Con il termine inflazione si indica, in economia, l’aumento prolungato del livello medio dei prezzi. Recentemente si è sviluppata una derivata di questo fenomeno, la shrinkflation, con cui si cerca di raggirare il consumatore incidendo sulla quantità del bene piuttosto che sul suo prezzo

 

Inflazione e politica monetaria

In termini generali, l’inflazione (dal latino “inflatio”, ovvero, letteralmente, “gonfiato, aumentato”) è un fenomeno economico che indica l’aumento dei prezzi medi generali di beni e/o servizi.

Ampiamente analizzata da Keynes[1], l’economia moderna ritiene che l’inflazione sia ricollegata a cause eterogenee tra loro. Tutti gli studiosi, tuttavia, concordano su un punto: se è vero che l’inflazione fa parte dei normali cicli di crescita/decrescita economica e, come tale, non rappresenti necessariamente una minaccia allo sviluppo di un paese, è altrettanto vero che, al fine di non sfociare nella patologia, le spinte inflazionistiche debbano essere contenute al di sotto di specifici limiti, individuati, all’interno dei diversi ordinamenti nazionali e sovranazionali, dalle rispettive banche centrali.

È indubbio che, alla luce della crescita degli ordinamenti internazionali registrata nell’ultimo secolo, le relative istituzioni si trovino innanzi l’arduo compito di monitorare e vigilare sul benessere economico di un vasto numero di nazioni, ciascuna delle quali possiede, come è naturale, le proprie peculiarità. Basti confrontare, tra di loro, il ruolo e il compito che rivestiva la Banca d’Italia negli anni ’90[2] al ruolo e compito dell’odierna Banca Centrale Europea. Se la prima si trovava a dover contenere le spinte inflazionistiche nel perimetro di un’unica nazione, tenendo in considerazione un numero relativamente contenuto di cause e fattori, la BCE deve oggi supervisionare sulla salute dei mercati di 27 Stati diversi. A rendere il tutto più complesso, vi è la circostanza per cui le economie dei 27 Membri sono tra loro interconnesse per via di legami imposti dalla medesima Unione e, di conseguenza, fenomeni inflattivi rischiano di essere amplificati da pericolosi effetti a catena.

La teoria economica ha, nel tempo, rivalutato il ruolo dell’inflazione all’interno dei mercati. Se, in passato, essa era considerata tossica e nociva per le popolazioni che la subivano, ad oggi le principali scuole economiche considerano una moderata quantità di inflazione persino positiva. Per questo motivo, lo scopo della BCE si traduce nel contenere i tassi di inflazione al di sotto di una soglia prestabilita, che, al momento, si attesta al 2%. Tra gli altri, l’attuale capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Oliver Blanchard, ritiene che siffatto tasso potrebbe finanche essere aumentato al 4%, al fine di attribuire alla Banca Centrale un più ampio margine di manovra.

Chiaro è che, laddove l’inflazione sfori vette troppo elevate, essa debba essere contrastata per garantire stabilità economica. I fenomeni di c.d. iperinflazione, infatti, sono universalmente considerati pericolosi, come si è avuto modo di vedere in tempi recenti.

A titolo esemplificativo si citano le pesanti sanzioni economiche irrogate dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti d’America nei confronti della Russia in reazione all’illegittima invasione dell’Ucraina e alla conseguente dichiarazione di guerra, che hanno portato a registrare tassi di inflazione preoccupanti. Basti pensare che, in Russia, il tasso annuale di inflazione dal febbraio 2021 al febbraio 2022 era pari al 9,16% (una cifra comunque rilevante), mentre i dati annuali compresi tra marzo 2021 e marzo 2022 consegnano una percentuale di inflazione del 16,7%[3]. Questi sono, a pieno titolo, fenomeni di iperinflazione e, come naturale conseguenza, comportano il crollo della moneta del paese di competenza, nel quale si è costretti ad effettuare i pagamenti in valute estere (come avvenuto, appunto, in Russia).

Tra i principali motivi che storicamente portano a temere l’inflazione vi è, in primis, la perdita di potere di acquisto. Ciò significa che, a parità di moneta, è possibile acquistare una quantità inferiore di beni e/o servizi. Tutto questo incide pesantemente sulla capacità di spesa della popolazione, in particolare del ceto medio-basso (solitamente il più provato nei periodi di fluttuazione economica). Una minore spesa da parte dei consumatori si traduce in una perdita per le aziende produttrici, innescando un pericoloso domino che mette in crisi la curva di crescita di una economia, rallentandola o invertendola.

 

La shrinkflation

Come più volte affermato, l’inflazione non è temuta solamente dai consumatori, ma anche dai produttori. Luigi Einaudi definiva l’inflazione come la più iniqua delle tasse, in quanto accentua le già esistenti differenze tra ceti. Ed infatti in periodi di inflazione il ceto medio deve fare i conti con una diminuzione della propria ricchezza che porta inevitabilmente a tagliare fuori dal proprio paniere di beni i prodotti non essenziali.

Ciò si traduce in importanti perdite di volumi di vendita per le aziende che, oltre all’aumento dei prezzi, devono altresì fare i conti con l’incremento dei costi di produzione. Le materie prime e i costi di trasporto, in genere, sono le prime voci che subiscono un rialzo in periodi di inflazione e ciò comporta una ulteriore diminuzione dei profitti per le aziende, già provate da una contrazione delle vendite (determinata, appunto, dall’inflazione).

Al fine di evitare parentesi di crisi dalle quali non sempre è possibile fuoriuscire, le imprese hanno recentemente riformulato la logica di funzionamento dell’inflazione a loro favore. Si badi bene, l’equilibrio su cui la shrinkflation influisce è sempre il medesimo e tiene conto di due variabili: quantità del prodotto/servizio e prezzo praticato. Il produttore sfrutta l’effetto psicologico del prezzo a proprio vantaggio.

È risaputo, difatti, che il consumatore è tendenzialmente sensibile ai rincari, essendo alla costante ricerca dell’occasione da sfruttare. Di conseguenza, il produttore si astiene dall’intervenire sul prezzo, decidendo di alterare l’equilibrio prima richiamato in altro modo: in questo caso, viene offerta una quantità inferiore di prodotto per il medesimo prezzo, il che equivale, in termini puramente logici, alla vendita della medesima quantità di prodotto ad un prezzo superiore.

Più in generale, mediante la shrinkflation (dall’inglese “shrink”, ovvero, letteralmente, “restringersi”) il produttore raggira il consumatore, contando sulla fiducia che l’acquirente nutre nei confronti di parte venditrice.

La domanda che sorge spontanea concerne la liceità di questo comportamento. E a tal proposito, il legislatore ha avuto modo di esprimersi in passato, mediante appositi interventi normativi. Con il decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, difatti, è stato promulgato il c.d. Codice del Consumo, un insieme di regole volte a tutelare, appunto, la categoria del consumatore[4] (talvolta indicato anche come utente, ovvero “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”, art. 3 cod. cons.).

Nello specifico, il Codice fa riferimento, tra le altre, anche alle c.d. pratiche commerciali scorrette (latu sensu[5]). Con pratica commerciale si intende, ad oggi, “qualsiasi azione, omissione, condotta, dichiarazione o comunicazione commerciale, ivi compresa la pubblicità diffusa con ogni mezzo (incluso il direct marketing e la confezione dei prodotti) e il marketing, che un professionista pone in essere in relazione alla promozione, alla vendita o alla fornitura di beni o servizi ai consumatori”.

Quella della shrinkflation potrebbe, a pieno titolo, rientrare tra le pratiche commerciali ingannevoli[6], ovvero “idonee a indurre in errore il consumatore medio, falsandone il processo decisionale”. L’induzione in errore può riguardare il prezzo, la disponibilità sul mercato del prodotto, le sue caratteristiche, i rischi connessi al suo impiego (cfr. artt.[7] 21-23 Cod. Cons.).

Contro siffatte pratiche, le associazioni dei consumatori sono solite muovere censure nei confronti dell’autorità Antitrust[8], riservandosi la possibilità di denunciare il fatto presso la competente Procura della Repubblica. L’autorità può, tra le altre, comminare sanzioni pecuniarie (la cui corposità è commisurata alla gravità della violazione) oltre ad imporre la cessazione della condotta censurata.

 

Conclusioni

Ogni consumatore ha vissuto, nella propria esperienza, episodi di shrinkflation. Dai noti casi delle confezioni di patatine “ripiene” d’aria, ai contenitori dei detersivi di dimensioni eccessive (proprio al fine di dare l’impressione che gli stessi contengano una quantità maggiore di prodotto). Si badi bene, non è corretto né giusto colpevolizzare le sole imprese: i produttori sono costretti a adottare queste strategie per affrontare cicli economici avversi e tutelare la solidità aziendale anche al fine di evitare il ricorso a meccanismi di ammortizzazione sociale come la cassa integrazione guadagni. È compito delle istituzioni pianificare strategie di ripresa economica che tutelino, al contempo, produttori e consumatori.

Ciò detto, è giusto e necessario denunciare le pratiche scorrette, affinché il mercato possa essere epurato da strategie di questo tipo, bandendole definitivamente nel nome della trasparenza e della correttezza a tutto vantaggio dei consumatori.

Informazioni

Il contratto e il fatto illecito, E. Lucchini Guastalla, 2020, Giuffrè Editore

[1] Padre della macroeconomia e considerato il più influente tra gli economisti del XX secolo.

[2] Il riferimento non è casuale: l’Italia, storicamente, ha adottato il meccanismo della scala mobile (abbandonato nel 1992), indicizzando i salari al tasso di inflazione. Questa strategia si è rivelata, negli anni, fallimentare: in una economia che stenta a crescere significativamente (ovvero in cui non aumenta in maniera apprezzabile la produttività) lo scatto automatico della scala mobile (cioè l’incremento salariale conseguente alla variazione dei prezzi) genera un aumento della moneta circolante cui non corrisponde una crescita della ricchezza prodotta, innescando, così, una spirale inflazionistica. Nel contesto italiano, dunque, la scala mobile finì per favorire l’inflazione, in luogo di combatterla.

[3] Dati forniti da https://www.inflation.eu/it/tassi-di-inflazione/russia/attuale-cpi-inflazione-russia.

[4] Sulla tutela del consumatore, più nello specifico, si rimanda ad un articolo pubblicato sul sito di DirittoConsenso: La tutela dei diritti dei consumatori – DirittoConsenso.

[5] Ovvero, in senso lato.

[6] A queste si alternano le pratiche commerciali aggressive, che si caratterizzano mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o ad un indebito condizionamento, e che limitano o sono idonee a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo inducono o sono idonee ad indurlo ad assumere una decisione commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Per un approfondimento rinvio alla lettura di quest’altro articolo pubblicato su DirittoConsenso: La tutela della concorrenza e del mercato: uno sguardo alla normativa – DirittoConsenso .

[7] Confronta con gli articoli.

[8] L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), è un’autorità amministrativa indipendente italiana, istituita dalla Legge 10 ottobre 1990, n. 287. Ha funzione di tutela della concorrenza e del mercato ed è informalmente conosciuta semplicemente come Antitrust.