Pubblicare il video di un reato è reato? Sì, ma bisogna anche capire cosa prevedono il Codice della privacy ed il Codice penale sul tema

 

Introduzione

Per capire se pubblicare il video di un reato costituisce un illecito dobbiamo necessariamente compiere un’analisi di alcune condotte penalmente rilevanti. Bisogna, infatti, analizzare le seguenti fattispecie:

  • Il trattamento illecito di dati, di cui all’articolo 167 del Codice della privacy;
  • La diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, di cui all’articolo 612 ter del Codice penale.

 

Il trattamento illecito di dati e le azioni che violano altre disposizioni del Codice della Privacy

L’articolo 167 del Codice della privacy (D. Lgs. 196 del 2003) disciplina il reato titolato “Trattamento illecito di dati”.

Quest’ultimo si realizza attraverso la pubblicazione non autorizzata di immagini o notizie sul web. Prima di esaminare in dettaglio la fattispecie in parola, è utile evidenziare cosa s’intende per “trattamento” e cosa per “dati personali”.

Secondo quanto previsto dall’articolo 4 del medesimo testo di legge:

  • È “trattamento di dati” “qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca dati”;
  • È “dato personale” “qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale”.

 

In particolare, la fattispecie di cui all’articolo 167 si configura quando l’autore di reato pone in essere azioni che violano quanto è disposto dagli articoli 123, 126 e 130 del Codice della privacy.

Nello specifico:

  • l’articolo 123 riguarda il traffico dei dati di abbonati o utenti, gestito dal fornitore di una rete pubblica di comunicazioni. In particolare, tali dati devono essere cancellati o resi anonimi quando non risultano più necessari ai fini della trasmissione della comunicazione elettronica.
  • l’articolo 126 riguarda la diffusione dei dati relativi all’ubicazione da parte del fornitore di una rete pubblica di comunicazioni. In particolare, tali dati possono essere trattati solo in anonimato o qualora l’utente abbia manifestato il consenso al loro utilizzo. In ogni caso, il trattamento è lecito nella misura e nella durata necessaria alla fornitura del servizio interessato.
  • l’articolo 130 riguarda le chiamate o le comunicazioni di chiamata, senza l’intervento di un operatore, volte all’invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o, ancora, per comunicazioni commerciali. In particolare, l’uso dei sistemi automatizzati di chiamata è consentito solo se l’utente vi acconsente.

 

L’illecito penale di cui all’articolo 167 del Codice della privacy si configura quando viene violato il provvedimento di cui all’articolo 129 del medesimo Codice. Si tratta dell’elenco, redatto dal Garante della privacy, delle modalità di inserimento e successivo utilizzo dei dati personali dei contraenti. Tale provvedimento richiede che sia necessariamente manifestato il consenso da parte della persona a cui i dati ineriscono.

Il responsabile è punito con la reclusione da sei mesi ad un anno e sei mesi.

Ancora, il reato in esame è perseguibile quando vengono violate le disposizioni di cui all’articolo 2 sexies e octies del Codice della privacy. A tal riguardo:

  • l’articolo 2 sexies concerne il trattamento di categorie particolari di dati personali, che risulta necessario per motivi di interesse pubblico. Quest’ultimo è consentito quando previsto dal diritto dell’Unione europea o da disposizioni interne di legge o di regolamento o, infine, da atti amministrativi generali. Tali provvedimenti devono specificare i tipi di dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili e il motivo di interesse pubblico rilevante, nonché le misure appropriate per tutelare i diritti fondamentali dell’interessato.
  • l’articolo 2 octies concerne il trattamento dei dati relativi a condanne penali e reati. Quest’ultimo è ammesso solo se autorizzato da una norma di legge, che preveda garanzie appropriate a tutelare i diritti e le libertà degli interessati.

 

Il responsabile è punito con la reclusione da uno a tre anni.

In ogni caso, è necessario che la violazione delle disposizioni appena citate avvenga dolosamente. In particolare, l’autore di reato deve perseguire un profitto per sé o per altri oppure deve voler arrecare un danno alla vittima. Qualora, nel caso concreto, non si ravvisi il dolo in capo al responsabile, la fattispecie non è integrata e il reato non può essere perseguito.

Infine, è necessario provare che la condotta abbia cagionato un danno alla persona offesa. A tal riguardo, è riconosciuto il diritto al risarcimento per danno non patrimoniale[1].

 

Pubblicare o condividere il video della consumazione di un reato è reato?

Nella norma analizzata si possono sussumere tutti i casi concreti di diffusione di video online riguardanti terze persone. Tra questi, anche un’ipotesi particolare, su cui soffermiamo la nostra attenzione. Ci riferiamo, in particolare, alla condivisione sul web del video di un reato.

Si pensi, ad esempio, ad una persona che filma dei ragazzi intenti a rubare la merce di un supermercato. A questo proposito, postare o condividere online il video della consumazione di un reato è reato? Nella situazione ipotizzata, verrebbero diffuse immagini ritraenti gli autori del reato di furto senza il loro consenso. Pertanto, alla luce dell’analisi svolta in riferimento all’articolo 167 del Codice della privacy, postare o condividere online il video della consumazione di un reato è un reato.

Tale disamina consente, inoltre, di individuare una condizione fondamentale ai fini del perseguimento penale della condotta qui proposta: il video deve riprendere la persona, e non meramente il fatto, in modo tale da risultare potenzialmente riconoscibile dagli utenti del web. A tal riguardo, l’attenzione è rivolta al danno che la persona interessata subirebbe.

Nei casi in cui gli interessati non sono riconoscibili, la condotta non risulta perseguibile. Ciò si giustifica col fatto che, a tale fine, è necessario che si configuri e si provi un danno, materiale o morale, alla persona offesa. Se l’interessato non è riconoscibile, non subisce alcun danno[2].

Per ciò che concerne, invece, l’elemento soggettivo in capo a quanti postano o condividono il video, il dolo risulterebbe pacificamente integrato. Infatti, gli autori del reato in parola intendono trarre un profitto personale, ad esempio un aumento di visualizzazioni e di seguaci del proprio profilo, oppure arrecare un danno diretto a coloro che compaiono nel video, come richiesto dall’articolo 167 del Codice della privacy.

È, altresì, importante sottolineare la differenza tra la condotta di chi registra un video e di chi lo pubblica o lo condivide online:

  • nel primo caso non viene commesso un reato, salvo che il video riprenda una persona all’interno della privata dimora (verrebbe, infatti, posto in essere il reato di cui all’articolo 615 bis del Codice penale, “Interferenze illecite nella vita privata”)[3];
  • nel secondo caso, invece, la condotta è illecita ai sensi dell’articolo 167 del Codice della privacy, salvo che dal video non sia riconoscibile la persona interessata o la stessa abbia manifestato il consenso alla diffusione del video medesimo[4].

 

A tal riguardo, preme evidenziare il fatto che il consenso in parola deve necessariamente essere riferito alla possibilità di postare, condividere, diffondere, pertanto rendere di pubblico dominio, il materiale online. Con ciò si intende dire che non è sufficiente che l’interessato abbia manifestato il suo consenso ad essere filmato o fotografato.

Infine, merita menzione, in materia di rispetto della privacy, il dovere di cronaca, nonché la libertà di informazione (art. 21 Costituzione). In particolare, il giornalista, nell’espletamento delle sue funzioni, è tenuto a rispettare le condizioni dettate dal Regolamento UE 2016/679, che rappresentano i principi fondamentali del trattamento dei dati personali. A questo proposito:

  • i dati trattati devono essere stati raccolti in modo lecito
  • i dati devono risultare corretti e aggiornati
  • i dati devono rispondere al criterio di essenzialità. Ciò significa che non possono essere divulgate maggiori informazioni rispetto a quelle strettamente necessarie al fine di cronaca, legato, a sua volta, all’interesse pubblico alla conoscenza del fatto[5].

 

Il giornalista deve, altresì, rispettare alcuni obblighi specifici di riservatezza. Tra questi si evidenziano quelli relativi alle vittime di violenza sessuale, le cui identità devono sempre essere tutelate[6].

 

Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti

E quando si tratta di un video (o di una fotografia) dal contenuto sessualmente esplicito come nel caso di uno stupro o di una violenza sessuale? Anche qui la risposta è sì, è reato pubblicare il video di un reato.

La fattispecie concreta in esame è sussumibile nella ipotesi di reato disciplinata dall’articolo 612 ter del Codice penale. Quest’ultima è stata introdotta per opera della legge 19 luglio 2019, n. 69 (il c.d. “Codice rosso”). Si tratta della diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, fattispecie di reato nella quale, attualmente, vengono sussunti soprattutto casi di c.d. revenge porn[7].

Esplicativa è la sua collocazione all’interno del Titolo XII del Codice penale (“Dei delitti contro la persona”), nel Capo III e, in particolare, nella sezione III, “Dei delitti contro la libertà morale”.

Nello specifico:

  • chi, senza il consenso delle persone rappresentate, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, dopo averli realizzati o sottratti a terzi
  • chi invia, consegna, cede, pubblica o diffonde, senza il consenso delle persone rappresentate, video o immagini ricevute o, comunque, acquisite (si tratta dei c.d. secondi distributori)

è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000.

La pena indicata è aumentata in considerazione dell’autore di reato:

  • nel caso questo sia il coniuge o persona affettivamente legata alla persona offesa
  • nel caso in cui il reato sia commesso attraverso strumenti informatici o telematici

 

In particolare, si tratta di circostanze aggravanti ad effetto comune. Pertanto, esse comportano un aumento di pena fino ad un terzo.

Nel caso in cui la persona offesa versi in condizioni di inferiorità fisica o psichica o sia una donna in stato di gravidanza, la pena è aumentata da un 1/3 alla metà, trattandosi di una circostanza aggravante ad effetto speciale.

Della vittima risultano offesi l’onore sessuale, il decoro, la reputazione, nonché la privacy.

Si tratta di un reato comune, che può essere commesso da chiunque. Per quanto riguarda la condotta, la norma ne elenca cinque modalità di realizzazione, delle quali le ultime due (pubblicare e diffondere) evocano la realtà virtuale dei social e, pertanto, il passaggio virale del materiale interessato tra gli utenti del web.

La norma richiede che la persona offesa non acconsenta alla condotta posta in essere dal responsabile. In particolare, il consenso deve essere manifestato espressamente e prestato in totale libertà. Dunque, il reato sussiste sia quando manca il consenso delle persone rappresentate nelle foto o nei video sia qualora risulti coartato.

L’oggetto della condotta è un materiale fotografico o similare che sia “sessualmente esplicito”. Con riferimento a tale condizione, essa risulta integrata non solo quando il materiale riproduce amplessi ma anche quando rappresenta corpi nudi con genitali esposti. Ciò in considerazione del fatto che il materiale deve risultare potenzialmente in grado di stimolare impulsi sessuali nei fruitori[8].

Inoltre, deve potersi ravvisare in capo all’autore di reato del primo comma (quello che partecipa alla scena sessuale o la riprende; in ogni caso che è presente) un dolo generico. Ciò significa che non rileva l’esistenza di fini specifici, risultando sufficiente che il responsabile abbia avuto la volontà e la coscienza di rendere di pubblico dominio un materiale dal contenuto sessualmente esplicito. Gli eventuali ulteriori scopi specifici, come la volontà di arrecare un danno alla persona offesa o il mero vanto personale, sono valutati ai fini della commisurazione della pena.

Al contrario, per quanto riguarda l’autore di reato del secondo comma (il terzo che non è presente alla scena sessuale ma diffonde il video), è necessario ravvisare un dolo specifico. In particolare, si deve provare che il responsabile abbia voluto danneggiare la persona offesa[9].

Il reato in parola è perseguibile a querela. In particolare, la persona offesa ha tempo 6 mesi per querelare il responsabile. Qualora decidesse di rimettere la querela (ovvero a dire di ritirarla), ciò dovrebbe necessariamente essere compiuto in sede processuale. Eccezionalmente, la remissione può avvenire d’ufficio se la persona offesa versa in condizione di inferiorità fisica o psichica o è una donna in stato di gravidanza ovvero, ancora, qualora il fatto di reato sia connesso con altro delitto perseguibile d’ufficio[10].

Il reato si prescrive in 6 anni.

Informazioni

Inserisci qui la bibliografia

[1] https://www.laleggepertutti.it/152752_che-cosa-si-rischia-per-violazione-della-privacy e Cfr. Tribunale L’Aquila, 21/02/2020, n.73

[2] Cass. sez. III, sent. n. 1608/2014.

[3] https://www.co-legal.it/uncategorized/registrazione-e-diffusione-di-video-e-foto-quando-scatta-il-reato/

[4] https://www.laleggepertutti.it/591100_e-reato-condividere-sui-social-il-video-di-uno-stupro#:~:text=Filmare%20un%20reato%20%C3%A8%20pertanto,istiga%20alla%20commissione%20del%20delitto.

[5] Sul tema, cfr. l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 4690/2021

[6] Cfr. l’articolo 734 bis c.p.p.

[7] Si tratta dell’ipotesi di video di prestazioni sessuali: non si filma, pertanto, un reato.

[8] Così si è espressa la Sezione III della Cassazione penale, nella pronuncia n. 8285/2009.

[9] Così il comma 5 della norma. Per approfondimenti invito a leggere: Il revenge porn online – DirittoConsenso

[10] https://www.dataprotectionlaw.it/2020/12/02/il-revenge-porn-art-612-ter-del-codice-penale/