L’evoluzione normativa del concetto di «modesto quantitativo» di stupefacenti e i plurimi interventi della giurisprudenza di legittimità
Il modesto quantitativo di stupefacenti: la disciplina previgente
Il modesto quantitativo (o altresì modica quantità) di stupefacenti è un concetto che fu introdotto dalla legge 22 dicembre 1975, n. 685, contenente la disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope, la quale mirava alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.
Questa previsione era contenuta negli artt. 72 e 80 della legge citata. La prima disposizione, nella versione allora vigente, puniva – seppur con pene differenti – chiunque, fuori dalle ipotesi previste dall’art. 80, senza autorizzazione o comunque illecitamente, deteneva, trasportava, offriva, acquistava, vendeva, cedeva a qualsiasi titolo, anche gratuito, modiche quantità di sostanze stupefacenti o psicotrope classificate nelle tabelle I e III ovvero nelle tabelle II e IV individuate dall’art. 12[1] della legge n. 685 del 1975.
Parallelamente, l’art. 80 introduceva una causa di non punibilità relativa alla detenzione di dette sostanze per uso personale. Perciò, non era punibile chi illecitamente acquistava o comunque deteneva sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle sopra richiamate allo scopo di farne uso personale terapeutico, purché la quantità delle sostanze non fosse eccedente in modo apprezzabile le necessità della cura, in relazione alle particolari condizioni del soggetto, ovvero per farne uso personale non terapeutico, o altresì chi deteneva a qualsiasi titolo le sostanze medesime per uso esclusivamente personale.
A ben vedere, le norme menzionate distinguevano per la prima volta tra condotte poste in essere da colui che faceva commercio di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio (quand’anche la quantità di queste fosse modesta) da colui che acquistava o deteneva dette sostanze per uso strettamente personale. Ciò posto, però, non fu mai definito il concetto di «modesto quantitativo», lasciando così al giudice di merito ampia discrezionalità nel decidere come discernere le due ipotesi[2].
Nel ripercorrere l’evoluzione normativa del concetto di «modesto quantitativo» di stupefacenti, si dica che l’art. 72 è stato modificato ad opera dell’art. 15 della legge 26 giugno 1990, n. 162[3] mentre l’art. 80 è stato definitivamente abrogato dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (il c.d. Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza).
Il D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309
Con l’adozione del Testo Unico Stupefacenti il legislatore eliminava il fumoso concetto «modica quantità», sostituendolo con quello di «dose media giornaliera». L’introduzione di tale nozione veniva affiancata dalla previsione di un decreto ministeriale che determinava i limiti massimi detenibili di ogni singola sostanza stupefacente.
Ciò lo si ricava dall’art. 73 co. 1-bis del Testo Unico Stupefacenti laddove punisce con le medesime pene di cui al comma 1, chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’art. 17[4], importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute[5], ovvero per modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell’azione, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale ovvero medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella II, sezione A, che eccedono il quantitativo prescritto[6].
Ebbene, è necessario ricordare che il primo comma dell’art. 73 del Testo Unico Stupefacenti incrimina i fatti di non lieve entità e punisce chiunque, senza la richiamata autorizzazione del Ministero della sanità, ponga in essere una serie di condotte (tra cui la coltivazione[7], la produzione, la fabbricazione, la raffinazione, la cessione, la vendita, la detenzione, il traffico e il commercio) che abbiano ad oggetto le c.d. “droghe pesanti” ovvero le sostanze stupefacenti di cui alla tabella I di cui all’art. 14 del medesimo Testo Unico[8].
A ciò si aggiunga che il quarto comma individua una seconda ipotesi di fatto di non lieve entità avente, però, ad oggetto le c.d. “droghe leggere” ovvero quelle sostanze stupefacenti ricomprese nella tabella II, sezioni A, B, C e D, limitatamente a quelle indicate nel n. 3-bis), lett. e) del primo comma dell’art. 14[9].
L’analisi dell’art. 73 co. 5 del Testo Unico Stupefacenti
Successivamente il concetto di «dose media giornaliera» venne sostituito da quello di principio attivo contenuto all’interno della sostanza stupefacente ovvero quel componente chimico che attribuisce capacità drogante alla predetta sostanza.
In ossequio al principio di offensività, solo la detenzione, la coltivazione o la vendita nonché tutte le condotte elencate dall’art. 73, co. 1 del Testo Unico Stupefacenti aventi ad oggetto sostanze contenenti una quantità sufficiente di principio attivo possono essere considerate penalmente rilevanti. Invero, il legislatore ha voluto graduare le sanzioni penali in base all’insidiosità e alla pericolosità della sostanza sulla base della presenza di una maggiore o minore quantità di principio attivo.
A fianco delle condotte di non lieve entità di cui sopra troviamo, infatti, la previsione di cui all’art. 73 co. 5 del Testo Unico Stupefacenti, la quale prevede e punisce la coltivazione, la produzione, la fabbricazione, la raffinazione, la vendita, la cessione, la distruzione e il commercio di sostanze stupefacenti di lieve entità.
A ben vedere, la norma – introdotta dall’art. 14 della legge 26 giugno 1990, n. 162[10] e poi sostituita dall’art. 1, co. 24-ter, lett. a) della legge 16 maggio 2014, n. 79 di conversione del D.l. 20 marzo 2014, n. 36, legge che individua la versione tutt’oggi vigente – precedentemente era considerata circostanza attenuante. Ora è pacificamente ritenuta dalla giurisprudenza fattispecie di reato autonomo[11] e richiama tutte le condotte criminose dettate dai precedenti commi dell’art. 73 T.U. Stupefacenti[12], tra cui, in particolare, il primo e il quarto comma.
Ciò premesso, si dica che il quinto comma dell’art. 73 punisce con pene meno severe, salvo che il fatto costituisca più grave reato, tutte le condotte di cui al precedente comma 1 qualora per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze sono da ritenersi di lieve entità. Affinché si possa parlare di fatto di lieve entità è tuttavia necessario che le condotte di vendita, cessione o detenzione, ovvero le azioni elencate nel primo comma dell’art. 73 del Testo Unico Stupefacenti, abbiano ad oggetto una quantità di sostanza stupefacente inferiore alla soglia della modica quantità e del pari che sia possibile affermare la minore offensività della condotta considerata nel suo complesso.
La giurisprudenza più rilevante
Analizzata l’evoluzione normativa del concetto di «modesto quantitativo» di stupefacenti, si prendano ora in considerazione alcune pronunce di rilievo della Suprema Corte.
Circa un primo profilo d’indagine, i giudici di legittimità sono intervenuti in un caso in cui la corte territoriale aveva escluso il fatto di lieve entità limitandosi a fare riferimento al quantitativo lordo dello stupefacente detenuto, pronunciando il seguente principio di diritto:
«Ai fini dell’esclusione della fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nell’ipotesi in cui l’unico indice ostativo sia costituito dal dato ponderale della sostanza stupefacente non si può prescindere dalla valutazione dell’entità del principio attivo presente nel reperto»[13].
Un secondo profilo d’interesse attiene alla questione se sia possibile ritenere integrata la fattispecie di cui al comma quinto ove l’agente abbia posto in essere una pluralità di condotte di cessione di sostanze reiterate nel tempo. La Corte di Cassazione nella sentenza n. 29250 del 2010[14] ha statuito come sia illegittimo non ritenere integrata tale fattispecie sulla base del mero presupposto che l’agente abbia posto in essere una pluralità di azioni, senza valutare i sopracitati parametri (quantità e qualità della sostanza, modalità e finalità della condotta).
Infatti, sul presupposto che è sempre necessario effettuare un accertamento fattuale che tenga conto di tutti i requisiti, il Tribunale Supremo con la sentenza n. 51063 del 2018[15] ha osservato che:
«In materia di sostanze stupefacenti, la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, 5° comma, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 non può essere di per sé esclusa in ragione della diversa tipologia di sostanze stupefacenti detenute».
Da ultimo, la giurisprudenza ha preso in considerazione le ipotesi di coltivazione non autorizzata di piante. A tal proposito, la Corte di Cassazione ha affermato che il giudice di merito, al fine di ritenere sussistente o meno la fattispecie di cui all’art. 73 co. 5, deve tenere in debito conto il principio attivo ricavabile dalla pianta nonché l’apparente destinazione ad uso personale per tipo, qualità, quantità e livello di produzione[16]. Invero, recentemente, i giudici di legittimità hanno sancito che:
«In tema di reati riguardanti gli stupefacenti, non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto»[17].
Informazioni
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[1] L’articolo 12 della legge n. 685 del 1975 dettava quanto segue: la tabella I includeva l’oppio, i materiali da cui possono essere ottenute le sostanze oppiacee naturali, le foglie di coca e le sostanze di tipo anfetaminico; la tabella II comprendeva la cannabis; la tabella III annoverava le sostanze di tipo barbiturico; la tabella IV elencava le sostanze di corrente impiego terapeutico, per le quali sono stati accertati concreti pericoli di induzione di dipendenza.
[2] Una risalente pronuncia del 1986 (Cass., pen., sent. 28/11/1986 in Riv. Pen., 1988, p. 92) aveva in proposito affermato che: «Il concetto di modica quantità di sostanza stupefacente, stante l’eguale terminologia adoperata negli art. 72 e 80 l. 22 dicembre 1975, n. 685 ed in assenza di una differenziazione legislativa, deve essere inteso in modo unitario ed identificato nell’accezione di quantitativo esiguo, modesto, sufficiente ad appagare le esigenze di un normale tossicodipendente per una durata massima di due o tre giorni; non si può trarre argomento dall’art. 43 della stessa legge per dedurre una durata di otto giorni, o comunque maggiore di quella sopra indicata, non solo perché la citata norma non fa menzione di “modica quantità”, ma anche perché essa è deputata a disciplinare l’uso delle sostanze stupefacenti e psicotrope a fini terapeutici, che sono diametralmente opposti a quelli perseguiti dal tossicodipendente che alimenta il proprio vizio».
[3] La norma prevede adesso le c.d. sanzioni amministrative: «1. Chiunque, per farne uso personale, illecitamente importa, acquista o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope in dose non superiore a quella media giornaliera, determinata in base ai criteri indicati al comma 1 dell’art. 72-quater, è sottoposto alla sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida, della licenza di porto d’armi, del passaporto e di ogni altro documento equipollente o, se trattasi di straniero, del permesso di soggiorno per motivi di turismo, ovvero del divieto di conseguire tali documenti, per un periodo da due a quattro mesi, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle I e III previste dall’art. 12, e per un periodo da uno a tre mesi, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle II e IV previste dallo stesso art. 12. Competente ad applicare la sanzione amministrativa è il prefetto del luogo ove è stato commesso il fatto. 2. Se i fatti previsti dal comma 1 riguardano sostanze di cui alle tabelle II e IV e ricorrono elementi tali da far presumere che la persona si asterrà, per il futuro, dal commetterli nuovamente, in luogo della sanzione, e per una sola volta, il prefetto definisce il procedimento con il formale invito a non far più uso delle sostanze stesse, avvertendo il soggetto delle conseguenze a suo danno».
[4] Di rilevanza il primo e il quinto comma della disposizione: «1. Chiunque intenda coltivare, produrre, fabbricare impiegare, importare, esportare, ricevere per transito, commerciare a qualsiasi titolo o comunque detenere per il commercio sostanze stupefacenti o psicotrope, comprese nelle tabelle di cui all’articolo 14 deve munirsi dell’autorizzazione del Ministero della sanità. […] 5. Il Ministro della sanità, nel concedere l’autorizzazione, determina, caso per caso, le condizioni e le garanzie alle quali essa è subordinata, sentito il Comando generale della Guardia di Finanza nonché, quando trattasi di coltivazione, il Ministero dell’agricoltura e delle foreste».
[5] Tale decreto viene emanato di concerto con il Ministro della Giustizia sentita la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento nazionale per le politiche antidroga.
[6] In questa ultima ipotesi, le pene suddette sono diminuite da un terzo alla metà.
[7] Per un approfondimento, si veda il seguente articolo La coltivazione di sostanze stupefacenti – DirittoConsenso .
[8] Tra queste sono ricomprese, ad esempio, l’oppio, la cocaina e le amfetamine.
[9] Tra queste troviamo ad esempio le sostanze stupefacenti del tipo marijuana.
[10] Il quale prevedeva che «quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’articolo 12, ovvero le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da lire due milioni a lire venti milioni se si tratta di sostanze di cui alle tabelle II e IV».
[11] Vedi Cass., pen., sez. VII, sent. 26/01/2018, n. 22398, in CED Cassazione, 2018.
[12] Per un approfondimento sull’art. 73 del Testo Unico Stupefacenti si legga l’articolo pubblicato il giorno 5 maggio 2020: Art. 73 DPR 309/90: le condotte punite – DirittoConsenso.it .
[13] Cass., pen., sez. IV, sent. 09/05/2018, n. 24509 in CED Cassazione, 2018.
[14] Cass., pen., sez. VI, sent. 01 luglio 2010, n. 29250 in CED Cassazione, 2010.
[15] Cass., pen., sez. Un., sent. 27/09/2018, n. 51063 in Foro It., 2019, p. 82.
[16] Cass., pen., sez. IV, sent. 05/07/2017, n. 50970 in CED Cassazione, 2017.
[17] Cass., pen., sez. VI, sent. 20/01/2022, n. 2388 citata da Scarcella, Coltiva marijuana sul balcone: nessun reato, in Leggi d’Italia Legale, 2022.

Serena Ramirez
Ciao, sono Serena. Classe 1996, torinese e di origini sudamericane, laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Torino. Dai primi anni di studio sono appassionata al diritto penale e, avendo trascorso sei mesi di mobilità all'estero, anche al diritto internazionale. Mi piace descrivermi come una persona determinata, curiosa, tenace e perseverante.