La delocalizzazione è un fenomeno economico che vede le società dislocare la produzione di un bene o servizio (o parte di esso) in Stati diversi. I più ignorano, però, l’esistenza di un fenomeno uguale ma opposto, noto come reshoring

 

Offshoring: i tributi come main driver

Quella del reshoring non è una strategia economica molto nota ad oggi; ben più celebre è il suo alter ego, ovvero l’offshoring.

Per meglio comprendere la localizzazione, pertanto, è necessario scandagliare le tipicità della delocalizzazione e le motivazioni che la spingono. Come già menzionato nell’introduzione, insieme ai singoli costi di produzione[1] ciascuna impresa è tenuta a contribuire al pagamento di tasse, imposte e contributi[2] secondo la normativa nazionale di uno specifico paese. Più in particolare, le modalità con cui opera l’obbligo contributivo, in Italia, sono stabilite dall’art. 23 della Costituzione, secondo cui “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base ad una legge”.

Con riferimento al pagamento delle imposte, dunque, la norma introduce chiaramente una riserva di legge[3] (concernente, invero, solamente le regole tributarie di diritto sostanziale) che pare rispondere all’originario motto, reso celebre durante la rivoluzione americana[4], secondo cui “No taxation without representation”.

In termini più chiari, le imprese[5] (in genere, in forma societaria) sono considerate, in territorio nazionale, soggetti passivi da imposta, obbligati, in quanto tali, al pagamento di un peculiare tributo: l’imposta sul reddito delle società[6] (anche nota come Ires, la cui aliquota fissa ammonta al 24% dal 2016).

Solamente le c.d. società residenti sono tenute al pagamento di tale imposta, ovvero le società e gli enti che, per la maggior parte del periodo d’imposta[7], hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale[8] nel territorio dello Stato.

A tal proposito, secondo il comma 5-bis dell’art. 73 si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società (c.d. esterovestite) ed enti che detengono partecipazioni di controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, in società o enti commerciali se:

  • sono controllati, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;
  • sono amministrati da un consiglio di amministrazione o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

 

Mediante questa norma, dunque, lo Stato intende combattere in breve la pratica dell’offshoring, che vede le società ricorrere a complessi sistemi di partecipazione di modo da poter qualificare formalmente la società quale estera, quando, invece, essa svolge attività di impresa all’interno del territorio nazionale.

L’offshoring, tuttavia, si spinge oltre la mera finalità elusiva; spostare la produzione di un determinato bene al di fuori dei confini nazionali è collegato, tra gli altri, ad una legislazione più favorevole, all’assenza di controlli stringenti in materia di emissioni, al più basso costo del lavoro. Questi sono alcuni dei motivi per cui, notoriamente, moltissime multinazionali hanno deciso, nel corso degli anni, di spostare parte della loro produzione (per esempio) in Cina.

 

Il reshoring

Come detto, il reshoring non è una pratica particolarmente conosciuta. Solamente a partire dal 2011, nell’ambito dell’European Reshoring Monitor, le aziende hanno avviato progetti di rilocalizzazione in Europa. Questo fenomeno, tecnicamente, consiste nel cambiare strategia a livello di catena del valore globale, portando in patria (o in Europa) parte della produzione delocalizzata negli anni precedenti.

A tal proposito, è possibile operare una ulteriore distinzione, individuando il backshoring e il nearshoring:

  • con il primo termine si intende la circostanza per cui la rilocalizzazione avviene nel Paese d’origine,
  • mentre nel secondo caso la rilocalizzazione avviene in uno Stato più vicino alla nazione d’origine.

 

Quali possono essere le ragioni a favore di questa strategia?

Per quanto sorprendente, numerose sono le motivazioni che sostengono la rilocalizzazione, tra le quali rientrano: la riorganizzazione dell’azienda, i tempi di consegna, l’effetto del “Made in, l’automazione dei processi in loco, i problemi doganali, solo per citarne alcune.

Il reshoring, inoltre, ha guadagnato in popolarità anche a causa della pandemia da Covid-19, posto che le produzioni che avvenivano off-shore hanno subito una forte crescita della domanda. In particolare, la dipendenza dalla Cina per l’importazione di mascherine (ad esempio) ha mostrato tutti i limiti dell’offshoring, mettendo in cisi la catena di approvvigionamento per i paesi occidentali. Tutto ciò ha fatto riflettere sull’importanza, per le imprese, di avere più autonomia.

Le peculiari circostanze storiche, sociali e politiche in cui viviamo oggigiorno, dunque, sembrerebbero spingere le società verso una internalizzazione della produzione a livello nazionale o, quantomeno, continentale. Questo permette di comprendere come l’aspetto tributario non sia l’unico ad incidere, lasciando il passo a fattori quali l’autonomia decisionale e la qualità del prodotto (a questo riguardo, basti guardare al mercato del luxury).

A complicare ulteriormente questo panorama, di per sé già complesso, è intervenuta la sostanziale impennata dei prezzi di gas e combustibili fossili, più in generale. Da un lato, questo fattore stimola le società ad esternalizzare nuovamente, specie in paesi (Cina su tutti) che non sembrano soffrire gli effetti economici della guerra ucraina in quanto partner commerciali della principale potenza che tiene in ostaggio l’occidente con la minaccia economica di uno shortage del gas[9]. D’altro canto, però, esternalizzare un processo produttivo per poi concluderlo nel paese nazionale costringerebbe la società a pagare spese di spedizione salate, proprio a causa dell’incremento dei costi del carburante.

 

Conclusioni

È utile far luce su un fenomeno tanto inedito come il reshoring, sebbene sia necessario analizzare questa fattispecie con cautela, posto che le scelte strategiche delle società sono destinate a mutare in quanto pungolate da un numero considerevole di variabili. Sarà importante attendere l’evolversi del conflitto – auspicando in una sua fine – per comprendere realmente se questa tendenza è destinata a consolidarsi ovvero se si tratti, più banalmente, di una semplice fase di passaggio.

Informazioni

Fondamenti di Diritto Tributario, Contrino, CEDAM Editore, 2022.

IlSole24Ore, Reshoring, alcune ipotesi sugli effetti della pandemia, https://www.econopoly.ilsole24ore.com/ .

Diritto Commerciale, volume 2, Campobasso, UTET Editore, 2020.

[1] Tra i quali rientrano, a titolo esemplificativo: i costi delle materie prime, le spese di spedizione, il costo del lavoro et alter.

[2] Le menzionate categorie altro non sono che una specificazione del più ampio genus di tributo, una vera e propria obbligazione nella forma di decurtazione patrimoniale, caratterizzata da coattività (ovvero imposta con un atto dell’autorità) e destinata a finanziare spese di interesse generale.

[3] Con riserva di legge si intende l’istituto giuridico secondo il quale una determinata materia può essere regolata solamente mediante una legge o un atto avente forza di legge. Per approfondimenti si rimanda ad un articolo di Diletta Fiore per DirittoConsenso: La riserva di legge: forma di garanzia dello Stato di diritto – DirittoConsenso.

[4] Che raggiunse il culmine durante il noto atto di protesta del Boston Tea Party, il quale ebbe luogo giovedì 16 dicembre 1773, nel porto di Boston, in risposta al continuo innalzamento delle tasse, promosso dal governo del Regno Unito a carico dei coloni d’oltreoceano.

[5] A tal proposito, si rimanda ad un articolo in materia di imprenditore pubblicato su DirittoConsenso: Imprenditore e impresa – DirittoConsenso.

[6] Sebbene l’art. 73 del Tuir (Testo unico delle imposte sui redditi) ricomprenda, tra i soggetti passivi da imposta, solamente le società di capitali, gli enti commerciali, gli enti non commerciali e le società e gli enti non residenti (rimanendo escluse, pertanto, le società di persone e gli enti ad esse equiparati, oltre ad alcuni soggetti esenti quali organi e amministrazioni dello Stato).

[7] Con periodo di imposta si il periodo di tempo per il quale si è tenuti al pagamento dei tributi ed al quale si fa riferimento per determinare il reddito su cui il contribuente deve calcolare l’imposta dovuta.

[8] L’oggetto sociale indica l’attività economica svolta dalla società. Esso è considerato uno degli elementi fondamentali da elencare all’interno dell’atto costitutivo di una società (si veda, in proposito, l’art. 2328, comma 2, n. 3 c.c.).

[9] Chiaro è il riferimento alla Russia di Putin.