Cosa sono i conflitti armati? Quando è importante parlare di conflitto armato internazionale e quando di conflitto armato non internazionale?

 

I conflitti armati in generale

Oggigiorno, i principali strumenti del diritto internazionale dei conflitti armati sono le quattro Convenzioni di Ginevra nate nel 1949 e loro due Protocolli aggiuntivi del 1977. Le Convenzioni ed i loro protocolli nascono per essere applicate all’interno di conflitti armati di qualsiasi tipo.

Gli strumenti convenzionali non contengono, però, alcuna definizione della nozione di conflitto armato: bisogna quindi fare riferimento alla giurisprudenza del Tribunale penale per la ex Jugoslavia che nel caso Tadic che ha osservato che “Un conflitto armato esiste ogni volta che ci sia il ricorso alla forza armata tra Stati o una violenza armata prolungata tra le autorità governative e gruppi armati organizzati o tra questi gruppi all’interno di uno Stato[1].

I conflitti armati possono quindi essere:

  • internazionali o
  • non internazionali.

 

Rientrano nella prima tipologia di conflitto quelli che vedono contrapporsi le forze armate di due Stati, a cui si assommano le guerre di liberazione nazionale, come, ad esempio, l’attuale conflitto fra Ucraina e Russia. La seconda ingloba i conflitti che si sviluppano entro i confini statuali, tra forze regolari e gruppi armati organizzati, come, ad esempio, il conflitto armato siriano.

 

I conflitti armati internazionali

Entrando più nello specifico, vediamo come il diritto considera conflitto armato internazionale l’uso della forza armata fra due o più stati, sia nel caso di guerra dichiarata, sia nel caso lo stato di guerra non sia stato riconosciuto da uno di questi. Inoltre, il conflitto armato internazionale può verificarsi in tutti i casi di occupazione totale o parziale del territorio di uno stato, anche se l’occupazione non incontra alcuna resistenza militare.

Di fatto, l’art. 2, comma 1, comune alle Convenzioni di Ginevra stabilisce che “…la presente Convenzione si applica in caso di guerra dichiara o di qualsiasi altro conflitto armato che scoppiasse tra due o più delle Alte Parti contraenti, anche se lo stato di guerra non fosse riconosciuto da una di esse. La Convenzione è parimente applicabile in tutti i casi di occupazione totale o par­ziale del territorio di un’Alta Parte contraente, anche se questa occupazione non incontrasse resistenza militare alcuna…”[2].

È importante, inoltre, sottolineare che ai conflitti armati vanno equiparate, per effetto dell’art.1, comma 4, del I Protocollo Addizionale del 1977, le guerre di liberazione nazionale, ossia i conflitti armati nei quali i popoli lottano contro la dominazione coloniale, l’occupazione straniera o i regimi razzisti, nell’esercizio del proprio diritto all’autodeterminazione.

Nel diritto internazionale classico un conflitto armato iniziava con una dichiarazione di guerra. L’art. 1 della III Convenzione dell’Aja 1907[3], concernente l’apertura delle ostilità, impegnava gli stati a notificare e motivare lo stato di guerra alla controparte; dal momento della notifica iniziava l’applicazione dello ius in bello tra i belligeranti. Con l’entrata in vigore dell’ONU, però, seppur le Convenzioni dell’Aja rimangono comunque in vigore, la dichiarazione di guerra ha perso molto del suo significato fino a diventare quasi del tutto marginale. Parliamo, infatti, di conflitto armato internazionale anche senza previa dichiarazione di guerra.

Infine, bisogna sottolineare che l’intervento di uno stato nel territorio di un altro stato può far sorgere un conflitto armato internazionalizzato, ovvero un combattimento di ordine interno che si è internazionalizzato per l’intervento, a fianco delle forze ribelli statali, di truppe di altri Stati o di forze d’interposizione (ONU) per operazioni di peace keeping o peace enforcing.

 

I conflitti armati non internazionali

Come già detto, anche i conflitti interni ricevono dalle Convenzioni una tutela che, seppur minore, è finalizzata a perseguire i più gravi crimini di guerra.

Esistono due riferimenti normativi principali:

  • l’art. 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra e
  • il II Protocollo del 1977.

 

L’art. 3 comune mira alla salvaguardia dei diritti umani: “Nel caso in cui un conflitto armato privo di carattere internazionale scoppiasse sul territorio di una delle Alte Parti contraenti, ciascuna delle Parti belligeranti è tenuta ad applicare le disposizioni seguenti…”[4]. Come possiamo notare, l’articolo non fornisce indicazioni circa le caratteristiche di un conflitto armato interno, il II Protocollo completa e sviluppa l’art. 3 comune e si applica a quei conflitti internazionali che “si svolgono sul territorio di un’Alta Parte contraente fra le sue forze armate e le forze armate dissidenti o gruppi armati organizzati che, sotto la condotta di un comando responsabile, esercitano, su una parte del suo territorio, un controllo tale da permettere loro di condurre operazioni militari prolungate e concertate.”.

Tali gruppi armati organizzati devono: a) avere un comando responsabile; b) esercitare su una parte del territorio un controllo qualificato, ossia tale da permettere operazioni militari prolungate e concertate. Il II Protocollo, infatti, non si applica alle situazioni di disordini o tensioni interne, come le sommosse, gli atti isolati e sporadici di violenza che non sono considerati conflitti armati.

Il criterio per stabilire l’esistenza di un conflitto armato, dunque, consta di due elementi:

  1. L’intensità dello scontro armato
  2. Il livello di organizzazione raggiunto dalle parti in conflitto.

 

Il Tribunale per la ex Jugoslavia, nel caso Tadic, ha osservato che “In un conflitto armato interno o misto, questi due criteri, che sono fra di sé strettamente connessi, sono da utilizzarsi allo scopo di distinguere un conflitto armato da meri atti di banditismo, insurrezioni non organizzate e di breve durata o attività terroriste che non sono soggette al diritto internazionale umanitario[5].

Per valutare l’intensità dello scontro armato bisogna fare riferimento a vari fattori: il numero, la durata e l’intensità dei singoli scontri; il tipo di armi impiegate; il numero di munizioni utilizzate e il loro calibro; il numero di individui che prendono parte ai combattimenti.

Risultano invece, secondo la giurisprudenza, fattori indicativi dell’organizzazione delle parti in conflitto: la presenza di una struttura di comando; la capacità del gruppo di condurre operazioni in maniera organizzata; la capacità in materia di logistica.

Bisogna infine sottolineare come la definizione di conflitto armato interno del II Protocollo è più stringente della definizione contenuta nell’art. 3, questo suppone che possano sussistere dei conflitti interni a cui si applica l’art. 3 ma non il II Protocollo. Il II Protocollo, infatti, si applica alle forze Statali escludendo tutti i conflitti fra gruppi armati, anche organizzati, che non siano statali, per tali conflitti si applica l’art. 3 comune di Ginevra. Viceversa, invece, non esisteranno conflitti a cui si applica il II Protocollo ma non si applica l’art.3.

Informazioni

Fiorillo, Guerra e diritto, Bari, 2009.

Fornari, Nozioni di Diritto internazionale dei conflitti armati, Napoli, 2015.

Ronzitti, Diritto internazionale dei conflitti armati: sesta edizione, Torino, 2017.

I bombardamenti a tappeto nel diritto internazionale – DirittoConsenso.

[1] ICTY Tadic Decision, 2 ottobre 1995 https://www.icty.org/x/cases/tadic/acdec/en/51002.htm.

[2] Art.2 Oltre alle disposizioni che devono entrare in vigore già in tempo di pace, la presente Convenzione si applica in caso di guerra dichiarata o di qualsiasi altro conflitto armato che scoppiasse tra due o più delle Alte Parti contraenti, anche se lo stato di guerra non fosse riconosciuto da una di esse. La Convenzione è parimente applicabile in tutti i casi di occupazione totale o par­ziale del territorio di un’Alta Parte contraente, anche se questa occupazione non incontrasse resistenza militare alcuna. Se una delle Potenze belligeranti non partecipa alla presente Convenzione, le Potenze che vi hanno aderito rimangono cionondimeno vincolate dalla stessa nei loro rapporti reciproci. Esse sono inoltre vincolate dalla Convenzione nei confronti di detta Potenza, sempreché questa ne accetti e ne applichi le disposizioni”.

[3] Art. 1 “Le Potenze contraenti riconoscono che le ostilità fra esse non devono cominciare senza un avvertimento preliminare e non equivoco, che avrà sia la forma d’una dichiarazione di guerra motivata, sia quella di un ultimatum con dichiarazione di guerra condizionale.”.

[4] L’art. 3 ha assunto valore consuetudinario ed è stato ratificato da 196 Stati. “Nel caso in cui un conflitto armato privo di carattere internazionale scoppiasse sul territorio di una delle Alte Parti contraenti, ciascuna delle Parti belligeranti è tenuta ad applicare almeno le disposizioni seguenti:1.Le persone che non partecipano direttamente alle ostilità, compresi i membri delle forze armate che abbiano deposto le armi e le persone messe fuori combattimento da malattia, ferita, detenzione o qualsiasi altra causa, saranno trattate, in ogni circostanza, con umanità, senza alcuna distinzione di carat­tere sfavorevole che si riferisca alla razza, al colore, alla religione o alla cre­denza, al sesso, alla nascita o al censo, o fondata su qualsiasi altro criterio analogo. A questo scopo, sono e rimangono vietate, in ogni tempo e luogo, nei con­fronti delle persone sopra indicate: a) le violenze contro la vita e l’integrità corporale, specialmente l’assas­sinio in tutte le sue forme, le mutilazioni, i trattamenti crudeli, le torture e i supplizi; b) la cattura di ostaggi; c) gli oltraggi alla dignità personale, specialmente i trattamenti umilianti e degradanti; d)le condanne pronunciate e le esecuzioni compiute senza previo giudizio di un tribunale regolarmente costituito, che offra le garanzie giudiziarie riconosciute indispensabili dai popoli civili. 2.I feriti e i malati saranno raccolti o curati. Un ente umanitario imparziale, come il Comitato internazionale della Croce Rossa, potrà offrire i suoi servigi alle Parti belligeranti. Le Parti belligeranti si sforzeranno, d’altro lato, di mettere in vigore, mediante accordi speciali, tutte o parte delle altre disposizioni della presente Convenzione. L’applicazione delle disposizioni che precedono non avrà effetto sullo statuto giuri­dico delle Parti belligeranti.”

[5] ICTY, Tadic, 1997 https://www.icty.org/en/press/tadic-case-verdict