Digital Benin è un interessante progetto nato per individuare e catalogare i beni esportati dal Regno del Benin durante il diciannovesimo secolo

 

Digital Benin: le origini e gli obiettivi

È una banca dati senza precedenti: Digital Benin contiene circa 5.000 oggetti dell’antico Regno del Benin. Tale regno era riconosciuto nell’area come una struttura statale amministrativamente organizzata e a cui capo vi era un re (oba). Gli europei che entrarono a contatto con il Regno del Benin a partire dal XV secolo riconobbero un’autorità locale e stabilirono forme commerciali. Poi la colonizzazione britannica prese il sopravvento.

Perché allora creare un tale catalogo? È riconosciuto che durante l’occupazione coloniale britannica delle aree del Regno del Benin[1] sono stati prelevati come bottino di guerra migliaia di reperti artistici e culturali[2] che nel tempo sono stati venduti. Molti di questi sono oggi esposti in vari musei. Nello specifico, Digital Benin svolge un compito particolare: raccogliere il patrimonio saccheggiato dalle forze britanniche dal Regno del Benin (esteso nelle aree dell’attuale Stato di Edo, in Nigeria) nel febbraio 1897[3] e dispersa subito dopo usando i dati raccolti portandoli a conoscenza di tutti. Il catalogo infatti è al momento disponibile in inglese e in edo.

Tutti i 5.246 oggetti sono importanti fonti di documentazione e ricostruzione della storia e delle tradizioni del popolo del Benin oltre il postcoloniale: in questo grande lavoro di catalogazione è stato possibile identificare beni oggi presenti in 131 istituti culturali in 20 Stati.

 

Al di là dei Benin Bronzes

5.246 tesori che dal primo all’ultimo sono catalogati in maniera sistematica. Nella sezione Catalogue ogni bene è inquadrato secondo uso, provenienza, attuale collocazione, materiale, dimensione, data di produzione o lavorazione e istituto o dipartimento in cui è esposto e con foto allegate: ci si immerge in un incredibile lavoro di catalogazione dei reperti di pregevole fattura e dall’imprescindibile valenza culturale.

Di questi tesori però si parla da tempo: il caso è quello dei cosiddetti bronzi del Benin (in inglese, Benin Bronzes). Tali bronzi sono appunto tutti quei reperti che sono stati presi dopo la conquista della capitale del Regno del Benin da parte delle forze britanniche che posero fine a tale Regno. La Nigeria chiede da circa 50 anni la restituzione ma Stati e musei in cui i bronzi sono esposti non concordano su una restituzione veloce: se infatti la Germania da una parte ha riconosciuto dopo molto tempo la necessità di restituirli[4], non altrettanto lo fa la Gran Bretagna mentre ci sono spiragli di apertura negli Stati Uniti. La difesa di chi si trova davanti la richiesta di restituzione è che i bronzi siano meglio conservati e protetti nei musei europei che in Nigeria: una motivazione poco convincente e che non fa altro che alimentare le polemiche.

Negli ultimi anni però il problema dei bronzi del Benin ha dato adito a nuovi dibattiti sul tema perché, soprattutto dal punto di vista etico, la restituzione si impone come un obbligo morale e come una forma di scusa per i danni del colonialismo; in più è cambiata nel tempo la concezione di museo: non più luogo dove la cultura è sinonimo di potenza e di dominio di una nazione sugli altri popoli ma museo come centro di scambio, di formazione e di inclusione. Tuttavia, è opinione diffusa[5] che nei musei universali o enciclopedici si debba narrare la storia dell’umanità nella sua interezza pertanto l’esposizione dell’arte proveniente da ogni parte del mondo risulta legittimata. Come si può vedere è complesso trovare una soluzione che accontenti tutti.

Nei fatti si è proceduto in alcuni casi verso la restituzione dei bronzi del Benin ma difficilmente sarà una restituzione totale dei reperti e senza condizioni favorevoli per le parti coinvolte[6].

 

Spunti interessanti dal progetto Digital Benin

Senza perciò tralasciare gli elementi sottostanti la rimozione del patrimonio culturale, Digital Benin presenta caratteristiche notevoli, tra cui:

  • le sezioni Documentation e Bibliography presenti sul sito del Digital Benin[7] per comprendere gli studi e le ricerche prese in considerazione per i contenuti sul sito
  • la cooperazione di studiosi provenienti da varie parti del mondo per il contrasto al fenomeno del traffico illecito dei beni culturali e alla ricostruzione di casi di esportazione e successivamente di vendita
  • quello di studiare il passato per capire il presente: la colonizzazione dell’Africa, in particolare quella dell’area della Nigeria meridionale al fine di comprendere un passo doloroso della storia africana e mondiale.

 

Conclusione

Parte della tradizione culturale beninese è inclusa nella sezione Itan Edo di Digital Benin. È una rassegna letteraria concisa ma completa della storia e delle tradizioni documentate da studiosi e scrittori del Benin. Fornisce una conoscenza approfondita delle tradizioni del Regno del Benin, dalle sue origini ai giorni nostri.

Per spiegare società, storia, cultura e tradizioni antiche, Digital Benin dispone anche di una piccola sezione contenente proverbi. Quello che mi ha colpito di più leggendoli è il seguente, che uso per chiudere questo articolo:

Ọgha rhe gha ye, Igha sinmwin otọe erhamwen

che significa,

Indipendentemente dalla natura delle circostanze prevalenti, difenderò la terra di mio padre.

Informazioni

Wood, P. (2012) “Display, Restitution and World Art History: The Case of the ‘benin Bronzes,’” Visual Culture in Britain, 13(1), pp. 115–137.

Phillips, B. (2022) “Handing Back the Benin Bronzes,” Anthropology Today, 38(5), pp. 1–2.

Piotrovsky, M. (2005) “The Concept of Universal Museums,” Curator: The Museum Journal, 48(1), pp. 10–12.

Cuno, J. B. (2011) Who owns antiquity? : museums and the battle over our ancient heritage. Princeton, N.J.: Princeton University Press.

Il traffico illecito di beni culturali – DirittoConsenso.

[1] Attenzione: il regno del Benin si estendeva in una parte del moderno territorio della Nigeria. Perciò non bisogna confondere il Benin (Stato esistente) con la Nigeria (Stato esistente) o con il Regno del Benin (Stato esistito).

[2] Molti di questi beni sono diretta espressione delle arti, della cultura e della storia e usati originariamente in alcuni casi per eventi particolari, per rituali religiosi e per rappresentare le arti della casa reale.

[3] Durante la c.d. spedizione punitiva guidata dal Colonnello James Phillips.

[4] 220701-benin-bronzen-polerkl-data.pdf (auswaertiges-amt.de). Ed anche: Germany kicks off major Benin bronze restitution with return of 20 artefacts to Nigeria (theartnewspaper.com).

[5] Piotrovsky, M. (2005) “The Concept of Universal Museums,” Curator: The Museum Journal, 48(1), pp. 10–12. Curtis, N. G. W. (2006) “Universal Museums, Museum Objects and Repatriation: The Tangled Stories of Things,” Museum Management and Curatorship, 21(2), pp. 117–127; riporto inoltre una fonte interessante che ripercorre nello specifico la storia dello Smithsonian Museum: Walker, W. S. (2013) A living exhibition : the smithsonian and the transformation of the universal museum. Amherst: University of Massachusetts Press (Public History in Historical Perspective).

[6] Per esempio lo Smithsonian Museum ha firmato un accordo di restituzione: Smithsonian to give back its entire collection of Benin bronzes – The Washington Post. Negli accordi di restituzione però sono presenti clausole dove una certa percentuale del patrimonio viene restituito mentre una parte viene lasciata in prestito per motivi espositivi. E ancora, l’Horniman Museum a Londra restituirà 72 bronzi alla Nigeria e dal 2026 verranno esposti al Museo Edo d’Arte dell’Africa Occidentale: The story of Nigeria’s stolen Benin Bronzes, and the London museum returning them | National Geographic.

[7] Digital Benin.