Il saccheggio di beni culturali della Cambogia: una parte del fenomeno del traffico illecito dei beni culturali poco conosciuta

 

La devastazione di un patrimonio: il saccheggio di beni culturali della Cambogia

Il saccheggio di beni culturali in Cambogia rappresenta una delle pagine più buie della distruzione e rimozione di beni culturali nella storia moderna.

La Cambogia è, al pari di tanti altri Stati nel mondo[1], una nazione di origine dei beni culturali[2]. In alcune aree esistono città, templi, villaggi, siti archeologici anche di vari periodi nelle stesse vicinanze. I luoghi rispecchiano fortemente la storia e la cultura del popolo cambogiano: Angkor, Anlong Veng, Banteay Chhmar[3], Beng Mealea, Koh Ker[4], Phnom Banan, Phnom Chisor, Preah Khan, Preah Vihear[5], Sambor Prei Kuk, Sisophon, questi sono i più celebri e alcuni di questi sono, a ragion d’essere, iscritti nel World Heritage dell’UNESCO.

Purtroppo la tutela dei beni culturali è un tema recente della giovane democrazia cambogiana. Lo Stato è noto per essere stato il luogo del genocidio interno da parte della dittatura dei Khmer Rossi guidati da Pol Pot (dal 1975 al 1979), della successiva occupazione vietnamita (dal 1979 al 1989) e di anni di assestamento interno (la prima costituzione democratica è del 1993).

È proprio in quest’arco di trent’anni che avviene la maggior parte delle spoliazioni dai luoghi storici e archeologici tanto da raggiungere negli anni 90 la pratica del c.d. “theft on demand cioè la richiesta espressa a persone del luogo di rubare o rimuovere beni preziosi e oggetti antichi. I luoghi della devastazione del patrimonio cambogiano sono facili da individuare: sono i ricchissimi templi religiosi.

 

Il caso Douglas Latchford

Douglas Latchford è stato un mercante d’arte inglese con una forte passione per l’arte del sud est asiatico. Per anni ha viaggiato ed esplorato le aree più interne della Cambogia perché interessato soprattutto alle città del vecchio impero Khmer[6] e ai tesori interni[7]. Si considerava un esperto dell’arte Khmer tanto da aver scritto e pubblicato 3 libri sull’argomento.

Il suo interesse però non si limitava allo studio: Latchford ha trafficato antichità saccheggiate dai templi sacri delle antiche città Khmer su larga scala[8]. Quest’attività è considerata una delle distruzioni di contesti culturali più devastanti del ventesimo secolo.

Solamente nel 2019 le autorità americane hanno accusato Latchford per i traffici illegali condotti in 40 anni di attività. Tuttavia il processo non fu mai iniziato per la morte del trafficante. Come è possibile quindi recuperare la refurtiva? Dove sono finiti i beni illecitamente rimossi? Quali di questi sono stati individuati e quanti hanno fatto ritorno in Cambogia?

 

Tra segreti e no comment: quando il mercato nero dell’arte funziona troppo bene

Secondo le autorità statunitensi, Latchford fu il protagonista di un saccheggio massiccio dai siti cambogiani durato decenni. Allora però una domanda sorge spontanea: da chi è stato aiutato? Su chi ha potuto fare affidamento? Perché è bene chiarire che un uomo solo non può muovere beni culturali illecitamente rimossi o di illecita provenienza: deve contare su appoggi e connivenze[9].

Non sapremo probabilmente mai tutta la verità perché Latchford è morto prima dell’inizio del processo. I segreti di quest’uomo non sono solamente nascosti dall’evento naturalistico ma anche dai trust e dalle società offshore che Latchford e i famigliari hanno creato. Si suppone che moltissimi beni siano nascosti proprio in veri e propri rifugi e nei caveaux: tre mesi dopo che gli investigatori statunitensi hanno iniziato a collegare Latchford ai beni saccheggiati, lui e i suoi familiari hanno istituito il primo di due trust intitolato agli dei indù Skanda ed un secondo chiamato Siva[10]. I trust sono spesso degli ostacoli insormontabili per le autorità giudiziarie che intendano disporre controlli o confische.

Ovviamente le autorità cambogiane rivogliono indietro i beni illecitamente esportati tanto che Phoeurng Sackona, ministro cambogiano della cultura e delle belle arti, ha affermato:

Non rinunceremo mai a perseguire il ritorno della nostra eredità. […] Questi oggetti non sono solo decorazioni, ma hanno uno spirito e sono considerati come vite […] È difficile quantificare la loro perdita per i nostri templi e il nostro paese: perderli è stato come perdere lo spirito dei nostri antenati“.

 

Detto questo ci si può anche chiedere: ma se Latchford ha rubato beni, possibile che non abbia provato a rivenderne anche solo alcuni? In effetti è proprio così: l’indagine dell’International Consortium of Investigative Journalists ha scoperto che sebbene un certo numero di musei abbia restituito diversi pezzi collegati a Latchford negli anni passati, almeno 27 di questi oggetti rimangono in collezioni importanti. E che nomi: il Metropolitan Museum of Art di New York contiene almeno 12 reliquie un tempo possedute o mediate da Latchford; altri 15 pezzi sono stati trovati nelle collezioni del British Museum di Londra, della National Gallery of Australia, del Denver Art Museum e del Cleveland Museum of Art. Chissà però quanti altri tesori non siano stati identificati e quanti sono nascosti. Nè la famiglia Latchford né i musei hanno espresso commenti sulla vicenda, né posto scuse alla Cambogia.

Purtroppo il fenomeno descritto non è un’eccezione ma la regola, nel senso che il mercato illecito dei beni culturali funziona così: segreto è la parola d’ordine, la morale è del tutto assente ed il profitto parla da sé. Per questi motivi è facile trovare un comune denominatore tra tombaroli, antiquari, mercanti d’arte, musei e collezionisti privati: l’avidità di possedere beni antichi di inestimabile valore è insaziabile in barba a qualsiasi disposizione e codice di condotta.

 

Le reti di trafficanti d’arte

Latchford rappresenta un caso particolare: uno spregiudicato collezionista pronto a tutto pur di mettere mano sui tesori cambogiani. Ma il saccheggio di beni culturali in Cambogia è fatto solo di mercanti senza scrupoli?

In realtà il traffico illecito di beni culturali in Cambogia è fiorito durante la dittatura ed il genocidio. Reti organizzate, spesso guidate da membri dell’esercito o dai Khmer Rossi, colpivano i templi danneggiandoli irrimediabilmente: i furti più semplici erano le rimozioni delle statue che venivano staccate dalla base (e moltissime quindi presentavano segni di danneggiamento sui piedi)[11]. Probabilmente questo mercato ha finanziato lo stesso regime. Il saccheggio è continuato fino all’incirca il 2010. Oggi rimangono i segni dello scempio tanto che gli esperti di arte cambogiana riescono a identificare beni venduti all’asta proprio confrontando i danni dei templi[12].

Oggetti che avrebbero fruttato milioni di dollari in Occidente sono stati venduti per una miseria da gruppi armati e da disperati abitanti dei villaggi cambogiani: un ex saccheggiatore ha detto a un ricercatore di aver scambiato una grande statua di Ganesha, il dio elefante indù, per un bufalo d’acqua. Un altro pezzo – una statua di arenaria che era metà donna e metà uccello – è stata venduta dai saccheggiatori per 500 dollari. I saccheggiatori hanno rubato un terzo oggetto dallo stesso sito archeologico – una figura di Skanda seduta su un pavone – l’hanno trasportato su un carro trainato da buoi fino al confine con la Thailandia e l’hanno venduto per circa 600 dollari[13].

Dalla Cambogia quindi verso gli Stati di destinazione, cioè verso gli Stati in cui i compratori sono disposti a pagare i beni illecitamente rimossi e illegalmente esportati. Un problema irrisolto del mercato illecito dei beni culturali e che in Cambogia risulta florido data anche la porosità della frontiera con la Thailandia (tanto da firmare un trattato con quest’ultimo)[14].

 

I punti chiave del saccheggio dei beni culturali in Cambogia

La Cambogia non è un caso del tutto isolato della regione. Sadowski ricorda come il Sud Est Asiatico sia una delle aree più ricche al mondo di beni culturali ma allo stesso tempo sia una delle meno tutelate e più vulnerabili.

In aggiunta a questo problema vi è quello delle case d’asta e della legalità e buona fede sia degli acquirenti che dei venditori. Davis per esempio riporta che:

Tra il 1988 ed il 2010, il Dipartimento d’Arte per l’India e il Sud Est Asiatico di Sotheby’s a New York ha messo all’asta 377 antichità Khmer. Solo il 29% aveva una provenienza certa, o una storia di proprietà, che li faceva risalire a mostre o collezioni. […] Il 71% delle antichità non aveva una provenienza pubblica. Sebbene questa statistica sia allarmante, di per sé, le fluttuazioni nella vendita di questi pezzi di origine incerta possono anche essere collegate a eventi che influenzerebbero il numero di antichità saccheggiate che escono dalla Cambogia e entrano negli Stati Uniti.”

 

Infine, gli eventi storici che hanno riguardato direttamente la Cambogia: l’occupazione vietnamita, le elezioni del 1993 sotto osservazione ONU, la resa dei Khmer rossi nel 1998, il memorandum tra Stati Uniti e Cambogia del 2003 e del rinnovo di questo nel 2008, pare abbiano avuto degli effetti positivi tanto che le vendite, almeno in Sotheby’s, dei beni culturali cambogiani siano diminuite drasticamente.

Oggi invece gli archeologi cambogiani lavorano per recuperare il salvabile, in particolare con i progetti di restauro. Uno di questi archeologi è Thach Phanit, che ha aiutato a scavare nei templi di Koh Ker nella speranza di trovare frammenti e altre prove che possono essere utilizzate per persuadere chiunque ora sia in possesso di manufatti cambogiani a restituire il patrimonio rubato del paese.

 

L’amarezza per un patrimonio devastato

I piedistalli vuoti sono un duro affronto per il patrimonio culturale cambogiano: raccoglieranno polvere nel Museo Nazionale della Cambogia o saranno coperti dalle foreste che in alcune aree hanno causato il crollo dei vecchi edifici. In attesa del ritorno dei loro occupanti originali si spera in una maggiore collaborazione tra il settore pubblico e quello privato nel nome dei trattati internazionale e, soprattutto, di una morale che tuteli la civiltà e la storia.

Informazioni

Temple of Preah Vihear (Cambodia v. Thailand) – https://www.icj-cij.org/en/case/45

Cambodia – UNESCO World Heritage Centre

Sadowski, M. M. (2021) ‘Mapping the Art Trade in South East Asia: From Source Countries via Free Ports to (a Chance for) Restitution’, International Journal for the Semiotics of Law, 34(3), pp. 669–692.

Davis, T. (2011) ‘Supply and demand: exposing the illicit trade in Cambodian antiquities through a study of Sotheby’s auction house’, Crime, Law & Social Change, 56(2), pp. 155–174.

Mackenzie, S. and Davis, T. (no date) ‘Temple looting in Cambodia: Anatomy of a statue trafficking network’, British Journal of Criminology, 54(5), pp. 722–740.

Ehlert, C. (no date) Prosecuting the destruction of cultural property in international criminal law: With a case study on the Khmer Rouge’s destruction of Cambodia’s Heritage. Brill Nijhoff (International Criminal Law Series).

https://www.icij.org/investigations/pandora-papers/cambodia-relics-looted-temples-museums-offshore/

https://www.washingtonpost.com/world/interactive/2021/met-museum-cambodian-antiquities-latchford/

https://www.bbc.com/news/world-58780561%20%5Bhttps://perma.cc/574Y-PNNF%5D

https://www.unesco.org/archives/multimedia/document-4729

https://www.phnompenhpost.com/national/raiders-banteay-chmar

Cambodia urges UK museums to investigate and return looted treasures allegedly handled by dealer Douglas Latchford (theartnewspaper.com)

[1] Tristemente noto è per esempio l’Afghanistan, accomunato per l’instabilità interna con la Cambogia. Del primo ne ho parlato qui: http://www.dirittoconsenso.it/2021/02/22/afghanistan-traffico-illecito-beni-culturali/

[2] Si parla infatti di source country cioè di una terra da cui vengono prelevati illegalmente i beni culturali.

[3] Questo è, come spiegato in MacKenzie and Davis, uno dei luoghi più colpiti dalle spoliazioni tanto che a pagina 730 del loro studio si dice: “Nowadays, there is little left to steal. During our visit, we did not see a single intact statue.

[4] Koh Ker è un’intera città che fu capitale per volere di Jayavarman IV: intese Koh Ker come un nuovo centro in cui lo splendore fosse l’unico ornamento di tutto ciò che in essa era presente, dalle statue ai templi.

[5] Il tempio però è stato per moltissimo tempo al centro di una disputa con i vicini tailandesi che lo chiamano Phra Viharn. Su questa disputa si è pronunciata la Corte Internazionale di Giustizia nel 2013. Sulla questione la Corte non si è solamente espressa sulla territorialità ma anche sui beni culturali coinvolti: “In the case concerning the Temple of Preah Vihear the issue of restitution of cultural property was incidental to that of the delimitation of national boundaries. This case resulted from the war of 1958 between Cambodia and Thailand and was centred on the issue of territorial sovereignty with regard to the area where the temple of Preah Vihear is located. Eventually, the ICJ found that the temple belonged to Cambodia and, accordingly, decided that “sculptures, stelae, fragments of monuments, sandstone model and ancient pottery which might […] have been removed from the Temple or the Temple area by the Thai authorities” should be returned.” – Temple of Preah Vihear (Cambodia v. Thailand), Merits, ICJ Reports, 1962

[6] Civiltà che fiorì nel sud est asiatico mille anni fa e che rappresentò un’entità centrale dominante, nel periodo del massimo splendore, sui territori che attualmente sono occupati da Cambogia, Tailandia, Laos e Vietnam meridionale.

[7] In particolare le statue dei templi sia indù che buddisti.

[8] Il The Diplomat in un articolo ha a chiare lettere definito Latchford “The man who pillaged Cambodia

[9] Un caso eclatante che ha coinvolto tante persone è quello del Cratere di Eufronio, un vaso etrusco di pregiate fattezze, rimosso illecitamente da uno scavo archeologico nell’area etrusca di Cerveteri ed esportato illegalmente in Svizzera per poi essere venduto al Museum of Metropolitan Arts di New York. Dopo anni di trattative ed un processo lunghissimo, il Cratere di Eufronio è tornato in Italia ed oggi è esposto al museo nazionale di Cerveteri.

[10] Secondo le informazioni raccolta dall’International Consortium of Investigative Journalists Skanda Trust ha tenuto la collezione di antichità di Latchford. Tra i tesori c’erano bronzi di Buddha, Lokeshvara (Avalokiteshvara) e altre figure religiose. Una delle reliquie era un Naga Buddha saccheggiato del valore di $ 1,5 milioni. I beni di Latchford in Skanda Trust sono stati successivamente trasferiti a Siva Trust.

[11] Tra i luoghi più colpiti c’era l’antica città di Koh Ker, con i suoi 76 templi e acquedotti, statue e una piramide a sette livelli. Le statue di Koh Ker erano distintive e rivoluzionarie per il loro tempo: gli artigiani scolpivano capolavori di arenaria che erano minuziosamente dettagliati. Prima del 1965, il complesso del tempio era quasi irraggiungibile, ma poi è stata costruita una strada, a beneficio della gente del posto, ma anche per consentire ai saccheggiatori un facile accesso all’area. Per servire i mercanti di antichità in cerca di particolari tesori, i saccheggiatori erano alla ricerca di reliquie specifiche, guidati dalle fotografie che sono state fornite loro, ha detto Angela Chiu, una studiosa che ha scritto un libro sull’arte asiatica. Per alleviare le coscienze della loro ricca clientela, i commercianti hanno inventato storie per oscurare il fatto che gli articoli erano stati saccheggiati.

[12] Proprio il caso Latchford è iniziato con una scoperta di un archeologo francese. Una magnifica statua del X secolo stava per essere messa all’asta da Sotheby’s a New York. Soprannominato “l’Atleta”, il pezzo raffigura una figura massiccia, adornata con gioielli finemente intagliati e un elaborato copricapo conico, mostrata mentre salta in aria. La casa d’asta ha descritto la statua come “tra i grandi capolavori dell’arte Khmer” e ha stimato il suo valore tra i 2 e i 3 milioni di dollari. Nella pubblicità di Sotheby’s e in altre fonti, l’archeologo Éric Bourdonneau ha trovato prove evidenti che la statua era stata saccheggiata: le sue gambe si adattavano esattamente ai piedi mozzati su un piedistallo che i saccheggiatori avevano lasciato nel tempio di Prasat Chen a Koh Ker. Identificò la statua come Duryodhana, il protagonista di un tableau di nove statue che rappresentava la scena di battaglia culminante di un poema epico indù, il Mahabharata. Dopo aver appreso che la statua era stata probabilmente rubata, il vice primo ministro della Cambogia ha contattato le autorità statunitensi per interrompere la vendita, con ore di anticipo. La vendita interrotta ha innescato un’indagine federale degli Stati Uniti e, otto anni dopo, l’incriminazione di Latchford.

[13] Fonte: https://www.icij.org/investigations/pandora-papers/cambodia-relics-looted-temples-museums-offshore/

[14] Bilateral Agreement to Combat Against Illicit Trafficking and Cross-Border Smuggling of Movable Cultural Property and to Restitute it to the Country of Origin with Thailand del 2000.