I reati di pericolo prevedono una tutela penale anticipata rispetto alla lesione materiale del bene giuridico tutelato, ponendo però problemi di compatibilità con il principio di offensività
Il principio di offensività e i reati di pericolo
Il nostro ordinamento penalistico si costruisce intorno, tra gli altri, al principio di offensività il quale, sebbene non espressamente codificato in nessuna disposizione costituzionale, è stato fin dagli inizi della sua attività preso dalla Corte Costituzionale come parametro valutativo di liceità delle fattispecie incriminatrici.
Tale accezione del principio di offensività come criterio per fondare la costituzionalità delle norme si lega strettamente ad un’altra sua funzione: quella politico–criminale. Ciò significa che, anche per evitare inutili dispendi di risorse pubbliche e salvaguardare l’efficienza dell’amministrazione della giustizia, il legislatore deve criminalizzare solamente quelle condotte realmente offensive di beni giuridici che l’ordinamento considera meritevoli di tutela.
Tuttavia, l’offesa, fin dalle prime disposizioni incriminatrici introdotte nel Codice penale, non è stata sviluppata in un’univoca accezione. Se infatti in base ad una prima impressione questa potrebbe essere interpretata solamente nel senso di danno, di effettiva distruzione del bene giuridico tutelato, non è questo l’unico caso in cui il legislatore penale ha concluso per la criminalizzazione dei comportamenti umani; da qui la distinzione tra i reati di danno e i reati di pericolo.
La fattispecie dei reati di pericolo
Mentre quindi i primi si ritengono perfezionati solamente nel caso in cui il bene giuridico sia stato effettivamente compromesso, nella forma della distruzione totale o anche solo della compromissione, i reati di pericolo giungono a perfezionamento quando non vi è stata ancora nessuna aggressione reale al bene tutelato, ma l’unidirezionalità della condotta impone di agire in via anticipata prima che esso ne risulti del tutto distrutto.
Analizzando le fattispecie costruite attorno all’ipotesi del pericolo, si nota la preoccupazione del legislatore di intervenire in via anticipata rispetto al momento in cui l’offesa diventi reale, e non meramente futura o potenziale, quando i beni giuridici che devono essere tutelati si considerano di particolare rilievo ed importanza costituzionali, tali da non tollerare che la condotta illecita si protragga per un tempo ulteriore. Il concetto che sta in sostanza dietro i reati di pericolo è proprio quello di intervenire subito prima che sia troppo tardi ed i danni cagionati ormai irreparabili. Così, in coerenza a tali intenzioni, le fattispecie nelle quali l’offesa è costruita solamente nella forma del pericolo sono quelle che mirano a tutela beni giuridici collettivi, sia istituzionali che diffusi.
In particolare, casi emblematici di delitti di pericolo sono contenuti tra i reati contro la personalità dello Stato, contenuti nel titolo I del Codice Penale, o ancora tra i delitti contro l’incolumità pubblica, come il reato di strage ex art. 422 c.p.[1] o quello di incendio di cui all’art. 423 c.p.[2]; così come esempi altrettanto significativi si ritrovano tra i delitti contro la fede pubblica, in special modo quelli di falso.
Tutte queste categorie apparentemente estremamente eterogenee tra loro hanno in comune la caratteristica di proteggere beni giuridici non di esclusiva titolarità del singolo, ma appartenenti o allo Stato e ai suoi singoli poteri, come l’ordine democratico o l’ordine costituzionale, oppure alla generalità indistinta dei consociati, come la fede pubblica, l’ambiente o l’ordine pubblico.
L’idea del legislatore, pertanto, è quella di punire, ad esempio, la mera associazione di persone finalizzata a commettere delitti (art. 416 c.p.) o ancora il semplice avvelenamento di acque e sostanze alimentari prima ancora della loro messa in commercio (art. 439 c.p.) nonché chi falsifica monete in un momento antecedente alla loro circolazione, proprio perché se si attendesse la successiva lesione la funzione del diritto penale rischierebbe di essere neutralizzata. Essendosi infatti ormai verificato l’evento dannoso che è interesse dell’ordinamento evitare, la sanzione penale risulterebbe inidonea nella sua funzione preventiva.
I reati di pericolo e il tentativo
Tale scopo anticipatorio dei delitti di attentato risulta peraltro difficilmente compatibile con l’applicazione della disciplina del tentativo ex art. 56 c.p. Infatti, sebbene la giurisprudenza abbia talvolta riconosciuto la possibilità di punire queste fattispecie anche nella forma meramente tentata, la dottrina ne ha sempre negato la configurabilità.
A guardare la configurazione predisposta dal legislatore, per il delitto tentato sono richiesti “atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto”; tale definizione sembrerebbe essere proprio quella dei delitti di attentato. In entrambi i casi vi è dunque un’anticipazione della tutela penale totalmente sovrapponibile. Ipotizzare di configurare un’ipotesi di tentativo anche per le fattispecie di pericolo si tradurrebbe in un’ulteriore regressione del momento repressivo, arrivando così in maniera illegittima a sanzionare il “pericolo di un pericolo”.
Tale difficoltà di compatibilità nella realtà delle cose emerge ad esempio molto chiaramente nei delitti contro la personalità dello Stato e, in particolar modo, all’art. 241 c.p., rubricato “Attentati contro l’integrità, l’indipendenza e l’unità dello Stato”. Infatti, in tale ipotesi è proprio il legislatore ad utilizzare, per descrivere l’ipotesi di reato consumato, l’espressione “atti violenti diretti e idonei”, ricalcando così quasi del tutto la formulazione dell’art. 56 c.p. e lasciando intendere di conseguenza la sovrapponibilità delle due discipline.
La compatibilità costituzionale
Le analisi e le considerazioni sin qui svolte rendono chiari i profili di dubbia compatibilità costituzionale della categoria in questione. Se, infatti, il principio di offensività nella sua accezione politico–criminale impone al legislatore di introdurre fattispecie sanzionate penalmente solamente per reprimere comportamenti almeno in astratto lesivi del bene giuridico da tutelare, tale ragionamento rischia di venir meno con i reati di pericolo dove, di fatto, l’offesa manca.
Il legislatore, dal canto suo, ne giustifica la punibilità, alla luce del superiore valore collettivo che tali beni hanno e, dall’altro lato, la Corte Costituzionale, unica in grado di sanzionare scelte repressive astrattamente inoffensive, sembra in gran parte legittimarle. Nelle pronunce che si ricordano in materia di reati di pericolo, la reazione del Giudice delle Leggi è stata quella il più delle volte di considerare costituzionalmente conformi le scelte del legislatore, imponendo piuttosto ai giudici di merito un’interpretazione delle disposizioni orientata al principio di offensività.
Se infatti alla Corte spetta il compito di sanzionare scelte contrarie al principio di offensività in astratto, il quale quindi attiene alla singola norma penale e alla sua struttura, il giudice dovrà considerare l’offensività in concreto che invece riguarda la specifica condotta del caso di specie.
Particolarmente note sono le pronunce in tema di detenzione di sostanze stupefacenti; in special modo con la sentenza n. 360 del 1995 la Corte Costituzionale ha rigettato l’eccezione di costituzionalità affermando che “ove l’offensività sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato viene meno la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta perché l’indispensabile connotazione di offensività di quest’ultima implica di riflesso che anche in concreto l’offensività sia ravvisabile almeno in grado minimo”[3]. Viene così trasferito sul giudice di merito il compito di valutare se il caso concreto cagioni un’offesa al bene giuridico della salute pubblica.
Sullo stesso orientamento si registrano anche le due sentenze gemelle nn. 265 del 2005 e 225 del 2008 in riferimento all’art. 877 c.p. (“Possesso ingiustificato di chiavi e grimardelli”). Il giudice a quo poneva in discussione la pericolosità delle condotte descritte da tali fattispecie, potendosi giungere a sanzionare situazioni nelle quali non vi è un effettivo pericolo per il patrimonio. Anche in tale circostanza, la Corte Costituzionale ha respinto la questione di legittimità ribadendo che è compito del giudice di merito accertare se il comportamento dell’agente non presenti profili di offensività in concreto e non sia quindi meritevole di sanzione penale.
In rare occasioni, invece, il Giudice delle Leggi ha sanzionato le scelte del legislatore, ritenendole non conformi al principio di offensività neanche nella sua accezione astratta: si tratta dunque di casi in cui la scelta stessa di penalizzare un certo comportamento è illegittima perché non in grado di arrecare alcuna offesa al bene giuridico tutelato.
I casi più celebri che si ricordano al riguardo sono quelli della sentenza n. 354 del 2002 e n. 249 del 2010 aventi rispettivamente ad oggetto il co. 2 dell’art. 688 c.p. (“Ubriachezza”) che, a seguito della depenalizzazione del co. 1 sullo stato di ubriachezza in pubblico, puniva qualcuno in base al semplice fatto di aver riportato procedimenti penali, e sull’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 bis c.p. (cd aggravante della clandestinità) che stabiliva una presunzione di maggiore pericolosità solo per aver commesso il fatto durante la presenza illegale sul territorio nazionale.
I reati pericolo astratto
Tra l’altro, occorre precisare che, se i profili di potenziale illegittimità riguardano tutta la disciplina dei reati di pericolo, questi si acuiscono soprattutto in relazione alla sotto-categoria dei reati di pericolo astratto. Tali delitti a tutela penale anticipata possono essere suddivisi in:
- reati di pericolo concreto o
- di pericolo astratto.
I primi si riferiscono ai casi in cui, come avviene nell’art. 422 c.p. sul delitto di strage o al co. 2 dell’art. 423 c.p. (“Incendio”), il giudice ha il compito di verificare se, sulla base delle circostanze del caso concreto, il comportamento in questione possa risultare pericoloso per il bene tutelato. Per fare ciò, l’autorità giudiziaria deve compiere una prognosi postuma ex ante in concreto e valutare, dunque, compiendo un viaggio a ritroso al momento della condotta, non solo le circostanze che realmente erano note al soggetto agente, ma anche quelle da lui non conosciute e comunque esistenti.
Al contrario, tale tipo di valutazione è al giudice del tutto preclusa nella fattispecie di pericolo astratto, quale è il co. 1 dell’art. 423 c.p. sull’incendio. In questi casi, infatti, è necessario solamente verificare la presenza dei presupposti indicati dalla legge, a prescindere dalla ricostruzione della situazione specifica e dal fatto se il decorso causale suggerisca, anche attraverso il ricorso a leggi scientifiche, la possibilità in concreto di determinare un pericolo. Chiaro è, dunque, come tale seconda categoria determini una deroga ancora più vistosa al principio di offensività, rischiando di penalizzare anche situazioni di fatto irrilevanti ed innocue.
Considerazioni conclusive
Le considerazioni sin qui svolte spingono pertanto a chiedersi se fattispecie così costruite siano ammissibili in un ordinamento fondato come il nostro su garantisti e fondamentali valori costituzionali. Non verrebbero in risalto solo profili di contrasto con il principio di offensività, ma si aprirebbero dibattitti anche sull’opportunità di investire tempo e risorse della macchina giudiziaria per punire situazioni dove, addirittura talvolta neanche in concreto, è stato attentato il bene giuridico da tutelare. Stando così le cose sembra che né il legislatore né il Giudice delleleggi si siano troppo preoccupati della questione, giungendo sempre a giustificare l’anticipazione della tutela con la superiorità del valore salvaguardato.
Informazioni
Giorgio Marinucci – Emilio Dolcini – Gian Luigi Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale
Giovanni Fiandaca – Enzo Musco, Diritto penale parte generale
[1] Sul reato di strage, Il reato di strage – DirittoConsenso, 18 ottobre 2021.
[2] Per un approfondimento sulla disciplina penale in tema di incendi, La disciplina penale sugli incendi – DirittoConsenso, 9 settembre 2020.
[3] Per un approfondimento sul punto si veda “Il modesto quantitativo di stupefacenti”, in Il modesto quantitativo di stupefacenti – DirittoConsenso, 24 maggio 2022.

Benedetta Brandimarti
Ciao, sono Benedetta. Mi sono laureata presso l'Università Bocconi di Milano discutendo una tesi in diritto processuale penale e attualmente frequento la Scuola di specializzazione per professioni forensi. La mia principale area di interesse è quella del diritto penale con un'attenzione particolare alla responsabilità amministrativa da reato ex d. Lgs. 231/2001.