Breve analisi dei singoli presupposti costituenti la responsabilità conseguente un fatto illecito, e sue specifiche variazioni
Il fatto illecito quale fonte di responsabilità extracontrattuale
A differenza della responsabilità di tipo contrattuale, il cui presupposto per l’esistenza è la sussistenza di un rapporto di tipo obbligatorio tra le parti, la responsabilità extracontrattuale sorge a prescindere dall’esistenza di un tale rapporto obbligatorio sottostante.
La responsabilità extracontrattuale è disciplinata all’interno del Codice civile dall’articolo 2043 all’articolo 2059.
L’articolo 2043 del codice civile, rubricato “Risarcimento per fatto illecito”, rappresenta appunto la principale fonte normativa con riferimento al fatto illecito. Lo stesso, difatti, così dispone: « qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.».
Tale norma deve necessariamente essere letta congiuntamente ad un altro articolo contenuto nel medesimo titolo del Codice civile, ossia l’art. 2046 c.c.[1], che disciplina l’imputabilità del fatto dannoso. Da ciò deriva che i principali elementi su cui si fonda la responsabilità extracontrattuale da fatto illecito sono i seguenti:
- il fatto illecito;
- l’imputabilità del fatto ad un danneggiante e l’elemento soggettivo, ossia il dolo o la colpa del danneggiante;
- il nesso causale tra il fatto e l’evento dannoso;
- il danno[2].
La responsabilità che, pertanto, discende dalla commissione di un fatto illecito ad opera di un soggetto danneggiante è altrimenti conosciuta anche come responsabilità aquiliana, dalla Lex Aquilia de damno che già in epoca romana disciplinava la responsabilità da fatto illecito.
Gli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale:
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Il fatto illecito
Preliminarmente, occorre precisare che per “fatto” si intende ciò che cagiona il danno: può trattarsi di
- un comportamento dell’uomo, sia come condotta commissiva (consistente in un fare), sia come condotta omissiva[3] (consistente in un non fare);
- un mero fatto materiale, quale ad esempio un fatto naturale, pur sempre imputabile ad un soggetto (si pensi ad esempio al crollo di un cornicione dovuto ad una mancata manutenzione del palazzo).
In alcune ipotesi, poi, è la legge stessa a provvedere ad indicare un determinato fatto quale illecito. Si pensi ad esempio all’articolo 2600 c.c., a norma del quale è tenuto al risarcimento del danno chiunque ponga in essere atti di concorrenza sleale[4].
Gli illeciti civili, comunque, a differenza di quelli penali, si caratterizzano per la loro atipicità, enunciata proprio dal citato articolo 2043, il quale menziona qualunque fatto, che cagioni un danno ingiusto. Per aversi danno ingiusto, sarà poi necessario che si tratti di un danno cagionato da atto antigiuridico: di conseguenza, naturalmente, non ogni danno subìto potrà essere considerato risarcibile[5].
Infine, per aversi risarcibilità del danno, il fatto, oltre a dover essere contra ius, dovrà essere anche non iure, ossia non commesso nell’esercizio di un diritto in capo al danneggiante, né realizzato con la sussistenza di una causa scriminante quale la legittima difesa (ex art. 2044 c.c.) o lo stato di necessità (ex art. 2045 c.c.).
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L’elemento soggettivo e imputabilità
Dell’imputabilità del fatto illecito verso un soggetto c.d. danneggiante si è già detto menzionando l’articolo 2046 c.c. Sul punto, in via di sintesi, basti precisare che in capo al soggetto danneggiante non è necessaria la sussistenza della capacità d’agire, essendo sufficiente che al momento della commissione del fatto illecito lo stesso fosse capace di intendere e di volere.
Nell’eventualità in cui il soggetto in questione sia incapace, la responsabilità per danno da fatto illecito ricadrà su colui che aveva il dovere di sorveglianza dell’incapace, dando luogo ad un’ipotesi di c.d. responsabilità per fatto altrui[6] (o responsabilità indiretta, su cui si dirà oltre).
Per ciò che concerne specificamente l’elemento soggettivo, ossia il dolo o la colpa in capo al soggetto danneggiante, si tratta:
- in caso di dolo, di atto commesso con l’intenzionalità della condotta, pur rilevando anche il solo dolo eventuale[7];
- in caso di colpa, di atto commesso con negligenza, imprudenza o imperizia.
La prova della sussistenza dell’elemento soggettivo è posta in capo al soggetto che richiede il risarcimento del danno, ossia al danneggiato (rappresentando pertanto una inversione dell’onere della prova rispetto a quanto accade nella responsabilità contrattuale, nella quale è il debitore a dover provare di aver adempiuto all’obbligazione, e non il creditore).
Si è accennato, in precedenza, alla c.d. responsabilità indiretta per fatto illecito, intendendosi con essa una forma di responsabilità sussistente anche in capo ad un soggetto diverso dall’effettivo danneggiante. Tale specifica forma di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, difatti, detta anche responsabilità per fatto altrui, si aggiunge a quella “diretta” del danneggiante: in tal modo il danneggiato potrà contare sia sul patrimonio del danneggiante che su quello di un altro soggetto.
Ma chi sono i soggetti che possono essere chiamati a rispondere per un fatto illecito altrui?
A tal proposito, le forme di responsabilità indiretta previste dal codice civile sono le seguenti:
- danno cagionato dall’incapace (art. 2047 c.c.);
- responsabilità dei genitori, tutori, precettori e maestri d’arte (art. 2048 c.c.);
- responsabilità dei padroni e committenti (art. 2049 c.c.).
Alla responsabilità di tipo indiretto, si aggiunge la c.d. responsabilità oggettiva da fatto illecito. Questa ulteriore forma di responsabilità extracontrattuale rappresenta una variante di quella sopra esposta disciplinata dall’art. 2043. Difatti, nella responsabilità oggettiva non è presente, in capo al danneggiante, alcun elemento soggettivo, ossia né dolo né colpa.
A tal proposito, è lo stesso Codice civile che contempla varie ipotesi di responsabilità oggettiva, talvolta configurati anche responsabilità indiretta[8], le quali si articolano in:
- danno cagionato dall’incapace (art. 2047 c.c.);
- responsabilità dei genitori, tutori, precettori e maestri d’arte (art. 2048 c.c.);
- responsabilità dei padroni e committenti (art. 2049 c.c.);
- responsabilità per l’esercizio di attività pericolose (art. 2050 c.c.);
- danno cagionato da cose in custodia (art. 2051 c.c.);
- danno cagionato da animali (art. 2052 c.c.);
- danno da rovina da edificio (art. 2053 c.c.);
- danno da circolazione di veicoli (art. 2054 c.c.).
La funzione di tali previsioni è quella che garantire un possibile risarcimento in capo ad un soggetto danneggiato per una serie di attività, da cui possono scaturire danni, che siano già in origine qualificate come potenzialmente dannose, potenzialità di danno che peraltro non viene eliminata neppure con l’adozione di ogni ragionevole misura preventiva e cautelare. Di qui, perciò, la necessità di tutelare ugualmente i soggetti esposti ai rischi connessi a tali attività/fattispecie[9].
Da ultimo, se il fatto dannoso è imputabile a più persone, del danno saranno chiamate a rispondere tutte queste, secondo il principio di responsabilità solidale enunciato all’art. 2055 c.c.
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Il nesso causale tra l’evento lesivo e il fatto illecito
Affinché possa configurarsi un diritto al risarcimento in capo al soggetto danneggiato, è necessario che sussista un nesso di causalità tra il fatto e l’evento lesivo. In altri termini, occorre che l’evento lesivo in questione sia riconducibile alla condotta del soggetto danneggiante, ossia che la sua condotta sia la causa dell’evento lesivo.
Se è vero che tendenzialmente un evento lesivo è frutto di una serie di concause, ossia non è mai riconducibile ad un’unica condotta o fatto, è altrettanto vero che, giuridicamente, devono essere ritenute quali cause di un evento, le sole condotte senza il cui apporto tale evento non si sarebbe verificato, assumendo la qualifica di c.d. condicio sine qua non[10] di quell’evento[11].
La metodologia necessaria per verificare se una determinata condotta effettivamente assurga a condicio sine qua non è quella di cercare di ricostruire la fattispecie indagando se, in assenza di quella condotta o fatto, l’evento dannoso si sarebbe ugualmente verificato.
Talvolta però, a causa delle innegabili difficoltà che possono sorgere in relazione a tale attività di ricostruzione degli eventi, è necessario accontentarsi di un criterio un po’ meno “rigoroso”: la giurisprudenza, difatti, ha negli anni fatti ricorso al concetto di “più probabile che non”, per verificare la sussistenza del nesso causale. In questo modo, ciò che viene richiesto per ritenere realizzato tale presupposto per la responsabilità extracontrattuale è non tanto la certezza che senza quella condotta l’evento non si sarebbe verificato “al di là di ogni ragionevole dubbio”, ma la semplice probabilità di ciò[12].
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Il danno
Un ultimo e necessario presupposto ai fini della sussistenza della responsabilità extracontrattuale è il danno. Non sarebbe ammissibile alcun risarcimento, difatti, in mancanza di un danno effettivo subìto dal danneggiato. Il danno deve essere inteso come un pregiudizio subìto da un soggetto, ovvero una alterazione negativa della sua situazione allo stato precedente la verificazione del fatto illecito[13].
Il danno, in particolare, può essere suddiviso in una duplice tipologia, ossia:
- il danno patrimoniale;
- il danno non patrimoniale.
Il danno patrimoniale viene ad esistenza qualora l’alterazione negativa della situazione del danneggiato allo stato precedente la verificazione del fatto illecito sia di natura patrimoniale, vale a dire suscettibile di una valutazione economica. Il danno patrimoniale, a sua volta, consta di due componenti, che sono il c.d. danno emergente (da intendersi come diminuzione del patrimonio del danneggiato) e il c.d. lucro cessante (da intendersi come mancato guadagno che il danneggiante avrebbe conseguito senza l’illecito subìto)[14].
Il danno non patrimoniale, invece, espressamente previsto dall’art. 2059 c.c., si configura come un tipo di danno privo di connotazione economica propria. Esso deve intendersi sussistente solo nei casi previsti dalla legge, ossia ai sensi dell’art. 185 co. 2 del codice penale[15] e in caso di danno morale soggettivo (da intendersi quest’ultimo quale turbamento dell’animo, disagio o dolore psichico conseguente all’illecito)[16].
Vi è da dire, a tal proposito, che la giurisprudenza si è negli anni adoperata per estendere il concetto di danno non patrimoniale anche ad ulteriori fattispecie, a fronte della ristrettezza della previsione dell’art. 2059 c.c. In particolare, significative sono le c.d. sentenze “gemelle” dell’11 novembre 2008 (o sentenze di San Martino)[17]: quattro Sezioni Unite della corte di Cassazione che hanno ammesso il danno non patrimoniale in tutti i casi di lesione di diritti inviolabili della persona[18], come riconosciuti dalla Costituzione.
Si tenga presente, in ogni caso, che il danno non patrimoniale non è mai presunto, essendo al contrario oggetto di onere probatorio da parte di chi ne asserisce l’esistenza, anche tramite presunzioni semplici.
Il risarcimento
All’accertamento dell’esistenza di tutti i presupposti conseguirà un probabile risarcimento del danno, il quale potrà articolarsi in:
La scelta tra le due alternative è rimessa al danneggiato, salvo che la seconda tipologia non sia più realizzabile: si ricorrerà allora al risarcimento per equivalente.
Informazioni
MANUALE DI DIRITTO PRIVATO, A. TORRENTE- P. SCHLESINGER, GIUFFRÈ EDITORE, MILANO, 2017
CODICE CIVILE
[1] L’articolo 2046 così dispone: «Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità d’intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d’incapacità derivi da sua colpa.».
[2] Manuale di Diritto Privato, A. TORRENTE- P. SCHLESINGER, Giuffrè Editore, Milano, 2017, p. 916.
[3] Per la sussistenza di una condotta c.d. omissiva, è necessario che sussistano determinati presupposti, ossia che la condotta in questione venga realizzata sia in violazione di un obbligo giuridico di intervenire, che in violazione delle regole di diligenza e correttezza.
Manuale di Diritto Privato, op.cit., p. 916.
[4] Manuale di Diritto Privato, op. cit., p. 918.
[5] Sul punto, vi è una copiosissima giurisprudenza, tesa negli anni a comprendere nel novero di atto ingiusto una vasta categoria di situazioni, dal c.d. danno da inadempimento, al danno da lesione di interesse legittimo. Manuale di Diritto Privato, op.cit., p. 920.
[6] Manuale di Diritto Privato, op.cit., p. 928.
[7] A differenza del dolo diretto, questa fattispecie di dolo si verifica allorchè il danneggiante agisca e cagioni un danno non necessariamente con quello specifico fine, essendo sufficiente che lo stesso si sia rappresentato l’eventuale danno quale conseguenza della sua condotta, accettandone il possibile accadimento.
[8] Le citate ipotesi di responsabilità indiretta idonee ad essere qualificate anche come ipotesi di responsabilità oggettiva vengono fatte rientrare anche in quest’ultima categoria in forza del fatto che la difficile prova liberatoria che deve essere resa per essere esenti da responsabilità finisce in concreto per assimilare queste ipotesi alla responsabilità, appunto, oggettiva.
[9] Manuale di Diritto Privato, op.cit., p. 933.
[10] Che significa, appunto, dal latino, condizione indispensabile a (…).
[11] Manuale di Diritto Privato, op.cit., p. 942.
[12] All’opposto, pertanto, di quanto continua ad avvenire in àmbito penalistico, nel quale per pervenire ad una condanna è richiesta la soddisfazione del criterio dell’”oltre ogni ragionevole dubbio”.
[13] Manuale di Diritto Privato, op.cit., p. 954.
[14] Manuale di Diritto Privato, op.cit., p. 958.
[15] A norma del quale ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale obbliga al risarcimento.
[16] Manuale di Diritto Privato, op.cit., p. 958.
[17] A queste si aggiungano le sentenze della Cassazione di San Martino del 2019, tornate a pronunciarsi sul tema del danno non patrimoniale.
[18] Per approfondimenti relativi al danno non patrimoniale di creazione giurisprudenziale, si veda l’articolo su DirittoConsenso.it di Vittoria Rondana, Il risarcimento del danno tanatologico, 22 febbraio 2022, http://www.dirittoconsenso.it/2022/02/22/il-risarcimento-del-danno-tanatologico/
[19] Avviene tramite la corresponsione, dal danneggiante al danneggiato, di una somma di denaro del valore equivalente alla lesione del patrimonio subìto.
[20] Consiste nell’obbligazione per il danneggiante di ricostituire la situazione esattamente com’era prima del danno conseguente al fatto illecito.

Lisa Montalti
Ciao, sono Lisa. Sono nata nel 1998 e vivo a Imola. Laureata con lode in Giurisprudenza all’Alma Mater Studiorum di Bologna, ho svolto il primo semestre di pratica forense anticipata presso uno Studio Legale, occupandomi prevalentemente di Diritto Civile. Attualmente sono praticante avvocato presso uno Studio Legale specializzato in Diritto Commerciale, in particolare mi occupo di Diritto Fallimentare e procedure concorsuali. Ho da sempre una passione per la scrittura e la lettura.