Cosa si intende per persona socialmente pericolosa? E cosa prevede l’ordinamento italiano?

 

Premessa

Nel corso del tempo le scienze sociali e mediche, come l’antropologia criminale e la psichiatria, hanno cercato di individuare gli elementi che inducono una persona a delinquere. In estrema sintesi, tali discipline si sono adoperate per delineare i tratti della “persona socialmente pericolosa”.

A tale riguardo: “La pericolosità sociale – intesa come la probabilità (e non mera possibilità, come sosteneva esattamente la relazione al Codice Rocco) che un soggetto che ha commesso un reato realizzi in futuro altri comportamenti preveduti dalla legge come reati – è stata dunque sempre, fin dal XVIII secolo, al centro degli studi di scienziati e giuristi che si sono occupati dello studio del crimine e del criminale con la finalità di isolare la variabile (o le variabili) capace di individuare la causa che ha portato la persona a commettere un delitto[1].

Nel nostro ordinamento è previsto il sistema del cosiddetto “doppio binario”, composto dalla previsione dell’applicazione delle pene e delle misure di sicurezza, in risposta alla commissione di fatti ritenuti meritevoli di tutela penale.

La finalità perseguita al momento dell’entrata in vigore del codice penale Rocco era di: “Riformare il sistema penale in conformità alle tendenze politico/criminali allora vigenti, favorevoli al rafforzamento della protezione sociale mediante l’introduzione, in aggiunta alle pene tradizionali, di nuove misure sanzionatorie destinate a neutralizzare la pericolosità sociale di determinate categorie di delinquenti[2].

È in questo quadro che si inserisce il concetto di “pericolosità sociale”, presupposto necessario per l’applicazione di qualsiasi misura di sicurezza, attribuibile al reo con una valutazione del giudice.

 

L’art. 203, comma 1: la persona socialmente pericolosa

Il primo comma dell’art. 3 del codice penale definisce il concetto di persona socialmente pericolosa”, stabilendo che:

Agli effetti della legge penale, è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, la quale ha commesso taluno dei fatti indicati nell’articolo precedente, quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati”.

 

I punti salienti contenuti nel sopracitato comma sono due:

  • la non imputabilità o non punibilità dell’autore del reato;
  • la probabile commissione di nuovi reati.

 

In merito al primo aspetto, è necessario ricordare che anche il non imputabile o il non punibile[3] può essere sottoposto a misure di sicurezza.

Per quanto riguarda, invece, il secondo punto occorre una precisazione: “La definizione legislativa della pericolosità sociale come “probabilità” che si commettano nuovi reati tende a sottolineare che, ai fini dell’applicazione di una misura di sicurezza, non è sufficiente accertare la mera possibilità di ricadere nell’illecito. Come previsto dall’art. 203, comma 2, c.p., in particolare, la qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate dall’art. 133 c.p., ossia dalla gravità del reato e dalla capacità a delinquere del suo autore. La pericolosità sociale è dunque il risultato di un giudizio prognostico effettuato dal giudice, il quale, prendendo in specifica considerazione la gravità dell’illecito e la capacità a delinquere del soggetto, ritiene probabile che quest’ultimo compia altri fatti costituenti reato[4].

La pericolosità sociale deve essere quindi accertata – e non presunta – mediante un giudizio di prognosi del giudice, il quale: “Prendendo in specifica considerazione la gravità dell’illecito e la capacità a delinquere del soggetto, ritiene probabile che quest’ultimo compia altri fatti costituenti reato[5]. Tale giudizio prognostico è espressione del cambiamento sociale e giuridico che ha permesso il superamento della previsione originaria del codice, con cui – in alcuni casi – vigeva una presunzione di pericolosità della persona.

A seguito del riconoscimento da parte della Corte Costituzionale di un contrasto tra i principi costituzionali e l’anzidetta presunzione: “Il legislatore, con la l. n. 663/86, ha abolito ogni forma di presunzione legale di pericolosità, stabilendo che il giudice deve sempre procedere all’accertamento in concreto della pericolosità sociale dell’autore del reato. Per farlo, deve necessariamente tenere conto delle circostanze stabilite dall’art. 133 c.p., quali i motivi a delinquere e il carattere del reo, i precedenti penali e giudiziari, la condotta e la vita antecedente, contemporanea o susseguente al reato, nonché le sue condizioni di vita individuali, familiari e sociali[6].

 

L’art. 203, comma 2: la qualità di persona socialmente pericolosa

Il secondo comma dell’art. 230 c.p. stabilisce che:

La qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell’articolo 133”.

 

Il rimando è, dunque, ai parametri indicati alla norma rubricata: “Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena”, che assegna al giudice il compito di tenere conto di suddetta gravità, desunta:

  • dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione;
  • dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;
  • dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.

 

In aggiunta a questa statuizione, l’art. 133 c.p. dispone che, in sede di giudizio, si deve tenere conto anche della capacità a delinquere del colpevole, ricavata:

  • dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;
  • dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato;
  • dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;
  • dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.

 

Tutto ciò premesso, è possibile valutare il dettato dell’art. 133 c.p. al fine di formulare – rammentando l’aspetto preventivo – una “prognosi criminale”, utile alla valutazione della probabilità di commissione di nuovi reati.

In concreto il giudice deve: “Ricostruire il quadro generale della personalità del reo e, sulla base di un giudizio intuitivo, formulare una prognosi criminale (…) Al fine di accertare l’attuale pericolosità sociale del soggetto il giudice deve tener conto non solo della gravità del fatto di reato, ma anche dei fatti successivi, come il comportamento tenuto durante l’espiazione della pena[7].

In definitiva, l’individuazione della qualità di persona pericolosa è lasciata alla discrezionalità del giudice e può essere acclarata anche sulla base di meri indizi, purché “Costituiti da elementi di fatto certi, dai quali sia possibile far discendere, sul piano congetturale, la formulazione del giudizio probabilistico in ordine alla futura commissione di reati[8].

A corollario di quanto affermato, occorre distinguere la pericolosità dalla capacità criminale. Quest’ultima, invero, sussiste per il fatto stesso che un soggetto abbia commesso un reato e può essere intesa come una sorta di genus, la cui species è appunto la pericolosità sociale. In altri termini: “La prima è solo la possibilità, mentre la seconda è la probabilità di compiere illeciti penali[9].

 

La persona socialmente pericolosa nella giurisprudenza

La giurisprudenza sulla persona socialmente pericolosa è ampia, pertanto è necessario operare una scelta sui precedenti da citare. In questa sede è interessante una breve disamina, senza alcuna pretesa di esaustività, di alcune recenti pronunce sulla correlazione tra la pericolosità sociale e la permanenza in Italia dello straniero[10].

Si tratta di una tematica dibattuta – non solo in sede penale – sulla quale si ravvisano orientamenti principalmente incentrati sul pericolo individuato dall’art. 203 c.p. di commissione di nuovi reati[11].

In un primo caso, la Suprema Corte ha stabilito che: “In tema di misure di sicurezza personali, la pericolosità sociale rilevante per l’applicazione della misura facoltativa dell’espulsione dal territorio dello Stato di cui all’art. 235 c.p. consiste nel pericolo di commissione di nuovi reati e deve essere valutata tenendo conto dei rilievi peritali sulla personalità, sugli effettivi problemi psichiatrici e sulla capacità criminale dell’imputato, nonché sulla scorta di ogni altro parametro valutativo di cui all’art. 133 c.p.” (Cassazione Penale, Sez. II, sentenza n. 23797 del 17 luglio 2020).

A seguire, la sentenza n. 23101, Sez. V, del 18 maggio 2020, ha definito come: “In tema di esecuzione della misura di sicurezza personale dell’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, ai fini della valutazione del requisito di attualità della pericolosità sociale, la condizione di irregolare presenza in Italia, dovuta alla mancanza di un valido titolo di soggiorno, non costituisce, di per sé, elemento idoneo a fondare un giudizio sfavorevole di prognosi criminale, potendo assumere una tale valenza solo qualora lo straniero, per effetto dello stato di irregolarità, versi nell’impossibilità di procurarsi lecitamente i mezzi di sussistenza, con conseguente rischio di determinarsi alla commissione di nuovi reati” (Sez. I, sentenza n. 23826 del 26 giugno 2020).

Come già affermato, la questione interessa ambiti che vanno oltre il perimetro del diritto penale, sebbene ne siano una diretta conseguenza. Un esempio tra tutti è dato dalla sentenza del T.A.R. Milano, Sez. III, n.  716 del 30 marzo 2022 che, in presenza di reati ostativi, concede all’Amministrazione di: “Porre in essere una valutazione in concreto della pericolosità sociale del cittadino extracomunitario che chiede il permesso di soggiorno o titolo equivalente, in quanto la valutazione sulla pericolosità sociale è stata eseguita a monte dallo stesso legislatore, ma esclude altresì che l’estinzione del reato o della pena faccia venire meno il fatto ostativo della condanna subita dallo straniero”.

Informazioni

Inserisci qui la bibliografia

[1] A. Salvati, La pericolosità sociale nell’ordinamento giuridico italiano, www.antoniocasella.eu/archipsy/salvati_2011.pdf.

[2] R. Cuccato, La pericolosità sociale, in https://www.dirittocivilepenale.it/  .

[3] Per quanto concerne gli istituti della non punibilità: “Ci sono le cause di non punibilità come quella prevista dall’articolo 649 del codice penale: Non punibilità e querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti; oppure le cause di non punibilità sopravvenuta come la desistenza volontaria dell’azione nel delitto tentato (articolo 56 comma 3 del codice penale); ancora cause di estinzione come il caso dell’articolo 162-ter: Estinzione del reato per condotte riparatorie; fattispecie peculiari attinenti l’applicazione della sanzione come quella prevista dall’articolo 131-bis: Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto)”. (A. Piras, La non punibilità, www.dirittoconsenso.it, 8 gennaio 2020).

[4] Ibidem.

[5] Ibidem.

[6] F. Castaldo, La pericolosità sociale tra misure di sicurezza e misure di prevenzione, http://www.salvisjuribus.it/la-pericolosita-sociale-tra-misure-di-sicurezza-e-misure-di-prevenzione/.

[7] Fonte: Spiegazione dell’art. 203 codice penale, https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-primo/titolo-viii/capo-i/sezione-i/art203.html.

[8] Ibidem.

[9] Ibidem.

[10] Per lo studio giurisprudenziale degli orientamenti della Cassazione sull’art. 203 c.p. il rimando è, ad esempio, alle seguenti sentenze: Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 40808 del 18 novembre 2010, Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 24725 del 18 giugno 2008, Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 9847 del 8 marzo 2007, Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 24009 del 30 maggio 2003, Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1313 del 14 gennaio 2003, Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 8996 del 8 ottobre 1996.

[11] Le massime sono estrapolate dalla banca dati De Jure.