Stiamo assistendo alla distruzione intenzionale del patrimonio culturale ucraino? Il diritto internazionale cosa prevede?

 

Per iniziare

La distruzione del patrimonio culturale è una pratica antica tanto quanto il concetto di guerra: la distruzione del nemico è possibile – e si completa – con la distruzione del suo passaggio, della sua testimonianza, della memoria. Tipicamente sono i beni materiali ad essere direttamente colpiti e potremmo riportare migliaia di episodi in tal senso[1]. In realtà nella prassi si assiste anche alla cancellazione di tutto ciò che è intangibile, quindi non materiale. Con il presente articolo cerchiamo di capire però se si può parlare di distruzione intenzionale del patrimonio culturale ucraino dato che il conflitto in corso è sotto la massima attenzione dell’intera comunità internazionale.

Per essere chiari sin da subito: la “distruzione intenzionale” di cui parliamo (in inglese si trova sia nella forma di intentional destruction che di deliberate destruction) è un atto volto a distruggere, in tutto o in parte, il patrimonio culturale, compromettendone l’integrità. Questo atto costituisce una violazione del diritto internazionale e un’ingiustificata offesa ai principi di umanità e ai dettami della coscienza pubblica[2].

 

Cosa prevede il diritto internazionale per evitare la distruzione intenzionale del patrimonio culturale?

Ad oggi[3], il diritto internazionale – sia quello consuetudinario che pattizio – prevede una serie di regole contro la distruzione intenzionale del patrimonio culturale. Per comodità di esposizione richiamo in breve solamente il diritto internazionale senza addentrarmi nel diritto internazionale regionale:

  • le Convenzioni dell’Aia del 1899 e del 1907 sugli usi in guerra;
  • i Protocolli addizionali I e II del 1977 alle Convenzioni di Ginevra del 1949 sul diritto umanitario (da tenere a mente che se il primo riguarda i conflitti armati tra Stati, il secondo riguarda invece i conflitti armati non internazionali);
  • il Secondo Protocollo del 1999 della Convenzione dell’Aia del 1954 per la protezione del patrimonio culturale in caso di conflitto armato;
  • lo Statuto del 1993 del Tribunale Penale Internazionale per l’Ex Jugoslavia (art. 3(d))[4];
  • la Bozza del 1996 di Codice dei Crimini contro la Pace e la Sicurezza dell’Umanità redatta dalla Commissione di Diritto Internazionale (art. 20 (e)(iv));
  • lo Statuto di Roma del 1998 della Corte Penale Internazionale (art. 8(2)(b)(ix))[5];
  • l’art. 7 della Legge cambogiana che stabilisce le camere straordinarie nei tribunali cambogiani per il perseguimento dei crimini commessi durante il periodo della Kampuchea Democratica (cioè la dittatura cambogiana dei khmer rossi con a capo Pol Pot);
  • le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite tra cui spicca, per vicinanza anche temporale al caso Al Mahdi (vedi nota 3), la 2347 del 24 marzo 2017[6].

 

Le fonti delle disposizioni internazionali sulla protezione del patrimonio culturale durante un conflitto armato sono:

  • le regole sui conflitti armati (in inglese, law of armed conflictLOAC)
    • la Convenzione del 1954 con il Primo ed il Secondo Protocollo
    • i Protocolli addizionali del 1977 delle Convenzioni di Ginevra del 1949
    • il diritto consuetudinario internazionale dei conflitti armati
  • le regole di diritto penale internazionale (international criminal lawICL), con particolare riferimento ai
    • crimini di guerra[7]
    • crimini contro l’umanità[8]
  • le regole di diritto internazionale dei diritti umani (international human rights lawIHRL)
  • la Convenzione del 1972 del Patrimonio dell’Umanità (World Heritage Convention)[9]
  • la Convenzione del 1970 sui mezzi per vietare e prevenire l’importazione, l’esportazione e il trasferimento illeciti dei beni culturali
  • le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
  • il Bollettino del Segretario Generale delle Nazioni Unite del 1999[10].

 

Ad uno scenario così descritto si aggiunge una particolarità: l’attuale assetto normativo non comprende una piena tutela del patrimonio culturale immateriale. Per vedere il sistema nel suo insieme e per renderlo effettivamente applicato e imposto è necessario rafforzare il rapporto tra la tutela dei beni culturali e la protezione dei civili nel diritto dei conflitti armati.

 

È in corso la distruzione intenzionale del patrimonio culturale ucraino?

Come ho indicato in precedenza, c’è quindi un notevole sistema normativo internazionale. Passiamo quindi alla vera e propria distruzione intenzionale del patrimonio culturale ucraino.

La distruzione intenzionale del patrimonio culturale può derivare sia da una condotta individuale (come nel caso Al Mahdi) così come da una responsabilità di uno Stato. A volte queste condotte si sovrappongono: pensiamo al caso di un individuo organo di Stato come un generale delle forze armate.

Riferendoci all’attuale situazione in Ucraina bisogna fare riferimento al concetto di time of war, opposto a quello di peacetime. Dobbiamo cioè dare per scontato[11] che siamo in un contesto di guerra dove le parti in conflitto sono Ucraina e Federazione Russa.

Ma siamo di fronte alla distruzione intenzionale del patrimonio culturale ucraino? Questo è il punto centrale nonché il più difficile da dimostrare. Immaginare che musei, teatri, statue, chiese e simboli nazionali a Leopoli, Kiev o Odessa ed in altre località siano stati colpiti perché dietro vi erano precisi ordini o disposizioni è facile sulla carta. Dimostrare che il patrimonio ucraino sia stato colpito con l’intenzione di cancellare l’identità di un popolo è tutt’altra faccenda: si tratta di individuare i responsabili e poi capire come procedere contro costoro.

Lazare Eloundou Assomo, direttore del World Heritage Centre dell’UNESCO, ha espresso preoccupazione per le violazioni dei diritti umani e per le continue distruzioni che hanno colpito il patrimonio culturale ucraino. La distruzione intenzionale del patrimonio culturale ucraino potrebbe essere considerata un crimine di guerra[12]. Ricordo infatti che è proprio la risoluzione del Consiglio di Sicurezza 2347 del 2017 stabilisce che la protezione è un obbligo morale e che è un crimine di guerra la distruzione intenzionale del patrimonio culturale.

L’idea di una distruzione intenzionale del patrimonio culturale ucraino è già oggetto di discussione. Attacchi diretti al patrimonio culturale come – per citarne uno recente – nel caso del Palazzo della Cultura della città di Lozova, nell’oblast di Kharkiv[13] hanno dato adito alla diffusione di questa idea.

Un interessante lavoro svolto dal New Lines Institute e dal Raoul Wallenberg Centre for Human Rights invece si sofferma su una questione precisa ed in parte collegabile: comprendere se la Federazione Russa ha violato la Convenzione contro il genocidio del 1948[14].

 

Questioni aperte

Con il conflitto in corso riaffiorano alcuni concetti particolarmente delicati e di difficile soluzione che sono oggetto di studio. Personalmente riporto alcune riflessioni che seguono le ricerche fatte per redigere questo articolo:

  • la distruzione intenzionale del patrimonio culturale ucraino è da associare al concetto di “genocidio culturale”, in inglese “cultural cleansing[15]?
  • e la distruzione intenzionale del patrimonio culturale ucraino è da far ricadere sotto l’ombrello del crimine di guerra oppure del crimine contro l’umanità?[16]
  • è possibile prevedere l’istituzione di un tribunale internazionale al termine della guerra come avvenuto per il post Jugoslavia e che tra le competenze del tribunale vi possa essere il perseguimento di reati contro il patrimonio culturale?
  • la comunità internazionale deve intervenire nel caso di distruzione e di saccheggio di beni culturali durante un conflitto?[17]
  • la distruzione intenzionale del patrimonio culturale è da ricondurre all’insieme dei reati contro i beni culturali oppure a quello dei crimini contro l’umanità?
  • come si risarcisce una distruzione di un patrimonio culturale?

 

Conclusioni

Da quanto esposto si può subito notare che la protezione del patrimonio culturale a livello internazionale si basa su una varietà di trattati che si integrano e si sostengono a vicenda e i suoi principi fondamentali sono saldamente ancorati al diritto internazionale consuetudinario, vincolante per tutti gli Stati della comunità internazionale. C’è però un vuoto normativo nel diritto internazionale: al momento non esiste un trattato vincolante specificamente rivolto ad evitare la distruzione intenzionale del patrimonio culturale.

A mio avviso, l’adozione di uno strumento di questa portata è importante per la tutela del patrimonio mondiale: in particolare, faccio riferimento alla Dichiarazione del 2003 dell’UNESCO riguardante la distruzione intenzionale del patrimonio culturale[18]. Perché faccio riferimento alla Dichiarazione del 2003? Perché il passaggio da “Dichiarazione” a “Convenzione”, anche se auspicabile, sembra poco probabile. Se da una parte le dichiarazioni nel diritto internazionale contengono principi morali di ampio respiro, i trattati invece prevedono misure vincolanti per gli stati parte: la volontà degli Stati è il punto centrale.

Pertanto, comprendere se e come è avvenuta la distruzione intenzionale del patrimonio culturale ucraino richiederà non solamente tempo ma anche serietà e rigore nella ricerca delle fonti che dimostrino l’effettiva e diretta intenzione di condurre atti distruttivi.

Informazioni

Lenzerini, F. (2017) “Intentional Destruction of Cultural Heritage, Crimes against Humanity and Genocide: Towards an Evolutionary Interpretation of International Criminal Law,” europa ethnica, 74(3-4), pp. 66–72.

Amana, H. and Mariko, F. (2014) “Il Ruolo Del Giappone Nell’adozione Della Convenzione Per La Protezione Dei Beni Culturali in Caso Di Conflitto Armato (convenzione Dell’aja, 1954),” STORIA URBANA, 140(140), pp. 221–262.

Hladik, J. (2004) “The Unesco Declaration Concerning the Intentional Destruction of Cultural Heritage,” ART ANTIQUITY AND LAW -LEICESTER-, 9(3), pp. 215–236.

Lenzerini, F. (2003) “The Unesco Declaration Concerning the Intentional Destruction of Cultural Heritage: One Step Forward and Two Steps Back,” The Italian Yearbook of International Law Online, 13(1), pp. 131–145.

Frigerio A (2015) “Considerations on the Legitimacy of Organizing a Humanitarian Intervention Aimed at Stopping the Intentional Destruction of Cultural Heritage,” Santander Art and Culture Law Review, 2015(2), pp. 101–116.

UNESCO and Partners stand against Cultural Cleansing and Violent Extremism.

An Independent Legal Analysis of the Russian Federation’s Breaches of the Genocide Convention in Ukraine and the Duty to Prevent – New Lines Institute.

[1] Come dimenticare – tra i casi più recenti – la distruzione dei Buddha di Bamiyan in Afghanistan o i danneggiamenti su larga scala all’antica città di Palmira in Siria.

[2] Si rimanda alla Dichiarazione UNESCO riguardante la distruzione intenzionale del patrimonio culturale del 2003, articolo 2, 2.

[3] Il diritto internazionale contemporaneo proibisce condotte che sono state portate avanti per millenni e che in parte ancora lo sono. Non ci sono in effetti particolari differenze, per esempio, tra il saccheggio di Gerusalemme del 70 d.C. e la distruzione della cattedrale di Strasburgo e della libreria durante la guerra franco-prussiana del 1870-1871: questi eventi sarebbero oggi ugualmente punibili – al pari di altri ancora più recenti. Il punto importante è che il diritto in questo settore si è evoluto a seguito di eventi spartiacque, come le due guerre mondiali, il conflitto in Jugoslavia, la distruzione dei Buddha della Valle di Bamiyan in Afghanistan e la distruzione di edifici religiosi e culturali a Timbuktu in Mali.

[4] Il fondamentale operato del Tribunale Penale Internazionale per l’Ex Jugoslavia (in inglese indicato con l’acronimo ICTY) si riflette nella ricca giurisprudenza: in particolare in tema di distruzione del patrimonio culturale rinvio ai casi Jokić e Prlić.

[5] Allo stesso modo, la Corte Penale Internazionale ha condannato Ahmad Al Faqi Al Mahdi a 9 anni di reclusione per la distruzione intenzionale di edifici religiosi e culturali a Timbuktu in Mali. Per un approfondimento degli eventi e della pronuncia della Corte rinvio a quest’articolo di Viviana Gullo che spiega anche perché il Caso Al Mahdi rappresenti tante “prime volte”: Distruzione del patrimonio culturale nel diritto internazionale: il caso Al Mahdi – DirittoConsenso.

[6] In più occasioni però il Consiglio di Sicurezza si è espresso negli ultimi 20 anni: la risoluzione 1483 del 22 maggio 2003, la risoluzione 2170 del 15 agosto 2014, la risoluzione 2199 del 12 febbraio 2015, la risoluzione 2249 del 20 novembre 2015. Per la risoluzione 2347 del 24 marzo 2017 rinvio al documento ufficiale leggibile qui: S/RES/2347 (2017) | United Nations Security Council.

[7] Per una lettura: United Nations Office on Genocide Prevention and the Responsibility to Protect.

[8] E ancora: United Nations Office on Genocide Prevention and the Responsibility to Protect.

[9] Convention Concerning the Protection of the World Cultural and Natural Heritage.

[10] Observance by United Nations forces of international humanitarian law.

[11] Anche se la Russia ha sempre parlato di operazione speciale e che rispetto al passato e alla storia dei rapporti tra Stati è quasi del tutto scomparso l’atto di dichiarazione di guerra, ciò non significa che le regole di diritto internazionale (consuetudinarie e pattizie) siano venute meno o siano inapplicabili.

[12] UNESCO: deliberate destruction of Ukraine’s cultural heritage could be considered a war crime – Geneva Solutions.

[13] Is Ukraine’s cultural heritage under coordinated attack? (theartnewspaper.com).

[14] English-Report.pdf (newlinesinstitute.org).

[15] UNESCO and Partners stand against Cultural Cleansing and Violent Extremism. Inoltre: The Deliberate Destruction of Cultural Heritage and How (Not) to Repair It – Items (ssrc.org).

[16] Interessante l’opinione di Lenzerini che pone l’accento sull’evoluzione del diritto internazionale negli anni e sulla distinzione tra i concetti (nonché reati) di crimine di guerra e crimine contro l’umanità in cui viene fatta rientrare la distruzione intenzionale del patrimonio culturale. Vedi: Lenzerini, F. (2017) “Intentional Destruction of Cultural Heritage, Crimes against Humanity and Genocide: Towards an Evolutionary Interpretation of International Criminal Law,” europa ethnica, 74(3-4), pp. 66–72. A pag. 72 si legge: “however, the rule according to which intentional destruction of cultural heritage represents a violation of the laws and customs of war is undoubtedly grounded on an archaic vision of the significance of cultural heritage, attributing pre-eminence to the interests of national governments over it, considered as a property. The fact that this rule has recently been accompanied by the qualification of destruction of cultural heritage as a crime against humanity and by the recognition of its link with the crime of genocide is certainly to be welcomed, as these new approaches make the international regulation of the crime in point much more in line with its real nature and with the effects it produces in the real world over human beings and communities. At this point, it is only to be hoped that such approaches are generally shared by all competent courts and other international institutions.”.

[17] Frigerio A (2015) “Considerations on the Legitimacy of Organizing a Humanitarian Intervention Aimed at Stopping the Intentional Destruction of Cultural Heritage,” Santander Art and Culture Law Review, 2015(2), pp. 101–116. Si veda inoltre il concetto di “emergency response plan” (a volte indicato come Emergency Response Action Plan – ERAP) che l’UNESCO richiama nei contesti di emergenza. In termini generali: Operational principles and modalities for safeguarding intangible cultural heritage in emergencies – intangible heritage – Culture Sector – UNESCO; con riferimento alla situazione nello Yemen: UNESCO launches emergency response plan to safeguard Yemen cultural heritage – UNESCO World Heritage Centre.

[18] Consultabile in inglese a questo sito: Draft UNESCO Declaration concerning the Intentional Destruction of Cultural Heritage – UNESCO Digital Library. Per una dettagliata ricostruzione delle fasi che hanno portato all’elaborazione della Dichiarazione del 2003 rinvio all’articolo accademico di Hladik riportato nella sezione bibliografia.