Le iniziative per la responsabilità sociale elaborate dalle imprese e associazioni di categoria definiscono i codici di condotta della comunità degli affari

 

I codici di condotta della comunità degli affari: le iniziative individuali

Alla presenza di iniziative non vincolanti elaborate a livello intergovernativo e regionale, si accompagna la recente redazione di codici di condotta della comunità degli affari, sviluppati direttamente a livello delle imprese stesse e delle relative associazioni di categoria – le cosiddette iniziative individuali e collettive incorporanti la responsabilità sociale d’impresa.

I codici di condotta della comunità degli affari formulati a livello individuale da una singola impresa rappresentano iniziative di autoregolamentazione attraverso cui l’azienda integra nello svolgimento delle proprie attività considerazioni di responsabilità sociale ed esprime il proprio impegno al rispetto di standards condivisi per la tutela dell’ambiente e dei diritti umani fondamentali, la protezione dei consumatori e il rispetto dei diritti dei lavoratori[1]. A questo proposito, di uso comune è la pubblicazione periodica da parte delle maggiori imprese multinazionali di report e dati quantitativi a conferma della propria condotta socialmente virtuosa, generalmente accertata in seguito ad una valutazione della conformità ai propri codici di condotta unilaterali avvenuta esclusivamente a livello interno[2].

L’elaborazione di codici di condotta individuali risale agli anni Novanta del secolo scorso, ed in particolare dalla necessità delle imprese multinazionali di placare le accuse derivanti dai numerosi scandali sociali e ambientali in cui risultarono coinvolte. Pertanto, la formulazione di codici di condotta della comunità degli affari e a livello interno ha assunto la funzione di indicatore per il mercato, gli investitori e più in generale per l’opinione pubblica di un certo grado di attenzione dell’impresa per il rispetto di imperativi sociali ed ambientali[3]. Di particolare interesse, sin dalla loro formulazione originaria i codici di condotta individuali sono stati intesi come applicabili tanto alla società madre, come pure alle sussidiarie e alle filiali operanti in paesi terzi[4].

Ciononostante, i codici di condotta adottati dalle singole imprese differiscono significativamente in termini di rilevanza ed efficacia: di fatto, gli aspetti sociali ed ambientali regolati dalle specifiche iniziative individuali variano a seconda del settore in cui operano le aziende, e, allo stesso tempo, delle principali difficoltà a cui esse devono fare fronte. Parimenti, i codici di condotta della comunità degli affari differiscono ulteriormente in merito ai sistemi di monitoraggio: possono infatti essere previsti controlli sia interni che esterni, questi ultimi principalmente volti a garantire un maggior grado di trasparenza e garanzia del rispetto degli standard sanciti dai codici[5].

 

I codici di condotta individuali: un’alternativa efficace?

Un numero consistente di iniziative di responsabilità sociale d’impresa elaborate a livello aziendale richiamano e fanno un preciso riferimento ai codici di condotta per la responsabilità delle imprese sviluppati in ambito intergovernativo e regionale[6]: ne fornisce un chiaro esempio l’iniziativa individuale del colosso petrolifero Total, il cui codice di condotta aziendale ha incluso tra le fonti alla base della propria responsabilità d’impresa il Global Compact delle Nazioni Unite e le Linee Guida dell’OCSE[7].

In tal senso, sembra possibile affermare che l’evocazione di esperienze intergovernative pregresse come il Global Compact delle Nazioni Unite e le Linee Guida OCSE possa contribuire con ogni probabilità al consolidamento del valore e ad una maggiore accettazione di tali strumenti, malgrado la propria natura non vincolante e volontaria. Allo stesso tempo, tale tendenza appare esprimere la creazione, all’interno della comunità degli affari, di un certo grado di consenso a proposito della necessità di rispettare standards ambientali e sociali nella realizzazione delle proprie attività aziendali e, successivamente, di includere tali considerazioni all’interno dei propri processi decisionali, benché nella maggior parte dei casi tale attitudine sia avvalorata per mere motivazioni economiche e di marketing.

Tuttavia, sorgono importanti interrogativi in merito alla natura vincolante dei codici di condotta della comunità degli affari nei rapporti business – to – business: più precisamente, è emersa una diffusa incertezza sulla possibilità di attribuire valore giuridico ad un codice di condotta individuale senza che quest’ultimo venga esplicitamente incorporato all’interno di un contratto.[8] Inoltre, gli standards di responsabilità sociale elaborati dalle singole imprese soffrono ulteriormente della mancanza di sistemi sanzionatori e di monitoraggio efficaci e trasparenti, poiché i casi in cui le società decidono di affidare la valutazione della conformità ai propri codici di condotta interni ad un organismo indipendente ed esterno risultano piuttosto esigui[9].

Nel complesso, il proliferare di codici di condotta per l’autoregolamentazione delle imprese a livello individuale riflette il rifiuto di ogni iniziativa giuridicamente vincolante da parte del mondo imprenditoriale; allo stesso tempo, allo stato attuale i codici di condotta della comunità degli affari sembrano essere il metodo più efficace per fronteggiare le lacune normative e la debole attuazione degli standard sociali e ambientali negli Stati ospitanti, in cui la maggior parte delle attività delle società globali è delocalizzata[10].

 

I Principi Sullivan

Considerati il punto di partenza per lo sviluppo dei codici di condotta individuali, i Principi Sullivan vennero elaborati nel 1977 per iniziativa del reverendo Leon H. Sullivan, membro del consiglio direttivo di General Motors, al fine di indurre le imprese con sede negli Stati Uniti che svolgevano operazioni in Sud Africa ad adottare una serie di codici volti a promuovere politiche contro l’apartheid e la discriminazione sul posto di lavoro, trascendendo le politiche nazionali dell’epoca; fornire pari opportunità di lavoro e pratiche eque ai lavoratori; migliorare le condizioni delle comunità locali, con particolare attenzione alla condizione infantile[11].

Originariamente un insieme di sei principi, dopo un primo allargamento nel 1978 le aziende aderenti ai principi si sono volontariamente impegnate a:

  • promuovere i diritti umani universali, in particolare quelli dei dipendenti, delle comunità in cui operano e delle parti con cui intrattengono rapporti commerciali;
  • favorire pari opportunità per i dipendenti a tutti i livelli dell’azienda, indipendentemente dal colore della pelle, dalla razza, dal genere, dall’età, dall’etnia o dalle convinzioni religiose, e ad operare evitando lo sfruttamento dei bambini, punizioni fisiche per i lavoratori, abusi sulle donne, schiavitù involontaria e altre forme di abuso;
  • rispettare la libertà di associazione volontaria dei dipendenti;
  • garantire un’equa remunerazione ai dipendenti per consentire loro di soddisfare i loro bisogni di base e fornire loro l’opportunità di migliorare le proprie opportunità sociali ed economiche;
  • fornire un luogo di lavoro sicuro e sano; proteggere la salute umana e l’ambiente; promuovere lo sviluppo sostenibile;
  • promuovere una concorrenza leale, compreso il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale e di altro tipo;
  • collaborare con il governo e le comunità in cui operano per migliorare la qualità della vita di tali comunità, il loro benessere educativo, culturale, economico e sociale, e fornire opportunità ai lavoratori provenienti da contesti svantaggiati;
  • promuovere l’applicazione di tali principi da parte di coloro con i quali intrattengono rapporti d’affari[12].

 

I Principi Sullivan citano direttamente la tutela della salute umana e dell’ambiente come un aspetto fondamentale di cui le imprese devono tenere conto nello svolgimento delle proprie attività. In particolare, il principio dello sviluppo sostenibile si inserisce come obiettivo da raggiungere anche con l’ausilio delle imprese, che analogamente sono tenute a considerare gli effetti delle proprie attività sulle comunità locali anche dal punto di vista educativo, culturale, economico e sociale. Inoltre, i Sullivan Principles prevedono la valutazione della conformità delle imprese da parte di revisori esterni, al fine di garantire una verifica il più possibile trasparente e indipendente[13].

 

Applicazione dei Principi Sullivan: a che punto siamo?

Dal 1999, i Principi Sullivan sono stati rielaborati con l’appellativo di Principi Sullivan Globali per la Responsabilità Sociale d’Impresa, e sono stati aperti all’adesione di un’ampia gamma di imprese di qualsiasi dimensione ed operanti in ogni settore o area del mondo.

Allo stato attuale, un numero consistente di imprese multinazionali ha espresso il loro impegno all’attuazione dei Principi Sullivan, incluse società commerciali del settore petrolifero e minerario come Shell, Freeport McMoran Cooper & Gold, Chevron Texaco, Unocal e General Motor[14]. Complessivamente, pur essendo uno strumento di soft law privo di forza giuridica vincolante, i Principi Sullivan hanno offerto un contributo ineguagliabile alla considerazione del ruolo delle imprese nel miglioramento delle condizioni sociali, come pure nel campo dei diritti dei lavoratori, e – seppur in modo limitato rispetto ad altre iniziative – dei diritti umani e della tutela dell’ambiente.

In maniera analoga, lo sviluppo dei principi da parte del reverendo Sullivan ha contribuito all’apertura del dibattito sulla misura in cui le imprese transnazionali dovrebbero rispondere delle conseguenze delle loro operazioni sulla società, così come ha fornito un modello per l’elaborazione di successivi codici di condotta individuali formulati a livello di specifiche società operanti in Stati stranieri[15].

 

I codici di condotta della comunità degli affari: le iniziative collettive

Fra i codici di condotta della comunità degli affari, accanto alle iniziative di autodisciplina elaborate dalle singole imprese, sono stati analogamente formulati standard di regolamentazione da parte delle associazioni di categoria operanti in specifici settori.

In tale contesto, la singola impresa è tenuta al rispetto di uno specifico codice elaborato nell’ambito dell’associazione di categoria a cui appartiene[16]: di fatto, a seguito dell’adozione di codici di condotta collettivi da parte di determinate associazioni di categoria, tutte le imprese associate sono tenute al rispetto di tali norme; inoltre, aderendo allo statuto dell’associazione di categoria, le aziende non solo si impegnano ad adottare i modelli contrattuali predisposti dall’ente, bensì anche a rispettare gli standard di responsabilità sociale e ambientale d’impresa elaborati all’interno dell’associazione.

In tal senso, i codici di condotta collettivi sono suscettibili di acquisire forza vincolante anche se esclusivamente per le imprese appartenenti ad una determinata associazione di settore[17]. In pratica, è nell’ambito dei codici di condotta collettivi che è possibile misurare la massima adesione delle imprese alle iniziative di responsabilità sociale d’impresa: i codici di condotta elaborati all’interno dei settori economici e industriali acquisiscono così lo status di standard di diligenza professionale, incoraggiando così il mondo imprenditoriale a conformare le proprie azioni a tale forma di etica aziendale[18].

 

Responsible Care e la responsabilità sociale nell’industria chimica

Esistono diversi esempi di codici di condotta originati nell’ambito delle associazioni imprenditoriali del settore privato che affrontano il tema della responsabilità sociale d’impresa, ed in particolare della tutela ambientale; tra questi, Responsible Care è una delle iniziative di punta nel campo dell’industria chimica[19]. Lanciato nel 1985 dall’associazione nazionale canadese dell’industria chimica e successivamente approvato da aziende di tutto il mondo, il codice sancisce l’impegno delle imprese operanti nel suddetto settore a conformare il proprio comportamento ad una serie di standard, che includono:

  • il miglioramento delle conoscenze e delle prestazioni in materia di ambiente, salute, sicurezza e protezione delle tecnologie, al fine di evitare danni agli individui e all’ambiente;
  • l’utilizzo delle risorse in maniera più efficiente e volto a ridurre al minimo gli sprechi;
  • l’immediata segnalazione di possibili carenze ed inadempimenti;
  • la cooperazione con governi ed organizzazioni nello sviluppo e nell’attuazione di standard efficaci di regolazione;
  • la fornitura di aiuti e consulenze per la promozione della gestione responsabile delle sostanze chimiche[20].

 

Responsible Care è un esempio vivente di cooperazione tra aziende all’interno dell’industria chimica globale per il continuo miglioramento delle proprie prestazioni in merito alla tutela dell’ambiente e della salute e, più in generale, per apportare un pratico contributo al progresso delle comunità locali potenzialmente interessate dalla loro condotta. Tuttavia, sebbene il codice sia teoricamente applicabile in maniera analoga a tutte le aziende aderenti, indipendentemente dal Paese in cui sono ubicate, secondo l’associazione chimica nazionale sono da rimarcare diversi gradi di accuratezza in fase di monitoraggio[21].

 

Gli Equator Principles per le istituzioni finanziarie

Un secondo esempio di codici di condotta della comunità degli affari elaborati a livello collettivo concerne gli Equator Principles[22], un’iniziativa quadro lanciata negli Stati Uniti nel luglio 2003 nell’ambito delle istituzioni finanziarie, al fine di fornire un approccio comune nella considerazione del rischio sociale e ambientale tanto nei processi decisionali, quanto nello svolgimento delle proprie operazioni.

Più precisamente, a partire dall’ultima revisione del luglio 2020, le imprese aderenti e attive nel settore finanziario si impegnano a rispettare i seguenti principi:

  • revisione e categorizzazione;
  • valutazione ambientale e sociale;
  • elaborazione di un piano d’azione per la gestione ambientale e sociale;
  • coinvolgimento degli stakeholder;
  • creazione di un meccanismo di reclamo;
  • revisione indipendente;
  • monitoraggio e rendicontazione indipendenti;
  • rendicontazione e trasparenza[23].

 

Attualmente, i principi si applicano su scala globale, ed in particolare a 118 istituzioni finanziarie in 37 paesi[24], abbracciando dunque la maggior parte dei progetti internazionali relativi al settore della finanza, compreso il finanziamento del debito nei paesi in via di sviluppo.

In particolare, il potenziale impatto ambientale di specifici progetti è al centro degli Equator Principles, i quali prevedono una serie di misure da intraprendere previamente alla decisione di finanziare una particolare iniziativa, ovvero la consultazione con le comunità interessate, la dovuta considerazione degli standard lavorativi e dei diritti delle comunità indigene, e, in definitiva, l’armonizzazione con gli standard sociali e ambientali validi a livello locale. Tuttavia, in materia di applicabilità gli Equator Principles si caratterizzano ancora come iniziative non vincolanti e volontarie, non generando pertanto obblighi di legge in capo alle imprese in caso di adesione[25].

 

I codici di condotta collettivi: una valutazione

Per quanto concerne la valutazione dell’efficacia dei codici di condotta della comunità degli affari collettivi e di settore, è possibile affermare che le associazioni di categoria adottino specifici codici di condotta sociale e ambientale al fine di ridurre la possibilità di danni reputazionali a causa del boicottaggio dei consumatori in reazione alla scarsa considerazione di standard di comportamento incorporanti la responsabilità sociale da parte di specifiche aziende.

Vi è inoltre una crescente tendenza delle associazioni di categoria del settore industriale ad evitare la divulgazione pubblica di informazioni sulla responsabilità delle società inadempienti, elemento che mina ulteriormente l’efficacia dei codici di condotta collettivi nel campo della responsabilità pubblica.

Nel complesso, emergono preoccupazioni in merito alla possibilità di monitorare le prestazioni reali delle imprese multinazionali attraverso la loro mera adesione a codici di condotta settoriali, poiché tali codici sono gestiti principalmente dalle stesse società e associazioni di categoria da cui sono stati elaborati: è pertanto ancora assente una valutazione esterna e indipendente della conformità da parte della comunità imprenditoriale[26].

Informazioni

W. BENDEK, K. DE FEYTER, F. MARRELLA, Economic Globalization and Human Rights, Cambridge, Cambridge University Press, 2007.

A. BONFANTI, Imprese multinazionali, diritti umani e ambiente. Profili di diritto internazionale pubblico e privato, Milano, Giuffré Editore, 2012.

V. CHABERT, I codici di Condotta delle Nazioni Unite per la responsabilità delle multinazionali. Diritto Consenso, 18 maggio 2022. Disponibile al link: https://www.dirittoconsenso.it/2022/05/18/i-codici-di-condotta-delle-nazioni-unite-per-la-responsabilita-delle-multinazionali/.

A. DE JONGE, Transnational Corporations and International law. Accountability in the Global Business Environment, Cheltenham, UK, Northampton, MA, USA, Edward Elgar Publishing, 2011.

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H. KELLER, Corporate Codes of Conduct and their Implementation: The question of Legitimacy. In R. Wolfrum, V. Röben, Legitimacy in International law, Berlin, Heidelberg, Springer, 2008.

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F. MARRELLA, Protection internationale des droits de l’homme et activités des sociétés transnationales, Recueil des cours de l’Académie de Droit International de la Haye, vol.385, Leiden-Boston, Massachussets (USA), Brill/Nijhoff, 2017.

F. MARRELLA, Regolazione internazionale e imprese multinazionali. In L’Impresa Responsabile. Diritti sociali e Corporate Social Responsibility, Milano, Halley, 2007.

S. R. RATNER, Corporations and Human Rights: a Theory of Legal Responsibility, The Yale Law Journal, Vol. 111, No. 3, 2001.

Responsible Care. Disponibile al link: https://cefic.org/responsible-care/ .

The Equator Principles. Disponibile al link: https://equator-principles.com/.

The Global Sullivan Principles. Disponibile al link: http://hrlibrary.umn.edu/links/sullivanprinciples.html#:~:text=The%20objectives%20of%20the%20Global,and%20boar.

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[1] W. BENDEK, K. DE FEYTER, F. MARRELLA, Economic Globalization and Human Rights, Cambridge, Cambridge University Press, 2007, p. 267.

[2] M. KOENIG-ARCHIBUGI, Transnational Corporations and Public Accountability, Government and Opposition, Vol.39, No.2, 2004, p. 251.

[3]  S. R. RATNER, Corporations and Human Rights: a Theory of Legal Responsibility, The Yale Law Journal, Vol. 111, No. 3, 2001, p. 531.

[4] F. MARRELLA, Protection internationale des droits de l’homme et activités des sociétés transnationales, Recueil des cours de l’Académie de Droit International de la Haye, vol.385, Leiden-Boston, Massachussets (USA), Brill/Nijhoff, 2017, p. 243.

[5] A. BONFANTI, Imprese multinazionali, diritti umani e ambiente. Profili di diritto internazionale pubblico e privato, Milano, Giuffré Editore, 2012, p. 217.

[6] V. CHABERT,  I codici di Condotta delle Nazioni Unite per la responsabilità delle multinazionali. Diritto Consenso, 18 maggio 2022. Disponibile al link: https://www.dirittoconsenso.it/2022/05/18/i-codici-di-condotta-delle-nazioni-unite-per-la-responsabilita-delle-multinazionali/.

[7] TOTAL, Code of conduct: our values in practice, Dicembre 2018. Disponibile al link: https://www.totalenergies.com/sites/g/files/nytnzq111/files/atoms/files/total_code_of_conduct_va_0.pdf

[8] F. MARRELLA, Regolazione internazionale e imprese multinazionali. In L’Impresa Responsabile. Diritti sociali e Corporate Social Responsibility, Milano, Halley, 2007, pp. 50-51.

[9] M. KOENIG-ARCHIBUGI, op. cit., p. 257.

[10]  H. KELLER, Corporate Codes of Conduct and their Implementation: The question of Legitimacy. In R. Wolfrum, V. Röben, Legitimacy in International law, Berlin, Heidelberg, Springer, 2008, p. 12.

[11] The Global Sullivan Principles. Disponibile al link: http://hrlibrary.umn.edu/links/sullivanprinciples.html#:~:text=The%20objectives%20of%20the%20Global,and%20boar.

[12] Ibid.

[13]  W. BENDEK, K. DE FEYTER, F. MARRELLA, op. cit., p. 294.

[14] A. BONFANTI, op. cit., p. 221.

[15] H. KELLER, op. cit., p. 8.

[16] F. MARRELLA, Regolazione internazionale e imprese multinazionali. In L’Impresa Responsabile. Diritti sociali e Corporate Social Responsibility, Milano, Halley, 2007, p. 51.

[17] W. BENDEK, K. DE FEYTER, F. MARRELLA, op. cit., p. 296.

[18] F. MARRELLA, Protection internationale des droits de l’homme et activités des sociétés transnationales, Recueil des cours de l’Académie de Droit International de la Haye, vol.385, Leiden-Boston, Massachussets (USA), Brill/Nijhoff, 2017, p. 241.

[19] Responsible Care. Disponibile al link: https://cefic.org/responsible-care/ .

[20] Ibid.

[21] H. KELLER, op. cit., p. 26.

[22] The Equator Principles. Disponibile al link: https://equator-principles.com/.

[23] Ibid.

[24] Equator Principles Association Members & Reporting. Disponibile al link: https://equator-principles.com/members-reporting/.

[25] A. DE JONGE, Transnational Corporations and International law. Accountability in the Global Business Environment, Cheltenham, UK, Northampton, MA, USA, Edward Elgar Publishing, 2011, p. 25.

[26] M. KOENIG-ARCHIBUGI, op. cit., p. 252.