La confisca come misura di sicurezza patrimoniale: tra la disciplina codicistica e l’intervento della giurisprudenza di legittimità
La confisca di beni: l’art. 240 c.p.
La confisca di beni è disciplinata dall’art. 240 c.p. La norma, però, non fornisce alcuna definizione del presente istituto giuridico. È doveroso, quindi, dire che la confisca consiste «nell’espropriazione ad opera dello Stato di cose a vario titolo ricollegabili all’attività criminosa»[1].
Tradizionalmente, la confisca viene inclusa tra le misure di sicurezza «patrimoniali», ovvero quelle misure sanzionatorie alternative alle pene che colpiscono il complesso dei beni del reo per neutralizzare la sua pericolosità sociale. Invero, si sostiene che la «cosa, qualora sia lasciata nella disponibilità del reo, venga a costituire per lui un incentivo per commettere ulteriori illeciti, una volta che egli sia certo che il prodotto del reato non gli verrà confiscato»[2].
Tuttavia, tale inquadramento giuridico non viene condiviso. Una parte della dottrina[3] preferisce classificare la confisca come sanzione a sé stante, come se appartenesse a una terza e diversa categoria di misure punitive. Altra dottrina[4], invece, evidenziando come la pericolosità sia da attribuire alla cosa e non al colpevole del fatto-reato, qualifica la confisca come pena accessoria, cioè come quelle pene che sono comminate congiuntamente ad altre sanzioni penali e sono ad esse complementari.
La giurisprudenza di legittimità ha, nel tempo, valorizzato e dato credito al primo filone dottrinale, ritenendo la confisca una misura di sicurezza patrimoniale a carattere non punitivo, ma cautelare[5].
Come accennato, la norma cardine è l’art. 240 c.p., la quale è stata modificata dalla legge 15 febbraio 2012, n. 12, recante norme in materia di misure per il contrasto ai fenomeni di criminalità informatica e, successivamente, dal D. Lgs. 29 ottobre 2016, n. 202. Tale disposizione prevede due ipotesi di confisca di beni, la prima facoltativa e la seconda obbligatoria, di seguito approfondite.
La confisca facoltativa
Il primo comma dell’art. 240 c.p. sancisce che, nel caso di condanna, il giudice, nel pieno esercizio della sua discrezionalità, può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato nonché delle cose che ne sono il prodotto o il profitto.
Si evince subito che il primo presupposto è la pronuncia di una sentenza di condanna, la quale accerti oltre ogni ragionevole dubbio la pericolosità della cosa ove questa sia lasciata nella libera disponibilità del reo. Ad essa viene pacificamente parificata la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p.[6].
A tal proposito, ci si è chiesti cosa succede alla confisca facoltativa, disposta con sentenza di condanna di primo grado, qualora il giudizio di secondo grado si concluda con la pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato. La Suprema Corte ha così risposto:
«intervenuta una sentenza di condanna in primo grado, il giudice di appello pronunci nei confronti dell’imputato sentenza di proscioglimento per estinzione del reato per decorso del termine prescrizionale, la confisca facoltativa diretta del profitto del reato – inizialmente disposta – non può più essere mantenuta in vita»[7].
La seconda condizione per l’applicazione della misura è, invece, ricavabile dal terzo comma della disposizione secondo cui non è possibile confiscare le cose che appartengono a persona estranea al reato ovvero se il bene è di proprietà un terzo diverso dall’autore o dal concorrente nel reato.
Pertanto, la confisca facoltativa colpisce solo quei beni che furono effettivamente impiegati per porre in essere il fatto-reato nonché quelli che – diversamente – furono predisposti dal reo per commettere il delitto, ma in concreto non utilizzati e, ancora, quei beni che costituiscono il prodotto o il profitto del reato.
Si dica che con prodotto del reato si suole intendere il complesso delle «cose materiali create attraverso le attività penalmente rilevanti»[8] e, d’altra parte, che il profitto del reato coincide con l’insieme delle «cose che rappresentano l’utilità economica direttamente o indirettamente conseguita con la commissione del reato»[9] ovvero il guadagno derivante dall’illecito penale. Un esempio di prodotto del reato potrebbe essere la moneta falsa ottenuta a seguito del procedimento di contraffazione[10]. Invero, nell’ipotesi del delitto di tratta di esseri umani, il profitto del reato può essere individuato nel denaro ottenuto dallo sfruttamento sessuale o lavorativo della persona offesa.
Da tali premesse è possibile trarre una conclusione: tra il bene da sottoporre a confisca e il reato deve sussistere un rapporto diretto ovvero di asservimento tra cosa e delitto, così come specificato dalla Corte di Cassazione nella sentenza 52856 del 2018[11].
La confisca obbligatoria
L’art. 240 c.p. prevede, al secondo comma, la c.d. confisca obbligatoria.
Tale misura è sempre ordinata nel caso di:
- cose che costituiscono il prezzo del reato, il quale corrisponde alle «cose che sono state date per istigare o determinare il soggetto a commettere il reato»[12];
- beni e strumenti informatici o telematici che risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati per la commissione di reati informatici tassativamente elencati[13] nonché beni che ne costituiscono il profitto o il prodotto ovvero somme di denaro, beni o altre utilità di cui il colpevole ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto, se non è possibile eseguire la confisca del profitto o del prodotto diretti;
- cose, la cui fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione e l’alienazione costituiscono reato, anche se non è stata pronunciata condanna.
Nella prima e nella seconda ipotesi, la confisca obbligatoria viene impartita anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p. così come disciplinato dal terzo comma dell’art. 240 c.p.
In merito al terzo gruppo di beni confiscabili, si precisi che consuetamente si parla di cose intrinsecamente criminose. In proposito, si distingue tra cose il cui possesso costituisce un illecito penale, ove sussista un c.d. divieto assoluto, e tra cose che, per essere detenute legalmente, necessitano di un’autorizzazione amministrativa (pertanto, si verserà in casi di c.d. divieto relativo). In entrambe le ipotesi, la confisca dovrà essere disposta anche in assenza di una pronuncia di condanna e, solo nel secondo caso, «dovrà essere disposta se in concreto mancava l’autorizzazione a cui era stata subordinata»[14].
A norma del quarto comma della disposizione oggetto di interesse, la terza previsione di confisca sopra riportata non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa. I giudici di legittimità affermano che «per terzo estraneo al reato» si debba intendere il «soggetto che non partecipi in alcun modo alla commissione del reato o all’utilizzazione dei profitti derivati»[15] e riprendono la nozione civilistica di «appartenenza» alla quale vengono ricondotte «tutte quelle situazioni nelle quali i beni stessi ricadano nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite terzi»[16].
Controverso in giurisprudenza è se, ai fini dell’applicazione della misura di sicurezza della confisca obbligatoria, sia necessaria una pronuncia di condanna o se sia sufficiente una sentenza che dichiari l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Dopo accesi contrasti e l’intervento della Corte Europea dei Diritto dell’Uomo[17], sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza Lucci[18] statuendo che, ove il processo si concluda con una pronuncia dichiarativa di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, la confisca opererà solo qualora vi sia stata una previa sentenza di condanna.
Il rapporto tra la confisca semplice e le altre ipotesi previste dall’ordinamento giuridico
La confisca semplice di beni si differenzia dalla c.d. confisca per equivalente[19]. A tal proposito, si voglia qui evidenziare la diversa natura giuridica delle due misure:
«la giurisprudenza assegna alla confisca funzioni diverse, “preventiva” nel caso della misura diretta, “afflittiva” nel caso della confisca per equivalente; e da queste funzioni ritiene di poter desumere la natura dell’istituto: misura di sicurezza nel primo caso, sanzione punitiva nel secondo. Al contempo, però, si riconosce come la confisca del profitto abbia un carattere ripristinatorio, dalla giurisprudenza di legittimità assegnato espressamente alla confisca per equivalente e da quella costituzionale anche alla confisca diretta»[20].
Non solo. La confisca, così come disciplinata dall’art. 240 c.p., si distingue dalla c.d. confisca allargata[21], prevista dal successivo art. 240-bis c.p. introdotto dall’art. 6, comma 1 del D. Lgs. 1° marzo 2018, n. 21, poiché quest’ultima ha una «natura ambigua sospesa tra funzione specialpreventiva e vero e proprio intento punitivo»[22].
Vi sono, inoltre, alcune ipotesi speciali di confisca sparse nel Codice penale. Tra le prime troviamo la confisca, ex art. 270-septies c.p., delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto dei delitti commessi con finalità di terrorismo. Del pari, l’art. 322-ter, comma 1[23] c.p. prevede la confisca obbligatoria per uno dei delitti previsti dagli artt. da 314 a 320 c.p. (reati contro la Pubblica amministrazione), anche se commessi dai soggetti indicati nell’art. 322-bis c.p. e nell’art. 466-bis c.p.
La confisca è altresì disposta a seguito di condanna per i delitti cui agli artt. 348 c.p. (abusivo esercizio di una professione) e 416-bis c.p. (associazione di tipo mafioso). Altri casi sono invece previsti dagli artt. 600-septies c.p. (il quale rimanda ai reati elencati nella sezione I, capo III, libro II del Codice penale), 603-bis.2 c.p. (facente riferimento al precedente reato ex art. 603-bis c.p.) e 640-quater c.p. (che si riferisce al delitto di truffa aggravata).
Da ultimo, si rileva come tale misura patrimoniale sia prevista dalla legislazione complementare. In merito, si ricordi l’art. 24 del Codice Antimafia – D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 – e l’art. 73, comma 7-bis T.U. Stupefacenti – D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
La prima norma disciplina un’ipotesi di confisca, detta di «prevenzione», che viene disposta in tutti i casi in cui la persona, nei cui confronti è instaurato il procedimento, non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego; la seconda, invece, prevede la confisca delle cose che sono il profitto o il prodotto dell’attività illecita di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, salvo che appartengano a persona estranea al reato.
Informazioni
Fiandaca G. – Musco E., Diritto penale. Parte generale. Ottava edizione, Zanichelli, Bologna, 2019.
Finocchiaro S., Riflessioni sulla quantificazione del profitto illecito e sulla natura giuridica della confisca diretta e per equivalente, in Diritto Penale Contemporaneo, 2020, p. 322.
Marinucci G. – Dolcini E., Manuale di Diritto Penale. Parte generale. Quinta edizione, Giuffrè, Milano, 2015.
Rapella G., Confisca del profitto in assenza di una sentenza definitiva di condanna: la cassazione nega l’applicazione della confisca facoltativa ex art. 240 co. 1 c.p. nei casi di proscioglimento per intervenuta prescrizione, in Sistema penale, 2021.
[1] Così Fiandaca – Musco, Diritto penale. Parte generale. Ottava edizione, Zanichelli, Bologna, 2019, p. 898.
[2] Massa, Confisca (dir. e proc. pen.), in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, p. 980, citato da Fiandaca – Musco, op. cit., p. 899.
[3] Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Volume III, UTET, Bologna, 1986, p. 383, citato da Fiandaca – Musco, op. cit., p. 898.
[4] Iaccarino, La confisca, Bari, 1935, citato da Fiandaca – Musco, op. cit., p. 898.
[5] Vedi Cass., pen., Sezioni Unite, sent. 22 gennaio 1983 e Cass., pen., sez. I, sent. 29 marzo 1995.
[6] Per un approfondimento si legga l’articolo pubblicato il 1° giugno 2021, reperibile al link di seguito riportato http://www.dirittoconsenso.it/2021/06/01/patteggiamento-procedimento-penale-speciale/.
[7] Cass., pen., sez. V, sent. 15 ottobre 2020, n. 52, in Rapella, Confisca del profitto in assenza di una sentenza definitiva di condanna: la cassazione nega l’applicazione della confisca facoltativa ex art. 240 co. 1 c.p. nei casi di proscioglimento per intervenuta prescrizione, in Sistema penale, 2021.
[8] Marinucci – Dolcini, Manuale di Diritto Penale. Parte generale. Quinta edizione, Giuffrè, Milano, 2015, p. 746.
[9] Marinucci – Dolcini, ibidem.
[10] Marinucci – Dolcini, ibidem.
[11] Vedasi Cass., pen., sez. III, sent. 13 settembre 2018, n. 52856 e le pronunce ad essa conformi Cass., pen., sez. VI, sent. 5 novembre 2014, n. 6062 e Cass., pen., sez. III, sent. 21 gennaio 2014, n. 7537. Contra si citi la Cass., pen., sez. V, sent. 4 agosto 1993.
[12] Marinucci – Dolcini, op. cit., p. 745.
[13] Ovvero dei reati previsti e puniti dagli art. 615-ter, 615-quater, 615-quinquies, 617-bis, 617-ter, 617-quater, 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 635-quinquies, 640-ter e 640-quinquies c.p.
[14] Marinucci – Dolcini, op. cit., p. 748.
[15] Vedasi Cass., pen., sez. V, sent. 15 marzo 2005.
[16] Si fa riferimento alla Cass., pen., sez. II, sent. 28 maggio 2019, n. 29692 e Cass., pen., sez. III, 8 marzo 2012, n. 15210.
[17] Si ricordi la sentenza Varvara c. Italia pronunciata il 29 ottobre 2013 secondo la quale la confisca presuppone necessariamente una sentenza di condanna che accerti la responsabilità penale del soggetto.
[18] Vedasi Cass., pen., Sez. un., 26 giugno 2015, n. 31617 in Marinucci – Dolcini, op. cit., p. 748.
[19] Ovvero quella confisca che aggredisce le somme di denaro o altre utilità per un valore corrispondente al prezzo, al prodotto o al profitto del reato.
[20] Finocchiaro, Riflessioni sulla quantificazione del profitto illecito e sulla natura giuridica della confisca diretta e per equivalente, in Diritto Penale Contemporaneo, 2020, p. 328-329.
[21] Per approfondire l’istituto giuridico della confisca allargata si legga l’articolo pubblicato in data 24 marzo 2021, reperibile al seguente link http://www.dirittoconsenso.it/2021/03/24/confisca-allargata-riforma-reati-tributari/.
[22] Cass., pen., Sezioni Unite, sent. 02 luglio 2008, n. 26654.
[23] Diversamente, il capoverso della norma stabilisce che «nel caso di condanna, o di applicazione della pena a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per il delitto previsto dall’articolo 321, anche se commesso ai sensi dell’articolo 322-bis, secondo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto salvo che appartengano a persona estranea al reato».

Serena Ramirez
Ciao, sono Serena. Classe 1996, torinese e di origini sudamericane, laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Torino. Dai primi anni di studio sono appassionata al diritto penale e, avendo trascorso sei mesi di mobilità all'estero, anche al diritto internazionale. Mi piace descrivermi come una persona determinata, curiosa, tenace e perseverante.