Il rito del lavoro è un rito speciale a cognizione piena avente delle caratteristiche peculiari rispetto al rito ordinario. Tuttavia, è afflitto dalle stesse problematiche di cui il sistema processuale italiano soffre da anni

 

Il rito del lavoro: un rito speciale a cognizione piena

Quando si parla di “rito lavoro” si ha l’idea di essere di fronte ad un tertium genus – una terza categoria di processo rispetto a quello civile e penale. In realtà esso si innesta all’interno della grande famiglia dei processi a cognizione piena di matrice civilistica, anche se è caratterizzato dalla specialità del rito. Per questo, alla domanda “cos’è il rito lavoro?” bisogna rispondere “un rito speciale a cognizione piena”.

Infatti, la peculiarità dei diritti soggettivi che sorgono nell’ambito laburistico necessita di una tutela “speciale”, attuabile attraverso la costruzione di un modello procedimentale parzialmente differenziato rispetto a quello tradizionale caratterizzante il processo di ordinaria cognizione (artt. 163-408 c.p.c.).

Da ciò si ricava che la specialità rispetto al processo ordinario, è data dalla differenziazione del rito e cioè delle regole procedimentali, e non dall’appartenenza ad una diversa categoria procedimentale.

La cognizione piena del rito, invece, sta ad indicare la capacità dei provvedimenti emanati dal giudice a formare giudicato sostanziale[1].

Nel corso del tempo il legislatore credendo di migliorare l’efficienza e la rapidità delle decisioni, ha emanato innumerevoli leggi speciali contenenti riti speciali di ogni natura, ottenendo al contrario, un aumento considerevole delle regole procedimentali e di conseguenza un’eccessiva frammentarietà processuale[2]. Proprio al fine di limitare le conseguenze della proliferazione di riti speciali con il d.lgs. n. 150 del 2011[3], il legislatore ha previsto che tutti i riti speciali introdotti nel corso degli anni dovessero essere ricondotti ai tre modelli processuali previsti dal Codice di procedura civile e cioè:

  • rito ordinario,
  • rito del lavoro e
  • rito sommario di cognizione.

 

Tale decisione ha inevitabilmente comportato una notevole estensione dei casi in cui si applica il rito lavoro[4], come ad esempio le controversie in materia di contratti agrari e i procedimenti di impugnazione dei provvedimenti in materia di registro dei protesti.

 

Le caratteristiche principali del rito lavoro                                                                            

Il rito lavoro è sempre stato disciplinato nel Codice di procedura civile dagli articoli 409 a 447, tuttavia la disciplina del codice del 1940 è stata modificata con la legge dell’11 agosto 1973 n.533[5].[6] Questa riforma ha introdotto le tre caratteristiche fondamentali del rito lavoro:

  1. organo monocratico: le controversie previste dall’art.409 c.p.c. sono demandate, in primo grado, alla competenza di un giudice monocratico, a prescindere dal valore e dall’oggetto delle stesse, alimentando la specializzazione nella materia lavoristica e previdenziale dei giudici demandati alla trattazione di queste cause;
  2. processo ispirato ai principi dell’oralità, dell’immediatezza e della concentrazione: tali principi sono finalizzati a garantire la certezza dl diritto e una tutela quanto più immediata in virtù della particolare delicatezza dei diritti in gioco;
  3. sistema rigido di preclusioni: al fine di permettere al giudice di decidere subito dopo il contatto diretto con le parti e l’acquisizione dei mezzi di prova.

 

Perciò, trattandosi di un rito speciale a cognizione piena, si applicano le norme contenute nel primo libro del Codice di procedura civile per tutto quanto non espressamente previsto dal Titolo IV, Libro II dedicato alle controversie in materia di lavoro.

Tali caratteristiche investono tutte le fasi del rito lavoro, il quale si differenzia dal rito ordinario per diversi aspetti:

  1. fase introduttiva: l’atto introduttivo è rappresentato dal ricorso[7] e non dall’atto di citazione, in modo da permettere al giudice e non all’attore di fissare l’udienza di discussione. L’attore, all’atto di deposito, si costituisce in giudizio, per cui non potrà mai essere contumace. In seguito, il codice prevede che il tribunale fissi con decreto l’udienza di discussione nonché il termine entro il quale il ricorrente deve notificare il ricorso e il decreto al convenuto. Quest’ultimo dovrà costituirsi entro 10 giorni[8] dalla data in cui è fissata l’udienza con memoria difensiva, la quale dovrà contenere le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni;
  2. fase di trattazione ed istruttoria: l’art. 420 c.p.c. prevede un’unitaria udienza di discussione che, in virtù del divieto di disporre di udienze di mero rinvio, potrebbe portare alla trattazione e decisione in poche udienze Durante tale udienza, dopo lo svolgimento dell’interrogatorio libero e dell’eventuale tentativo di conciliazione, le parti possono modificare le domande qualora sussistano gravi motivi e se il giudice vi consenta. Il giudice poi, ammette i mezzi di prova richiesti dalle parti nella fase introduttiva ed è proprio in tema di prove che risiede la peculiarità di tale fase. Infatti, ai sensi dell’art.421 c.p.c. il giudice può disporre d’ufficio in qualsiasi momento, l’ammissione di ogni mezzo di prova, anche al di fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché della richiesta di informazioni e osservazioni sia scritte che orali alle associazioni sindacali indicate dalle parti. Ciò ovviamente non significa che il giudice possa ricercare autonomamente le prove, in quanto l’onere di allegazione[9] delle parti è un principio generale che governa il processo civile e anche il rito lavoro. Secondo la giurisprudenza il potere istruttorio d’ufficio nel rito del lavoro non è meramente discrezionale ma costituisce un potere-dovere da esercitare contemperando il principio dispositivo con quello della ricerca della verità[10]:
  3. fase della decisione: ai sensi dell’art.420, 4° comma il giudice perviene alla decisione della causa quando sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali, ovvero quando ritiene la causa matura per la decisione.[11] Il giudice decide con sentenza dando lettura del dispositivo in udienza, mentre la motivazione deve essere depositata entro 15 gg. dalla pronuncia;
  4. appello: si applica in quanto non espressamente derogato la disciplina sulle impugnazioni. Deve essere proposto con ricorso davanti alla corte d’appello territorialmente competente in funzione del giudice del lavoro, ai sensi dell’art.440 c.p.c sono inappellabili le sentenze che hanno un valore di 25,82 euro.

 

Conclusioni

Nonostante la peculiarità dei diritti in gioco e un certo favor che il legislatore nutre nei confronti dei lavoratori la realtà processuale risulta essere molto differente da quanto previsto dalla legge.

Per gli operatori del diritto che lavorano in tale ambito i principi di Chiovendana memoria[12] cui si ispira il rito del lavoro rappresentano una chimera. L’oralità che implica una presenza attiva delle parti nelle aule di tribunale è progressivamente erosa dalla telematicità processuale, pratica che sta riducendo il processo a un mero fatto burocratico. L’immediatezza e la concentrazione sono principi utopici non solo nel rito del lavoro ma in tutto il sistema processuale italiano. Nessun processo, nella storia del diritto si è concluso in una o poche udienze, ma c’è sempre stato bisogno di tempo per far sì che una causa fosse matura.

L’ingolfamento del sistema processuale è sicuramente figlio di una carenza notevole di organico e dal numero davvero irrisorio di giudici che si trovano a dover decidere un numero spropositato di cause.  Orbene, lungi dal volere prospettare soluzione, è necessario comunque sottolineare le problematiche del sistema processuale italiano, di cui il rito lavoro ne è immagine fedele. I tempi processuali devono essere proporzionati all’importanza dei diritti in gioco, così come i magistrati dovrebbero dedicare il giusto tempo ad ogni causa, senza farne una questione di quantità ma ti qualità. Non a caso l’art. 111 Cost. custodisce il principio di ragionevole durata del processo, il quale potrà essere attuato solo nel momento in cui si riuscirà a trovare un equilibrio tra efficienza e giustizia[13].

Bisogna ricordare che dietro i fascicoli che affollano le aule di tribunale c’è la vita e i diritti di milioni di persone e non semplicemente un numero di ruolo da smaltire.

Informazioni

ARIETE G., DE SANTIS F., & MONTESANO L. (2018). Corso base di diritto processuale civile. CEDAM.

DE LUCA M. ( 2013). Diritti dei lavoratori: strumentalità del processo versus declino della tutela giurisdizionale effettiva ( a quarant’anni dalla fondazione del nuovo processo del lavoro). Rivista italiana di diritto del lavoro, 271 ss.

Della Piazza S. (2021). La riforma Cartabia del processo penale e del processo civile. Dirittoconsenso. Link: La riforma Cartabia del processo penale e del processo civile – DirittoConsenso

PISANI C. (2011). Processo del lavoro, allegazione tardiva dei fatti e limiti al potere istruttorio del giudice. Rivista italiana del diritto del lavoro, 207 ss.

Cass. n. 23039/2017 consultabile su https://www.tcnotiziario.it/Articolo/Index?settings=dWp1UjZUQ0F1c1Y1eGFVZHdDSXl5cHZET1Zhd2tUL1AvVjl3dGorUkNXRElFOXI4L2ZhU1Ezcy8ySmNUNXFRRnZaa1NyN0l2aXpOMStyQkNQMVVYd2cwWi9QanJQZkRnMU9YTlpvcEd4Q1hFMUd4RXd6UHY3cWQxbW5vVFFJTEk=

D.lgs. n. 150 del 2011 consultabile qui: DECRETO LEGISLATIVO 1 settembre 2011, n. 150 – Normattiva

Legge dell’11 agosto 1973 n.533 consultabile qui:  LEGGE 11 agosto 1973, n. 533 – Normattiva

[1] A differenza dei procedimenti a cognizione sommaria, disciplinati dal libro IV° del codice di procedura civile, i quali, pur essendo speciali, basandosi su una cognizione sommaria inidonea alla formazione del giudicato sostanziale.

[2] In tal senso ARIETE G., DE SANTIS F., MONTESANO L., Corso base di Diritto Processuale Civile, a cura di Ariete G., De Santis F., VII° ed., p.656.

[3] Consultabile su https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2011-09-01;150~art6 .

[4] Vedi art. 6 ss. d.lgs.150/2011.

[5]  Consultabile su https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1973-08-11;533!vig= .

[6] Per un’analisi critica della riforma del rito lavoro vd. De Luca M. “DIRITTI DEI LAVORATORI: STRUMENTALITÀ DEL PROCESSO VERSUS DECLINO DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE EFFETTIVA (A QUARANT’ANNI DALLA FONDAZIONE DEL NUOVO PROCESSO DEL LAVORO)” in Riv. it. dir. lav., fasc.2, 2013, pag. 271.

[7] Il ricorso deve contenere: indicazione del giudice adito, generalità delle parti, oggetto domanda, esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda, conclusioni, indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti.

[8]  Nel rito ordinario il convenuto ai sensi dell’art.166 c.p.c. deve costituirsi entro 20 gg. dalla data in cui è fissata l’udienza di comparizione nell’atto di citazione notificato.

[9] Per approfondire vd. Pisani C. “PROCESSO DEL LAVORO, ALLEGAZIONE TARDIVA DEI FATTI E LIMITI AL POTERE ISTRUTTORIO DEL GIUDICE” in Riv. it. dir. lav., fasc.2, 2011, pag. 207

[10] Cass. n. 23039/2017 consultabile su https://www.tcnotiziario.it/Articolo/Index?settings=dWp1UjZUQ0F1c1Y1eGFVZHdDSXl5cHZET1Zhd2tUL1AvVjl3dGorUkNXRElFOXI4L2ZhU1Ezcy8ySmNUNXFRRnZaa1NyN0l2aXpOMStyQkNQMVVYd2cwWi9QanJQZkRnMU9YTlpvcEd4Q1hFMUd4RXd6UHY3cWQxbW5vVFFJTEk= .

[11] Con d.lgs. n.40 del 2006 è stato introdotto l’art. 420-bis. La presente norma disciplina l’ipotesi in cui, per decidere una delle controversie individuali di lavoro elencate all’art. 409 del c.p.c., si renda necessario risolvere preliminarmente (in via pregiudiziale) una questione relativa ad efficacia, validità o interpretazione di clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale. La possibilità di tale accertamento pregiudiziale non rappresenta una novità per l’ordinamento italiano, in quanto costituisce, in un certo senso, la generalizzazione dell’art. 64 del D.Lgs. 30.3.2001, n. 165, norma che, limitatamente al settore pubblico, aveva introdotto una particolare forma di accertamento preventivo sulla validità, efficacia ed interpretazione dei contratti collettivi nazionali, prevedendo l’emanazione di una sentenza non definitiva da parte del giudice di merito, impugnabile solo con ricorso immediato per cassazione (proponibile anche dall’Aran), con automatica sospensione del giudizio di merito.

[12] Ci si riferisce alle idee di Giuseppe Chiovenda. Per approfondire la sua figura vd. https://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-chiovenda_%28Dizionario-Biografico%29/ ove si può leggere: “Il C. vedeva nella organizzazione del processo “l’intero problema del rapporto fra lo Stato e il cittadino”; problema da risolvere facendo sì “che il giudice, come organo dello Stato. non debba assistere passivamente alla lite … ma debba partecipare alla lite come forza viva e attiva”, non già in quanto dotato di poteri equitativi, ma in quanto investito della direzione del processo (dei suoi tempi, delle modalità, delle attività probatorie) e della iniziativa e dell’impulso processuale. l C. propugnava un codice processuale civile completamente nuovo ed imperniato non sui principi del processo liberale napoleonico, bensì su quelli del processo austriaco del Klein. Poiché negli anni immediatamente precedenti la guerra l’interesse per il processo austriaco e la sua adozione come modello si verificarono anche in Germania, occorre ricordare quanto segue. Il momento politico del C. si verificò nel 1918, quando fu istituita la Commissione per il dopo guerra, nel cui ambito egli venne chiamato a presiedere il gruppo per gli studi processuali; in pochi mesi preparò un progetto di riforma del procedimento civile, in duecentoquattro articoli raggruppati in cinque’titoli, ed una dotta relazione. Il modello ispiratore era: il processo austriaco. La riforma progettata dal C. non fu attuata”; per sintetizzare le idee processuali di Chiovenda vd. Chiovenda G. in ISTITUZIONI DI DIRITTO PROCESSUALE CIVILE, p.42 ove si legge: “Il processo deve dare, per quanto è possibile, praticamente a chi ha un diritto, tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire”.

[13] Per approfondire vd.  Della Piazza S., “La riforma Cartabia del processo penale e del processo civile” in La riforma Cartabia del processo penale e del processo civile – DirittoConsenso