Le pratiche commerciali ingannevoli sono una sottocategoria delle pratiche commerciali scorrette, e come tali represse e sanzionate dall’ordinamento
La natura delle pratiche commerciali ingannevoli e fonti normative
Una pratica commerciale è, in senso generico, qualsiasi condotta adottata o attività posta in essere da un imprenditore (o professionista[1]) per promuovere, vendere o fornire un proprio prodotto ai consumatori[2]. Per tutelare adeguatamente i consumatori[3], in merito all’adeguatezza di tali pratiche e al loro corretto ed ordinato svolgimento, si è resa necessaria però una puntuale regolamentazione.
Difatti, in ottemperanza alla direttiva 84/450/CEE, è stato emanato nel 1992 in D. lgs. N. 74, il quale è poi stato aggiornato nel D. lgs n. 145/2007, per ciò che attiene specificamente alla pubblicità ingannevole e alla pubblicità comparativa illecita.
Tale emanazione normativa ha costituito una prima cornice di tutela per i consumatori dalle pratiche commerciali ingannevoli, stante l’inadeguatezza della già presente normativa sulla concorrenza sleale. Essa infatti è posta a tutela non già dei consumatori e delle proprie scelte, ma del corretto svolgimento della concorrenza tra gli stessi imprenditori. La normativa sulle pratiche commerciali, invece, sebbene dapprima frammentata, è stata poi riunita ed integrata sotto il cappello di una più generale regolamentazione volta a reprimere le pratiche commerciali scorrette tra imprese e consumatori, ossia dagli articoli dal 18 al 27 quater del Codice del Consumo[4].
In definitiva, pertanto, ad oggi la tutela dei consumatori dalle pratiche commerciali illecite è specificamente disposta dall’ordinamento statale, e le condotte dei professionisti sono valutate dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato[5] (c.d. AGCM), in qualità di controllo amministrativo[6].
Le pratiche commerciali scorrette, che l’ordinamento ha interesse a reprimere, sono pertanto caratterizzate da due elementi principali, che devono sussistere cumulativamente:
- esse sono non conformi al grado di diligenza che il consumatore può legittimamente attendersi essere adottato da parte del professionista, in violazione del principio di buona fede e correttezza;
- esse sono idonee a falsare le scelte che i consumatori compiono, ossia idonee ad indurre il consumatore medio a compiere scelte commerciali che altrimenti non avrebbe effettuato[7].
Il Codice del Consumo, nel rapportarsi alle pratiche commerciali scorrette, individua due gruppi distinti in cui queste possono categorizzarsi. In particolare, costituiscono pratiche commerciali scorrette:
- le pratiche commerciali ingannevoli;
- le pratiche commerciali aggressive.
La definizione di pratica commerciale ingannevole
La categoria delle pratiche commerciali ingannevoli, che rientra nel più ampio novero delle pratiche commerciali scorrette, può essere qualificata come l’insieme di pratiche che sono idonee a trarre il consumatore medio in errore circa elementi essenziali del prodotto che si sta promuovendo o vendendo, e pertanto possono indurlo ad assumere decisioni commerciali che altrimenti non avrebbe assunto[8].
A tal proposto è proprio il Codice del Consumo stesso, all’articolo 21, che offre una specifica definizione di tale condotta, disponendo difatti che “è considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.”[9].
Alcuni degli elementi essenziali di un prodotto che vengono qui in considerazione, ai sensi dell’art. 21 del Codice del Consumo, sono:
- le caratteristiche principali di un prodotto, tra cui la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l’esecuzione, la composizione, gli accessori, l’assistenza post-vendita al consumatore, ecc…;
- il prezzo o il modo in cui questo è calcolato;
- la necessità di una manutenzione, ricambio, sostituzione o riparazione;
- le qualifiche e i diritti del professionista e la portata dei suoi impegni, oltre alla motivazione della pratica commerciale;
- i diritti del consumatore.
Il comma due dell’articolo 21 cod.cons. prosegue poi disponendo che sono altresì qualificate come ingannevoli le pratiche commerciali che generino, in capo al consumatore medio, una confusione tra prodotti, marchi, segni distintivi o denominazione sociale di un concorrente, da valutarsi in base al caso concreto, o che comportino da parte del professionista una violazione del codice di condotta che lo stesso è tenuto a rispettare.
Sono altresì considerate pratiche commerciali ingannevoli anche le c.d. omissioni ingannevoli, disciplinate dettagliatamente all’articolo 22 del Codice del Consumo. Le omissioni ingannevoli consistono in una omissione di informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno per prendere una decisione consapevole di natura commerciale, inducendolo così ad assumere una decisione che altrimenti non avrebbe preso; le omissioni ingannevoli sono oltretutto realizzate quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui si è detto.
L’articolo 23 del Codice del Consumo
Sebbene non esista un elenco chiuso e tassativo di tali pratiche commerciali ingannevoli, per agevolarne l’individuazione, il Legislatore all’articolo 23 del Codice del Consumo ha offerto una elencazione di alcune condotte che si considerano in ogni caso pratiche commerciali ingannevoli.
A titolo esemplificativo, se ne riportano di seguito alcune:
- affermazione non rispondente al vero, da parte di un professionista, di essere firmatario di un codice di condotta;
- esibire un marchio di fiducia, un marchio di qualità o un marchio equivalente senza aver ottenuto la necessaria autorizzazione;
- asserire, contrariamente al vero, che un professionista, le sue pratiche commerciali o un suo prodotto sono stati autorizzati, accettati o approvati, da un organismo pubblico o privato o che sono state rispettate le condizioni dell’autorizzazione, dell’accettazione o dell’approvazione ricevuta;
- invitare all’acquisto di prodotti ad un determinato prezzo e successivamente: rifiutare di mostrare l’articolo pubblicizzato ai consumatori, oppure rifiutare di accettare ordini per l’articolo o di consegnarlo entro un periodo di tempo ragionevole, oppure fare la dimostrazione dell’articolo con un campione difettoso, con l’intenzione di promuovere un altro prodotto;
- dichiarare, contrariamente al vero, che il prodotto sarà disponibile solo per un periodo molto limitato o che sarà disponibile solo a condizioni particolari per un periodo di tempo molto limitato, in modo da ottenere una decisione immediata e privare i consumatori della possibilità o del tempo sufficiente per prendere una decisione consapevole;
- avviare, gestire o promuovere un sistema di promozione a carattere piramidale nel quale il consumatore fornisce un contributo in cambio della possibilità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall’entrata di altri consumatori nel sistema piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti.
La tutela amministrativa dalle pratiche commerciali ingannevoli
Come si è anticipato, l’autorità preposta al monitoraggio delle pratiche commerciali e conseguente repressione di quelle scorrette è l’AGCM. Essa, ai sensi dell’articolo 27 del Codice del Consumo “d’ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse, inibisce la continuazione delle pratiche commerciali scorrette e ne elimina gli effetti”[10]. Inoltre, per lo svolgimento del proprio ruolo l’Autorità può avvalersi di poteri investigativi ed esecutivi, oltre che del supporto della Guardia di finanza.
Tramite l’emanazione di un provvedimento motivato, l’Autorità può disporre la sospensione provvisoria della pratica commerciale reputata illecita, ove vi sia la necessità di agire con urgenza. Altrimenti, sarà necessario aprire un’istruttoria al professionista, raccogliendo le opportune informazioni. Durante lo svolgimento della fase istruttoria, l’Autorità può disporre che il professionista fornisca prove sull’esattezza dei dati di fatto connessi alla pratica commerciale, se tale esigenza appare giustificata dal caso concreto. Sul professionista, invece, incombe l’onere di provare che egli non poteva ragionevolmente prevedere gli impatti della sua pratica commerciale sui consumatori.
Qualora, terminata l’istruttoria, ritenga la pratica commerciale effettivamente ingannevole, l’Autorità ne vieta la diffusione se ancora non è stata portata a conoscenza del pubblico, oppure ne vieta la prosecuzione se questa sia già in essere. L’Autorità può inoltre disporre la pubblicazione della delibera o di un’apposita dichiarazione rettificativa, in modo da impedire che le pratiche commerciali scorrette continuino a produrre effetti.
Per quanto riguarda invece un’eventuale richiesta di risarcimento del danno da parte del consumatore, la competenza a decidere su di essa ricade sul giudice ordinario.
Breve focus sulla pubblicità ingannevole
Si è detto che inizialmente le prime fonti normative in materia concernevano specificamente la pubblicità ingannevole[11]. Ad oggi, alla disciplina pubblicitaria è riservata una normativa speciale che, in ragione della particolare diffusività di tale strumento commerciale, viene posta a tutela dei consumatori.
Nello specifico, il D.lgs. 145/2007 dispone che la pubblicità, per essere legittima, debba essere palese veritiera e corretta, oltre che riconoscibile chiaramente come tale[12]. La legge, nel vietare la pubblicità ingannevole, dispone all’articolo 2 del citato decreto che si considera tale “qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente”[13].
Come per le pratiche commerciali ingannevoli, anche per la pubblicità ingannevole la legge effettua una elencazione dei criteri in base ai quali è possibile qualificare una pubblicità come illecita, ossia:
- le caratteristiche dei beni o dei servizi, quali la loro disponibilità, la natura, l’esecuzione, la composizione, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale, o i risultati che si possono ottenere con il loro uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove o controlli effettuati sui beni o sui servizi;
- il prezzo o al modo in cui questo è calcolato ed alle condizioni alle quali i beni o i servizi sono forniti;
- la categoria, le qualifiche e i diritti dell’operatore pubblicitario, quali l’identità, il patrimonio, le capacità, i diritti di proprietà intellettuale e industriale, ogni altro diritto su beni immateriali relativi all’impresa ed i premi o riconoscimenti[14].
In caso una pubblicità fosse ritenuta ingannevole, ogni interessato ha facoltà di denunciarne l’uso all’Autorità garante, la quale, anche d’ufficio, potrà poi procedere alla repressione della stessa esercitando anche poteri di carattere sanzionatorio[15], non diversamente da quanto avviene per le pratiche commerciali ingannevoli[16].
Informazioni
G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale 1- Diritto dell’impresa, UTET Giuridica, Wolters Kluwer Italia S.r.l., Milano, 2018;
Codice del Consumo;
D. lgs. 145/2007.
[1] A tal proposto, per il concetto di professionista si fa rinvio all’articolo 18, lett. b, del Codice del Consumo, che lo definisce come “qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista”.
[2] G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale 1- Diritto dell’impresa, UTET Giuridica, Wolters Kluwer Italia S.r.l., Milano, 2018, p. 259.
[3] In tema di diritti dei consumatori, si consiglia la lettura dell’articolo su DirittoConsenso dal titolo “La tutela dei diritti dei consumatori”, di Lisa Montalti, del 21/03/2022, La tutela dei diritti dei consumatori – DirittoConsenso
[4] D.lgs. 206/2005.
[5] Per approfondimenti relativi all’AGCM, si consiglia la lettura dell’articolo su DirittoConsenso dal titolo “Antitrust: come funziona e cosa fa?” di Giuseppe Nicolino, dell’08/11/2018, Antitrust: come funziona e cosa fa? – DirittoConsenso.it
[6] G.F. CAMPOBASSO, op cit., p. 259.
[7] G.F. CAMPOBASSO, op cit., p. 260.
[8] G.F. CAMPOBASSO, op cit., p. 260.
[9] Articolo 21 primo comma, cod. cons.
[10] Articolo 27 cod. cons.
[11] Per approfondimenti sul tema della pubblicità ingannevole, si veda l’articolo su DirittoConsenso “Pubblicità ingannevole, Real time marketing e covid-19”, di Maria Cristina Salvetti, del 29/04/2020, Pubblicità ingannevole, Real time marketing e covid-19 – DirittoConsenso.it
[12] Ciò ai sensi di quanto disposto dall’ articolo 1 comma 2 e articolo 5 del D. lgs. 145/2007.
[13] Articolo 2 lett. b D. lgs. 145/2007.
[14] Articolo 3 D. lgs. 145/2007.
[15] A tal proposito, si veda l’articolo 8 del D. lgs. 145/2007. L’articolo 9, successivamente, prevede invece la possibilità di rivolgersi preventivamente al Giurì di autodisciplina.
[16] G.F. CAMPOBASSO, op cit., p. 264.

Lisa Montalti
Ciao, sono Lisa. Sono nata nel 1998 e vivo a Imola. Laureata con lode in Giurisprudenza all’Alma Mater Studiorum di Bologna, ho svolto il primo semestre di pratica forense anticipata presso uno Studio Legale, occupandomi prevalentemente di Diritto Civile. Attualmente sono praticante avvocato presso uno Studio Legale specializzato in Diritto Commerciale, in particolare mi occupo di Diritto Fallimentare e procedure concorsuali. Ho da sempre una passione per la scrittura e la lettura.