Quali condizioni devono sussistere perché si possa parlare di oltraggio a Pubblico Ufficiale? Quali sono degli esempi in concreto del reato di cui all’articolo 341 bis c.p.?

 

La storia costituzionale dell’articolo 341 c.p. (oggi 341 bis c.p.)

Il reato di oltraggio a Pubblico Ufficiale è stato ampiamente rivisitato dalla Corte Costituzionale. In particolare bisogna leggere la sentenza n. 341/94[1], concernente l’art. 341 c.p., cioè la norma che disciplinava l’oltraggio in origine: è stata sollevata una questione di legittimità costituzionale per il minimo edittale fissato a mesi 6.

Fra il 1968 ed il 1989 la stessa venne sollevata ben 5 volte e, puntualmente, la Corte ha sempre rigettato la questione: la determinazione del quantum sanzionatorio è operazione discrezionale del Legislatore. Nonostante ciò, in alcune sentenze di rigetto, la Corte ha concordato con l’idea che vi fosse una sproporzione del trattamento sanzionatorio in riferimento al minimo edittale ed invitava il Legislatore ad intervenire perché fosse reso più mite.

Col tempo la Corte ha, poi, deciso di abbandonare tale astinenza dalla questione, quantomeno in quelle ipotesi in cui la cornice fosse apparsa manifestamente sproporzionata. È ciò che si è verificato in merito alla sopracitata sentenza del 1994.

Più precisamente, la Corte prendeva coscienza del fatto che negli altri ordinamenti europei o non era prevista la fattispecie o era prevista come aggravamento del reato di ingiuria (sanzionata 12 volte meno). Così ha affermato essere non consona la previsione, nel nostro ordinamento, del reato di oltraggio al Pubblico Ufficiale per come disciplinato, rispetto alla tradizione liberale europea, e che fosse necessario un bilanciamento tra la tutela dell’onore del Pubblico Ufficiale e la tutela della libertà personale del cittadino. Tale ponderazione avrebbe dovuto, per l’appunto, far procedere nel senso di una diminuzione del minimo di pena.

La Corte ha così dichiarato l’illegittimità dell’articolo 341 nella parte in cui prevedeva il minimo edittale di 6 mesi, fissandolo a 15 giorni. Il Legislatore, in seguito, con L. 205/99 ha abrogato la fattispecie dell’oltraggio all’articolo 341 c.p.

Nel 2009 la Corte ha reintrodotto la fattispecie criminosa con una nuova norma, l’articolo 341 bis c.p., modificandone la fisionomia originaria: non ha previsto alcun minimo edittale, ed ha fissato la pena fino ad un massimo di anni 3 di reclusione.

Nel 2019 si è registrato un nuovo intervento modificativo, che ha reintrodotto il minimo edittale di 6 mesi con un ritorno alla fattispecie originaria.  La Corte ha osservato che il 341 bis è una norma diversa dal vecchio 341, avendo a tutela non solo il prestigio della Pubblica Amministrazione ma anche il suo buon andamento: oggi si ritiene opportuno che il trattamento sia più severo, tanto che si può immaginare esista una progressione criminosa tra il 341 bis e il 337, nelle forme, rispettivamente, verbale e fattuale.

 

Configurazione del reato di cui all’articolo 341 bis c.p.: l’oltraggio a Pubblico Ufficiale

L’articolo 341 bis c.p., in materia di oltraggio a Pubblico Ufficiale, recita oggi che “chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.

Si tratta di un reato:

  • di condotta
  • pluri-offensivo
  • di danno
  • comune (detto anche “improprio”)
  • a forma libera.

 

Affinché sussista il reato di oltraggio a Pubblico Ufficiale devono presentarsi tutte le seguenti condizioni, nessuna esclusa. Mancando anche solo una di queste, il reato non viene in essere[2].

Ecco quali:

  • la vittima: si deve trattare di un Pubblico Ufficiale. Secondo la legge, per “pubblico ufficiale” deve intendersi colui che esercita una funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa: ci si riferisce ai parlamentari, ai consiglieri regionali e ai giudici; ai cancellieri nei tribunali, agli insegnanti nelle scuole, ai medici negli ospedali, ai carabinieri, ecc.
  • la frase offensiva: la critica è ammessa, non lo sono le offese, le minacce, le volgarità e le parolacce. In generale, l’offesa deve essere tale da denigrare il Pubblico Ufficiale.
  • il luogo pubblico: il reato sussiste solo se avviene in luogo pubblico o aperto al pubblico. Ad esempio, l’offesa che sia rivolta all’interno di una dimora privata non rileva ai fini del perseguimento penale del reato.
  • la presenza di più persone: l’oltraggio a Pubblico Ufficiale è integrato solo se sono presenti almeno due persone, all’infuori del Pubblico Ufficiale stesso, che non si richiede assista al fatto ingiurioso. Essenziale è la possibilità oggettiva che terzi possano sentire l’ingiuria.
  • il momento dell’offesa: il Pubblico Ufficiale deve svolgere un atto del suo ufficio o un’azione resa necessaria dall’ufficio medesimo nel momento in cui l’offesa viene pronunciata. Non è sufficiente, quindi, che il Pubblico Ufficiale si trovi “nell’esercizio delle sue funzioni”.

 

L’elemento oggettivo della fattispecie criminosa esaminata è rappresentato dall’offesa all’onore ed al prestigio del Pubblico Ufficiale.

Per quanto riguarda l’onore, s’intende far riferimento alla dignità che deve caratterizzare un simile incarico, rivestito in nome della Pubblica Amministrazione e rappresentativo della medesima. Il prestigio, invece, deve rimandare al valore sociale che viene riconosciuto dai consociati, e connaturato alle funzioni che il Pubblico Ufficiale espleta[3].

Quindi ai fini dell’incriminazione del reato di oltraggio a Pubblico Ufficiale condizioni imprescindibili risultano essere:

  • condotta del consociato pregiudizievole del bene protetto (> buon andamento della PA)
  • diffusione della percezione della offesa (> luogo pubblico/presenza di più persone)
  • collegamento temporale e finalistico con l’esercizio della potestà pubblica tale da rendere possibile una interferenza perturbatrice del suo espletamento

 

L’elemento soggettivo del reato, invece, è il dolo generico: è sufficiente che l’agente abbia consapevolezza di venire in contatto con un Pubblico Ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, e si rappresenti, come possibile conseguenza della propria condotta, la lesione all’onore ed al prestigio della persona offesa. Non è richiesto nessun “animus” specifico.

Il soggetto attivo del reato è “chiunque”, il che significa che non sono richieste ex lege delle qualità soggettive in capo all’agente perché il reato si configuri. Può essere colpevole del delitto di oltraggio a Pubblico Ufficiale il comune cittadino così come un altro Pubblico Ufficiale nei confronti di un collega.

Il soggetto passivo del reato è il Pubblico Ufficiale, dunque, a differenza di quanto previsto per il reato di cui all’articolo 337 c.p. (resistenza a Pubblico Ufficiale), la fattispecie delittuosa non è integrata se l’offesa, come descritta, sia diretta ad un incaricato di pubblico servizio.

 

Cause di esclusione della punibilità

341 bis comma 2 c.p.

Ai sensi del secondo comma dell’articolo 341 bis c.p., “se la verità del fatto è provata o se per esso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile”.

Ciò significa che se viene dimostrata giudizialmente la verità del fatto attribuito, la macchia all’onore alla Pubblica Amministrazione viene rivalutata e qualificata alla stregua di una fondata “denuncia” dello scorretto andamento della stessa, a tutela di un interesse comune dei consociati. Ciò basta per ritenere non punibile il relativo fautore.

 

393 bis c.p.

Anche se applichiamo l’articolo 393 bis c.p. la punibilità ai sensi dell’articolo 341 bis può venir meno.

L’articolo 393 bis c.p. dispone che “non si applicano le disposizioni degli articoli 336, 337, 338, 339, 339-bis, 341-bis, 342 e 343 quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni”.

La natura giuridica dell’istituto è per alcuni da intendere come giustificazione, per altri come scusante, per altri ancora come esclusione di punibilità in senso stretto[4]. La maggioranza parla di scusante per inesigibilità di comportamento diverso, sulla falsariga dell’ipotesi della provocazione.

La norma si riferisce ad atti che eccedono i limiti dell’attribuzione del Pubblico Ufficiale, fuori dai suoi poteri e doveri[5]. L’eccesso può riguardare sia la fase deliberativa sia la fase esecutiva. Può essere anche di tipo modale: le modalità di condotta possono esorbitare i suddetti limiti, ledendo la dignità del pubblico cittadino, anche se la sostanza dell’azione è da considerare in sé e per sé corretta (e ciò spiega perché la reazione non sia sempre configurabile come esercizio di un diritto da parte del cittadino).

Per arbitrarietà s’intende qualsiasi comportamento posto in essere in esecuzione di pubbliche funzioni, di per sé legittime, ma connotato da incongruenza tra le modalità impiegate e le finalità per le quali è attribuita la funzione stessa, a causa di una violazione dei doveri di correttezza e civiltà. In queste ipotesi viene meno il buon operare della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 97 Cost. L’arbitrarietà, però, risulta essere un po’ un duplicato degli “atti che eccedono”: ecco perchè la Cassazione chiede che si individui in concreto l’intento vessatorio da parte del Pubblico Ufficiale, che va soddisfacendo propriamente il requisito della condotta arbitraria.

La reazione, per essere scriminata, può presentarsi sia di tipo verbale sia di tipo materiale. Può avere carattere difensivo come reattivo – ragione per la quale non si parla di legittima difesa – ma è necessario il nesso causale (anche psicologico, soprattutto se leggiamo l’istituto come scusante) tra l’azione “in eccesso” del Pubblico Ufficiale e la reazione del cittadino, ed anche una certa immediatezza cronologica tra le due.

Requisito implicito richiesto dalla giurisprudenza è quello della proporzione: la reazione deve essere proporzionata all’agire illegittimo del Pubblico Ufficiale.

Si pensi all’agente di polizia che voglia condurre un uomo in carcere senza i presupposti di legge. Al contrario, se il Pubblico Ufficiale ha solamente commesso una irregolarità, non riconducibile ad una lesione rilevante dei diritti della persona, il reagente risponde comunque del reato: ad esempio, il vigile è particolarmente severo e multa il conducente anche per mezza ruota dell’auto parcheggiata fuori dalle strisce, e quest’ultimo reagisce in malo modo, aggredendolo.

 

Causa di estinzione del reato

Ai sensi del terzo comma dell’articolo 341 bis c.p., “ove l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto”. 

Il fatto è come se non fosse stato mai posto in essere se, in un secondo momento, l’agente ripara il danno non patrimoniale che abbia cagionato al Pubblico Ufficiale e, conseguentemente, all’ente di appartenenza di quest’ultimo nell’ambito generale della Pubblica Amministrazione.

Si richiede che la situazione preesistente all’offesa sia ripristinata, non in senso materiale, data la natura della condotta oggettiva tipica della fattispecie delittuosa, ma in senso morale e simbolico.

 

Esempi pratici di oltraggio a Pubblico Ufficiale

  • Tizio, imputato in un processo penale, in sede d’udienza pubblica, grida al giudice, che sta leggendo il dispositivo della sentenza, che è un corrotto
  • Caio, insegnante delle scuole medie, insulta il Preside che l’ha appena convocato per un provvedimento disciplinare, nel centro dell’atrio principale dell’Istituto
  • Sempronio, segnalato dall’addetto di sicurezza di “H&M” perchè sospettato di furto, insulta il carabiniere che gli domanda un documento identificativo.

Informazioni

[1] https://www.gazzettaufficiale.it/atto/corte_costituzionale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1994-08-03&atto.codiceRedazionale=094C0893

[2] È possibile, invece, si configuri la ingiuria, la quale però è illecito civile che si consuma tra due privati

[3] A questo proposito, si ritiene essenziale porre l’attenzione sul fatto che il Legislatore non abbia posto la lesione all’onore ed al prestigio come alternative bensì cumulative; ne consegue che non sono punibili le mere lesioni “in sé dell’onore e della reputazione del pubblico ufficiale ma soltanto la conoscenza di tale violazione da parte di un contesto soggettivo allargato a più persone presenti al momento dell’azione, da compiersi in un ambito spaziale specificato come luogo pubblico o aperto al pubblico e in contestualità con il compimento dell’atto dell’ufficio ed a causa o nell’esercizio della funzione pubblica” (Cass. n. 15367/2014; Cass. n. 30136/2021).

[4] https://deiurecriminalibus.altervista.org/cause-esclusione-della-pena/

[5] http://www.dirittoconsenso.it/2020/12/14/abuso-ufficio-alla-luce-del-decreto-semplificazioni/