La disciplina delle prove nel processo amministrativo: gli articoli 63 e 64 del c.p.a. ed il principio dispositivo

 

Onere della prova e potere del giudice amministrativo: gli articoli 63 e 64 del c.p.a.

Ai sensi dell’articolo 63, comma 1, c.p.a., il giudice può chiedere alle parti, anche d’ufficio, chiarimenti o documenti[1]. D’altro canto, ai sensi dell’articolo 64, comma 1, c.p.a. spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domane e delle eccezioni[2].

Il codice del processo amministrativo in materia di onere della prova richiama l’articolo 2697 c.c., secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, mentre chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.

Il principio che domina il regime di acquisizione delle prove nel processo amministrativo è quindi scolpito dal brocardo onus probandi incumbit ei qui dicit, letteralmente, l’obbligo di portare le prove spetta a colui che afferma.

Ai sensi degli articoli 63 e 64 c.p.a., il c.d. principio dispositivo con metodo acquisitivo degli elementi di prova postula che l’interessato debba avanzare almeno un principio di prova affinché il giudice possa esercitare i propri poteri istruttori ufficiosi. Si è rilevato che tale principio, che pure connota il processo amministrativo, non può ridursi ad una inversione dell’onere della prova, dovendosi considerare che l’esercizio di poteri istruttori è rimesso al prudente apprezzamento del giudice, che in tale valutazione deve rispettare la regola della parità delle parti. Ancora gli articoli 63 e 64 c.p.a. onerano inequivocabilmente le parti del processo di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità (o siano agevolmente acquisibili) e che riguardino i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni[3].

Nel giudizio risarcitorio davanti al giudice amministrativo, nel rispetto del principio generale sancito dal combinato disposto degli articoli 2697 c.c.[4] e 63 comma 1 e 64 comma 1 c.p.a.[5], non può avere ingresso il c.d. metodo acquisitivo tipico del processo impugnatorio. Perciò il ricorrente che chiede il risarcimento del danno da cattivo (o omesso) esercizio della funzione pubblica deve fornire la prova dei fatti base costitutivi della domanda[6].

 

La richiesta di chiarimenti e documenti da parte del giudice

I chiarimenti come prova nel processo amministrativo non costituiscono atto che fa fede ai sensi degli articoli 2699 e 2700 cod. civ.[7]: di conseguenza, per confutarne i contenuti non è necessaria la proposizione di querela di falso, e quindi gli interessati possono farlo con qualsiasi mezzo[8].

La dottrina distingue i mezzi di prova in senso proprio e gli altri mezzi istruttori: i primi sono volti a dimostrare un fatto; i secondi permettono al giudice di ricostruire l’iter logico-giuridico seguito dalla pubblica amministrazione ai fini dell’adozione di un provvedimento. Il primo mezzo istruttorio indicato, nel comma 1 della disposizione in commento, è la richiesta di chiarimenti e di documenti che il giudice può chiedere alle parti.

Indirettamente tale comma ricorda che il giudice amministrativo, nonostante le novità portate dal codice, è un processo ancora affidato principalmente alla prova documentale, tipica prova precostituita, dal momento che l’attività amministrativa si concreta sempre in atti scritti[9].

 

L’ispezione

Tra le prove nel processo amministrativo l’ispezione è inammissibile perché costituisce violazione della disciplina legislativa in tema di acquisizione probatoria, atteso che non può essere assimilato a un deposito documentale e configura invece una domanda implicita d’ispezione di cose, disciplinata dell’articolo 63, c. proc. amm. e dagli articoli 118 e 258 e sgg., c.p.c.[10].

 

La prova testimoniale

Nel processo amministrativo dal punto di vista delle prove non è utilizzabile la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà. Questo perché, sostanziandosi in un mezzo surrettizio per introdurre la prova testimoniale (che ora può essere ammessa, su istanza di parte, ai sensi dell’articolo 63, comma 3, c.p.a., in forma scritta, ai sensi del Codice di procedura civile), non possiede alcun valore probatorio e può costituire solo un mero indizio che, in mancanza di altri elementi gravi, precisi e concordanti, non è idoneo a scalfire l’attività istruttoria dell’amministrazione[11].

La prova testimoniale, ammessa dall’articolo 63, comma 3, c.p.a., nel processo amministrativo — essenzialmente documentale, perché incentrato sulla domanda di tutela dell’interesse legittimo a fronte di un procedimento amministrativo — costituisce un’ultima possibilità per consentire al giudice di formarsi un convincimento sui fatti storici rilevanti al fine della decisione. Vige il principio dispositivo con metodo acquisitivo che impone ai ricorrenti di fornire la prova dell’esistenza dei vizi denunciati, in base ai quali il giudice, ritenutane l’attendibilità, eserciterà i poteri istruttori previsti dal Codice del processo amministrativo.

 

La consulenza tecnica d’ufficio (CTU) e la verificazione: inquadramento generale

La consulenza tecnica quale prova nel processo amministrativo è prevista dall’articolo 19 comma 1 e dall’articolo 63, comma 4 c.p.a.. Tale prova è utilizzata solo se ritenuta dal giudice indispensabile. Essa consente al giudice non solo di avere l’ausilio di cognizioni tecniche non possedute, ma anche di affidare al consulente il compito di constatare taluni particolare fatti della causa, fornendo i chiarimenti tecnici ritenuti più opportuni.

Si è così inteso riconoscere al giudice amministrativo la disponibilità di uno strumento processuale con cui acclarare la correttezza intrinseca dei giudizi tecnici espressi dall’amministrazione. Si tratta quindi di novità che, pur riguardando un profilo processuale, assume un rilievo tutt’altro che secondario nella disamina della questione relativa alla natura della discrezionalità tecnica e al tasso di incisività del suo sindacato giurisdizionale.

Per un orientamento interpretativo ripetutamente seguito in giurisprudenza la verificazione può essere disposta solo per l’esame di fatti specifici da cui evincere lo scorretto esercizio del potere da parte dell’amministrazione. Tale criterio discretivo è apparso peraltro coerente con la tesi, sostenuta in giurisprudenza fino al 1999, volta a riconoscere quel sindacato solo estrinseco della discrezionalità tecnica, di cui la verificazione consente per l’appunto, sul piano processuale, l’esercizio[12].

In dottrina è stata prospettata una differente impostazione quanto ai rapporti tra verificazione e consulenza, ritenuti differenti solo per quel che attiene ai soggetti cui affidare l’incarico tecnico, appartenenti all’amministrazione in caso di verificazione, estranei alla stessa in caso di consulenza[13].

La verificazione e la consulenza tecnica d’ufficio costituiscono strumenti di ausilio del giudice nella valutazione della prova e non possono in alcun modo valere a colmare le lacune di allegazione e probatorie poste a carico delle parti.

 

Gli altri mezzi di prova previsti al comma 5 con richiamo al c.p.c.: l’accertamento tecnico preventivo, l’interrogatorio libero e le prove raccolte in altro processo

Tra le prove nel processo amministrativo vi è l’accertamento tecnico preventivo. Presupposto necessario per la domanda di accertamento tecnico preventivo di cui all’articolo 63 c.p.a. e 696 c.p.c. è il rischio di dispersione della prova nell’intervallo di tempo occorrente per proporre l’azione di merito davanti al giudice competente. Pertanto, ove il ricorrente non fornisca alcun serio elemento di urgenza, tale da far ragionevolmente ritenere la sussistenza del suddetto rischio, il ricorso per accertamento tecnico preventivo va respinto[14].

Il motivo di fondo dell’accertamento tecnico preventivo regolato dall’articolo 696 c.p.c. è quello di ovviare al pericolo della dispersione della prova prima che la parte interessata attivi un giudizio di merito, ovvero definisca con un accordo un procedimento contenzioso già iniziato. Presupposto essenziale è la sussistenza di un’urgenza concreta di far verificare prima del giudizio lo stato dei luoghi, ovvero la qualità o la condizione di una cosa, in chiara correlazione con un’esigenza di tipo cautelare che è resa evidente dall’incipit della norma. Quest’ultima infatti prevede la locuzione “Chi ha urgenza di far verificare…“. Si è in presenza, dunque, di un mezzo processuale tipico del regime probatorio che è preordinato, attesa la sua valenza conservativa, all’anticipazione del momento di acquisizione della prova e, quindi, è intimamente connesso a quel giudizio di merito nel quale, invece, in via ordinaria avrebbe dovuto trovare espletamento la prova stessa.

Alla luce della disciplina introdotta dal c.p.a., anche nel giudizio amministrativo deve ritenersi ammissibile l’interrogatorio libero delle parti[15].

La sua ammissibilità, infatti, si impone sia in considerazione della pari dignità delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte (che impone di evitare disparità di tutela sul terreno probatorio tra la sede giurisdizionale ordinaria e quella amministrativa); sia in ossequio al principio di parità delle parti (articolo 2 c.p.a.), concretizzando la facoltà della parte privata di formulare chiarimenti (non a caso l’articolo 63, comma 1, c.p.a., riferisce il potere del giudice di chiedere chiarimenti “alle parti”).

Per quanto riguarda l’utilizzabilità nel processo amministrativo delle prove raccolte in altro processo il Consiglio di Stato ritiene di dare ingresso nel giudizio amministrativo anche agli elementi di prova acquisiti nel processo penale, a condizione che tale materiale probatorio resti assoggettato ad una valutazione critica a sé stante rispetto a quella compiuta del giudice penale e che venga considerato in quadro globale ed unitario, senza procedersi a valorizzazione di specifici e singoli elementi di prova .

Le conclusioni cui perviene il giudice amministrativo sembrano dar rilievo proprio alla libertà di apprezzamento degli elementi di prova esaltata dall’art. 64 c.p.a., là dove pongono in risalto la necessità che le prove assunte in un diverso giudizio devono essere sottoposte a un autonomo vaglio critico svincolato dall’interpretazione e dalla valutazione che ne abbia già dato il giudice penale.

Informazioni

D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Codice del processo amministrativo).

Giani, La fase istruttoria in Giustizia amministrativa, 2012.

Sorrentino, Il sindacato giurisdizionale della discrezionalità tecnica: dal sindacato estrinseco a quello intrinseco in Manuale di diritto amministrativo, 2013.

[1] Dottrina (Benvenuti, Perfetti, Villata) e giurisprudenza (Cons. Stato sez.IV, 18 giugno 2009; Tar Friuli-Venezia Giulia 26 maggio 2011, n. 260)

[2] Per un approfondimento sul processo amministrativo: Uno schema sul processo amministrativo – DirittoConsenso.

[3] T.A.R. Toscana, Firenze sez. I, 28 gennaio 2016, n.135.

[4] Chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda.

[5] L’onere della prova grava sulle parti che devono fornire i relativi elementi di fatto di cui hanno la piena disponibilità.

[6] Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 23 giugno 2015, n.460.

[7] Non casualmente, l’articolo 63, comma 1, c.p.a. distingue, quale possibile oggetto delle richieste istruttorie che il giudice può rivolgere alle parti, i chiarimenti dai documenti, potendo solo per questi ultimi porsi un problema di fede privilegiata.

[8] Consiglio di Stato sez. IV, 07 luglio 2015, n.3362).

[9] Giani, La fase istruttoria in Giustizia amministrativa, 2012.

[10] (Consiglio di Stato sez. IV, 20 febbraio 2013, n.1059).

[11] Consiglio di Stato sez. IV, 22 agosto 2018, n.5030; T.A.R. Molise, Campobasso sez. I, 04 maggio 2015, n.174; Consiglio di Stato Ad. Plen., 20 novembre 2014, n.32; T.A.R. Toscana, Firenze sez. II, 28 marzo 2012, n.613.

[12] Sorrentino, Il sindacato giurisdizionale della discrezionalità tecnica: dal sindacato estrinseco a quello intrinseco in Manuale di diritto amministrativo, 2013.

[13] Benvenuti, L’istruzione nel processo amministrativo, 1953.

[14] T.A.R. Sardegna, Cagliari sez. II, 28 aprile 2014, n.298.

[15] Consiglio di Stato sez. III, 23 febbraio 2012, n.1069; T.A.R. Lombardia, Milano sez. III, 06 aprile 2011, n.904.