La responsabilità del vettore nel trasporto di cose: breve introduzione al contratto di trasporto e analisi della responsabilità del vettore alla luce degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in materia di responsabilità del debitore
Introduzione: il contratto di trasporto
Per introdurci alla disamina della responsabilità del vettore nel trasporto di cose è opportuno analizzare brevemente il contratto di trasporto.
La nozione di contratto di trasporto è contenuta dal nostro Codice civile nel Libro IV, titolo III, capo VIII “Del trasporto”, all’art. 1678, che recita:
“Col contratto di trasporto, il vettore si obbliga, verso un corrispettivo, a trasferire persone o cose da un logo a un altro”.
Alla diversa natura dell’oggetto del trasporto si collega la distinzione tra due sottotipi cui la legge ha riservato apposita disciplina:
- il trasporto di persone (artt. 1681-1682 c.c.) e
- il trasporto di cose (artt. 1683-1702 c.c.).
Risulta opportuno precisare che il contratto di trasporto appartiene alla tipologia dei c.d. contratti d’opera ed è, in generale, un contratto consensuale ad effetti obbligatori; inoltre, benché nella sua definizione codicistica si faccia esplicito riferimento al requisito del “corrispettivo”, l’opinione prevalente tende ad escludere che l’onerosità sia un elemento indefettibile di tale rapporto, che di conseguenza può essere anche gratuito e talvolta di mersa cortesia[1].
Gli obblighi (in generale) del vettore
Il vettore deve adempiere all’obbligazione di trasporto mettendo le cose a disposizione del destinatario “nel luogo, nel termine e con ne modalità indicate dal contratto o, in mancanza, dagli usi” (art. 1687, comma 1, c.c.). Se la riconsegna non deve eseguirsi presso il destinatario, il vettore deve dargli prontamente avviso dell’arrivo delle cose trasportate (art. 1687 comma 2, c.c.).
La responsabilità del vettore rileva anche in caso di perdita o di avaria delle cose che gli sono consegnate per il trasporto, dal momento in cui le riceve a quello in cui le riconsegna al destinatario. I rischi afferenti le merci gravano dunque su di egli, salvo che non provi che la perdita o l’avaria siano derivate da caso fortuito, dalla natura o dai vizi delle cose stesse, dal loro imballaggio o, ancora, da fatto imputabile al mittente o al destinatario.
Le parti possono pattiziamente stabilire presunzioni sul caso fortuito per eventi che normalmente, in relazione alle condizioni e ai mezzi del trasporto, possono discenderne. La giurisprudenza tuttavia accoglie una nozione di caso fortuito assai restrittiva, da valutarsi sulla base di una prudente valutazione qualificata in ossequio ai canoni di diligenza di cui all’art. 1176 c.c., tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto e delle possibili misure idonee ad elidere od attenuare il rischio del danno o della perdita del carico.
Inadempimento o impossibilità della prestazione
Come per ogni contratto, in termini generali, l’art. 1218 c.c. costituisce la norma centrale in tema di responsabilità da inadempimento. La norma stabilisce che “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta, è tenuto al risarcimento del danno”.
Da una prima lettura del testo viene in rilievo che l’obbligo di risarcire il danno segue ad ogni inesattezza nell’esecuzione della prestazione dovuta, e questo non solo nel caso di inadempimento, ma anche nei casi in cui la prestazione eseguita risulti inesatta.
La norma prosegue stabilendo che la responsabilità e il conseguente risarcimento del danno siano di norma addebitabili al debitore salvo che non provi “che l’inadempimento o il ritardo siano causati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. Viene dunque in rilievo la necessità di capire quando c’è responsabilità e cosa sia l’impossibilità.
Per fare ciò è possibile mettere in luce due prospettive che hanno orientato il dibattito in materia di responsabilità c.d. contrattuale, nonché una terza elaborata a partire dagli anni ’80 da Luigi Mengoni, che si colloca a cavallo tra le precedenti due:
- Impossibilità oggettiva assoluta, è molto probabilmente la tesi che ha mosso il legislatore nel 1942 e ricalca letteralmente il modo di intendere le responsabilità alla luce del disposto dell’art. 1218 c.c.: il debitore può essere liberato solo da una impossibilità oggettiva e assoluta. Vi è l’idea che il debitore possa liberarsi soltanto provando una impossibilità derivante da fatti che esulano totalmente dalla sua sfera di controllo, si libera solo se prova il caso fortuito o la forza maggiore che hanno avuto come conseguenza l’inadempimento. Si tratta di una tesi molto rigorosa che si radica su un’idea forte del rapporto obbligatorio e della posizione del creditore rispetto al debitore.
- Impossibilità dovuta a colpa, tesi sostenuta da parte della dottrina[2], opposta alla precedente, che propone una lettura dell’art. 1218 c.c. alla luce di quanto disposato dall’art. 1176 c.c., che, obbligando il debitore al rispetto del canone di diligenza, configura per converso, la colpa quando tale canone viene violato. L’effetto di una simile impostazione è il rischio di un indebolimento del vincolo giuridico che lega le parti, cioè il rischio che la stabilità del rapporto possa vacillare in quanto potrebbe astrattamente sempre ipotizzarsi un tentativo del debitore di liberarsi dall’obbligazione assumendo una qualche difficoltà nell’esecuzione della prestazione.
- Impossibilità oggettiva e relativa, tesi di ispirazione tedesca che propone una lettura sistematica degli artt. 1218 e 1176 c.c. per cui, è necessario conservare una componente oggettiva della responsabilità imposta dall’art. 1218 c.c. nella parte in cui dispone l’oggettività connotante l’impossibilità della prestazione, a tal fine continuando a muoversi nell’ambito di una responsabilità contrattuale che non può fondarsi esclusivamente sulla colpa; al contempo, tuttavia, si sostiene che occorra modulare in modo più elastico il giudizio di responsabilità, in quanto vi sarebbero una serie di casi in cui il dato oggettivo non atterrebbe alla sfera interna dell’organizzazione di impresa del debitore. Da qui il motivo per cui la tesi viene definita oggettiva e relativa: si conserva una natura non strettamente colposa della responsabilità da inadempimento modulando il giudizio sulla c.d. oggettiva possibilità prestatoria. Alla luce di tale ricostruzione logica possiamo dire che la prestazione oggetto dell’obbligazione non si qualifica in termini astratti e assoluti, ma si identifica nella concretezza della fonte di quell’obbligazione che da contenuto alla prestazione oggetto dell’obbligazione stessa.
(Segue) La responsabilità del vettore
In virtù di tale ultima tesi (impossibilità oggettiva e relativa) è stata letta la responsabilità del vettore nel trasporto di cose.
Sul punto la ormai pacifica giurisprudenza[1] è orientata nel ritenere che poiché l’art. 1218 c.c. pone espressamente a carico del debitore la prova che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, la generica prova della diligenza non può essere sufficiente ad esonerarlo da responsabilità, essendo necessario dimostrare lo specifico impedimento che ha reso impossibile la sua prestazione o, quanto meno, dimostrare che questo non sia in alcun modo a lui imputabile.
Il debitore dovrà dunque dimostrare la propria assenza di colpa e l’uso della diligenza spiegata per rimuovere gli ostacoli frapposti da altri all’esatto adempimento.
Per capire tale orientamento si prenda ad esempio un soggetto che si obbliga a trasportare merci avendo stipulato un contratto con un contenuto determinato: la ditta Alpha trasporterà un certo tipo di beni da Roma a Milano entro l’arco di una giornata e sarà onerata di sostenete i costi del carburante e del trasporto. Poniamo ora che tale pattuizione divenga impossibile, nei limiti di quanto stabilito, per un’improvvisa chiusura autostradale. La questione che viene in rilievo è: si può ancora affermare che l’esecuzione della prestazione sia possibile e, soprattutto, rispondente a quella dedotta in obbligazione? Evidentemente l’improvvisa chiusura autostradale inciderà oggettivamente sui tempi e sui costi di trasporto, dunque la prestazione non sarà più possibile secondo quanto dedotto ma risulterà comunque materialmente eseguibile, a patto che siano spese risorse maggiori e che sia impiegato del tempo in più. La questione che si pone allora è: il debitore è ancora tenuto a eseguire la prestazione? E, di conseguenza, potrà essere ritenuto responsabile per inadempimento nonostante l’impossibilità oggettiva sopravvenuta della prestazione?
Sulla base di quanto sostenuto da dottrina e giurisprudenza la società Alpha non potrà essere ritenuta responsabile per il mancato trasporto delle merci da Roma a Milano in quanto, evidentemente, l’evento che ha reso impossibile la prestazione non poteva essere in alcun modo previsto e superato usando gli ordinari canoni di diligenza. Lo specifico impedimento – il blocco autostradale – non essendo in alcun modo imputabile alla società di trasporto potrà dunque essere allegato per provare ogni assenza di responsabilità del vettore. Tuttavia quest’ultimo per far fronte alle circostanze sopravvenute sarà onerato di chiedere istruzioni al mittente, provvedendo nel frattempo alla custodia delle cose. Il mittente potrà, a questo punto, apportare modifiche al contenuto del contratto (indicando ad esempio percorsi di viaggio alternativi) in modo da impedire la sua risoluzione per impossibilità sopravvenuta (art. 1463 c.c.).
Conclusioni
In conclusione possiamo dunque affermare che la responsabilità del vettore nel trasporto di cose è una responsabilità presunta.
La tesi dell’impossibilità oggettiva e relativa è quella che meglio riesce a coniugare le norme ex artt. 1218 e 1176 c.c., con quest’ultima che viene identificata nello sforzo richiesto al debitore per superare le ragioni di difficoltà nell’esecuzione della prestazione; al contempo, l’obbligazione non impone al debitore di andare oltre il concetto di possibilità della prestazione rispetto a quanto dedotto in obbligazione.
Informazioni
U. BRECCIA e altri, Diritto Privato, Tomo secondo, UTET Giuridica, 2014;
M. BIANCA, Diritto Civile V, La responsabilità, Giuffrè Francis Lefebvre, 2015
[1] Elementi diversi da quanto invece previsto dal contratto di deposito in albergo e della responsabilità dell’albergatore: per un approfondimento su questo contratto rimando a Il contratto di deposito in albergo – DirittoConsenso.
[2] v. in particolare, M. BIANCA in Diritto Civile V., La responsabilità
[3] v. Cass. 17/05/2002 n. 7214; Cass. 05/08/2002 n. 11717

Gabriele Pulice
Ciao, sono Gabriele. Sono nato a Cosenza nel 1996 e nel 2020 ho conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Pisa discutendo una tesi in ordinamento giudiziario italiano e comparato. Successivamente mi sono trasferito a Pavia per proseguire gli studi. Nel 2021 ho svolto un tirocinio formativo presso la sezione penale dibattimentale del Tribunale per i Minorenni di Milano e, nel 2022, ho conseguito il diploma di specializzazione presso la SSPL Università di Pavia / Università Bocconi di Milano. Recentemente ho concluso il periodo di pratica forense presso uno studio di consulenza legale e tributaria, esperienza che mi ha permesso di approfondire lo studio del diritto civile e del diritto fallimentare.