I contratti conclusi con l’Autorità Internazionale dei Fondali Marini rappresentano un esempio di contrattualizzazione dei codici di condotta per la protezione dell’ambiente

 

Contrattualizzare i codici di condotta: il ruolo dell’Autorità Internazionale dei Fondali Marini

A fronte della difficoltà di rendere legalmente vincolanti i codici di condotta elaborati a livello intergovernativo, regionale, delle imprese private e delle associazioni di categoria alle quali esse appartengono[1], negli ultimi anni è emersa la tendenza a trasformare gli standard che incorporano la responsabilità sociale ed ambientale in obbligazioni legali attraverso l’inclusione di tali impegni volontari all’interno di contratti, suscettibili di caratterizzare la loro osservazione come obbligatoria[2]. Nello specifico, gli effetti legali dei codici volontari per la protezione dell’ambiente andrebbero a derivare direttamente dalla loro formalizzazione in clausole contrattuali, e – di conseguenza – un contratto potrebbe eventualmente essere terminato su richiesta di una delle parti a causa di presunte o effettive violazioni delle disposizioni riguardanti la responsabilità sociale d’impresa[3].

In via generale, tale pratica appare in linea con l’interpretazione delle Nazioni Unite, ed in particolare con il principio 15 delle Norme delle Nazioni Unite sulla Responsabilità delle Imprese Transnazionali e altre Imprese in tema di Diritti Umani, secondo cui “ogni società transnazionale o impresa commerciale darà attuazione e incorporerà le presenti Norme nei contratti o negli altri regolamenti o accordi con ditte appaltatrici o sub-appaltatrici, fornitori, concessionari, distributori o con ogni altra persona fisica o giuridica con cui le società transnazionali e le altre imprese commerciali stipulano negozi, al fine di assicurare il rispetto e l’applicazione delle presenti Norme[4].

Allo stato attuale, è possibile rilevare esempi della cosiddetta “contrattualizzazione dei codici di condotta” specificatamente in materia di standard di tutela dei diritti umani. Di fatto, la trasformazione di codici di condotta sui diritti umani in clausole contrattuali vincolanti amplifica la possibilità di una maggiore uniformità in un sistema internazionale di Stati il cui livello di protezione dei diritti umani è notevolmente distinto. Allo stesso tempo, la contrattualizzazione impegnerebbe le imprese – specialmente multinazionali e transnazionali – a rispettare i diritti umani sul territorio di Paesi che non hanno ratificato specifici trattati o convenzioni in materia[5]: in effetti, in alcuni casi tale pratica potrebbe verosimilmente garantire un grado più elevato di tutela dei diritti umani fondamentali rispetto al livello assicurato dallo Stato in cui opera l’impresa multinazionale.

A tal proposito, ulteriori aspetti meritano un’adeguata considerazione. In particolare, alla luce del ricorso ad arbitrato come metodo più comune per la risoluzione delle controversie nella comunità degli affari, l’eventuale risoluzione di un contratto a seguito di una violazione degli standard sui diritti umani incorporati in clausole vincolanti sarebbe suscettibile di trasformare in maniera innovativa l’arbitrato in un “foro nuovo e inaspettato per contenziosi in materia di diritti umani in un contesto business to business (tra imprese)[6].

Ciononostante, ai sensi di tale approccio le vittime di violazioni dei diritti umani e soggetti terzi come le Organizzazioni Non Governative (ONG) non troverebbero spazio nel contenzioso se non come testimoni dei presunti illeciti alla base della risoluzione del contratto e della conseguente controversia. Inoltre, sebbene possa verificarsi una violazione delle clausole contrattuali in esame, motivazioni economiche potrebbero indurre le imprese a non terminare il contratto.[7]

In materia di tutela ambientale, un esempio rilevante della contrattualizzazione di standard per la protezione dell’ecosistema interessa la stipulazione di contratti per l’esplorazione e lo sfruttamento delle risorse nei fondali marini conclusi con l’Autorità Internazionale dei Fondali Marini[8].

 

I contratti di esplorazione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS)

La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS)[9] – e precisamente la parte XI e l’allegato III – prevede la possibilità per operatori pubblici o privati ​​di esplorare e sfruttare noduli polimetallici e fondali marini internazionali ricchi di solfuri in seguito alla conclusione di specifici accordi con l’Autorità Internazionale dei Fondali Marini[10]. In particolare, al fine di accedere alle risorse minerarie dei fondali internazionali, l’art. 153 della Convenzione prevede la possibilità per “le persone fisiche o giuridiche che possiedono la cittadinanza di Stati Parte o sono effettivamente controllate da questi o da loro cittadini, quando patrocinate da tali Stati” di stipulare contratti con l’Autorità Internazionale dei Fondali Marini per la durata di 15 anni (rinnovabili per altri 5 anni). Inoltre, il modello contrattuale è predefinito a livello internazionale e le norme sancite dalla Convenzione UNCLOS fanno parte della normativa applicabile. Eventualmente, qualsiasi potenziale violazione degli obblighi contrattuali può essere sollevata dinanzi alla Seabed Dispute Chamber del Tribunale internazionale per il diritto del mare (ITLOS)[11].

La regolazione delle attività internazionali di esplorazione dei fondali marini risale all’entrata in vigore dell’UNCLOS nel 1982. Da quel momento, i contratti di esplorazione sono stati conclusi da agenzie nazionali e, più recentemente, da imprese private mosse da interessi economici nel campo dell’estrazione di noduli polimetallici. In tale contesto, l’Autorità Internazionale dei Fondali Marini svolge un ruolo peculiare nell’organizzazione e nel controllo delle operazioni che interessano le risorse minerarie, al fine di preservare l’ambiente marino e simultaneamente prevenire il verificarsi di disastri ambientali derivanti dallo sfruttamento internazionale dei fondali marini[12]. In particolare, secondo l’UNCLOS, le risorse minerarie ubicate nell’area dei fondali internazionali[13] sono da considerarsi patrimonio comune dell’umanità[14]: di conseguenza, tutte le attività intraprese in quell’area devono essere svolte esclusivamente secondo il più ampio interesse dell’umanità nel suo insieme, e, al tempo stesso, nessuno Stato può rivendicare la sovranità su tale porzione di territorio e sulle proprie risorse[15]. Per queste ragioni, l’Autorità Internazionale dei Fondali Marini si occupa dell’amministrazione delle risorse del territorio, e soprattutto dell’istituzione di un assetto efficiente e non discriminatorio per consentire un’equa distribuzione dei benefici economici derivanti dalle attività di sfruttamento[16].

 

La protezione dell’ambiente tra le clausole contrattuali

Per quanto riguarda la conclusione dei contratti di esplorazione e successivamente di estrazione di risorse, gli appaltatori sono tenuti a presentare un piano dettagliato riguardante sia il progetto che si intende realizzare nell’area, sia le possibili azioni in caso di eventi pericolosi durante l’attività mineraria. Allo stesso tempo, è richiesto un programma di formazione.

Tra le clausole dei contratti stipulati con l’Autorità Internazionale per i Fondali Marini sono inoltre incluse specifiche norme di tutela ambientale: gli Stati contraenti, così come le società private, sono infatti giuridicamente vincolate a conformarsi al principio di precauzione sancito nell’art. 15 della Dichiarazione di Rio, e ad adottare specificatamente tutte le misure necessarie per prevenire, ridurre o mitigare il rischio di danni ambientali durante lo svolgimento di attività di esplorazione e estrazione mineraria in fondali marittimi internazionali[17]. È interessante notare che tali obblighi sono stati presi in considerazione dalla Commissione Legale e Tecnica dell’Autorità Internazionale dei Fondali Marini nelle Raccomandazioni del 2001 per la guida degli appaltatori per la valutazione dei possibili impatti ambientali derivanti dall’esplorazione di noduli polimetallici nell’Area,[18] che prevedono la realizzazione di un valutazione da parte degli appaltatori per il successivo monitoraggio degli impatti delle loro operazioni sull’ambiente marino.

Inoltre, le parti contraenti (Stati o imprese) si impegnano a redigere una relazione sullo stato di avanzamento delle attività, sulle tecnologie impiegate ed infine sugli impatti sull’ambiente da sottoporre all’Autorità Internazionale dei Fondali Marini entro novanta giorni dalla conclusione di ogni anno in cui il contratto è valido. Analogamente, le parti sono tenute ad informare immediatamente l’Autorità in caso di gravi rischi o danni all’ambiente, al fine di consentire una tempestiva adozione dei necessari provvedimenti di emergenza ed eventualmente l’interruzione dei progetti.

Infine, nel mese di marzo del 2020 è stata emessa dalla Commissione Legale e Tecnica dell’Autorità Internazionale dei Fondali Marini una versione più recente delle raccomandazioni per gli appaltatori in materia ambientale, nella quale – tra l’altro – sono descritte le procedure specifiche da seguire per la supervisione e il monitoraggio di potenziali attività dannose.

 

Conclusioni

Nel complesso, pur essendo uno strumento per l’evoluzione dei codici di condotta da soft law a obblighi di legge, la contrattualizzazione degli standard di tutela dei diritti umani e dell’ambiente presenta ancora numerose limitazioni: la presenza di meri obblighi contrattuali non è infatti da considerarsi come una sostituzione significativa ed efficiente di leggi e regolamenti provenienti dagli Stati, e similmente esistono ulteriori carenze in termini di trasparenza. Tuttavia, si può affermare che il caso dei contratti stipulati con l’Autorità Internazionale dei Fondali Marini è un esempio emblematico di un impegno concreto delle multinazionali nella tutela dell’ambiente, beneficiando al contempo dei vantaggi economici derivanti dallo sfruttamento delle risorse naturali.

Pertanto, ad oggi l’Autorità Internazionale dei Fondali Marini è parte di 22 contratti di esplorazione di noduli polimetallici e solfuri stipulati per lo più con imprese private, le quali sono legalmente vincolate dalle clausole contrattuali già descritte alla tutela dell’ambiente marino durante la realizzazione dei loro progetti.

Informazioni

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International Seabed Authority, disponibile al link: https://www.isa.org.jm/.

International Seabed Authority, Exploration Contracts. Disponibile al link: https://isa.org.jm/exploration-contracts.

International Seabed Authority, Legal and Technical Commission, Recommendations for the guidance of the contractors for the assessment of the possible environmental impacts arising from exploration for polymetallic nodules in the Area. ISBA/7/LTC/Rev.1,10 aprile 2001. Disponibile al link: https://digitallibrary.un.org/record/439782.

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United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS), 10 dicembre 1982. Disponibile al link: https://www.un.org/depts/los/convention_agreements/texts/unclos/unclos_e.pdf.

​​United Nations Sub-Commission for the Promotion and Protection of Human Rights, Norms on the Responsibilities of Transnational Corporations and Other Business Enterprises with regard to Human Rights, E/CN.4/Sub.2/2003/12/Rev.2, 26th August 2003. Disponibile al link: https://undocs.org/en/E/CN.4/Sub.2/2003/12/Rev.2.

V. CHABERT La responsabilità d’impresa nei paesi OCSE. DirittoConsenso. Disponibile al link: https://www.dirittoconsenso.it/2022/06/27/responsabilita-dimpresa-nei-paesi-ocse/ .

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[1] V. Chabert, La responsabilità d’impresa nei paesi OCSE. DirittoConsenso. Disponibile al link: https://www.dirittoconsenso.it/2022/06/27/responsabilita-dimpresa-nei-paesi-ocse/ .

[2] M. YAN, D. ZHANG, M. YAN, D. ZHANG, From Corporate Responsibility to Corporate Accountability, Hastings Business Law Journal, Vol.16, No.1, 2020, pp. 53-54. Si veda anche: J. A. ZERK, Multinationals and Corporate Social Responsibility. Limitations and Opportunities  in International Law, Cambridge, Cambridge University Press, 2006, p. 35; F. MARRELLA, Protection internationale des droits de l’homme et activités des sociétés transnationales, Recueil des cours de l’Académie de Droit International de la Haye, vol.385, Leiden-Boston, Massachussets (USA), Brill/Nijhoff, 2017, p. 267.

[3] W. BENDEK, K. DE FEYTER, F. MARRELLA, Economic Globalization and Human Rights, Cambridge, Cambridge University Press, 2007, p. 302.

[4] United Nations Sub-Commission for the Promotion and Protection of Human Rights, Norms on the Responsibilities of Transnational Corporations and Other Business Enterprises with regard to Human Rights, E/CN.4/Sub.2/2003/12/Rev.2, 26th August 2003, Principio 15. Disponibile al link https://undocs.org/en/E/CN.4/Sub.2/2003/12/Rev.2.

[5] W. BENDEK, K. DE FEYTER, F. MARRELLA, op. cit., p. 305.

[6] Ivi, p. 307.

[7] Ibid.

[8] A. BONFANTI, Imprese multinazionali, diritti umani e ambiente. Profili di diritto internazionale pubblico e privato, Milano, Giuffré Editore, 2012.

[9] United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS), 10 dicembre 1982. Disponibile al link: https://www.un.org/depts/los/convention_agreements/texts/unclos/unclos_e.pdf.

[10] L’Autorità Internazionale dei Fondali Marini, con sede a Kingston, Jamaica, fu create nel 1994 e divenne un’organizzazione internazionale autonoma due anni dopo. Conta 168 Stati membri (inclusa l’Unione Europea). Maggiori informazioni sono disponibili al link: https://www.isa.org.jm/.

[11] International Tribunal for the Law of the Sea. Disponibile al link: https://www.itlos.org/en/.

[12] International Seabed Authority, Exploration Contracts. Disponibile al link: https://isa.org.jm/exploration-contracts.

[13] Una mappatura più precisa dell’area dei fondali marini è disponibile al link: https://www.isa.org.jm/media/image/450.

[14] United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS), 10 dicembre 1982, art. 136. Disponibile al link: https://www.un.org/depts/los/convention_agreements/texts/unclos/unclos_e.pdf.

[15] A. BONFANTI, op. cit., p. 255.

[16] United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS), 10 dicembre 1982, art. 140. Disponibile al link: https://www.un.org/depts/los/convention_agreements/texts/unclos/unclos_e.pdf.

[17] Rio Declaration on Environment and Development, A/CONF.151/26 (Vol. I), 13 giugno 1992, art. 15. Disponibile al link: https://www.un.org/en/development/desa/population/migration/generalassembly/docs/globalcompact/A_CONF.151_26_Vol.I_Declaration.pdf.

[18] International Seabed Authority, Legal and Technical Commission, Recommendations for the guidance of the contractors for the assessment of the possible environmental impacts arising from exploration for polymetallic nodules in the Area. ISBA/7/LTC/Rev.1,10 aprile 2001. Disponibile al link: https://digitallibrary.un.org/record/439782.