Breve disamina del danno da perdita del rapporto parentale: definizione, presupposti per la risarcibilità, soggetti legittimati ad agire per il risarcimento del danno, onere della prova e criteri di liquidazione del risarcimento
Introduzione al danno da perdita parentale
La morte di una persona in conseguenza di un fatto illecito (a titolo esemplificativo, a causa di un sinistro stradale, di un incidente sul lavoro o per medical malpractice) determina uno svantaggio giuridicamente rilevante non solo per colui che è direttamente offeso dalla condotta antigiuridica, ma anche per altri soggetti, prossimi al danneggiato, capace di ingenerare profonde sofferenze e alterazioni delle proprie abitudini quotidiane.
Nel corso degli ultimi anni la dottrina e la giurisprudenza, valorizzando il legame esistente tra il defunto e determinati soggetti a lui più o meno “vicini”, hanno elaborato il concetto di danno non patrimoniale cd. da perdita del rapporto parentale, dando la possibilità a queste “vittime secondarie” di agire (anche) per far valere un proprio diritto nei confronti del civilmente responsabile per chiedere il risarcimento del danno.
Il danno da perdita del rapporto parentale, che costituisce senz’altro il prototipo per eccellenza di illecito cd. plurioffensivo, è frutto di una rinnovata visione del danno da morte attraverso una lettura costituzionalmente orientata (con specifico riferimento all’intangibilità della sfera degli affetti e alla stabilità del rapporto familiare ex artt. 2, 29, 30 e 31 Cost.) delle disposizioni generali in tema di danno non patrimoniale, quali gli artt. 1223, 1226 e, in particolare, l’art. 2059 cod. civ..
Presupposti e natura del danno da perdita parentale
Il danno da perdita del rapporto parentale, come chiarito anche dalla Corte di Cassazione, consiste in “quel danno che va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara, tanto più se preceduta da agonia, provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti”[1].
Come anticipato, tale danno comprende la lesione di diritti fondamentali della persona costituzionalmente tutelati, tra i quali “il diritto all’esplicazione della propria personalità mediante lo sviluppo dei propri legami affettivi e familiari, quale bene fondamentale della vita, protetto dal combinato disposto degli artt. 2, 29 e 30 della Costituzione[2].
A prima vista, il danno da perdita parentale contiene in sé sia una componente di danno esistenziale, afferente alla sfera dinamico-relazionale del soggetto interessato e allo sconvolgimento delle abitudini di vita, sia elementi caratterizzanti il danno morale, inteso come sofferenza più propriamente “intima” del prossimo congiunto.
In argomento, un’attenta giurisprudenza, a partire dalle note “sentenze di San Martino”[3], ha cercato di contrastare possibili duplicazioni risarcitorie, consistenti in una molteplicità di voci computate più volte sulla base di diverse (solo formalmente) denominazioni come causalmente conseguenziali al fatto illecito, valorizzando all’opposto l’unitarietà e l’onnicomprensività del risarcimento del danno non patrimoniale.
Sulla scorta di siffatto orientamento, la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che configurerebbe una duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché “la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita dai familiari e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va complessivamente ed unitariamente ristorato”[4].
In egual modo, per i richiamati principi di integralità e di unitarietà del risarcimento del danno, deve escludersi che al prossimo congiunto possano essere liquidati sia il danno da perdita del rapporto parentale sia il danno esistenziale, “poiché il primo già comprende lo sconvolgimento dell’esistenza, che ne costituisce una componente intrinseca”[5].
I soggetti legittimati a chiedere il risarcimento
Secondo le prime elaborazioni giurisprudenziali, il diritto al risarcimento del danno da perdita parentale veniva riconosciuto soltanto agli appartenenti alla famiglia cd. “nucleare”.
Di recente, la giurisprudenza di legittimità e di merito ha ritenuto opportuno estendere il diritto alla riparazione del pregiudizio in questione anche ad altri soggetti (si pensi, ad esempio, al convivente more uxorio, al partner same-sex o, ancora, al legame affettivo tra il nonno e il nipote) purché si dimostri, sul piano più prettamente probatorio, di aver subito uno sconvolgimento affettivo-relazionale causalmente riconducibile all’evento dannoso. Non è da escludere, infatti, che la perdita del prossimo congiunto non cagioni alcun danno reale ai familiari[6].
In un primo momento, inoltre, per il riconoscimento dei pregiudizi subiti da soggetti non appartenenti alla famiglia nucleare del defunto, la giurisprudenza richiedeva come connotato minimo la dimostrazione della convivenza. Una giurisprudenza più recente, invece, ha ritenuto che “ben possono ipotizzarsi convivenze non fondate su vincoli affettivi ma determinati da necessità economiche, egoismi o altro e non convivenze determinate da esigenze di studio o di lavoro o non necessitate da bisogni assistenziali e di cura ma che non implicano, di per sé, carenza di intensi rapporti affettivi o difetto di relazioni di reciproca solidarietà”[7].
Pertanto, il danno da perdita del rapporto parentale non va necessariamente circoscritto a coloro che sono familiari conviventi con il defunto, in quanto il requisito della coabitazione, sebbene “utile”, insieme ad altri elementi, a dimostrare l’ampiezza e la profondità del rapporto affettivo, non costituisce, di per sé, l’elemento caratterizzante dei rapporti costanti di affetto e di solidarietà[8].
Del pari, il legame parentale, se da un lato può giustificare un “meccanismo presuntivo” utilizzabile per apprezzare la gravità o l’entità effettiva del danno attraverso “il dato della maggiore o minore prossimità formale del legame parentale” o del rapporto di convivenza in essere, dall’altro è soggetto alla necessità di dover dimostrare la qualità dei rapporti nella reale e concreta dimensione affettiva e/o esistenziale[9].
A voler cogliere questa impostazione, la giurisprudenza di legittimità ha ammesso per il nipote la refusione del danno da perdita del rapporto parentale per la morte del nonno non convivente[10], del danno da mancata costituzione, per fatto illecito imputabile ad un terzo, di un rapporto affettivo ed educativo in favore del soggetto nato dopo la morte del congiunto (e dunque privato dell’affetto del genitore)[11] e anche al coniuge separato legalmente, in forza della preesistente comunione familiare[12].
Segue: la prova
La prova del danno parentale non può considerarsi sulla base del semplice fatto notorio del rapporto di parentela.
È invece necessario che il prossimo congiunto, per ottenere il risarcimento del danno, dimostri l’effettiva esistenza dell’attualità del legame affettivo con la vittima, la stabilità del rapporto nonché la qualità ed intensità della lesione derivante in occasione del fatto illecito[13]. L’allegazione a tal fine necessaria può essere fornita mediante testimoni, in via documentale o anche a mezzo di presunzioni, deve concernere fatti precisi e specifici del caso concreto ed essere ben circostanziata, non potendo risolversi in mere enunciazioni di carattere del tutto generico e astratto, eventuale ed ipotetico[14].
I criteri di calcolo e di liquidazione
Il risarcimento del danno da rapporto parentale è rimesso ad una valutazione equitativa, secondo criteri che devono tener conto dell’effettiva incidenza della menomazione subita dal danneggiato nel caso concreto.
Le circostanze che il Giudice è tenuto a valutare, in relazione al caso concreto, sono, ad esempio, l’intensità del vincolo familiare, la gravità del fatto, l’entità del dolore patito, le condizioni soggettive della persona, il turbamento dello stato d’animo, l’età della vittima e dei congiunti all’epoca del fatto, il grado di sensibilità dei danneggiati superstiti, la situazione di convivenza o meno con il deceduto[15].
Oltre al principio generale dettato dall’art. 1226 cod. civ., è opportuno segnalare che, in tema di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, attualmente molti Tribunali italiani fanno ricorso all’applicazione di due “tabelle” elaborate, rispettivamente, dal Tribunale di Roma e di Milano.
Il criterio adottato dai due Tribunali ai fini del calcolo e della liquidazione di tale voce di danno presenta alcune differenze, profonde e sostanziali.
Il Tribunale di Milano utilizza il criterio di un valore prestabilito, tra un minimo ed un massimo per le diverse ipotesi risarcitorie.
I valori adottati nelle tabelle del 2021 sono i seguenti:
- da 168.250,00 euro a 336.500,00 euro, riconosciuti a favore di ciascun genitore per la morte di un figlio, a favore del figlio per la morte di ciascun genitore, a favore del coniuge/convivente sopravvissuto per la morte del coniuge non separato o del convivente;
- da 24.350,00 euro a 146.120,00 euro, riconosciuti a favore del fratello per la morte del fratello o a favore del nonno per la morte di un nipote.
La “forbice” permette, sulla scorta delle circostanze del caso concreto, di “personalizzare” il risarcimento del danno, come nei casi di sopravvenienza o meno di altri congiunti, di convivenza di questi ultimi, nella qualità ed intensità della relazione affettiva familiare residua o in quella che caratterizzava il rapporto parentale con la persona deceduta.
Le tabelle romane, invece, convergono su un sistema fondato sul punto variabile. In buona sostanza, posto un valore economico base (attualizzato a 9.806 euro nel 2019), il risarcimento verrà calcolato moltiplicando il valore base per una serie di punti, in base alla ricorrenza, nel caso di specie, di determinati requisiti quali:
- la relazione di parentela con il defunto (il punteggio sarà più alto per i componenti della famiglia nucleare per poi scemare man mano che ci si allontana dal nucleo),
- l’età della vittima (il punteggio è inversamente proporzionale all’aumentare dell’età),
- l’età del congiunto (anche in questo caso il valore diminuisce con l’aumentare dell’età),
- la situazione di convivenza e alla composizione del nucleo familiare.
Per lungo tempo le tabelle di Milano hanno assunto una valenza “para-normativa” per la quantificazione del danno non patrimoniale. La Corte di Cassazione, a far corso dalla sentenza n. 12408/2011[16], ha infatti considerato il sistema tabellare meneghino a “vocazione nazionale” e da ritenersi “equo”, ossia in grado di garantire la parità di trattamento e di assicurare l’uniformità del giudizio su tutto il territorio nazionale.
Tale orientamento non ha trovato il conforto di una parte della giurisprudenza, che ha evidenziato delle criticità sul sistema tabellare milanese. La principale osservazione mossa alle Tabelle di Milano risiede nel fatto che il criterio di liquidazione adottato, limitandosi a prevedere una forbice variabile tra un minimo e un massimo, peraltro molto ampia, non determina a sufficienza l’importo da liquidare ma lascia spazio a incertezze e a possibili sperequazioni in fattispecie tra loro analoghe.
Sulla scorta di tali profili di criticità la Corte di Cassazione, così come è stato confermato anche dalla recente sentenza n. 33005/2021[17], ha optato per un riconoscimento della prevalenza al metodo di calcolo e di liquidazione del Tribunale di Roma.
Per completezza, la Corte Suprema considera preferibile la tabella romana anche perché, differentemente da quella di Milano, garantisce una maggiore linearità del quantum risarcito in situazioni sostanzialmente analoghe. Ciò sulla base del fatto che le tabelle del Tribunale di Roma tengono conto di una serie di circostanze che non possono mai mancare nell’esame del caso: si pensi, ad esempio, all’età della vittima e del superstite, al grado di parentela e di convivenza, alla possibilità di applicare sulla somma conclusiva un correttivo, in aumento o in diminuzione, per adattare l’importo alle peculiarità della fattispecie.
Informazioni
Anonimo, “Tabelle milanesi e risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale”, in www.dirittoegiustizia.it .
Fata, L. “La concezione unitaria del danno non patrimoniale e la sua quantificazione nell’illecito plurioffensivo”, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2013.
Hazan, M. – Zorzit, D. “Il risarcimento del danno da morte”, Giuffrè Editore, Milano – 2009.
Osservazione sulla Giustizia Civile di Milano, “Tabelle milanesi per la liquidazione del danno non patrimoniale – edizione 2021”, in: https://www.ordineavvocatimilano.it/media/allegati/uffici_giudiziari/TABELLE_DANNO_NON_PATRIMONIALE_2021/OssGiustiziaCivileMI%20%20Tabelle%20milanesi_Danno%20non%20patrimoniale_ed-%202021.pdf .
Tribunale di Roma, “Tabelle per la valutazione del danno non patrimoniale (anno 2019)”, in Microsoft Word – Tabelle Tribunale Roma 2019 (definitive).docx.
Viglianisi Ferraro, A. “Il danno da perdita del rapporto parentale nella giurisprudenza italiana”, in Actualidad Jurídica Iberoamericana n. 9, agosto 2018, pp. 86-105.
Ziviz, P. “La tabellazione a punti del danno da perdita del rapporto parentale: una rivoluzione rinviata”, in www.personaedanno.it
Ziviz, P. “Danno da lesione parentale: no alla valutazione puramente equitativa”, in www.personaedanno.it .
[1] Cass. Civ, sez. III, ord. 13 aprile 2018, n. 9196
[2] Cass. civ. sez. III, ord. 17 gennaio 2018, n. 907
[3] Cfr. Cass. Civ., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975 e 26976.
[4] Cass. civ., sez. III, sent. 10 gennaio 2017, n. 238 ma anche Cass. civ., ord. 30 novembre 2018, n. 30997.
[5] Cass. civ., sez. III, sent. 11 novembre 2019, n. 28989.
[6] Cass. civ., 7 giugno 2011, n. 12273; Cass. civ., 20 novembre 2012, n. 20292; Cass. civ., 3 ottobre 2013, n. 22585.
[7] Cass. civ., sez. III, sent. 22 ottobre 2013, n. 23917, Cass. civ., sent. 10 luglio 2018, n. 18069, Cass. civ., sent. 8 aprile 2020, n. 7743.
[8] Cfr., da ultimo, Cass. civ., sez. VI-3, ord. 24 marzo 2021, n. 8218.
[9] Cfr. Cass. sez. III, sent. 11 novembre 2019, n. 28989.
[10] Cass. civ., sez. III, sent. 20 ottobre 2016, n. 21230.
[11] Cass. civ., sez. III, sent. 3 maggio 2011, n. 9700.
[12] Cass. civ., sez. III, sent. 20 ottobre 2016 n. 21230.
[13] Ex multis, Cass. civ., sez. III, sent. 19 agosto 2003, n. 12124; Cass. civ., sez. III, sent. 19 febbraio 2007, n. 3758; Cass. civ., sent. 11 gennaio 2006, n. 212; Cass. civ., sent. 13 maggio 2011, n. 10527.
[14] V. Cass. civ., sez. III, sent. 3 ottobre 2013, n. 22585; Cass. civ., sez. III, sent. 25 settembre 2012, n. 16255.
[15] Cass. civ., sez. III, ord. 17 gennaio 2018, n. 907.
[16] Cass. civ., sez. III, sent. 07 giugno 2011, n. 12408.
[17] Cass. civ., sez. III, sent. 10 novembre 2021, n. 33005.

Stefano Salvatore
Ciao, sono Stefano. Ho 27 anni. Dopo aver conseguito la maturità classica, mi sono laureato presso l'Università degli Studi di Milano – Bicocca con una tesi in materia di fake news e hate speech in rete.
Attualmente collaboro con uno studio legale e mi occupo di diritto di famiglia e delle persone, di diritto assicurativo e di diritto della responsabilità civile.
Sono iscritto all'Albo degli Avvocati di Milano da novembre 2021