Tratti generali della prova testimoniale e varie tipologie di testimonianza, con particolare riferimento alla testimonianza dei coimputati

 

Premessa

La prova testimoniale rientra tra i principali mezzi di prova attivabili nel procedimento penale e trova disciplina nel codice di procedura penale agli artt. 194 ss.

La testimonianza viene definita come prova costituenda trovando la stessa, quale sede naturale di formazione, proprio l’udienza dibattimentale.

A livello definitorio la testimonianza si configura quale dichiarazione di un terzo, estraneo alla vicenda giudiziaria, relativa a fatti rilevanti per la stessa. Proprio la circostanza per cui, solitamente, il teste è estraneo alla vicenda penale in cui interviene rileva ai fini dell’importanza di tale fonte di prova. L’estraneità del teste, tuttavia, non deve portare ad un’apodittica affermazione di credibilità da parte del giudice. Quest’ultimo infatti deve sempre effettuare un preciso e puntuale accertamento circa la sussistenza della credibilità in capo al dichiarante così come impone la regola generale dell’art 192 c.p.p. in punto di valutazione delle prove.

 

Caratteristiche della prova testimoniale e obblighi del teste

Per quanto attiene all’oggetto della testimonianza, il legislatore si premura di precisare come la stessa debba riguardare esclusivamente fatti determinati e specifici e non pure giudizi sulla moralità dell’imputato, apprezzamenti personali o voci correnti.

In termini generali il legislatore ricollega la capacità processuale di testimoniare ad ogni persona indipendentemente, dunque, dal raggiungimento o meno della maggiore età. Tale nozione deve esser tenuta distinta dalla capacità fisica e mentale di testimoniare che vale ad attribuire credibilità ed attendibilità al teste. Tale capacità può esser oggetto di accertamenti i quali, di solito, si possono rendere necessari soprattutto nel caso di teste minorenne o se sussistono dubbi circa la capacità di discernimento. In tal caso, infatti è necessario un puntuale accertamento circa la sussistenza di tale capacità ad opera del giudice, anche mediante il ricorso a perizia.

Nel caso in cui il testimone sia legato all’imputato da un rapporto di parentela, poi, il legislatore si premura di prevedere, in capo a questi, la facoltà di astenersi dal testimoniare. Facoltà di cui deve esser edotto dal giudice prima di recepire le sue dichiarazioni con la precisazione, però, che, nel caso in cui il soggetto rinuncia a tale facoltà, grava in capo allo stesso l’obbligo di rispondere e di rispondere secondo verità.

Tra i principali obblighi che gravano infatti sul teste vi è obbligo, una volta citato nel processo, di presentarsi all’udienza prestabilita per l’audizione, di rispondere alle domande fattegli dalle parti e di rispondere secondo verità. Il testimone, generalmente inteso e salvo casi particolari, infatti ha un onere di riferire all’autorità giudiziaria quanto in sua conoscenza, in maniera puntuale e precisa, ed ha l’obbligo di riferire il vero, pena, altrimenti, il rischio di incorrere in fattispecie delittuose, in primis quella della falsa testimonianza.

Il testimone, tuttavia, gode del privilegio contro l’autoincriminazione e, stante il suo ruolo terzo rispetto alla vicenda giudiziaria, per l’audizione dello stesso non è richiesta la necessaria presenza del difensore.

I doveri del testimone emergono anche dalla formula sacramentale di giuramento che questi, prima di rendere la propria testimonianza, deve recitare in aula.

 

Tipologie di prova testimoniale

A fianco all’ipotesi di testimonianza genericamente intesa, vale a dire quella di cui agli artt. 194 e seguenti c.p.p, il legislatore si premura di dettare una puntuale disciplina di altre forme di testimonianza che, rispetto allo schema generale, presentano alcuni elementi di differenziazione.

 

La testimonianza indiretta o de relato

Tra le varie ipotesi analiticamente disciplinate nel codice di rito l’art. 195 si occupa della testimonianza indiretta o de relato.

L’elemento caratterizzante tale forma di prova testimoniale è da ravvisarsi nel fatto che il testimone si trova a dover riferire in merito a fatti dei quali non ha avuto diretta conoscenza o percezione ma che ha appreso da terzi. Da qui, la previsione di alcune cautele normative.

L’art 195 c.p.p. prevede infatti la necessità, ai fini dell’utilizzabilità a fini probatori delle risultanze dichiarative del teste, che venga sentito anche colui che ha fornito le informazioni, ossia il c.d. testimone di riferimento.

A tale previsione fa da corredo il comma 7 che ribadisce l’impossibilità di utilizzare la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame. Tale regola generale incontra, tuttavia, tre eccezioni tassativamente previste al comma 3 vale a dire il caso di morte, irreperibilità o infermità del teste di riferimento.

La giurisprudenza[1], tuttavia, ha precisato che la sanzione dell’inutilizzabilità della deposizione opera solo se vi è stata richiesta di parte di escussione del teste di riferimento ed il giudice non ha ammesso la prova. Se, invece, le parti non avanzano tale richiesta, la dichiarazione de relato è pienamente utilizzabile. Del pari, la dichiarazione è utilizzabile se le parti rinunciano espressamente all’assunzione del teste di riferimento.

I commi 4 e 6 introducono, invece, delle limitazioni circa i soggetti che possono rendere testimonianza de relato. In particolare, si prevede il divieto di testimonianza indiretta da parte degli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria in relazione al contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli articoli 351 e 357, comma 2, lettere a) e b), ben potendo invece testimoniare in tutti gli altri casi.

Ancora, non è possibile testimoniare su fatti comunque appresi dalle persone indicate negli articoli 200 e 201 c.p.p.[2] in relazione alle circostanze previste nei medesimi articoli, salvo che le predette persone abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati.

 

Il testimone assistito

Altra peculiare figura di prova testimoniale è il teste assistito di cui all’art 197 bis c.p.p.

In tal caso, l’elemento caratterizzante è da ravvisarsi nel fatto che colui che riveste il ruolo di testimone non è terzo e imparziale rispetto alle vicende oggetto di accertamento giudiziale ma è imputato in un processo collegato o connesso a quello in cui viene chiamato come teste.

Proprio la peculiare posizione del testimone ha posto la necessità, riconosciuta anche dal legislatore, di prevedere alcune accortezze per quanto attiene alle modalità di acquisizione della prova testimoniale.

In primo luogo preme sottolineare come il ruolo di testimone assistito non può esser rivestito da qualsivoglia coimputato. Il legislatore, infatti, si premura di precisare, ai commi 1 e 2 che la veste di teste assistito può esser assunta:

  • dall’imputato in un procedimento connesso ai sensi dell’articolo 12 c.p.p. o di un reato collegato a norma dell’articolo 371, comma 2, lettera b) c.p.p. quando nei suoi confronti è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena;
  • dall’imputato in un procedimento connesso ai sensi dell’articolo 12, comma 1, lettera c) c.p.p., o di un reato collegato a norma dell’articolo 371, comma 2, lettera b) c.p.p., può essere sentito come testimone, inoltre, nel caso previsto dall’articolo 64, comma 3, lettera c) c.p.p.

 

In quest’ultimo caso, pertanto, affinché le dichiarazioni siano utilizzabili a fini probatori è necessario che l’imputato sia stato ritualmente informato che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà l’ufficio di testimone, relativamente a tali fatti.

Il teste ex art 197 bis c.p.p, deve, in ogni caso, necessariamente essere assistito da un avvocato di fiducia ovvero d’ufficio a pena di nullità della dichiarazione.

Se poi sul testimone ex art 194 ss c.p.p. grava un generale obbligo di rispondere e di rispondere secondo verità, la testimonianza assistita si caratterizza per una peculiare modulazione del diritto al silenzio in rapporto all’obbligo di dire la verità, infatti, come prevede il comma 4, nel caso di connessione ex art 12 o di un reato collegato ex art 371/ 2, lettera b) il testimone non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione.

Mente, nel caso di procedimento connesso ai sensi dell’articolo 12 lettera c), o di un reato collegato a norma dell’articolo 371/2, lettera b) se è intervenuto l’avviso di cui all’art 64/3 lett. c) il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti.

Al fine di evitare ripercussioni a carico dello stesso testimone il comma 5 prevede che in nessun caso le dichiarazioni rese dai soggetti di cui al presente articolo possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel procedimento a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di condanna ed in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto dei procedimenti e delle sentenze suddette.

 

(segue) sulla differenza tra art 197 bis c.p.p. e esame delle parti ex 210 c.p.p. nel caso di testimonianza dei coimputati

Nei casi in cui l’imputato in processo connesso o collegato non possa rivestire il ruolo di testimone perché non rientra tra i soggetti indicati dall’art 197 bis c.p.p., lo stesso può egualmente rilasciare dichiarazioni che vanno ad integrale il materiale processuale. Lo strumento mediante il quale può rilasciare tali dichiarazioni è l’istituto dell’esame delle parti di cui all’art 210 c.p.p.

Tale previsione normativa, infatti, trova applicazione nei casi cui non opera la testimonianza assistita e dunque nei confronti:

  • di imputati in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12/1, lettera a) c.p.p. nei casi in cui non sia ancora intervenuta la sentenza che definisce il giudizio.
  • di imputati in un procedimento connesso ai sensi dell’articolo 12/1 lettera c) c.p.p., o di un reato collegato a norma dell’articolo 371/2, lettera b) c.p.p., che non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell’imputato.

 

Nei casi di dichiarazioni ex art 210 c.p.p il legislatore prevede, in capo ai dichiaranti:

  1. un obbligo di presentarsi a cui si correda tuttavia la facoltà di non rispondere,
  2. l’obbligatorietà della presenta del difensore ai fini della validità delle dichiarazioni e
  3. il diritto al mendacio tranne che sulla propria identità.

 

Per quanto attiene, infine, la valutazione a fini probatori delle risultanze delle dichiarazioni da parte del giudice, sia nel caso di cui all’art 197 bis che 210 c.p.p., il legislatore prevede che le stesse debbano esser valutate ai sensi dell’’articolo 192/3, al pari quindi, delle dichiarazioni del correo[3].

Informazioni

C. ALESSANDRA, La testimonianza nell’ordinamento penale, giugno 2021 consultabile al link: https://www.diritto.it/la-testimonianza-nellordinamento-penale/

F. IZZO, Compendio di diritto processuale penale, ed. Simone, 2020

F. SERVADEI, La testimonianza assistita,  maggio 2017 consultabile al link: La testimonianza assistita https://www.studiocataldi.it/articoli/26229-la-testimonianza-assistita.asp#ixzz7CYpxSRe8
V. CITRARO, L’esame delle persone imputate in un procedimento connesso (art. 210 c.p.p.), giugno 2016 consultabile al link: https://deiurecriminalibus.altervista.org/esame-delle-persone-imputate-un-procedimento-connesso-art-210-c-p-p/

[1] Cass. pen. sez. VI n. 10937/1993 e Cass. pen. sez. III n. 2001/2008

[2] In particolare, l’art 200 c.p.p fa riferimento ai soggetti in relazione ai quali opera il segreto professionale, ovverosia:  a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano; b) gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai; c) i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria; d) gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale. L’articolo 201 c.p.p fa riferimento, invece, ai soggetti in relazione ai quali opera il segreto d’ufficio, vale a dire i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio relativamente ai fatti conosciuti per ragioni del loro ufficio che devono rimanere segreti.

[3] Su tale tematica si veda l’articolo “La chiamata in correità: limiti e rilevanza in sede processuale” consultabile al link: http://www.dirittoconsenso.it/2021/06/15/chiamata-in-correita-limiti-e-rilevanza-in-sede-processuale/