La Convenzione di Istanbul, trattato internazionale spartiacque in quanto introduce percorsi di prevenzione e sensibilizzazione di carattere socio-culturale, compie 10 anni
Introduzione storica
Prima di analizzare la Convenzione di Istanbul è necessaria una introduzione storica per comprendere le ragioni che hanno portato all’adozione del testo.
La violenza contro le donne è un fenomeno che non conosce limiti di tipo geografico o temporale: riguarda tutti gli Stati e consiste nella limitazione della vita delle donne nell’esercizio dei più basilari diritti umani. La violenza contro di esse trova le sue radici nelle discriminazioni di genere e solo il raggiungimento di una piena ed effettiva parità potrà sradicare tale fenomeno, un vero problema strutturale della società, in essa profondamente radicato. Tuttavia la sua emersione nel dibattito internazionale, a livello giuridico ma anche sociale-culturale, si è imposta negli ultimi due decenni.
Solo nel 1992 si è arrivati ad un atto internazionale, seppur non vincolante, che si occupa specificamente del fenomeno, la General Recommendation n. 19 che ha avuto il merito di amplificare l’attenzione sulla violenza di genere e di riflesso sugli strumenti internazionali.
Il Comitato dei Ministri nel 2008 ha istituito il Comitato ad hoc per prevenire e combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica (CAHVIO), avente come specifico compito quello di redigere la bozza di un trattato sul tema. Il testo prodotto venne aperto alla firma ad Istanbul (città simbolo e ponte ideale tra cultura occidentale e orientale) ed è entrato in vigore il 1° agosto 2014, con la decima ratifica.
Il preambolo della Convenzione di Istanbul
Il testo della Convenzione di Istanbul è composto da 81 articoli ed è diviso in 12 capitoli. Gli articoli e le misure previste possono essere suddivisi in quattro categorie, le cosiddette “4 P”: la Prevenzione, la Protezione, il Procedimento contro il colpevole e le Politiche integrate.
Il testo si apre con il Preambolo, che ne enuncia lo scopo: la creazione di un’Europa libera dalla violenza contro le donne e dalla violenza domestica[1]. Si stabilisce quindi un legame tra il raggiungimento dell’uguaglianza di genere e lo sradicamento della violenza contro le donne.
Gli ulteriori obiettivi elencati sono specificazioni di quello principale, per il cui raggiungimento gli Stati devono impegnarsi a realizzare:
- la predisposizione di misure a protezione e sostegno delle vittime,
- la cooperazione internazionale per lo sradicamento della violenza e
- l’adozione di un approccio integrato tra le varie autorità e associazioni che si occupano di violenza.
La Convenzione di Istanbul disciplina ogni aspetto del processo di eliminazione della violenza contro le donne, dalla prevenzione alle misure legislative a quelle sociali e culturali. Inoltre, la Convenzione richiede che ci sia una stretta collaborazione tra tutti gli attori, istituzionali e non, esigendo un’azione congiunta attraverso programmi stabiliti.
Violenza economica e domestica
Di centrale importanza sono le definizioni, contenute nell’articolo 3.
Con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” si intende sancire una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che privata.
La Convenzione di Vienna è stata cruciale nell’ampliamento del concetto di violenza (facendovi rientrare anche la minaccia e non solo l’atto concreto) ma soprattutto perché contiene un elenco innovativo di azioni, come la privazione della libertà, lo stupro coniugale, i delitti d’onore.
Inoltre, la Dichiarazione ha posto l’accento su come le vittime non siano casualmente donne, ma è l’appartenenza al genere femminile il fattore di rischio che scatena la violenza.
Un altro elemento interessante è l’inserimento della violenza economica, senza però fornire una definizione. L’articolo 3 contiene la definizione di “violenza domestica”: l’espressione designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza.
La Convenzione separa la violenza domestica dalla violenza contro le donne in generale, si tratta di fenomeni non sempre coincidenti: la prima è considerata violenza contro le donne quando ne rispetta tutte le caratteristiche, in quanto la sua definizione non fa nessun riferimento al genere della vittima, che potrebbe essere sia uomo che donna (anche se il genere femminile rimane comunque maggiormente colpito).
La Convenzione prevede inoltre alcune norme dirette ad una specifica categoria di donne: le donne migranti, che presentano maggiori difficoltà ad usufruire dei servizi di giusta assistenza e protezione dello Stato. La Convenzione all’art 59 richiede che alle vittime di violenza sia concessa la sospensione della procedura di espulsione, se avviata nei confronti del partner da cui dipendeva il permesso di soggiorno della donna, al fine di poter richiedere un autonomo titolo di soggiorno e poter lasciare il proprio partner violento.
Responsabilità degli Stati
Affinché́ gli Stati si impegnino concretamente nell’attuazione degli obblighi di prevenzione, protezione e punizione, nel capitolo I della Convenzione di Istanbul viene sancita anche la responsabilità̀ di essi in materia, una responsabilità̀ che prevede obblighi sia positivi che negativi.
La dottrina della responsabilità̀ statale e il principio di due diligence iniziano a ricevere una prima applicazione anche nel campo della violenza contro le donne. In precedenza era opinione consolidata che lo Stato potesse intervenire solo per le violenze in cui esso stesso fosse coinvolto, il cui principale obbligo era astenersi dal commettere atti di violenza.
La Convenzione, con l’articolo 5, allarga la tutela dovuta alle donne dallo Stato che non ha più solamente l’obbligo negativo, ma anche l’obbligo positivo di adottare ed attuare (due diligence) ogni misura necessaria a prevenire, indagare e punire gli autori delle violenze.
Le politiche integrate e la raccolta dei dati
L’articolo 7 apre il capitolo II della Convenzione e tratta della prima della 4 “P”: le politiche integrate e la raccolta dati.
Le misure devono essere adottate in attuazione di politiche mondiali e coordinate caratterizzate dalla centralità della vittima. La Convenzione di Istanbul richiede agli Stati parte l’istituzione di organismi che coordinino le varie misure e che siano anche responsabili della loro attuazione e valutazione. Tali enti hanno un altro importante compito: coordinare la raccolta dei dati relativi al fenomeno della violenza e di analizzarli. L’articolo lascia molta discrezione agli Stati sulla sua concreta attuazione, sia per quanto riguarda il tipo di dati da raccogliere, sia per quanto riguarda la frequenza. Si tratta di una delle sezioni più innovative perché́ propone un approccio al fenomeno della violenza contro le donne il più completo ed organico possibile.
La prevenzione
Nel capitolo III la Convenzione di Istanbul esamina le misure preventive, fondamentali non solo per evitare atti di violenza nell’immediato, ma anche per ottenere cambiamenti durevoli, in una prospettiva a lungo termine.
La Convenzione prevede sia obblighi generali sia specifici. Tra quelli di ordine generale, vi è il dovere per gli Stati di adottare tutte le misure necessarie, legislative e non, al fine di avviare un cambiamento socio-culturale che porti all’eliminazione di tutti gli stereotipi e pratiche che postulino la condizione di inferiorità̀ della donna. Dal momento che la lotta alla violenza di genere passa anche attraverso la conoscenza e l’educazione alla parità: alleati centrali sono tutti i luoghi di formazione, scuola in primis.
Un altro ruolo chiave è rivestito dai media, per la posizione centrale nel processo di informazione e di diffusione delle notizie. Per questo motivo è necessario che gli Stati incoraggino una rappresentazione delle donne evitando stereotipi e ipersessualizzazione.
Sebbene le norme sulla prevenzione siano fondamentali, sono anche le più difficili da implementare per gli Stati per il lavoro prolungato nel tempo che investe tutti i settori.
Il procedimento giudiziario
L’ultima delle quattro macro-categorie di obblighi che la Convenzione di Istanbul fa sorgere in capo alle Parti riguarda il procedimento giudiziario, dividendosi in disposizioni riguardanti il diritto sostanziale, di cui si occupa il capitolo V e misure riguardanti il diritto procedurale, di cui tratta il capitolo VI.
La Convenzione non contiene solo un obbligo generico sulle misure da includere nell’ordinamento giuridico nazionale, ma un catalogo dettaglio di norme di varia natura da inserire nelle legislazioni delle Parti. Grazie a queste norme si ottiene una sorta di armonizzazione tra i vari Stati, il che comporta un’azione più̀ omogenea a livello internazionale.
Il reato di violenza (anche psicologica) viene criminalizzata e per la prima volta inserito in uno strumento internazionale vincolante che mira a punire quei comportamenti intenzionali che compromettono seriamente l’integrità̀ psicologica di un’altra persona. Diversi aspetti sono lasciati alla discrezione degli Stati, come la definizione dell’aggettivo “intenzionale” e di cosa significhi compromettere “seriamente” l’integrità̀ psicologica di un altro soggetto.
Per quanto riguarda i rimedi di natura civilistica, la Convenzione di Istanbul prevede la possibilità̀ per le vittime di chiedere il risarcimento del danno all’autore del reato e alle autorità̀ statali in via principale quando queste abbiano violato il dovere di due diligence e dunque il loro obbligo di adottare ogni misura per prevenire, indagare e punire le violazioni dei diritti umani, ma anche in via sussidiaria quando l’autore del reato non possa risarcire il danno in prima persona.
Il meccanismo di controllo
La convenzione di Istanbul ha istituito infine un meccanismo di controllo per verificare l’effettiva attuazione della stessa da parte degli Stati.
Due sono gli organi che formano questo meccanismo:
- il GREVIO e
- il Comitato delle Parti.
Il Comitato delle Parti include gli Stati nei processi decisionali e nella procedura di monitoraggio, rendendo più̀ efficace la collaborazione tra le Parti della Convenzione e tra le Parti e il GREVIO. GREVIO invece è il gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne che si occupa del processo di monitoraggio dell’attuazione della Convenzione. Si tratta di esperti nei settori dei diritti umani, della parità̀ di genere e della lotta alla violenza di genere.
Conclusioni sulla Convenzione di Istanbul
Negli ultimi anni è sempre più forte l’esigenza di difendere la Convenzione di Istanbul, a maggior ragione dopo la decisione della Turchia, espressione della politica di inasprimento della violenza e repressione ai danni delle donne del presidente Erdogan, di rescindere il trattato in modo unilaterale.
L’Unione Europea si mostra in prima linea in difesa della Convenzione, dato che tratta dei valori fondanti su cui nasce l’Europa. Le situazioni più delicate riguardano la Turchia e la Polonia, che costituiscono le roccaforti di una deriva contro le donne che si sta diffondendo in modo preoccupante in altri Stati, soprattutto dell’Europa orientale, che si rifiutano di sottoscrivere la Convenzione perché minerebbe lo status di ‘famiglia tradizionale’ e introdurrebbe il concetto di ‘gender’.
Informazioni
DE VIDO, S., Donne, violenza e diritto internazionale. La Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa del 2011, Mimesis, Milano, 2016.
HENN, E., V., International Human Rights Law and Structural Discrimination. The example of Violence against Women, Springer, Berlino, 2018.
JONES, J., The Istanbul Convention, in MANJOO, R., JONES, J., (Eds.) Legal protection of Women from violence, Routledge, Abingdon e New York, 2018.
[1] La violenza economica è configurabile come una delle forme più subdole di violenza domestica. Esistono varie forme di tutela civilistica e penalistica. Per approfondimenti si rimanda all’articolo di Maria Giovanna Napoli http://www.dirittoconsenso.it/2021/10/08/violenza-economica/

Sara Dellerba
Ciao, sono Sara. Sono iscritta al quarto anno della facoltà di Giurisprudenza, presso l’Università degli studi di Torino. Nel mio percorso di studi ho sviluppato un vivo interesse per il diritto internazionale ed umanitario, con particolare riguardo alla condizione femminile e al diritto dei rifugiati. Attraverso Summer schools e conferenze ho poi potuto approfondire la storia e l’ordinamento giuridico dell’India e della Cina, due paesi sempre più centrali nello scenario geopolitico.