Cosa significa essere ‘migranti ambientali’, e di che cosa si è vittime una volta attraversato il confine? Un vuoto legislativo ancora da colmare

 

Il legame tra cambiamento climatico e migrazioni: i migranti ambientali

Alcuni studiosi stimano che oggi ci siano circa 25 milioni di rifugiati ambientali nel mondo e che i flussi migratori dovuti a fattori ambientali aumenteranno costantemente e rapidamente[1]. L’economista Sir Nicholas Stern, per esempio, prevede che entro il 2050 questo numero salirà fino a 200 milioni[2], mentre secondo l’organizzazione non governativa Christian AID sarà di un miliardo[3]. Inoltre, il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) ha previsto come verosimile che uno dei principali effetti del cambiamento climatico sarà costituito proprio dall’incremento della migrazione umana[4].

Già nel 2008, nel documento su “Cambiamenti climatici e sicurezza internazionale”, redatto assieme alla Commissione Europea e indirizzato al Consiglio dell’Unione Europea, Javier Solana[5] prevedeva che “ci saranno milioni di migranti ambientali, con il cambiamento climatico come uno dei principali motori di questo fenomeno” e che “l’Europa deve aspettarsi un sostanziale aumento della pressione migratoria[6].

È, infatti, ampiamente riconosciuto che il cambiamento climatico sta avendo, e continuerà ad avere, un grande impatto nel moltiplicare i disastri ambientali e gli eventi meteorologici estremi, rendendoli più mortali e più diffusi. Secondo Gianmaria Sannino, responsabile del Laboratorio di modellazione climatica dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), “le proiezioni climatiche mostrano che gli eventi che ora classifichiamo come estremi diventeranno più frequenti in futuro. Diventeranno la nuova normalità”.

 

I migranti ambientali: una nuova categoria del diritto internazionale

Negli anni ’80, il direttore dell’United Nationd Environment Programme (UNEP), El-Hinnawi, definì gli sfollati ambientali, più comunemente chiamati ‘migranti ambientali’, come “persone che sono state costrette a lasciare le loro case per esigenze temporanee o permanenti a causa di gravi perturbazioni (naturali e/o indotte dall’uomo) che hanno messo in pericolo la loro esistenza o danneggiato seriamente la loro qualità di vita”.

El-Hinnawi ha distinto tre tipi di migranti ambientali:

  1. persone temporaneamente sfollate a causa di stress ambientali determinati da disastri sia naturali che causati dall’uomo, ma che possono in seguito tornare nei loro luoghi di origine per iniziare la ricostruzione;
  2. persone permanentemente sfollate e trasferite in altre aree;
  3. persone temporaneamente o permanentemente sfollate perché non possono più sostenersi con le risorse offerte dalla loro terra a causa del degrado ambientale.

 

Negli anni ’90, l’ambientalista britannico Norman Myers, considerato uno dei più autorevoli esperti in materia, definì i rifugiati ambientali come “persone che non possono più assicurarsi i mezzi di sostentamento nella loro patria a causa di fattori ambientali di portata eccezionale e che, di fronte a queste minacce ambientali, sentono di non avere altra alternativa che cercare mezzi di sostentamento altrove, all’interno del loro paese o fuori dai suoi confini, in modo semipermanente o permanente[7].

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha proposto di definire i migranti ambientali come “persone o gruppi di persone che, principalmente a causa di un cambiamento improvviso o progressivo dell’ambiente che influisce negativamente sulla loro vita o sulle loro condizioni di vita, sono obbligati a lasciare le loro dimore abituali, o scelgono di farlo, temporaneamente o permanentemente, e si spostano all’interno del loro paese o all’estero[8].

In quest’ambito, è poi opportuno distinguere il fenomeno, più generale, della migrazione ambientale da quello, più specifico, della migrazione climatica: mentre il primo si riferisce a tutti gli eventi che causano disastri naturali, il secondo designa l’esodo di una popolazione da territori resi inospitali, o addirittura, inabitabili a causa di trasformazioni dell’ambiente determinate esclusivamente dal cambiamento climatico. La migrazione climatica, quindi, è una sottocategoria della migrazione ambientale[9].

 

La mancanza di un riconoscimento giuridico

Nonostante la formulazione di definizioni puntuali, a tutt’oggi non si rinviene nell’ordinamento internazionale una tipizzazione del fenomeno della migrazione per motivi ambientali, con la conseguenza che i migranti di questo tipo scontano, ogni volta che attraversano le frontiere, la più assoluta incertezza giuridica[10].

Le definizioni coniate sono ampie e variegate, mostrando che la migrazione climatica può assumere molteplici forme, suscettibili a loro volta di incidere sulla portata del fenomeno e sulla risposta politica che occorre darvi, a seconda di diversi fattori, quali la sua natura forzata o volontaria, temporanea o permanente, interna o internazionale, individuale o collettiva, di prossimità o di lunga distanza[11]. Occorre avvertire, però, che si tratta in ogni caso di definizioni di tipo dottrinale, proposte a scopo di studio e di advocacy, prive di ogni valore legale.

Attualmente, i migranti ambientali non sono adeguatamente protetti dal diritto internazionale, né con riguardo alla loro accoglienza e assistenza, né sotto il profilo della salvaguardia dei loro diritti. La definizione di ‘rifugiato’ contenuta nell’articolo 1.A(2) della Convenzione sui Rifugiati del 1951, infatti, non comprende i migranti ambientali, i quali, in mancanza di una disposizione internazionale o statale che estenda in loro favore la protezione dal respingimento, cadono in un cosiddetto ‘vuoto di protezione’[12].

Secondo uno studio condotto dal Parlamento europeo nel 2011[13], sono necessarie risposte politiche e legali “mirate” per governare le singole fasi della migrazione indotta dalle condizioni ambientali e che, pertanto, dovrebbero andare dall’adozione di misure preventive volte a contenere il cambiamento climatico, all’offerta di protezione durante la fase di spostamento, fino all’allestimento di politiche di reintegrazione o reinsediamento nell’ultima fase.

 

Il ruolo della giurisprudenza

A livello internazionale

Indipendentemente dal grado di sviluppo raggiunto dalla legislazione internazionale europea, un’evoluzione del sistema si è potuta registrare grazie agli impulsi provenienti dal fronte giurisprudenziale.

Dal 2016 la Corte Penale Internazionale include nella sua giurisdizione i crimini di distruzione dell’ambiente, di sfruttamento illegale delle risorse naturali e di espropriazione illegale delle terre, tutti ricondotti alla categoria dei ‘crimini contro l’umanità’ e significativamente qualificati come ‘ecocidio[14].

Proprio in forza di questa provvidenziale apertura, una rappresentanza di gruppi indigeni dell’Amazzonia ha denunciato alla Corte Penale Internazionale il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, imputandogli lo smantellamento delle politiche ambientali di protezione della foresta pluviale e la conseguente violazione dei diritti umani dei popoli indigeni.

 

A livello nazionale

Volgendo lo sguardo alle Corti italiane, è sempre più frequente imbattersi in enunciazioni di principio a mente delle quali «In tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di ‘vulnerabilità’ del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, oltre che a quella vissuta nel paese di transito, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela, che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello ‘status’ di rifugiato o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione» (così la recentissima Cass. 17 maggio 2021, n. 13171).

Su queste basi di carattere generale, la stessa Suprema Corte italiana ha riconosciuto il diritto alla protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. c del D. Lgs. n. 251/2007 e a quella umanitaria di cui all’art. 5 del D. Lgs. n. 286/1998 a un cittadino nigeriano rifugiatosi in Italia a causa della «grave situazione di dissesto ambientale» esistente nella zona del delta del Niger, richiamando a tal fine una decisione del Comitato delle Nazioni Unite del 24 ottobre 2019 (caso n. 2727/2016), con la quale era stato affermato il diritto di asilo politico in Nuova Zelanda a favore di un cittadino di un’isola del Pacifico, «a causa del pericolo per la sopravvivenza, sua e della sua famiglia, causata dai cambiamenti climatici che, causando un innalzamento del livello del mare nell’area del Pacifico, avevano posto a rischio di sommersione l’isola».

Analogamente, il Tribunale dell’Aquila ha riconosciuto a un cittadino del Bangladesh il diritto alla protezione umanitaria in quanto vittima di un’inondazione, che rappresenta anche un effetto graduale del cambiamento climatico[15].

Si può affermare, quindi, che, sebbene spetti al legislatore colmare le lacune dell’ordinamento giuridico, i giudici giocano sicuramente un ruolo cruciale nel fornire validi input per accelerarne l’azione a livello sovranazionale.

 

Conclusioni

La difficoltà, se non l’impossibilità, di stabilire quanti migranti ambientali arrivano in Europa causa una mancanza di punti fermi su cui basare i cambiamenti del diritto d’asilo europeo.

Diverse questioni nel campo delle garanzie di protezione per gli spostamenti indotti dalle condizioni ambientali rimangono, a tutt’oggi, senza risposta. Tuttavia, è chiaro che il prossimo passo fondamentale nel dibattito politico e giuridico sulla questione sarebbe quello di creare una precisa categoria normativa, unificando a livello internazionale la terminologia, le cause e gli effetti, e decidendo anche chi proteggere e chi escludere nel rispetto dei diritti umani.

Questo processo dovrebbe inoltre portare all’implementazione di un adeguato meccanismo di protezione basato sul riconoscimento formale, troppo a lungo atteso, di un fenomeno innegabile e in continua espansione.

Informazioni

Aceti, A., (2021). Corte Penale Internazionale e tutela ambientale: http://www.dirittoconsenso.it/2021/03/11/corte-penale-internazionale-e-tutela-ambientale/

Christian Aid, (2007) Human tide: the real migration crisis. A Christian Aid report.

Climate Change and International Security, (2008). S113/08 14 Paper from the High Representative and the European Commission to the European Council, S113/08 14.          

European Parliament, Directorate General for Internal Policies, (2001). “Climate refugees”: legal and policy responses to environmentally induced migration.             

Foresight, The Government Office for Science, (2011). Migration and global environmental change: future challenges and opportunities.

Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), Climate Change: The IPCC Scientific Assessment: Final Report of Working Group I (Cambridge: CUP, 1990).

International Organisation for Migration (2014). The Middle East and North Africa. Annual report.

International Organisation for Migration (IOM), (2007). MC/INF/288 – Discussion Note: Migration and the Environment.

International Organisation for Migration (IOM), (2020), Environmental Migration Portal – Environmental Migration.

Kälin, W., Schrepfer N., (2012). Protecting People Crossing Borders in the Context of Climate Change: Normative Gaps and Possible Approaches’. UNHCR Legal and Protection Policy Research Series.

Laczko, F., Aghazarm, C. (2009). Migration, Environment and Climate Change: Assessing the Evidence, International Organisation for Migration.

M. Traore Chazalnoël and D. Ionesco, Defining Climate Migrants – Beyond Semantics (IOM weblog, 6 June 2016).

Myers, C. A., Slack, T., & Singelmann, J. (2008). Social vulnerability and migration in the wake of disaster: The case of Hurricanes Katrina and Rita. Population and Environment: A Journal of Interdisciplinary Studies, 29(6), 271–291.

Myers, N. (1997). Environmental Refugees. Population and Environment: A journal of Interdisciplinary Studies, Volume 19, Number 2.

Myers, N., (1999). Esodo ambientale. Popoli in fuga da terre difficili, Edizioni Ambiente, Milano, p. 18.

Savigni, M., (2020). Decreto Lamorgese e protezione internazionale: verso una nuova fase dell’accoglienza in Italia?:http://www.dirittoconsenso.it/2020/11/28/decreto-lamorgese-protezione-internazionale-nuova-fase-accoglienza-italia/.

Stern, N., The Economics of Climate Change: The Stern Review.

Tribunale di L’Aquila, Ord. n. R.G. 1522/1 del 18 febbraio 2018, disponibile su: https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/allegati/fascicolo-n-2-2018/umanitaria-3/245-trib-aq-16-2-2018/file.

Warsaw International Mechanism, Executive Committee, Action Area 6: Migration, Displacement and Human Mobility – Submission from the International Organization for Migration (IOM, 2016).

[1] Vedi Foresight, The Government Office for Science, (2011). Migration and global environmental change: future challenges and opportunities; Laczko, F., Aghazarm, C. (2009). Migration, Environment and Climate Change: Assessing the Evidence, International Organisation for Migration; N. Myers (1997). Environmental Refugees. Population and Environment: A journal of Interdisciplinary Studies, Volume 19, Number 2; Myers, C. A., Slack, T., & Singelmann, J. (2008). Social vulnerability and migration in the wake of disaster: The case of Hurricanes Katrina and Rita. Population and Environment: A Journal of Interdisciplinary Studies, 29(6), 271–291; International Organisation for Migration (2014). The Middle East and North Africa. Annual report.

[2] Stern, N., The Economics of Climate Change: The Stern Review.

[3] Christian Aid, (2007) Human tide: the real migration crisis. A Christian Aid report.

[4] Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), Climate Change: The IPCC Scientific Assessment: Final Report of Working Group I (Cambridge: CUP, 1990).

[5] Javier Solana è stato Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la politica estera e di sicurezza comune, segretario generale del Consiglio dell’Unione europea e segretario generale dell’Unione dell’Europa occidentale e ha ricoperto questi incarichi dall’ottobre 1999 al dicembre 2009.

[6] Climate Change and International Security, (2008). S113/08 14 Paper from the High Representative and the European Commission to the European Council, S113/08 14.

[7] Myers, N., (1999). Esodo ambientale. Popoli in fuga da terre difficili, Edizioni Ambiente, Milano, p. 18.

[8] International Organisation for Migration (IOM), (2007). MC/INF/288 – Discussion Note: Migration and the Environment.

[9] Warsaw International Mechanism, Executive Committee, Action Area 6: Migration, Displacement and Human Mobility – Submission from the International Organization for Migration (IOM, 2016); M. Traore Chazalnoël and D. Ionesco, Defining Climate Migrants – Beyond Semantics (IOM weblog, 6 June 2016).

[10] Tuttavia, in Italia, il decreto legge 130/2020, noto come “decreto Lamorgese”, rappresenta un parziale allargamento delle misure del diritto dell’accoglienza e fa intravedere anche una possibile apertura verso la categoria dei migranti ambientali. Si rimanda al riguardo all’articolo di Maria Savigni per DirittoConsenso del 28 Novembre 2020: http://www.dirittoconsenso.it/2020/11/28/decreto-lamorgese-protezione-internazionale-nuova-fase-accoglienza-italia/.

[11] International Organisation for Migration (IOM), (2020), Environmental Migration Portal – Environmental Migration.

[12] Vedi, inter alia, Kälin, W., Schrepfer N., (2012). Protecting People Crossing Borders in the Context of Climate Change: Normative Gaps and Possible Approaches’. UNHCR Legal and Protection Policy Research Series.

[13] European Parliament, Directorate General for Internal Policies, (2001). “Climate refugees”: legal and policy responses to environmentally induced migration.

[14] Per un approfondimento sulla tutela ambientale internazionale grazie alla Corte Penale Internazionale si rimanda all’articolo di Alessandra Aceti per DirittoConsenso: http://www.dirittoconsenso.it/2021/03/11/corte-penale-internazionale-e-tutela-ambientale/

[15] Tribunale di L’Aquila, Ord. n. R.G. 1522/1 del 18 febbraio 2018, disponibile su: https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/allegati/fascicolo-n-2-2018/umanitaria-3/245-trib-aq-16-2-2018/file.