Breve analisi dell’evoluzione giuridica degli illeciti e delle sanzioni amministrative alla luce dei dettami provenienti dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo
Introduzione alle sanzioni amministrative
L’illecito amministrativo si configura quando un soggetto viola una disposizione di legge. Tale violazione tuttavia viene ritenuta dall’ordinamento “meno grave” e dunque passibile di essere punita mediante una sanzione amministrativa.
L’illecito amministrativo si differenzia dall’illecito penale sulla base di una valutazione di pericolosità del soggetto agente. Laddove vi sia un maggior allarme sociale, l’ordinamento punisce la condotta del reo in modo più “forte”, sussumendola per tale ragione in una fattispecie di reato; laddove invece si ravvisi una minore pericolosità sociale il legislatore punisce la condotta dell’agente per il mezzo di sanzioni di tipo amministrativo.
Per esempio: sono illeciti penali il furto, la rapina, il peculato, il sequestro di persona, la violenza sessuale, l’omicidio; sono considerati illeciti amministrativi le violazioni del Codice della Strada[1] oppure, salvo le ipotesi di reato, le violazioni di quanto disposto dal T.U.L.P.S. (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza[2]).
La disciplina nazionale delle sanzioni amministrative
Nell’ordinamento italiano non esiste una nozione positiva di “sanzione amministrativa”, per diverso tempo il suo inquadramento concettuale è stato oggetto di disputa.
A tal proposito si è lungamente dibattuto se la sanzione amministrativa appartenesse al campo delle sanzioni in senso tecnico, volte ad assicurare la cura di un interesse pubblico mediante l’adozione di un provvedimento amministrativo; o se fosse invece considerabile un istituto accessorio all’esercizio della funzione amministrativa, da inquadrare nel campo della tutela di un interesse già individuato dal legislatore in sede di configurazione della fattispecie.
A cercare di mettere ordine, nel tentativo di realizzare un intervento organico di depenalizzazione, è intervenuto il legislatore con la L. n. 689/1981[3] recante lo statuto delle sanzioni amministrative. Il risultato di tale intervento legislativo è stata la creazione di una sorta di cesura nel nostro ordinamento tra:
- Sanzioni pecuniarie in “senso stretto” considerate come misure afflittive pecuniarie alle quali fu applicato lo statuto giuridico tipico del sistema penale, recante garanzie procedimentali tipiche (colpevolezza, tipicità, contraddittorio) e la cui giurisdizione fu rimessa al giudice ordinario;
- Sanzioni rispristinatorio-interdittive “in senso lato” le quali differivano dalle prime sotto il profilo procedimentale, in quanto sottoposte alla L. n. 241/1990 perché considerate manifestazione tipica del potere autoritativo; sotto il profilo punitivo, perchè non sottoposte ai principi di legalità, tassatività e colpevolezza; ed infine sotto il profilo giurisdizionale, dal momento che la loro giurisdizione fu rimessa al giudice amministrativo, che esercitava su di esse un sindacato concepito sulla funzione amministrativa.
Gli interventi della Corte Edu
Questo assetto di divaricazione concettuale e giuridico-normativo tra sanzioni amministrative “in senso stretto” e sanzioni amministrative “in senso lato” è stato oggetto di diverse sentenze della Corte europea dei diritti dell’Uomo[4] che, penetrando nel nostro ordinamento, hanno creato una vera e propria frattura sistemica nell’ambito di questo riparto.
In realtà la Corte Edu già a partire dal 1976 con la celebre sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi aveva già avuto modo di elaborare una più precisa e puntuale nozione sostanziale di pena per il tramite dell’elaborazione di tre criteri identificativi al fine di scongiurare che le principali garanzie dello statuto punitivo previste dalla CEDU (in particolare quelle previste dagli artt. 6[5] e 7[6]), fossero disapplicabili negli ordinamenti dei vari paesi per il mezzo di vaste operazioni di depenalizzazione, così dando vita a fenomeni di c.d. “truffa delle etichette”.
I criteri elaborati dalla Corte Edu (c.d. criteri Engel) si sostanziano in tre indici tra loro alternativi – pur potendo ricorrere congiuntamente – delle misure afflittive che proprio per la loro natura dovranno essere sottoposte alle garanzie della CEDU:
- Criterio formale della “rilevanza della qualificazione dell’illecito operata dall’ordinamento nazionale”. Si afferma che la CEDU estende il suo raggio applicativo a tutte le misure qualificate dagli ordinamenti nazionali come penali. Si tratta di un criterio formale, che recepisce la qualificazione interna nazionale.
- Criterio sostanziale “teleologico”. Indice che include nella nozione di pena in senso convenzionale tutte quelle misure votate ad una funzione punitivo-deterrente, che in quanto tali rientreranno nelle garanzie previste dalla CEDU.
- Criterio sostanziale della “gravità o severità del sacrificio imposto”. Qualora la misura non abbia una esclusiva finalità punitivo-deterrete ma ne possieda anche una ripristinatoria e/o di tutela dell’interesse pubblico, rientrerà nel campo delle garanzie CEDU qualora si caratterizzi per la sua severità o comunque imponga un sacrificio (personale o patrimoniale) al consociato.
Gli interventi della Corte Edu hanno dato vita ad una vera e propria decostruzione dello statuto giuridico delle sanzioni amministrative. L’effetto è stato quello di elevare le garanzie per esse previste così da includerle nell’orbita applicativa dello statuto della pena in tal modo accomunandole alle sanzioni penali.
La portata innovativa della giurisprudenza CEDU non si è limitata però all’imposizione di una prospettiva sostanzialistica, capace di attrarre tutte le sanzioni afflittive o comunque più simili al paradigma penalistico nel campo del penale. In realtà – e qui sta forse uno degli aspetti più innovativi – la CEDU ha imposto di far propria anche una nuova e ben più ampia nozione (sostanziale) di sanzione in senso stretto, ossia di sanzione che reclama, per il cittadino, pienezza di tutele.
Deve dunque qualificarsi come penale quella sanzione amministrativa che, ove anche presenti un contenuto e delle finalità non punitive in senso stretto, si caratterizzi per la gravità della punizione cui è sottoposto il consociato.
Detto in altri termini, un provvedimento dei pubblici poteri è considerabile sanzione penale quando, pur privo dei caratteri sostanziali tipici di quest’ultima, si caratterizza per l’elemento della gravità del pregiudizio inflitto quale conseguenza di un’accertata violazione normativa[7].
Le ripercussioni interne della giurisprudenza della Corte Edu
La giurisprudenza della Corte Edu in Italia ha trovato il suo principale strumento ricettivo nella Corte Costituzionale dinanzi alla quale sono state proposte una serie di questioni relative a fattispecie e sanzioni che, secondo il giudice rimettente, pur rientrando nella nozione di pena in senso convenzionale non erano destinatarie delle garanzie previste dalla CEDU.
Per capire la portata che i criteri sanciti dalla Corte Edu hanno avuto nel nostro ordinamento indagheremo in questa sede due corollari cardine del nostro sistema: il divieto di retroattività delle modifiche sanzionatorie in senso sfavorevole e il principio di colpevolezza, leggendoli alla luce del recepimento della giurisprudenza europea.
Divieto di retroattività
A partire dalla sentenza n. 196/2010, seguita dalla sentenza n. 104/2014, la Corte Costituzionale non solo ha fatto applicazione dell’art. 117, comma 1 Cost. in relazione all’art. 7 CEDU per affermare che il legislatore in relazione ad una sanzione amministrativa quale la confisca (originariamente considerata sezione in senso lato) è tenuto a rispettare il divieto di retroattività della legge penale più sfavorevole[8]; ma ha anche operato una lettura retroattiva dell’art. 25, comma 2 Cost., che prima di allora veniva considerato precettivo solo con riguardo al sistema penale e che con tale pronuncia la Consulta ritiene sia riconducibile anche alle sanzioni amministrative aventi un particolare effetto afflittivo.
Viene dunque sancito che, anche con riferimento alle sanzioni amministrative in senso lato, venga introdotto il divieto di retroattività rispetto a condotte poste in essere prima dell’entrata in vigore della legge recante la sanzione.
È importante sottolineare come questa pronuncia abbia esteso tale principio anche alle sanzioni amministrative pecuniarie, le quali godevano del riconoscimento del divieto di irretroattività solo a livello di legislazione ordinaria ma non anche a livello costituzionale.
Principio di colpevolezza
La giurisprudenza della Corte Edu ha influito sullo statuto delle sanzioni amministrative e sul principio di colpevolezza con particolare riguardo alla misura della confisca urbanistica.
In passato era discusso se il giudice penale, nel procedere per il reato di lottizzazione abusiva, potesse disporre la confisca di immobili abusivi anche nel contesto di una intervenuta prescrizione.
Con le sentenze n. 239/2009 e n. 49/2015 la Corte Costituzionale ha ripreso quanto statuito dalla Corte Edu con la sentenza Sud Fondi Srl c. Italia del 2009 con la quale si era precisato che fosse possibile disporre una confisca urbanistica nel contesto di un procedimento penale che si fosse chiuso in rito, a condizione che il giudice avesse accertato in motivazione e con cognizione piena, la responsabilità del lottizzatore e dei terzi acquirenti in mala fede.
Si nota un’estensione delle garanzie proprie del principio in esame allo statuto della sanzione amministrativa. La Corte Edu ha ribadito che, ai fini dell’applicazione di una sanzione penale in senso convenzionale, la responsabilità del reo debba sempre essere fondata sull’accertamento di un coefficiente soggettivo di colpevolezza. Non sono più autorizzati automatismi sanzionatori.
Conclusioni
L’affermarsi della categoria della sanzione amministrativa “penale” è frutto della crescente interazione del contesto nazionale con quello europeo. Con il passare degli anni infatti le garanzie previste dalla CEDU sono gradualmente penetrate nel nostro sistema e con esse si è fatta largo la necessità di bilanciarle con i diritti e gli interessi costituzionalmente protetti.
Proprio grazie a tale interazione, in applicazione dei c.d. criteri Engel e di successivi ulteriori orientamenti, la Corte Edu è giunta a riconoscere la natura sostanzialmente penale di numerose sanzioni qualificate sul piano nazionale come formalmente amministrative, con la conseguenza di estendere ad esse le garanzie di cui agli artt. 6 e 7 CEDU.
Informazioni
FOCARELLI, Equo processo e Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Contributo alla determinazione dell’ambito di applicazione dell’art. 6 della Convenzione, Padova, 2001.
[1] D.Lgs. n. 285/1992.
[2] R.D. 18.6.1931 n.773.
[3] G.U. LEGGE 24 novembre 1981, n. 689.
[4] Vedi Corte Edu, A e B c. Norvegia, 2016; Corte Edu, Sud Fondi Srl c. Italia, 2009; Corte Edu. Grande Stevens c. Italia, 2014.
[5] Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, TITOLO I, art. 6 “Diritto a un equo processo”.
[6] Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, TITOLO I, art. 7 “Nulla poena sine lege”.
[7] Cfr. FOCARELLI, Equo processo e Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Contributo alla determinazione dell’ambito di applicazione dell’art. 6 della Convenzione, Padova, 2001.
[8] Il principio di irretroattività nel diritto penale – DirittoConsenso.

Gabriele Pulice
Ciao, sono Gabriele. Sono nato a Cosenza nel 1996 e nel 2020 ho conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Pisa discutendo una tesi in ordinamento giudiziario italiano e comparato. Successivamente mi sono trasferito a Pavia per proseguire gli studi. Nel 2021 ho svolto un tirocinio formativo presso la sezione penale dibattimentale del Tribunale per i Minorenni di Milano e, nel 2022, ho conseguito il diploma di specializzazione presso la SSPL Università di Pavia / Università Bocconi di Milano. Recentemente ho concluso il periodo di pratica forense presso uno studio di consulenza legale e tributaria, esperienza che mi ha permesso di approfondire lo studio del diritto civile e del diritto fallimentare.