Il diritto internazionale marittimo e le acque internazionali: come è cambiato il regime dei mari e quali sono i principi applicati
Il principio di libertà dei mari nella storia alla base delle acque internazionali di oggi
Prima di concentrarsi sul concetto di acque internazionali è opportuno fare un piccolo excursus storico sul diritto internazionale marittimo.
Per secoli il diritto internazionale del mare è stato dominato dal principio di libertà dei mari. Questo principio si afferma nel corso dei secoli XVII e XVIII ed è sostenuto soprattutto dagli Olandesi che inducono Inghilterra, Spagna e Portogallo ad abbandonare le pretese di c.d. dominio dei mari.
L’idea alla base della libertà dei mari era che nessuno Stato potesse impedire o intralciare l’uso degli spazi marini da parte di altri Stati. Il limite che questo principio incontrava era soltanto il rispetto della pari libertà altrui: la libertà dei mari non può essere spinta fino al punto di sopprimere ogni possibilità di utilizzazione da parte degli altri Paesi. In contrapposizione alla libertà dei mari si è sempre manifestata la pretesa degli Stati ad assicurarsi un certo controllo delle acque adiacenti alle proprie coste. La figura del mare territoriale, intesa come fascia di mare costiero addirittura equiparata al territorio dello Stato, rimane comunque estranea ancora nella metà del XIX secolo[1].
Questa tendenza di totale libertà limitata dal solo rispetto della libertà altrui ad un certo punto si inverte e il principio della libertà dei mari oggi non è più la regola prima e generale, quanto piuttosto è una delle regole che compongono il diritto internazionale marittimo.
Negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale si afferma la dottrina Truman, enunciata dal Presidente statunitense in un famoso proclama del 1945 in tema di piattaforma continentale. Il proclama rivendicava agli Stati Uniti il controllo e la giurisdizione delle risorse della piattaforma, cioè quella parte del fondo e del sottosuolo marino, che talvolta si estende anche per centinaia di miglia marine, che costituisce il prolungamento della terra emersa e che pertanto si mantiene a profondità costante prima di precipitare negli abissi.
Dagli inizi degli anni Ottanta la prassi si è orientata più che altro a favorire l’istituto della c.d. zona economica esclusiva che si estende fino a duecento miglia marine dalla costa. Tutte o quasi tutte le risorse che rientrano in questa zona sono considerate di pertinenza dello Stato costiero.
La normativa oggi del diritto internazionale marittimo
Oggi la materia del diritto internazionale marittimo è regolata dalle quattro Convenzioni di Ginevra e dalla Convenzione di Montego Bay.
Le Convenzioni di Ginevra seguono alla Conferenza di Ginevra del 1958 e regolano i seguenti temi:
- il mare territoriale
- la zona contigua
- l’alto mare
- la pesca
- la conservazione delle risorse biologiche dell’alto mare e della piattaforma continentale[2].
L’altra importante convenzione del diritto internazionale marittimo è la Convenzione di Montego Bay del 1982, entrata in vigore soltanto dal 1994. Essa è composta da 320 articoli ed integrata da un accordo applicativo non ratificato da alcuni Paesi, tra cui spiccano gli Stati Uniti, che si occupa del regime delle risorse sottomarine al di là dei limiti della giurisdizione nazionale.
La Convenzione di Montego Bay è largamente riproduttiva del diritto internazionale consuetudinario e sostituisce le quattro Convenzioni di Ginevra. Questa Convenzione ha coinvolto più di 150 Paesi in un arco di tempo di quattordici anni di lavoro. Gli accordi si sono conclusi con la firma durante la conferenza delle Nazioni Unite svoltasi a Montego Bay in Giamaica nel 1982. La convenzione è stata ratificata in Italia con la legge 689/1994. Ad oggi la convenzione è stata ratificata da 166 Stati.
Nella convenzione di Montego Bay gli spazi oggetto di regolamentazione comprendono il mare territoriale, le acque internazionali o alto mare, la zona contigua, la piattaforma continentale, la zona economica esclusiva (ZEE), i fondi marini internazionali (Patrimonio comune dell’umanità). Questa convenzione, anche detta Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS), è il principale strumento giuridico internazionale relativo alla protezione del mare e alla regolamentazione dei suoi usi, quali la navigazione e lo sfruttamento delle risorse marine.
La Convenzione prevede le disposizioni applicabili alle acque marine delle parti contraenti, ma anche un obbligo generale di proteggere l’ambiente marino e di assicurare che le attività condotte sotto la giurisdizione o il controllo di una parte non provochino danni al di là delle sue acque marine, di evitare di trasferire il danno o il rischio da una zona all’altra e di trasformare un tipo di inquinamento in un altro. La convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare definisce, inoltre, i diritti e le responsabilità degli Stati nell’utilizzo dei mari e degli oceani, definendo le linee guida che regolano le trattative, l’ambiente e la gestione delle risorse naturali.
Un accordo successivo alla Convenzione di Montego Bay e che ha dato attuazione alla Parte XI della Convenzione è stato adottato il 28 giugno del 1994 ed è entrato in vigore il 28 giugno 1996. Questo Accordo e la Parte XI della Convenzione devono essere interpretati e applicati insieme come uno strumento unico.
La Convenzione di Montego Bay istituisce inoltre il Tribunale internazionale del diritto marittimo. Si tratta in particolare di un organismo giudiziario indipendente che si occupa delle controversie che insorgono relativamente all’interpretazione e applicazione della Convenzione. Il Tribunale è composto da 21 membri indipendenti, eletti tra persone che godono della più alta reputazione di correttezza e integrità e di riconosciuta competenza nel campo del diritto del mare. Il Tribunale esercita la sua giurisdizione per ogni tipo di controversia che riguardi l’interpretazione e applicazione della Convenzione e su tutte le questioni specificamente previste da qualsiasi altro accordo che conferisca giurisdizione al Tribunale (Statuto, articolo 21). Il Tribunale è aperto agli Stati parte della Convenzione ovvero Stati e organizzazioni internazionali parte della Convenzione. E anche aperto ad entità diverse dagli Stati ovvero Stati o organizzazioni intergovernative che non sono parte della Convenzione e alle imprese statali e agli enti privati ‘’in qualsiasi caso espressamente previsto nella Parte XI o in qualsiasi caso sottoposto in base a qualsiasi altro accordo che conferisca giurisdizione al Tribunale e che sia accettato da tutte le parti in causa.’’ (Statuto, articolo 20).
Le acque internazionali e l’area internazionale dei fondi marini
Ad oggi le acque internazionali o alto mare è l’unica zona in cui trova applicazione il vecchio principio della libertà dei mari. Per acque internazionali si intende lo spazio marino che si estende oltre il mare territoriale, nonché le acque sovrastanti la piattaforma continentale e quelle della zona economica esclusiva.
Si tratta cioè del limite posto oltre le 200 miglia marine dalla costa dalla zona non sottoposta alla sovranità di alcuno Stato. La Convenzione di Montego Bay e la disciplina relativa alle acque internazionali definisce quest’ultima come una res communis omnium, ossia un bene appartenente alla collettività, a tutta la comunità internazionale, quand’anche fosse uno Stato che in nessuno dei suoi estremi confini col mare. Ad ogni Stato è quindi conferita un’ampia potestà di fare in quelle acque, purché nel rispetto delle regole di diritto internazionale generale. Ciascuno Stato in questa zona, infatti, sia costiero sia privo di litorale, ha il diritto di compiere attività di navigazione, di sorvolo, posa cavi, costruzione di isole e installazioni artificiali, pesca, ricerca scientifica, a condizione di rispettare gli interessi degli altri Stati.
Tutti gli Stati hanno il diritto di trarre dal mare internazionale tutte le utilità che esso può offrire con l’unico limite di non spingere l’utilizzazione degli spazi marini fino al punto di sopprimere le possibilità degli altri Paesi. Le risorse minerarie del fondo e del sottosuolo delle acque internazionali (noduli, solfati polimenici, croste di ferro e manganese) sono state dichiarate con una risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU nel 1970 patrimonio comune dell’umanità. Tutte queste attività possono essere svolte dagli Stati però attraverso le proprie navi oppure attraverso una cooperazione internazionale.
Trattandosi comunque di risorse spesso esauribili non è ammesso che gli Stati se ne approprino a loro arbitrio fino al punto di sopprimere ogni possibilità di utilizzazione da parte degli altri Stati. Il problema dello sfruttamento delle risorse è stato quindi affrontato dalla Convenzione di Montego Bay con la costituzione di una autorità internazionale destinata a presiedere allo sfruttamento delle risorse del fondo e del sottosuolo del mare internazionale in modo tale che questo avvenga nell’interesse dell’umanità.
Gli organi principali che sono stati istituiti sono:
- l’Assemblea,
- il Consiglio,
- il Segretariato e
- l’Impresa[3].
L’obiettivo della tutela degli interessi dell’umanità verrebbe raggiunto attraverso il sistema dello sfruttamento parallelo in base al quale ogni area da sfruttare viene divisa in due parti uguali, una attribuita allo Stato che l’ha individuata e l’altra direttamente sfruttata dall’Autorità.
In caso di sinistro marittimo in acque internazionali lo Stato direttamente e gravemente minacciato dal conseguentemente inquinamento ha diritto di adottare misure necessarie a fronteggiare l’evento. A questo diritto fa riscontro l’obbligo di tutelare e preservare in alto mare l’ambiente marino.
Le acque internazionali devono essere riservate a scopi pacifici e nessuno Stato può pretendere di assoggettarne alcuna parte alla sua sovranità. Ogni Stato esercita la sua giurisdizione solo sulle navi battenti la propria bandiera. Tuttavia, uno Stato può abbordare ed eventualmente catturare navi straniere impegnate in atti di pirateria, tratta di schiavi o trasmissioni abusive, o inseguire o catturare navi sospettate di aver violato le proprie leggi e regolamenti negli spazi marini soggetti alla sua sovranità. Le navi da guerra inoltre possono eseguire in alto mare attività operative, quali esercitazioni combinate con aeromobili, raccolta di informazioni, prove di armi, lancio di ordigni esplosivi di aeromobili in situazioni di necessità, nel rispetto degli altri Stati.
Informazioni
Il diritto internazionale, Conforti
Mare, diritto internazionale, Treccani
Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare
[1] https://www.dirittoconsenso.it/2020/09/03/diritto-internazionale-marittimo-zona-economica-esclusiva/, Angela Federico, 2020.
[2] Queste quattro Convenzioni di Ginevra del 1958 non sono da confondere con le quattro Convenzioni di Ginevra del diritto internazionale umanitario che risalgono invece al 1949 e che furono adottate dopo le atrocità della Seconda guerra mondiale con i relativi Protocolli aggiuntivi, il I e il II, del 1977. Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 si occupano della protezione della popolazione civile in tempo di guerra, del miglioramento della sorte dei feriti, dei malati, dei naufraghi delle forze armate di mare, del trattamento dei prigionieri di guerra, della protezione delle persone civili in tempo di guerra.
[3] Quest’ultima è un organo operativo attraverso il quale l’autorità partecipa direttamente allo sfruttamento.

Chiara Doveri
Ciao, sono Chiara. Sono una studentessa del quinto anno di giurisprudenza dell’università di Torino molto appassionata di diritto internazionale. L’anno scorso sono stata in Germania alla Westfälische Wilhelms-Universität di Münster per frequentare un master di diritto tedesco, in particolare sul diritto civile e ho avuto anche la possibilità di approfondire materie internazionali. Da sempre mi sono impegnata anche nello studio delle lingue straniere, tra cui inglese, francese e tedesco.