L’infermità di mente: dai gravi disturbi della personalità ai disturbi del sonno e alla ludopatia

 

Premessa

L’infermità di mente è oggetto di studio di numerose scienze, dalla psichiatria alle scienze sociali. In ambito giuridico: “Si intendono quei disturbi mentali che comportano l’alterazione di una o più funzioni psichiche e l’agito di una particolare manifestazione sintomatica. Assumono particolare valore in campo psicopatologico forense quando si esprimono come manifestazioni sintomatiche nell’atto criminale”.

Il nostro ordinamento riconosce due forme di vizio di mente:

  • totale e
  • parziale.

 

La differenza si riflette sull’intensità della riduzione della capacità di intendere e di volere (nonché sull’imputabilità e sulla punibilità del soggetto agente). Una particolare attenzione è poi riservata ai “gravi disturbi della personalità”, ora annoverati tra le possibili cause dell’infermità di mente.

In tempi più recenti, però, la giurisprudenza e la dottrina si sono confrontate con nuove possibili scaturigini dell’infermità di mente, come i disturbi del sonno e la ludopatia.

 

L’infermità di mente nel codice penale: gli articoli 88 e 89

L’articolo 88 del Codice penale disciplina il vizio totale di mente, stabilendo la non imputabilità per chi:

Nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità d’intendere o di volere”.

 

La finalità della norma è la tutela dei soggetti in cui è ravvisabile l’infermità totale psichica o fisica al momento della commissione del fatto che costituisce reato, pertanto non biasimevoli da parte del Legislatore. L’infermità totale di mente fa venire meno la capacità di intendere e di volere, pertanto è bene rimarcare quanto segue: la non imputabilità è riconosciuta all’alterazione di mente derivante da un’infermità fisica o psichica, sussistente al momento del fatto. Tale infermità deve essere rilevante per il fatto stesso ed incidere – in concreto – sulla capacità di intendere e di volere. Ciò significa che non sono inclusi nel tipo di infermità sopracitata le anomalie della sfera della personalità o del carattere, oppure l’immoralità o la malvagia.

In sintesi: “Ogni altra anomalia non dipendente da infermità, riguarda soltanto la sfera della personalità e del carattere del soggetto ed è, pertanto, inidonea a determinare infermità mentale, come nel caso della cosiddetta pazzia morale, ovvero l’assoluta mancanza di moralità dovuta a ragioni costituzionali del soggetto, non patologiche[1].

Al riguardo si parla di “concezione bio-psicologica” dell’infermità, fondata sull’assunto che la patologia mentale – ovviamente accertata – deve avere annullato integralmente la capacità di intendere e di volere.

L’articolo 89 del Codice penale, invece, stabilisce che:

Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere, risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita”.

 

È la previsione del vizio parziale di mente, distinguibile da quello totale con un criterio quantitativo e non qualitativo della lesione alla capacità di intendere e di volere. Nel caso del vizio parziale, invero, suddetta menomazione è “solo scemata grandemente”, limitata ma non del tutto esclusa. La comunemente denominata “seminfermità”, quindi, è considerata come una attenuante in grado di diminuire la pena.

In conclusione, si possono classificare come: “Infermità produttive di vizio parziale le forme meno gravi di oligofrenia, di demenza senile o di schizofrenia, le manifestazioni attenuate delle psicosi più note, il cosiddetto carattere epilettico, le psicosi isteriche, la psicoastenia e le personalità psicopatiche accentuate[2].

 

I “gravi disturbi della personalità” e la svolta della Cassazione

A seguito di quanto sino ad ora argomentato, occorre domandarsi se i “gravi disturbi della personalità” possano essere escludere l’imputabilità.

A chiarire il dubbio sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione Penale, con la sentenza n. 9163 del 2005, stabilendo che:

Anche i disturbi della personalità, come quelli da nevrosi e psicopatie, possono costituire causa idonea ad escludere o scemare grandemente, in via autonoma e specifica, la capacità di intendere e di volere di un soggetto agente ai fini degli artt. 88 e 89 c.p., sempre che siano di consistenza, rilevanza, gravità e intensità tali da concretamente incidere sulla stessa; per converso, non assumono rilievo ai fini della imputabilità le altre “anomalie caratteriali” e gli “stati emotivi e passionali”, che non rivestano i suddetti connotati di incisività sulla capacità di autodeterminazione del soggetto agente; è inoltre necessario che tra il disturbo mentale ed il fatto di reato sussista un nesso eziologico, che consenta di ritenere il secondo causalmente determinato dal primo[3].

Sulla base di quanto sostenuto dalla Suprema Corte, i gravi disturbi della personalità sono caratterizzati dai seguenti elementi[4]:

  • un funzionamento borderline della personalità;
  • una grave compromissione psichica;
  • il raffronto tra la condotta posta in essere prima, durante e dopo la commissione del reato;
  • presenza di indicatori (ad esempio: fattori stressanti che precedono lo scompenso, fratture rispetto allo stile di vita abituale idee deliranti non organizzate, gravi turbe dell’affettività, evidente sproporzione della reazione manifestata).

 

Tutto ciò premesso, i gravi disturbi devono essere realmente gravi e dare vita ad una situazione psichica sfuggente al controllo, oltre che a prospettare una psicosi.

È questa la base su cui fondare la rilevanza giuridica di tali disturbi, che si concretizza solo: “Qualora abbiano una consistenza, intensità e rilevanza tali da poter incidere realmente sulla capacità di intendere e di volere, compromettendola globalmente o scemandola grandemente[5].

L’orientamento delle Sezioni Unite è confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui i disturbi della personalità rientrano nel concetto di infermità. Per riconoscere il vizio (totale o parziale) di mente è necessario che essi siano talmente gravi da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere (escludendola o scemandola grandemente).

Ulteriore condizione è la sussistenza di un nesso eziologico con la condotta criminosa, per effetto del quale il reato sia ritenuto causalmente originato dal disturbo mentale (Cass. Pen., sez. I, 19 aprile 2021, n. 14525; conf. Cass. Pen., sez. VI, 10 maggio 2018, n. 33463; Cass. Pen., sez. VI, 27 aprile 2018, n. 30733)[6].

 

Due ambiti controversi per il riconoscimento dell’infermità di mente: sleep-related violence e ludopatia

La commissione di atti “involontari” durante gli stati del sonno affascina da sempre artisti ed opinione pubblica, specie se tali atti sono delittuosi. Il termine “involontari” è virgolettato di proposito, dal momento che riconoscere la volontarietà – e la conseguente presenza o meno del vizio di mente – non è semplice.

La casistica giudiziaria internazionale offre diversi spunti di riflessione come, ad esempio, la vicenda di Kenneth Parks del 1987. Il giovane impiegato di Toronto, sposato e padre di una bambina piccola, accusato di avere commesso un eclatante omicidio ed un tentato omicidio,  i cui  fatti successivi all’addormentamento sono così ricostruiti: Parks, messosi scarpe e giacca, era uscito di casa, aveva percorso con la sua auto 23 km (circa 10-15 minuti di guida), era entrato nella casa dei suoceri, aveva lottato dapprima col suocero, che fu reso incosciente dopo una costrizione manuale al collo, quindi con la suocera, che in tale circostanza fu accoltellata a morte[7].

La linea difensiva ha fatto leva sul sonnambulismo e, nonostante lo scetticismo dovuto alla complessità delle azioni compiute, l’imputato è stato[8].

All’inizio degli anni Duemila a Torino, un altro interessante caso – concluso con l’assoluzione con la formula piena “il fatto non sussiste”[9] – vede come protagonista un uomo incolpato dei delitti ex art. delitto 81 e 609-quater c.p, ai danni della figlia della compagna. A seguito della perizia, comprendente anche una registrazione polisonnografica per sette notti in laboratorio e sei notti a domicilio dell’imputato, il giudice ha ritenuto che: “La sussistenza di un livello di probabilità qualificata (quand’anche non coincidente con un grado di certezza) che le condotte in contestazione siano riconducibili alla categoria degli atti automatici si traduce in un dubbio che incide sulla prova degli elementi costitutivi del reato e che, come tale, non può non risolversi in favore dell’imputato[10].

Non sempre, però, le brillanti argomentazioni dei difensori sono riuscite nell’intento di scagionare gli imputati, provando il nesso causale il disturbo del sonno ed il reato. La sleep-related violence[11], infatti, è spesso sottodignosticata. Sull’argomento regna ancora una certa perplessità, che può essere così riassunta: “La mancanza di un ampio contributo dottrinario in merito, si riflette inevitabilmente nelle difficoltà insite nell’inquadramento giuridico dei delitti (tra i quali in letteratura sono stati segnalati casi di esibizionismo, lesioni personali, violenza sessuale, tentato omicidio, omicidio) commessi durante il sonno, a fronte dei quali sarà necessario chiedersi se la persona che li ha compiuti sia o meno imputabile e se esistano e quali siano i rapporti intercorrenti tra la volontà del soggetto agente ed il reato dello stesso compiuto nel sonno[12].

Un discorso analogo può essere fatto per il fenomeno della ludopatia, dal momento che: “Emblematico è il vivace dibattito sorto in materia penale relativamente all’incidenza della ludopatia sul difetto di imputabilità: sul fronte giurisprudenziale, uno stimolo in tal senso è provenuto dalla Cassazione a sezioni unite, la quale ha riconosciuto che al vizio di mente rilevante per il ricoscimento della mancanza totale o parziale dell’imputabilità sono riconducibili non solo le alterazioni anatomiche e organiche, clinicamente accertabili, bensì pure i disturbi della personalità, le nevrosi e le psicopatie, purché presentino un’intensità tale da incidere sulla capacità d’intendere e di volere e sussista un nesso eziologico tra il disturbo mentale e il fatto delittuoso[13].

Anche in questo frangente occorre associare il patologico ed incontenibile impulso di giocare al delitto, ossia è inevitabile ricostruire il nesso eziologico.

La ludopatia è stata a lungo sottovalutata, considerata un mero vizio e non una patologia, ma ora è inserita nel DSM V al pari della tossicodipendenza. Come per i comportamenti violenti portati a compimento durante il sonno, anche per la non imputabilità da dipendenza da gioco d’azzardo è fondamentale la perizia.

Informazioni

Alba B., Le sentenze di assoluzione, www.dirittoconsenso.it .

Buzzoni A., I gravi disturbi della personalità rientrano nel concetto di infermità mentale, https://www.diritto.it/i-gravi-disturbi-della-personalita-rientrano-nel-concetto-di-infermita-mentale/.

Casiraghi R., Ludopatia, processo penale ed esecuzione: quando in gioco è la sorte dell’imputato/condannato, Rivista Italiana di Medicina Legale (e del Diritto in campo sanitario), fasc.1, 1° febbraio 2021.

Ingravallo F., Plazzi G., Cicognani A., Sleep-related violence: aspetti clinico-legali, Riv. it. medicina legale (dal 2012 Riv. it. medicina legale e dir. sanitario), fasc.2, 2008.

Iannuale N., 6 strani Casi di Killer sonnambuli, https://www.vanillamagazine.it/6-strani-casi-di-killer-sonnambuli/ .

[1] Brocardi, Commento all’articolo 88 del codice penale, https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-primo/titolo-iv/capo-i/art88.html.

[2] Fonte: https://www.ascitrentofzappaterra.it/ASCI/medicina%20legale/vizio.htm#:~:text=Art.,ma%20la%20pena%20%C3%A8%20diminuita.

[3] A. Buzzoni, I gravi disturbi della personalità rientrano nel concetto di infermità mentale, https://www.diritto.it/i-gravi-disturbi-della-personalita-rientrano-nel-concetto-di-infermita-mentale/.

[4] Ibidem.

[5] Ibidem.

[6] Fonte: https://shop.enneditore.it/images/estratti/109_e_40_PARERI_PENALE_2021_-_destratto.pdf.

[7] F. Ingravallo, G. Plazzi, A. Cicognani, Sleep-related violence: aspetti clinico-legali, Riv. it. medicina legale (dal 2012 Riv. it. medicina legale e dir. sanitario), fasc.2, 2008.

[8] N. Iannuale, 6 strani Casi di Killer sonnambuli, https://www.vanillamagazine.it/6-strani-casi-di-killer-sonnambuli/.

[9]Le formule di cui all’art. 530, co. 1, c.p.p. che portano a un’assoluzione piena sono: il fatto non sussiste e l’imputato non lo ha commesso. Entrambe riconoscono la totale estraneità dell’imputato al crimine per cui si procede. Pertanto, il giudice ordina la liberazione dell’imputato in stato di custodia cautelare e dichiara la cessazione delle altre misure cautelari personali eventualmente disposte”. B. Alba, Le sentenze di assoluzione, www.dirittoconsenso.it, 4 dicembre 2021.

[10] F. Ingravallo, G. Plazzi, A. Cicognani, cit.

[11] Con questo termine si intendono disturbi del sonno che possono associarsi a comportamenti violenti (auto e/o eterodiretti). Ibidem.

[12] Ibidem.

[13] R. Casiraghi, Ludopatia, processo penale ed esecuzione: quando in gioco è la sorte dell’imputato/condannato, Rivista Italiana di Medicina Legale (e del Diritto in campo sanitario), fasc.1, 1° febbraio 2021.