L’analisi degli istituti sottesi al procedimento penale e al procedimento di prevenzione rilevano delle profonde differenze: nel primo l’oggetto di verifica si ricollega ad un determinato fatto di reato, mentre nel secondo l’esame si concentra sulla pericolosità del soggetto e su condotte che non necessariamente costituiscono reato
La genesi delle differenze tra i due procedimenti
I primi provvedimenti legislativi in tema di prevenzione risalgono alla fine dell’800 – inizi del 900: si tratta della Legge Galvani del 1852, del Testo Unico Crispi del 1889, della Legge del 20 marzo 1865, del decreto di pubblica sicurezza del 1859 e, infine, della Legge Pica del 1863. In epoca fascista le misure di prevenzione divennero uno strumento largamente utilizzato contro il disagio sociale, i dissidenti e gli oppositori politici.
Con l’entrata in vigore della Costituzione iniziò il lungo processo di separazione dei due procedimenti.
Ad oggi il procedimento penale è scandito da una successione di atti, è avviato dall’autorità giudiziaria, inizia con l’iscrizione della notizia di reato e culmina con un provvedimento conclusivo del Giudice.
Lo scopo del procedimento penale è duplice: da una parte costituisce il modo attraverso il quale può essere attuata la tutela dei diritti sanciti dalla legge, dall’altra rappresenta l’accertamento dei giudici sul reato commesso da un cittadino.
Diversamente, il fondamento del procedimento di prevenzione è costituito dall’esigenza di tutela della sicurezza, indipendentemente dalla commissione di un reato.
Le misure di prevenzione, tanto quelle personali quanto quelle patrimoniali, mirano a limitare la sfera della libertà personale o la disponibilità/utilizzo di beni che si credono di provenienza illecita.
La sinergia prevista art. 23 bis della L. 646/1982
Venendo ai rapporti che possono intercorrere tra il procedimento penale e procedimento di prevenzione, si rileva che tra i due procedimenti non vi è interazione ma una vera e propria autonomia.
Ad onore del vero, in epoca passata, il Legislatore ha cercato di creare una sinergia tra la funzione processuale e quella preventiva.
Ci si riferisce, ovviamente, alla ratio sottesa al comma terzo dell’art. 23 bis della Legge 646/1982.
Tale norma contemplava un’ipotesi di sospensione per pregiudizialità del procedimento di prevenzione “se la cognizione del reato influisce sulla decisione del procedimento di prevenzione”.
In tale caso, il Giudice doveva sospendere il procedimento per l’applicazione della misura di prevenzione fino alla definizione del procedimento penale.
Era inoltre previsto che la sentenza penale irrevocabile di proscioglimento, pronunciata in sede penale, aveva autorità di cosa giudicata nel procedimento di prevenzione “per quel che attiene all’accertamento dei fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale.”
A conforto dell’art. 23 bis della L. 646/1982 deve essere citata la nota sentenza n. 3248/1990 della Corte di Cassazione, la quale aveva precisato che quando la richiesta applicativa della misura di prevenzione e l’azione penale erano fondate sugli stessi elementi di fatto e probatori il procedimento di prevenzione doveva essere sospeso.
L’intento era di palmare evidenza: evitare la contraddittorietà tra il processo di prevenzione e quello penale.
Da tali argomentazioni si potrebbe pensare ad una iniziale sinergia tra il procedimento di prevenzione e il procedimento penale. In verità, di sinergia non può parlarsi; tutt’al più può essere sostenuto che la previsione di cui all’art. 23 bis mirava ad una limitazione parziale della autonomia del procedimento di prevenzione rispetto a quello penale.
Infatti, la sospensione era prevista solo in caso di coincidenza nei due procedimenti del thema probandum e del thema decidendum.
In ogni caso, il rapporto di pregiudizialità dell’art. 23 bis ebbe vita breve: il D.L. 152/1991 ha abrogato i commi 3 e 4 dell’art. 23 bis della L. 646/1982, espungendo ogni residuo di pregiudizialità tra i due procedimenti.
L’art. 29 del d.lgs. n. 159/2011
Il principio di autonomia ha trovato piena consolidazione nell’art. 29 del D.lgs n. 159/2011, il quale prevede che “l’azione di prevenzione può essere esercitata anche indipendentemente dall’azione penale.”.
Infatti, la prassi giudiziaria attesta un vero e proprio parallelismo del procedimento di prevenzione al procedimento penale; il procedimento di prevenzione è spesso precedente, concomitante o successivo al procedimento penale.
Il dato non è di poco conto poiché un unico soggetto (il proposto nel procedimento di prevenzione e l’imputato nel processo penale) è chiamato a rispondere dei medesimi addebiti in due procedimenti diversi.
Inoltre, l’indipendenza e l’autonomia dei procedimenti, nonostante riguardino il medesimo soggetto, può condurre a risultati divergenti.
Comporta, in particolare, che un soggetto possa essere assolto in sede penale e contemporaneamente, subire l’applicazione di una misura di prevenzione di tipo patrimoniale.
Le prime differenze tra i due procedimenti
Va preliminarmente osservato che fino all’entrata in vigore della L. 161/2017, una grossa differenza che caratterizzava il procedimento di prevenzione rispetto al procedimento penale concerneva l’assenza di una norma assimilabile all’articolo 417 comma 1 lettera b) c.p.p.
Per questo motivo, era previsto che il proposto non avesse diritto a ricevere una contestazione dei fatti per i quali veniva richiesta la misura di prevenzione ma esclusivamente la indicazione della data di udienza.
Oggi, tramite l’articolo 7 comma 2 del d.lgs. 159/2011, il proposto ha diritto alla notifica del decreto, il quale contiene la “concisa esposizione dei contenuti della proposta. Solo in questo modo, secondo la Corte Suprema il proposto ha possibilità di conoscere il thema decidendum e fare le proprie controdeduzioni (v. Corte di Cassazione, sentenza n. 8038/2019).
A questa prima differenza deve aggiungersi che il procedimento di prevenzione non è dotato di un proprio statuto processuale, ma è modellato sul rito camerale di cui agli artt. 127 e 666 c.p.p.
Tale rito si caratterizza spesso per la sua non funzionalità rispetto alle più ponderose verifiche richieste al giudice della prevenzione, soprattutto in materia di misure patrimoniali.
Il tema della prova
È certamente con riferimento al tema della prova che si registrano le maggiori diversità tra il procedimento penale e il procedimento di prevenzione.
La prima evidente differenza tra i due procedimenti concerne l’assenza, in quello di prevenzione, di una distinzione tra elementi probatori acquisiti “per le determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione penale” e elementi formati nel contraddittorio tra le parti.
Il riferimento riguarda, chiaramente, l’assenza nel procedimento di prevenzione di un fascicolo di indagine e di un fascicolo dibattimentale.
Non a caso il decreto legislativo n. 159/2011 prevede una attività investigativa solo all’articolo 19, in cui vengono disciplinate le indagini patrimoniali (aventi ad oggetto il tenore di vita, le disponibilità finanziarie, il patrimonio e le attività economiche riconducibili al proposto dalle quali può essere individuata una fonte di reddito)[1].
Diversamente, nel processo penale, vi è una netta distinzione tra il contenuto del fascicolo indagine e il contenuto del fascicolo del dibattimento.
Come è noto, gli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero possono fare ingresso nel fascicolo dibattimentale solo in caso di concorde volontà delle parti, così come previsto dall’art. 431 comma 2 del codice di procedura penale.
Manca poi una figura predominante nella fase investigativa di prevenzione; in altri termini nell’ambito delle misure di prevenzione non vi è una specifica norma che preveda la titolarità del potere di direzione delle indagini, così come previsto nell’ambito del processo penale (art. 327 c.p.p.).
Infatti il decreto legislativo 159 del 2011, distingue la figura del titolare della proposta da coloro i quali svolgono, nella quasi totalità dei casi, le funzioni investigative.
In particolare, all’articolo 17, viene previsto che titolare della proposta può essere il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto ove dimora la persona, il Procuratore nazionale antimafia, il Questore o il Direttore della Direzione Investigativa Antimafia.
Diversamente l’articolo 19 prevede che le indagini patrimoniali possano essere svolte dai titolari della proposta “anche a mezzo della Guardia di finanza della polizia giudiziaria.”.
Per prassi consolidata, si assiste al fatto che la proposta applicativa di una misura di prevenzione non sia nient’altro che una riproposizione delle risultanze contenute nella annotazione della Guardia di Finanza o dalla Polizia Giudiziaria confluite.
A ciò va aggiunto che a differenza di quanto previsto nel codice di procedura penale, il d.lgs n. 159/2011 è particolarmente scarno in ordine alle modalità con le quali possono essere svolte le indagini patrimoniali (gli unici riferimenti sono previsti nel citato art. 19).
Degna di nota è però la previsione contenuta al comma quarto e quinto dell’articolo 19.
Questi due commi mettono in luce due macroscopiche differenze tra il procedimento di prevenzione e il processo penale:
- l’autorizzazione al sequestro di documenti può essere rilasciata, alternativamente, dal pubblico ministero o dal giudice procedente;
- il Tribunale può procedere ad ulteriori indagini oltre a quelle già compiute, delegando al tal fine la Guardia di finanza o la polizia giudiziaria.
La lacuna normativa concernente la disciplina della titolarità e delle modalità dell’attività d’indagine nell’ambito delle misure di prevenzione non è sfuggita alla giurisprudenza di legittimità.
In particolare, con la sentenza n. 27147/2016, la Corte di Cassazione ha delineato dei tratti tipici del procedimento di prevenzione rispetto al processo penale.
Il primo passaggio, secondo la Suprema Corte, è che i titolari dell’azione di prevenzione godono di ampia autonomia operativa, alla quale va aggiunta una libertà di forme nella raccolta di dati informativi da parte di quest’ultimi. Il secondo passaggio, più pregnante, a giudizio di chi scrive, rispetto al primo, riguarda la mancata estensione delle garanzie previste per le indagini preliminari nel procedimento penale alla fase investigativa di prevenzione.
In altri termini, secondo la giurisprudenza di legittimità citata, gli unici limiti previsti per il procedimento di prevenzione concernono i principi dello Stato di diritto, il rispetto della persona e le garanzie previste dal codice di procedura penale in relazione alle prove illegali (art. 191 c.p.p.).
La circolazione probatoria nei due procedimenti
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza 25 maggio 2010 ha sancito la cosiddetta circolazione probatoria tra i due procedimenti, quello di prevenzione e quello penale.
Secondo quanto rilevato dalle Sezioni Unite, il Giudice della prevenzione può servirsi degli elementi probatori emersi nel corso del processo, anche in assenza di sentenza irrevocabile ed anche a prescindere della decisione finale del giudice in ordine all’accertamento della responsabilità dell’imputato/proposto.
Anche in questo caso, però, emergono alcune differenze dirimenti tra le regole processuali e le regole previste per il procedimento di prevenzione.
In particolare, in tema di acquisizione di atti o altri elementi probatori, a differenza delle regole e dei limiti previsti dal codice di procedura penale, nel procedimento di prevenzione non vi è alcuna norma che regoli l’acquisizione già dalla fase della formulazione della proposta.
Inoltre, in tema di istruzione probatoria nel corso del procedimento di prevenzione, si assiste ad una assoluta discrezionalità da parte del giudice nel richiedere atti e notizie in assenza di richiesta di parte, e soprattutto in assenza dei limiti previsti dall’articolo 238 c.p.p.
Come noto tale norma prevede che i verbali di altri procedimenti possano essere utilizzati contro l’imputato solo nel caso in cui il difensore abbia partecipato all’assunzione della prova o se nei suoi confronti fa stato la sentenza civile. Al di fuori di tale caso, i verbali di altro procedimento possono essere utilizzati in dibattimento solo nei confronti dell’imputato che vi abbia consentito.
Inoltre, come già anticipato precedentemente, il vero problema del procedimento di prevenzione e che il tema di prova non riguarda un fatto di reato ma ha ad oggetto la persona. Il punto è che seppur in presenza di tale diversità, il procedimento di prevenzione richiede comunque una ricostruzione delle condotte precedenti del soggetto destinatario di una misura di prevenzione.
Solo attraverso la ricostruzione della “biografia criminale” del soggetto può concretamente essere adottata una misura di prevenzione, sia essa di tipo personale o di tipo patrimoniale.
Invero così come previsto dall’articolo 18 del d.lgs n. 159/2011, le misure di prevenzione patrimoniali possono essere adottate “anche indipendentemente dalla pericolosità del soggetto proposto” al momento della richiesta del provvedimento ablatorio.
Conclusione
Le differenze illustrate confermano l’assenza di un vincolo di pregiudizialità dell’accertamento penale rispetto al procedimento di prevenzione, così determinando una reciproca autonomia tra i due processi.
Ne discende che il procedimento di prevenzione può coesistere e svilupparsi accanto al processo penale, alla luce della netta separazione tra i due settori.
Informazioni
Fiorentin F., Le misure di prevenzione personali: nel codice antimafia, in materia di stupefacenti e nell’ambito di manifestazioni sportive, Giuffrè, 2012.
Maiello V., La legislazione penale in materia di criminalità organizzata, misure di prevenzione ed armi, Giappichelli, 2015.
Marafioti L., Sinergie fra il procedimento penale e procedimento di prevenzione, in Diritto Penale Contemporaneo, 2010-2016.
Padovani T., 2. Misure di Sicurezza e Misure di Prevezione, Pisa University Press, 2018.

Alessio Tartaglini
Ciao, sono Alessio. Nel 2017 mi sono laureato a pieni voti in giurisprudenza con una tesi in diritto penale dal titolo "Le ipotesi di falso nei delitti contro la Pubblica Amministrazione". Dal 2020 sono un avvocato penalista del Foro di Torino e mi occupo prevalentemente di diritto penale carcerario. Inoltre, già nel corso della pratica forense ho sviluppato una forte passione per le misure di prevenzione e, con il conseguimento del titolo di avvocato, ho avuto modo di occuparmi in prima persona di alcuni processi in tale ambito.