Nonostante la natura non vincolante dei codici di condotta delle Nazioni Unite, la funzione educativa per le imprese rimane di fondamentale importanza

 

I codici di condotta delle Nazioni Unite e gli standard di origine intergovernativa

A fronte dei ripetuti fallimenti delle negoziazioni per l’elaborazione di un trattato multilaterale direttamente applicabile alle imprese multinazionali[1], la possibilità di regolamentarne le operazioni attraverso codici di condotta di natura volontaria e non vincolante che incorporano standard di protezione ambientale e sociale si configura come l’attuale e rinnovata modalità normativa transnazionale e non governativa per la responsabilizzazione di tali società[2]. A tal proposito, i codici di condotta delle Nazioni Unite si inseriscono tra le iniziative messe a punto a livello intergovernativo e direttamente indirizzate alle imprese operanti sul territorio degli Stati facenti parte dell’organizzazione.

Ciononostante, tali codici di condotta si configurano come diritto internazionale soft, e pertanto non impongono alcune obbligazioni in capo alle società commerciali: di fatto, il potere delle organizzazioni intergovernative di emanare norme vincolanti è limitato da ciascun trattato istitutivo, in cui è generalmente previsto che le disposizioni che ne derivano siano rivolte esclusivamente agli Stati membri[3]. In ogni caso, sebbene tali codici di condotta comprendano meramente atti non vincolanti volti a fornire standard generali di comportamento e una guida precisa per gli attori privati in ambito sociale ed ambientale, le iniziative in questione svolgono una funzione istruttiva senza precedenti per le imprese: in particolare, le associazioni di categoria e le società stesse fanno abitualmente riferimento a tali standard come base sulla quale elaborare i propri codici di autoregolamentazione[4].

Pertanto, le iniziative di origine inter-governativa rappresentano un punto di riferimento decisivo per le imprese private, e, al riguardo, i codici di condotta delle Nazioni Unite risultano essere tra gli standard più citati all’interno delle iniziative private delle principali imprese multinazionali operanti a livello globale[5].

 

Il Global Compact

Tra i codici di condotta delle Nazioni Unite, il Global Compact è considerato una delle iniziative più incisive a livello mondiale per lo sviluppo di un sistema di governance delle imprese multinazionali basato sulla responsabilità sociale d’impresa[6].

Lanciato nel 1999 durante il World Economic Forum di Davos dall’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, il “Global Compact per il ventunesimo secolo” ha definito una serie di dieci principi non vincolanti nell’ambito del rispetto dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori, delle questioni ambientali e della lotta contro la corruzione. Tali principi sono indirizzati direttamente alle imprese, con l’obiettivo di incoraggiare un comportamento più socialmente e ambientalmente responsabile da parte delle società che operano nei mercati globali[7]. Tuttavia, il fatto che il Global Compact si rivolga a tutte le imprese e non solo alle multinazionali si configura tra gli elementi maggiormente innovativi dell’iniziativa, che mira a rimanere il più aperta ed inclusiva possibile[8].

I dieci standard del Global Compact vennero sviluppati sulla base di specifici strumenti giuridici internazionali, i quali includono la Dichiarazione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro sui principi e di diritti fondamentali sul lavoro, la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e infine la Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo. Attualmente, più di 12.000 imprese in 160 paesi che rappresentano pressoché ogni settore economico tanto in paesi sviluppati come in via di sviluppo, hanno preso parte al Global Compact[9]; in termini operativi, la verifica dell’adempimento delle società ai principi del Global Compact avviene tramite una rete in cui sono coinvolte non solo le multinazionali, bensì anche Stati, organizzazioni internazionali, Organizzazioni Non Governative (ONG) e, in definitiva, la società civile, al fine di impegnarsi in un insieme di iniziative che  includono partenariati, forum di discussione e progetti di cooperazione[10].

 

Il Global Compact e gli standard di protezione ambientale

All’interno del Global Compact, un preciso riferimento agli standard di tutela ambientale è contenuto nei principi 7, 8 e 9.

In primo luogo, il principio 7 pone notevole enfasi sull’adozione di un approccio precauzionale nel corso dell’intera attività di produzione e distribuzione delle imprese: in particolare, le società commerciali sono tenute ad intraprendere in maniera proattiva azioni preventive finalizzate ad evitare il concretizzarsi di potenziali danni all’ambiente e agli ecosistemi naturali in conseguenza delle proprie azioni. Più precisamente, il Global Compact richiede una valutazione dell’impatto ambientale dell’azienda e dei rischi delle sue specifiche attività, nonché un investimento continuo in ricerca e processi di produzione sostenibili. Inoltre, particolare attenzione è posta all’informazione: di fatto, al fine di garantire la trasparenza e la partecipazione dell’intera società, il Global Compact raccomanda la divulgazione sia di informazioni concernenti eventuali questioni ambientali, sia dei potenziali rischi derivanti dalle attività dell’impresa[11].

In secondo luogo, il principio 8 del Global Compact incoraggia il mondo delle imprese ad intraprendere iniziative volte a rafforzare una maggiore responsabilità ambientale. In particolare, perseguendo un approccio preventivo le società transnazionali sono tenute a mitigare, limitare e ridurre le attività che potrebbero potenzialmente rappresentare un rischio per l’equilibrio degli ecosistemi e per l’ambiente. Tale azione da parte delle imprese è prevista in un momento precedente all’effettiva verifica del danno ambientale ed è indipendente dal fatto che i paesi in cui sono ubicate le filiali o le società sussidiarie possano essere dotate di legislazioni ambientali meno rigorose[12].

Il tema delle tecnologie pulite e rispettose dell’ambiente è affrontato in ultima analisi dal principio 9: a tal proposito, le imprese sono incoraggiate ad utilizzare tecnologie verdi e meno inquinanti all’interno dei loro processi produttivi, e allo stesso tempo ad adottare un approccio sostenibile nell’uso delle risorse.

Al contempo, alle multinazionali è richiesta una partecipazione più attiva nel trasferimento di tecnologie verso i paesi in via di sviluppo, in cui sono generalmente localizzate le proprie sussidiarie, cos’ come nell’equa condivisione dei benefici economici derivanti dallo sfruttamento delle risorse naturali ed umane negli Stati ospite[13].

 

Il Global Compact tra implementazione e monitoraggio

Sebbene non siano previsti meccanismi di monitoraggio, né strumenti di misurazione della conformità delle imprese, all’interno del sistema di codici di condotta delle Nazioni Unite il Global Compact è la sola iniziativa che ha promosso lo sviluppo di un sistema di resoconto su base annuale denominato Comunicazione del Progresso, con l’obiettivo di valutare i progressi delle aziende aderenti ai dieci principi non-vincolanti[14].

Al riguardo, la comunicazione sullo stato di avanzamento è intesa sia a preservare la reputazione e lo sforzo vigoroso dell’iniziativa verso una responsabilizzazione delle imprese, sia a rafforzare l’allineamento di tutte le aziende partecipanti agli impegni assunti. Nello specifico, le società private sono tenute a redigere e presentare annualmente una relazione nella quale condividono informazioni rilevanti e comunicano gli eventuali risultati delle misure poste in essere per l’attuazione dei principi; inoltre, in un’ottica di maggiore trasparenza, le imprese sono tenute a pubblicare il report, in modo tale da renderlo accessibile all’opinione pubblica[15]. Ciononostante, importanti limitazioni emergono nell’eventualità in cui una società non rediga né presenti il report: di fatto, il Global Compact non prevede alcuna sanzione se non l’inserimento in un elenco di società non comunicanti e la sospensione dell’autorizzazione all’uso del logo. Inoltre, l’assenza di una modalità di resoconto standardizzata e omogenea complica la realizzazione di un confronto delle performance delle diverse imprese aderenti equo e ragionevole[16].

Nel complesso, l’assenza di forza vincolante e la mancanza di un meccanismo di monitoraggio rappresentano i principali impedimenti di un Global Compact efficace ed omogeneo. Tuttavia, tra i codici di condotta delle Nazioni Unite, tale iniziativa svolge indubbiamente una rilevante funzione educativa, poiché favorisce la creazione di un ambiente di apprendimento in cui le pratiche aziendali virtuose vengono condivise attraverso il dialogo costante e la divulgazione di informazioni tra le imprese.

 

Le Norme sulla Responsabilità delle Imprese Transnazionali e altre imprese in materia di diritti umani

Le Norme sulla responsabilità delle imprese multinazionali e delle altre imprese in materia di diritti umani si configurano come secondo rilevante esempio di codici di condotta delle Nazioni Unite.

Tali Norme vennero discusse a partire dal 1998 nell’ambito di uno specifico gruppo di lavoro costituito dalla Sottocommissione delle Nazioni Unite per la Protezione e la Promozione dei diritti umani, un organismo indipendente di esperti con il compito di indagare e successivamente elaborare un insieme di norme non vincolanti basate sul diritto dei diritti umani, da indirizzare sia agli Stati che alle imprese multinazionali[17].

In seguito alla formale approvazione nel 2003, rilevanti questioni sono emerse durante la sessantesima sessione della Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani. In particolare, numerosi rappresentanti della comunità degli affari respinsero l’idea che fosse necessaria una regolamentazione internazionale delle imprese multinazionali in conseguenza ai presunti impatti negativi derivanti dalle proprie attività economiche[18]; per tale motivo, le Norme vennero ufficialmente abbandonate l’anno successivo in quanto “non richieste” e “prive di valore legale”. Parimenti, la mancanza di sostegno politico, un’eccessiva portata tematica e l’eccessiva imprecisione linguistica delle disposizioni giocarono un ruolo fondamentale nel rigetto delle Norme[19].

Ciononostante, le Norme presentarono importanti elementi di innovazione: il fatto di rivolgersi direttamente alle imprese multinazionali – sebbene in maniera non vincolante – ha elevato queste ultime a portatrici di doveri ai sensi del diritto internazionale dei diritti umani. Benché tale considerazione abbia contribuito al riconoscimento dell’insufficienza del semplice affidamento agli sforzi degli Stati nell’’effettiva tutela dei diritti umani fondamentali, fu proprio tale aspetto a suscitare le critiche più accese della comunità degli affari, dal momento che le norme sui diritti umani, tradizionalmente riservate agli Stati, non possono in principio creare obblighi vincolanti in capo alle imprese multinazionali[20].

Allo stesso tempo, appare rilevante notare come l’ambito materiale di applicazione delle Norme non sia limitato ai diritti umani, bensì riguardi un ampio spettro di ambiti connessi alle attività delle multinazionali, quali il diritto alla salute, i diritti dei lavoratori, la sicurezza dei consumatori e, da ultimo, la protezione ambientale. Tali codici di condotta delle Nazioni Unite fanno infine riferimento ad un vasto elenco di convenzioni internazionali e dichiarazioni inter-governative, le quali costituiscono la base giuridica delle suddette Norme: il gruppo di lavoro ha infatti inteso differenziare le Norme dalla precedente esperienza del Global Compact deducendo l’autorità giuridica direttamente da principi sanciti da trattati e consuetudini internazionali[21].

Nonostante ciò, lo stato giuridico delle Norme rimane quello di uno strumento di diritto non vincolante, caratterizzando l’esperienza del 2003 come una mera opinione di esperti – sebbene con un alto grado di competenza[22].

 

I Principi Guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani

Il dibattito sull’istituzione di un quadro normativo per la responsabilizzazione delle multinazionali in materia di diritti umani, diritti dei lavoratori e tutela ambientale non si concluse con il rigetto delle Norme sulla responsabilità delle imprese transnazionali precedentemente analizzate[23]: di fatto, nel 2005 l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha raccomandato alla Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani di esplorare la possibilità di identificare una serie di  principi per la responsabilità delle società multinazionali nell’ambito dei diritti umani[24]. A tal fine, il professor John Ruggie fu nominato Rappresentante Speciale presso il Segretario Generale delle Nazioni Unite sul tema dei Diritti Umani e delle imprese transnazionali ed altre imprese, al fine di determinare se esistano standard universali applicabili a violazioni dei diritti umani imputabili alle multinazionali.

Tra il 2007 e il 2008 Ruggie propose un sistema a tre pilastri definito “Protezione, Rispetto e Rimedio”, in cui vennero rimarcati i seguenti elementi:

  • il dovere di tutela degli Stati nei confronti di violazioni dei diritti umani
  • la responsabilità delle imprese di rispettare i diritti umani
  • l’accesso ai meccanismi di ricorso per le vittime di abusi dei diritti umani[25].

 

Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha approvato i Principi Guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani soltanto nel 2011. A differenza dei precedenti codici di condotta delle Nazioni Unite, i Principi Guida sono stati accolti positivamente dalla comunità imprenditoriale per la loro natura volontaria e non vincolante[26]. Tuttavia, quest’ultimo aspetto ha suscitato critiche da parte delle ONG, maggiormente a favore di un approccio più vigoroso per l’attribuzione di responsabilità sociali alle multinazionali. Ulteriori critiche riguardarono inoltre il fatto che i Principi Guida si limitassero a privilegiare la mitigazione degli impatti negativi sui diritti umani derivanti da comportamenti aziendali negativi, piuttosto che sottolineare una potenziale incidenza positiva sulla tutela dei diritti umani che potrebbe potenzialmente derivare dal coinvolgimento diretto delle imprese; al contempo, non venne proposta alcuna soluzione pratica alla presenza di specifici ostacoli giuridici a livello nazionale come la dottrina del forum non conveniens e del velo societario.

Nel complesso, I Principi Guida delle Nazioni Unite hanno limitato il riferimento all’ambiente, senza individuare in maniera esplicita precisi standard internazionali in relazione alla condotta ambientale delle imprese. Nonostante ciò, il professor John Ruggie ha successivamente riconosciuto che un numero rilevante di diritti umani fondamentali è suscettibile di essere pregiudicato dal comportamento ambientale sconsiderato delle multinazionali, in particolare il diritto alla vita, alla salute, al cibo e, da ultimo, all’abitazione[27].

 

Conclusioni

Sebbene le iniziative descritte in materia di protezione ambientale e tutela dei diritti umani da parte di imprese multinazionali abbiano acquisito un’indubbia importanza sul piano intergovernativo, i codici di condotta delle Nazioni Unite si caratterizzano tuttavia come strumenti di diritto internazionale non vincolante, non creando pertanto alcun tipo di obbligazione in capo alla comunità degli affari. Al tempo stesso, gli standard dell’ONU svolgono una funzione educativa fondamentale per le imprese, le quali tendono a richiamare proprio tali iniziative nel processo di elaborazione dei propri codici di condotta.

Informazioni

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[1] V. CHABERT, Multinazionali e danni ambientali: verso un quadro giuridico vincolante? Diritto Consenso, 7 Febbraio 2022. Disponibile al link: http://www.dirittoconsenso.it/2022/02/07/multinazionali-e-danni-ambientali-verso-quadro-giuridico-vincolante/.

[2] D. U. GILBERT, A. RASCHE, S. WADDOCK, Accountability in a Global Economy: the Emergence of International Accountability Standards, Business Ethics Quarterly, Vol.21, No.1, 2011, pp.23-24.

[3] F. MARRELLA, Regolazione internazionale e imprese multinazionali. In L’Impresa Responsabile. Diritti sociali e Corporate Social Responsibility, Milano, Halley, 2007, p. 44.

[4] W. BENDEK, K. DE FEYTER, F. MARRELLA, Economic Globalization and Human Rights, Cambridge, Cambridge University Press, 2007, p. 292.

[5]  M. WRIGHT, A. LEHR, Business Recognition of Human Rights: global patterns, regional and sectorial variations. Harvard University, 12 December 2006. Disponibile al link: https://www.hks.harvard.edu/sites/default/files/centers/mrcbg/programs/cri/files/workingpaper_31_wright_lehr.pdf

[6]  L. VAN DER HERIK, J.L. CERNIC, L. VAN DER HERIK, J.L. CERNIC, Regulating Corporations under International Law: from Human Rights to International Criminal Law and Back Again, Journal of International Criminal Justice, Vol. 8, 2010, p. 728.

[7] A.BONFANTI, Imprese multinazionali, diritti umani e ambiente. Profili di diritto internazionale pubblico e privato, Milano, Giuffré Editore, 2012, p. 16.

[8] E. MORGERA, Corporate environmental accountability in International law, 2nd edition, Oxford, Oxford University Press, 2020, p. 94.

[9] Maggiori informazioni sulle imprese partecipanti sono disponibili al link:  https://www.unglobalcompact.org/interactive .

[10] A. BONFANTI, op. cit.,p. 16.

[11] D. IGLESIAS MARQUEZ, The scope of codes of conduct for corporate environmental responsibility, Revista Catalana de Dret Ambiental, Vol.6, No 2, 2015, p. 12.

[12] A. BONFANTI, op. cit., p. 185.

[13] E. MORGERA, op. cit., p. 98.

[14] E. MORGERA, From Corporate Social Responsibility to Accountability Mechanisms: the Role of the Convention on Biological Diversity. In P-M Dupuy & JE Viñuales, Harnessing Foreign Investment to Promote Environmental Protection: Incentives and Safeguards, Cambridge University Press, 2013, p.15

[15] A.DE JONGE, Transnational Corporations and International law. Accountability in the Global Business Environment, Cheltenham, UK, Northampton, MA, USA, Edward Elgar Publishing, 2011, p. 32.

[16] D. U. GILBERT, A. RASCHE, S. WADDOCK, op. cit., p.37.

[17] United Nations Sub-Commission for the Promotion and Protection of Human Rights, Norms on the Responsibilities of Transnational Corporations and Other Business Enterprises with regard to Human Rights, E/CN.4/Sub.2/2003/12/Rev.2, 26th August 2003. Disponibile al link: https://undocs.org/en/E/CN.4/Sub.2/2003/12/Rev.2.

[18] J. WOUTERS, A. L. CHANÉ, Multinational Corporations in International law, Leuven Centre for Global Governance Studies, Institute for International Law (KU Leuven), Working Paper No. 129, 2015, p. 14.

[19] OHCRH, Responsibilities of transnational corporations and related business enterprises with regard to human rights, 2004/116, UN DOC E/CN.4/2004/L.11/Add.7, 20 April 2004.

[20] United Nations Sub-Commission for the Promotion and Protection of Human Rights, Norms on the Responsibilities of Transnational Corporations and Other Business Enterprises with regard to Human Rights, E/CN.4/Sub.2/2003/12/Rev.2, 26th August 2003, Para 1. Disponibile al link: https://undocs.org/en/E/CN.4/Sub.2/2003/12/Rev.2 .

[21] E. MORGERA, op. cit., pp. 103-104.

[22] A. DE JONGE, op. cit., p. 41.

[23] J. WOUTERS, A. L. CHANÉ, op. cit., p. 15.

[24] United Nations Human Rights Council, Human Rights and transnational corporations and other business enterprises SRSG mandate, E/CN.4/RES/2005/69, 2005. Disponibile al link: https://www.ohchr.org/en/issues/business/pages/srsgtranscorpindex.aspx.

[25] J. RUGGIE, Protect, Respect and Remedy. A framework for businesses and human rights. Report of the Special Representative of the UN Secretary-General on the issue of Human Rights and Transnational corporations and other business enterprises, 2008. Disponibile al link: https://www.researchgate.net/publication/24090059_Protect_Respect_Remedy_A_Framework_for_Business_and_Human_Rights.

[26] J. WOUTERS, A. L. CHANÉ, op. cit., p. 16

[27] United Nations Human Rights Council, Promotion And Protection Of All Human Rights, Civil, Political, Economic, Social And Cultural Rights, Including The Right To Development Protect, Respect And Remedy: A Framework For Business And Human Rights Report Of The Special Representative Of The Secretary-General On The Issue Of Human Rights And Transnational Corporations And Other Business Enterprises, John Ruggie, UN Doc. A/HRC/8/5, Add. 2, 7 April 2008. Disponibile al link: https://www.undocs.org/A/HRC/8/5.