggetti ai quali sia individuata una pena inferiore ai quattro anni di detenzione, tra i quali: la donna incinta, la madre con la prole convivente inferiore ai dieci anni, o in alternativa, il padre qualora la madre sia deceduta o non possa assistere il minore; la persona gravemente inferma che necessiti di cure; l’individuo con meno di vent’uno anni qualora abbia comprovate esigenze familiari, di salute, di lavoro o di studio.
  • Una terza modalità si rinviene nella cosiddetta detenzione domiciliare umanitaria, qualunque sia l’ammontare della pena individuata.
  • Una quarta alternativa consiste nella forma di detenzione domiciliare generica che può essere applicata a qualsiasi condannato.
  • Una quinta forma è individuata per i soggetti affetti di AIDS, similmente a quanto avviene per l’affidamento in prova.
  • Un’ultima possibilità si rinviene nella detenzione domiciliare riservata alle madri con prole di età inferiore ai dieci anni, indipendentemente dalla pena inizialmente individuata, se la condannata abbia scontato almeno un terzo della pena (per l’ergastolo almeno quindici anni), previa verifica che non sussista un pericolo per i figli conviventi. Allo stesso modo, è concessa questa facoltà ai padri, qualora le madri siano decedute o impossibilitate a prendersi cura della prole.

 

La semidetenzione e la liberazione anticipata

Trattiamo ora le ultime misure alternative alla pena detentiva.

L’istituto della semidetenzione consente al condannato di uscire dall’istituto penitenziario, nel quale trascorre la maggior parte del tempo della giornata, per svolgere attività lavorative, istruttive o necessarie per il suo rinserimento sociale.

Infatti, il tribunale di sorveglianza permette l’accesso a tale misura alternativa solo qualora reputi l’uscita dal penitenziario necessaria per facilitare la risocializzazione del condannato, previa valutazione del comportamento del reo in relazione alla pena già scontata. Ulteriore requisito necessario è l’aver scontato almeno metà della pena individuata, salvo la sanzione consti di una pena inferiore ai tre anni per la quale è stata fatta richiesta di affidamento in prova, ma il tribunale di sorveglianza ha optato per la semidetenzione. Un’ulteriore eccezione si verifica nel caso di condanna a un arresto o a una detenzione inferiore ai sei mesi, durante i quali si può richiedere fin dall’inizio l’applicazione della misura della semidetenzione.

In caso di una buona condotta carceraria, il tribunale di sorveglianza può disporre l’applicazione dell’istituto e, eventualmente, individuare una gamma di doveri e obblighi, ai quali il reo deve attenersi in fase di esecuzione della semidetenzione. Il tribunale di sorveglianza si riserva un ampio margine di discrezionalità non solo in sede di accettazione dell’istituto ma anche in fase di esecuzione, potendo revocare la concessione qualora il condannato “non si appalesi idoneo al trattamento”.

La revoca può intervenire anche qualora il reo, senza giustificato motivo, non faccia rientro in carcere entro l’orario previsto. Nel caso in cui il ritardo sia inferiore alle dodici ore, è prevista l’applicazione di una sanzione disciplinare. Al contrario, se il rientro superi tale soglia, il reo sarà accusato di evasione, che presuppone l’automatica revoca della concessione della semidetenzione.

Nella pratica questa misura ricopre un ruolo marginale rispetto alle altre modalità alternative alla detenzione.

Il legislatore ha ritenuto opportuno inserire nella legge dell’ordinamento penitenziario anche l’istituto della liberazione anticipata, che consiste nella riduzione pari a quarantacinque giorni di pena ogni sei mesi di buona condotta in carcere. Si tratta di un beneficio che viene concesso al condannato come premio per il comportamento positivo che questo dimostra di avere nel penitenziario.

Anche per questa misura può essere disposta la revoca se il reo commette un delitto non colposo nel periodo di concessione del beneficio e il suo comportamento risulti essere incompatibile con la funzione dell’istituto stesso.

Informazioni

G. MARINUCCI – E. DOLCINI – G.L. GATTA, Manuale di diritto penale, parte generale, VII ed., Milano, Giuffrè Editore, 2018;

Costituzione italiana

Ordinamento penitenziario, L. 26 luglio 1975, n. 354

[1] Si rimanda alla lettura dell’articolo di Biagio Sapone per DirittoConsenso sul tema del sovraffollamento carcerario, reperibile al link http://www.dirittoconsenso.it/2018/11/05/il-problema-del-sovraffollamento-carcerario/