Cos’è l’abuso del processo e quando viene riscontrato a livello nazionale e sovranazionale
Dall’abuso del diritto all’abuso del processo
L’abuso del processo ha le sue origini nell’abuso del diritto. In quanto soggetti dell’ordinamento giuridico, siamo tutti titolari di diritti soggettivi. Perciò sia le persone fisiche che quelle giuridiche non possono, per la natura stessa dei loro diritti, di qualsiasi fonte essi siano, abusare degli stessi. Per questa ragione è nata la nozione abuso del processo che costituisce una forma del abuso del diritto e si configura quando un soggetto, parte di un processo, pone in essere un atto processuale previsto dalla legge come un diritto, abusandone. Ciò avviene per perseguire però uno scopo diverso da quello per cui l’atto o il diritto è stato posto in capo al suo titolare.
Questo atteggiamento dà luogo ad un comportamento che viola il principio di buona fede, strettamente legato al principio costituzionale del giusto processo previsto dall’art. 111 della Costituzione[1].
L’autorevole Dottrina ha più volte sottolineato che ogni ordinamento che aspiri ad un minimo di ordine e completezza tende a darsi misure di autotutela al fine di evitare che i diritti da esso garantiti siano esercitati o realizzati, pure a mezzo di un intervento giurisdizionale, in maniera abusiva e distorta. Questo ha portato all’esigenza di individuare limiti agli abusi e la loro estensione anche ai mezzi processuali.
L’uso distorto del diritto, infatti, è ormai univocamente risolto, sia a livello degli ordinamenti interni sia sovranazionali, attraverso il divieto di tutela verso coloro che ne fanno un uso collidente rispetto all’interesse in funzione del quale il diritto stesso è stato riconosciuto.
Abuso del processo nelle pronunce della Cassazione civile
Sulla nozione dell’abuso del processo è importante richiamare soprattutto Cassazione Sezioni Unite civili n. 23726 del 15/11/2007, Rv. 599316. Questa ha stabilito che non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale.
Un altro esempio di abuso del processo è raffigurato dalla condotta di quei danneggiati che propongono separate domande giudiziali per ottenere prima il risarcimento del danno patrimoniale e poi il ristoro del danno alla salute. In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione[2], con cui ha confermato la decisione della Corte d’appello che aveva ritenuto illegittima la condotta processuale del danneggiato che, dopo aver introdotto un’azione civile per ottenere il risarcimento del danno materiale, subito alla propria auto in conseguenza di un incidente stradale, aveva successivamente introdotto un nuovo giudizio per ottenere il risarcimento del danno alla salute. Si è così stabilito che il danneggiato aveva abusato dello strumento processuale attribuitogli perché, quando ha proposto l’azione legale per ottenere il ristoro del danno patrimoniale, conosceva già le conseguenze che l’incidente stradale aveva provocato anche nella sua sfera non patrimoniale.
Abuso del processo nelle pronunce della Cassazione penale
L’abuso del processo è stato rilevato anche nelle pronunce della Cassazione penale: “quando viene realizzato uno sviamento o una frode alla funzione, l’imputato che ha abusato dei diritti e delle facoltà che l’ordinamento processuale astrattamente gli riconosce, non ha titolo per invocare la tutela di interessi che non sono stati lesi e che non erano in realtà effettivamente perseguiti”.[3]
In particolare nella sentenza richiamata la Cassazione esamina i diritto di cui all’art. 108 c.p.p.[4] per il particolare caso in cui in pendenza di causa venga nominato un nuovo difensore, quest’ultimo, qualora ne faccia richiesta, ha diritto ad un congruo termine a difesa non inferiore a 7 giorni al fine di poter prendere cognizione degli atti e informarsi sui fatti del procedimento.[5] Questo articolo è espressione del diritto alla difesa[6] dello stesso imputato, che se utilizzato arbitrariamente, si trasforma in una patologia processuale, andando a paralizzare e ritardare la sua attività processuale.
Ciò è in contrasto con l’interesse obiettivo dell’ordinamento e di ciascuna delle parti ad un giudizio equo celebrato in tempi ragionevoli. La Corte ha stabilito che “un reiterato avvicendamento di difensori – posto in essere in chiusura del dibattimento, secondo una strategia non giustificata da alcuna reale esigenza difensiva, ma con la sola funzione di ottenere una dilatazione dei tempi processuali con il conseguente effetto della declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione” ravvisa un abuso delle facoltà processuali, inidoneo a legittimare successivamente la proposizione di eccezioni di nullità.
Un altro esempio di abuso del processo è stato individuato dalla sentenza Corte di Cassazione n. 11414 della sez. VI 05/03/2018 nella condotta dell’imputato che propone reiteratamente dichiarazioni di ricusazione di tutti o alcuni componenti dei collegi giudicanti che di volta in volta sono designati a trattare procedimenti che lo riguardano, quale che sia la composizione della Sezione o del Collegio e sulla base di deduzioni sempre analoghe, al solo scopo di paralizzare la funzione processuale in contrasto con il principio costituzionale di indefettibilità della giurisdizione[7].
Abuso del processo in ambito sovranazionale
Anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo[8] prevede l’abuso del processo quando la condotta ovvero l’obiettivo del ricorrente sono manifestamente contrari alla finalità per la quale il diritto di ricorrere è riconosciuto.
Ciò sulla base di quanto previsto dall’articolo 35 p.3 (a) che recita:
“La Corte dichiara irricevibile ogni ricorso individuale presentato ai sensi dell’articolo 34 se ritiene che: (a) il ricorso è incompatibile con le disposizioni della Convenzione o dei suoi Protocolli, manifestamente infondato o abusivo; “.
Anche l’interpretazione consolidata della Giurisprudenza della Corte di Strasburgo[9] e la Guida Pratica sulla ricevibilità esplica in tal senso:
“La nozione di abuso ai sensi dell’art. 35 p. 3 (a) deve essere compresa nel suo senso comune contemplato dalla teoria generale del diritto – ossia il fatto, da parte del titolare di un diritto, di attuarlo al di fuori della sua finalità in modo pregiudizievole.”[10].
Sul tema si è pronunciata anche la Corte di Lussemburgo al fine di confermare la regola interpretativa secondo la quale: colui che si appelli al tenore letterale di disposizioni dell’ordinamento comunitario per far valere avanti alla Corte un diritto che confligge con gli scopi di questo non merita che gli si riconosca quel diritto[11].
Informazioni
Cassazione penale sez. un. 29/09/2011 n. 155
Cassazione penale sez. VI 05/03/2018 n. 11414
Cassazione civile sez. un. 15/11/2007 n. 23726
Cassazione civile sez. III, 28/06/2018 n.17019
Corte Costituzionale 23/01/1997 n. 10
https://www.echr.coe.int/Documents/COURtalks_Inad_Talk_ITA.PDF
[1] La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo. Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore. La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita. Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra. Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione [360 c.p.c.; 606 c.p.p.].
[2] Cassazione civile sez. III, 28/06/2018, n.17019 e tante altre, hanno sancito “l’improponibilità delle domande successive alla prima in ragione del difetto di una situazione giuridica sostanziale tutelabile, per contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che non consente di accordare protezione ad una pretesa caratterizzata dall’uso strumentale del diritto di azione.”
[3] Cassazione penale sezioni unite, 29/09/2011 (ud. 29/09/2011, dep. 10/01/2012) n. 155
[4] Art. 108 c.p.p.: “1. Nei casi di rinuncia, di revoca, di incompatibilità, e nel caso di abbandono, il nuovo difensore dell’imputato o quello designato d’ufficio che ne fa richiesta ha diritto a un termine congruo, non inferiore a sette giorni, per prendere cognizione degli atti e per informarsi sui fatti oggetto del procedimento. 2. Il termine di cui al comma 1 può essere inferiore se vi è consenso dell’imputato o del difensore o se vi sono specifiche esigenze processuali che possono determinare la scarcerazione dell’imputato o la prescrizione del reato. In tale caso il termine non può comunque essere inferiore a ventiquattro ore. Il giudice provvede con ordinanza.”
[5] Specifica la Corte in più pronunce che il mancato conferimento del termine a difesa, o la concessione di un termine inferiore rispetto a quello previsto dal comma 1 art. 108 c.p.p., non costituisce una causa di nullità, quando nessuna lesione o menomazione ne derivi, in assoluto, all’esercizio effettivo del diritto alla difesa tecnica.
[6] Per approfondire il tema consiglio la lettura del’articolo Il diritto di difesa dell’indagato di Alice Strada al link: http://www.dirittoconsenso.it/2021/05/15/diritto-di-difesa-indagato/
[7] Vi è stata la pronuncia della Corte Costituzionale n. 10 del 1997 che aveva stabilito che: “é costituzionalmente illegittimo l’art. 37 comma 2 c.p.p., nella parte in cui, qualora sia riproposta la dichiarazione di ricusazione, fondata sui medesimi motivi, fa divieto al giudice di pronunciare o concorrere a pronunciare la sentenza fino a che non sia intervenuta l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione (richiamando quanto già rilevato nella sentenza n. 353 del 1996, la Corte ha osservato che la reiterazione della dichiarazione di ricusazione fondata sui medesimi motivi è idonea a determinare la paralisi della funzione processuale, con conseguente compromissione del bene costituzionale dell’efficienza del processo).”
[8] La Convenzione è consultabile al link https://www.echr.coe.int/documents/convention_ita.pdf
[9] Molubovs e altri c. Lettonia p.p. 62 e 65; Petrovic c. Serbia ric. N. 56551/11.
[10] La guida pratica sulla ricevibilità del ricorso è consultabile al seguente link https://www.echr.coe.int/Documents/COURtalks_Inad_Talk_ITA.PDF
[11] Sentenza Corte Edu 20/09/2007 causa C-16/05 Tum e Dari punto 64; Sentenza 21/02/2006 causa C-255/02 Halifaz e a. punto 68.

Valeriya Topolska
Ciao sono Valeriya. Sono nata in Ucraina nel 1992. Ho conseguito una laurea magistrale a ciclo unico in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Parma. Nutro da sempre una grande passione per il diritto penale, ma di recente mi sono appassionata anche al diritto alimentare, materia in cui ho scelto di scrivere la tesi (Novel Food, tra diritto ed innovazione: una prospettiva comparata). Nell'ultimo anno ho iniziato la mia esperienza come praticante forense presso uno studio legale associato, dove ho la possibilità di esplorare sia il mondo civilistico che quello penalistico.