L’iter di restituzione della Venere di Cirene alla Libia: tra diritto internazionale e interessi degli Stati coinvolti

 

Ricostruzione breve della storia della Venere di Cirene

La Venere di Cirene (nota anche come Venere Anadiomene) è una statua di inestimabile valore. La storia del suo ritrovamento è incredibile.

In breve:

  • Viene ritrovata nel 1913 da soldati italiani in Libia (ma allora territorio dell’Impero Ottomano) a seguito di un forte temporale che si era abbattuto sull’accampamento militare italiano di Cirene;
  • La scultura viene sistemata nel ricovero del comando e trasportata a Bengasi per essere restaurata. Successivamente viene portata in Italia nel 1915[1] ed esposta al Museo nazionale romano;
  • Negli anni 80 si accende[2] la questione della restituzione della statua[3];
  • Agli inizi del 2000, Muammar Gheddafi richiede la Venere di Cirene in base a un accordo bilaterale firmato nel 1998 dal Ministero degli esteri Lamberto Dini sulla restituzione “di tutti i manoscritti, i manufatti, i documenti, i monumenti e i reperti archeologici portati in Italia durante e dopo la colonizzazione della Libia ai sensi della Convenzione dell’UNESCO del 1970 sui mezzi per vietare e prevenire l’importazione, l’esportazione e il trasferimento illeciti di proprietà di beni culturali”;
  • Viene restituita alla Libia nel 2008[4] dopo che la statua, dismessa dal demanio pubblico il 1 agosto 2002 con un decreto del Ministero per i beni e le attività culturali, è stata al centro di un dibattito in cui si è pronunciato il TAR del Lazio[5];
  • Nell’agosto del 2015 la Venere di Cirene viene data per persa.

 

Il caso della Venere di Cirene ha fatto risollevare vecchie questioni sui beni culturali

La vicenda della Venere di Cirene induce a fare varie considerazioni. Alcune di queste sono solo parzialmente presenti nel caso discusso presso il TAR e discusso poi dinanzi al Consiglio di Stato.

Partiamo da questa: uno Stato in grado di presentare un legame culturale con un dato bene culturale può non essere lo Stato da cui quel bene proviene? Il caso in questione ci dice di sì: la Libia è lo Stato di provenienza del bene culturale, non l’Italia. Eppure il fatto che il bene culturale fosse una testimonianza romana ha indotto a pensare che l’Italia fosse lo Stato che potesse dimostrare un legame più forte per la cultura romana anziché la Libia per la cultura araba.

La seconda: nell’ottica di comprendere anche il concetto di sovranità del diritto internazionale, quale è lo Stato di origine considerato che al tempo del rinvenimento della Venere di Cirene non esisteva lo stato libico? Si rinvia ad approfondire la condizione della Libia e della Cirenaica dell’inizio del XX secolo. Dal canto suo il Consiglio di Stato ha affermato la legittimità della restituzione della Venere di Cirene perché il territorio dove era stata scoperta non era sotto la giurisdizione italiana e perciò la Venere non apparteneva al patrimonio italiano: questo perché la Cirenaica fu annessa con atto unilaterale[6].

La terza considerazione, ancora più delicata: quanto conta come uno Stato protegga e valorizzi il patrimonio culturale? Questa domanda non ha una risposta certa e questo argomento è di notevole importanza tanto da essere oggetto di discussione in tema di restituzione alla Libia della Venere di Cirene.

 

La pronuncia del TAR – TAR Roma Lazio sez. II del 20 aprile 2007 numero 3518

Per quanto riguarda la questione della responsabilità dello Stato, si segnala che, intraprendendo la restituzione della Venere di Cirene, il Governo italiano si è attenuto al principio di diritto internazionale secondo cui la commissione di un illecito attraverso l’occupazione militare comporta un obbligo di riparazione al fine di ristabilire la situazione che esisteva prima che l’atto illecito fosse commesso. La restituzione dei beni indebitamente sequestrati è il primo rimedio a disposizione di uno Stato per violazione del divieto dell’uso della forza[7].

Sempre in tema di responsabilità dello Stato, il TAR ha stabilito che l’Italia era obbligata a restituire lo statuto alla Libia sulla base del Comunicato Congiunto del 1998 e dell’Accordo del 2000. Il TAR non solo ha ritenuto che tali accordi bilaterali fossero validi e vincolanti, ma anche che reiterassero obblighi già incombenti allo Stato italiano in base al diritto internazionale consuetudinario. In particolare, il TAR ha richiamato la norma consuetudinaria che sancisce la ricostituzione del patrimonio culturale nazionale mediante la restituzione delle opere d’arte sottratte durante l’occupazione militare e il dominio coloniale, come presente:

  • all’articolo 56 dei Regolamenti in materia di leggi e usi di guerra terrestre, allegati alla Convenzione dell’Aia (II) relativa alle leggi e agli usi di guerra terrestre del 29 luglio 1899 e
  • all’articolo 46 dei Regolamenti in materia di leggi e usi di guerra terrestre, allegati alla Convenzione dell’Aia (IV) relativa alle leggi e agli usi di guerra terrestre del 18 ottobre 1907 e
  • dell’articolo 1 del primo protocollo alla Convenzione dell’Aia per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato del 14 maggio 1954 e
  • all’articolo 15 della Convenzione di Vienna sulla successione degli Stati riguardo alla proprietà di Stato, gli archivi e i debiti del 1983.

 

Sempre il TAR rigetta la questione più delicata: afferma cioè che la Libia avesse un legame con la Venere e che la restituzione non dovesse essere considerata come un impoverimento del patrimonio italiano ma un precedente fondamentale per il contrasto illecito dei beni culturali.

 

La pronuncia del Consiglio di Stato – Consiglio di Stato sez. VI del 23 giugno 2008 numero 3154

Il Consiglio di Stato si è pronunciato con una maggiore enfasi sul diritto consuetudinario internazionale stabilendo il collegamento con l’articolo 10 della Costituzione[8]. Il ricorso al diritto internazionale consuetudinario deve essere ricondotto sia al fatto che l’Italia si è posta come uno degli Stati più impegnati nella lotta al traffico illecito dei beni culturali[9] sia per il fatto che ricorrere al diritto consuetudinario avesse una base più solida rispetto al singolo trattato tra Italia e Libia.

Il Consiglio di Stato ha stabilito che l’obbligo internazionale che imponeva la restituzione dei beni culturali presi indebitamente in tempo di guerra o di occupazione coloniale era il corollario dell’interazione tra due principi di diritto internazionale generale[10], vale a dire:

  • il principio che vieta l’uso della forza – sancito dall’articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite – e
  • il principio di autodeterminazione dei popoli[11] – sancito dagli articoli 1, comma 2, e 55 della Carta delle Nazioni Unite.

 

Su quest’ultimo principio, il Consiglio di Stato ha inoltre ricordato che il principio di autodeterminazione dei popoli era arrivato a comprendere l’identità culturale, nonché il patrimonio culturale legato o al territorio di uno Stato sovrano o a popoli soggetti a un governo straniero. Di conseguenza, la restituzione delle opere d’arte è servita alla salvaguardia di tali legami culturali ogni volta che questi sono stati compromessi da atti di guerra o dall’uso della forza derivante dalla dominazione coloniale. Rientra qui pertanto il caso della Venere di Cirene.

Infine, rispetto al problema dell’inalienabilità, il Consiglio di Stato ha affermato che il decreto ministeriale del 2002 rifletteva un obbligo internazionale vincolante e quindi prevaleva su norme interne contrastanti, anche se formalmente superiori gerarchicamente. Per lo stesso motivo, ha respinto la tesi dell’associazione Italia Nostra secondo cui la rimozione della statua dal patrimonio dello Stato avrebbe reso necessaria l’emanazione di una legge specifica.

 

Conclusione: tra interpretazione del diritto e una triste realtà

Tra disposizioni che si susseguono, principi vecchi e nuovi e motivazioni di indirizzo politico il caso della Venere di Cirene ha suscitato grande interesse tra gli studiosi. Che si tratti di uno straordinario precedente oppure di un indirizzo giurisprudenziale che rimarrà sconosciuto non è facile dirlo.

È notevole però il riconoscimento che qualcosa si stia muovendo dal punto di vista del riconoscimento di consuetudini internazionali. In particolare:

  • il principio di non sfruttamento della debolezza di un altro soggetto per ottenere un guadagno culturale, che si applica a situazioni di guerra, di dominazione coloniale, di occupazione straniera o che coinvolgono popolazioni indigene;
  • il principio della conservazione dell’integrità dei contesti culturali, che è profondamente radicato nella natura del patrimonio culturale; e
  • il principio della cooperazione internazionale nell’affrontare le questioni sulla restituzione dei beni culturali, che dovrebbe regolare i rapporti tra gli Stati di origine e gli Stati di destinazione dei beni culturali.

 

Al tempo stesso ci sono domande che non trovano ancora risposte univoche: come tutelare al meglio un bene culturale? È sempre facile dimostrare un legame di un bene con lo Stato di provenienza? E i trattati bilaterali sono le migliori forme di tutela del patrimonio culturale?

Questo caso ha purtroppo una punta d’amaro. La restituzione della statua infatti è stata fatta ad uno Stato che in pochi anni è sprofondato nel baratro della guerra civile dopo la morte di Gheddafi. Così, ad oggi, la statua si pensa sia andata perduta. Se così fosse, si spera ovviamente il suo ritrovo al più presto.

Informazioni

Scovazzi, T. (2009) ‘La restituzione dell’obelisco di Axum e della Venere di Cirene’.

Scovazzi, T. (2009) ‘The Return of the Venus of Cyrene’, Art Antiquity and Law, 14(4), pp. 355–358.

Scovazzi, T. (2014) ‘Analisi e significato della pratica italiana’, in La restituzione di beni culturali rimossi con particolare riguardo alla pratica italiana, , Giuffrè Editore, pp. 137-141

Troilo, S. (2018) ‘Casta e bianca. La Venere di Cirene tra Italia e Libia (1913- 2008)’, Memoria e ricerca.

Chechi, A. (2008) ‘Return of Cultural Objects Removed in Times of Cultural Domination and International Law: The Case of the Venus of Cyrene, The’, Italian Yearbook of International Law, 18, pp. 159–182.

https://en.unesco.org/fighttrafficking/icprcp

http://www.dirittoconsenso.it/2021/03/22/mercato-illecito-beni-culturali/

http://www.dirittoconsenso.it/2020/03/05/il-traffico-illecito-di-beni-culturali/

[1] La Venere viene trasferita da Bengasi a Roma seppur in contrasto con la legge organica di tutela promulgata nel 1909 ed estesa a partire dal 1912 alle terre conquistate: la Venere è troppo preziosa per essere lasciata in Libia. Il valore, la bellezza e il fascino della statua tra l’altro vennero immediatamente riconosciuti anche all’epoca del suo ritrovamento: l’immagine della Venere di Cirene tra gli anni 20 e 30 del secolo scorso venne usata per francobolli, cartoline e nella pubblicità.

[2] Il contesto infatti è molto diverso: ci sono trattati internazionali che richiamano alla non distruzione dei beni culturali e alla restituzione dei beni illecitamente esportati e saccheggiati. Per una visione dei trattati internazionali più importanti sulla protezione dei beni culturali rimando ad un altro articolo che ho scritto per DirittoConsenso: http://www.dirittoconsenso.it/2020/05/21/unesco-trattati-contro-traffico-illecito-beni-culturali/ .

[3] Italia e Libia si impegnarono a risolvere la questione attraverso negoziati bilaterali. Tuttavia, visti i numerosi problemi lasciati irrisolti dopo la fine dell’occupazione coloniale italiana e gli alti e bassi nelle relazioni italo-libiche, i negoziatori hanno dovuto prima risolvere altri problemi prima di discutere il destino della statua. Pertanto, non dovrebbe sorprendere che il Comunicato congiunto del 1998 contenesse le scuse del governo italiano per le sofferenze causate al popolo libico a causa della colonizzazione italiana e, inoltre, si impegnasse ad avviare una nuova era di rapporti amichevoli e costruttivi relazioni. Inoltre, prevedeva un’ampia cooperazione interstatale nei settori del commercio, dell’industria, dell’energia, della difesa, del disarmo, della lotta al terrorismo e dell’immigrazione clandestina.

[4] È dello stesso anno il noto “Trattato d’amicizia e di collaborazione” tra Italia e Libia.

[5] Per farla molto breve: l’associazione Italia Nostra, nata nel 1955 per “concorrere alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio storico artistico e culturale della Nazione”, fece ricorso al TAR del Lazio contro il decreto del 2002 appellandosi ad alcuni principi di natura giuridica e culturale. Oltre ad opporsi alla modalità di dismissione della statua, l’associazione contestò il riferimento contenuto nel decreto alla sua necessaria ricollocazione nel contesto culturale di appartenenza (la Libia) e indicò nella restituzione della Venere un precedente negativo per la salvaguardia dell’integrità del patrimonio storico-artistico nazionale. Di diverso parere fu il Ministero dei beni e delle attività culturali che, in una nota depositata al TAR nel dicembre del 2002, dopo aver ripercorso il contesto di guerra e occupazione in cui il trasferimento della scultura avviene, stabilì: “l’opera non può essere considerata una testimonianza esclusiva del popolo italiano e, comunque, la ricollocazione nel luogo di provenienza non determina la compromissione della sua conservazione o fruibilità”. Per l’esattezza, il TAR rigettò il ricorso di Italia Nostra il 20 aprile 2007 in cui sottolineò, oltre all’esistenza di una giurisprudenza ormai consolidata sul tema delle restituzioni, quella di un solido vincolo tra la statua e il contesto culturale libico, espresso ad esempio dai siti scavati dagli stessi italiani: Sabratha e Leptis Magna in primo luogo.

[6] Una ricostruzione del Trattato di pace di Ouchy tra l’Italia e l’Impero Ottomano richiederebbe molto tempo: basta qui dire che i termini del trattato appaiono ambigui per la sovranità di entrambe le parti sulla Libia. In più bisogna dire che se il trattato di Ouchy è del 18 ottobre 1912, l’Italia aveva dichiarato un’annessione della Cirenaica in modo unilaterale il 5 novembre 1911.

[7] È solo quando la restituzione è impossibile o inadeguata che gli Stati possono ricorrere ad altre forme di riparazione, inclusa la restituzione in natura, il risarcimento e le scuse.

[8] Articolo 10 della Costituzione “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.

La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.

[9] Tanto da parlare dell’Italia come di uno Stato degno di essere leader di una diplomazia culturale.

[10] Principi tra l’altro riconosciuti non solamente dal Consiglio di Stato ma anche dalla Corte Internazionale di Giustizia negli anni 70. Si vedano le Advisory Opinions Legal Consequences for States of the Continued Presence of South Africa in Namibia (South West Africa) Notwithstanding Security Council Resolution 276, e Western Sahara

[11] Su cosa sia il principio di autodeterminazione dei popoli si rinvia all’interessante approfondimento di Angela Federico per DirittoConsenso: http://www.dirittoconsenso.it/2020/07/15/principio-di-autodeterminazione-dei-popoli-profili-attuali/