Le concessioni demaniali marittime e il dibattito che ha interessato la materia, un lungo viaggio non ancora giunto a conclusione
Concessioni di beni demaniali e diritto di insistenza
Quando si parla di concessioni amministrative si fa riferimento a quelle ipotesi in cui l’amministrazione attribuisce a terzi, con il loro consenso, il godimento di utilità relative a beni pubblici, demaniali o patrimoniali. Si tratta di contratti attraverso i quali la pubblica amministrazione consente ai privati di esercitare diritti in ordine a beni e ad attività che sarebbero per loro indisponibili, in quanto sostanzialmente riservate ai pubblici poteri.
Esempio classico di concessione amministrativa è quella balneare, si tratta di un contratto stipulato tra un ente pubblico (concessionario) e un terzo (concedente, gestore) che prevede il diritto d’uso e sfruttamento, nei limiti tassativi di legge e dietro pagamento di un canone, di una zona litorale. La concessione balneare, va precisato, non ha necessariamente come finalità quella di creare uno stabilimento turistico. Ogni concessione può avere uso ricreativo, commerciale, industriale, dedicato alla pesca, alla ricerca o allo sviluppo del territorio.
Quanto specificato ci consente di inquadrare il problema relativo ai profili di frizione tra l’attuale quadro normativo (in attesa e, auspicata, evoluzione) e il principio di libera concorrenza, in particolare, rispetto alla disciplina del c.d. diritto di insistenza e, con specifico riferimento ai beni demaniali con finalità turistico-ricreative, al sistema del loro rinnovo automatico.
Occorre premettere che quando si parla di diritto di insistenza si fa riferimento alla posizione giuridica del concessionario ad essere preferito agli altri concorrenti nel momento in cui, scadendo la concessione, si deve procedere ad una nuova assegnazione.
Nel dettaglio, a proposito delle concessioni demaniali marittime, la previgente formulazione dell’art. 37 del codice della navigazione prevedeva che
“1. Nel caso di più domande di concessione, è preferito il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e si proponga di avvalersi di questa per un uso che, a giudizio dell’amministrazione, risponda ad un più rilevante interesse pubblico.
2. Al fine della tutela dell’ambiente costiero, per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative è data preferenza alle richieste che importino attrezzature non fisse e completamente amovibili. È altresì data preferenza alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze.”.
A causa dell’evidente incidenza negativa sulla concorrenza il comma 2 della disposizione citata fu interpretato con particolare rigore dal Consiglio di Stato.
Attraverso un’interpretazione conforme al diritto comunitario, la giurisprudenza nazionale ha da sempre affermato che il concessionario di un bene demaniale non vanta un diritto al rinnovo del rapporto, sicché, qualora il diniego fosse stato conforme a ragionevolezza e, in tal guisa, l’amministrazione intendesse esperire una procedura competitiva, tale scelta non avrebbe necessitato di ulteriori precisazioni.
Si tendeva quindi, anche prima della parziale modifica dell’art. 37 cod. nav. ad opera dell’art. 1, comma 18, D.L. 30 dicembre 2019, n. 194, a privilegiare la gara e quindi a contenere il diritto di insistenza, in modo da garantire la libertà di circolazione, l’imparzialità, la trasparenza e, soprattutto, la libera concorrenza.
Problemi analoghi si sono posti anche in relazione al regime delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative per cui la normativa nazionale[1] prevedeva il rinnovo automatico di sei anni in sei anni, fatta salva l’ipotesi dell’eventuale insorgenza di situazioni che giustificassero la revoca, da parte della p.a., per specifici motivi inerenti al pubblico uso o per altre ragioni di pubblico interesse.
La normativa europea e le procedure di infrazione a carico dell’Italia
L’assetto così delineato ha cominciato ad essere messo in dubbio dalla famigerata direttiva[2] servizi 2006/123/CE (c.d. direttiva Bolkestein) che, sulla scorta di quanto già ribadito dalla giurisprudenza amministrativa nazionale, statuiva un principio importante: per il rilascio di nuove concessioni e per il rinnovo di quelle in scadenza si sarebbero dovute seguire e applicare le regole di evidenza pubblica, trasparenti e imparziali, che consentissero anche a nuovi operatori di concorrere, in posizione di parziale parità, per l’ottenimento della gestione dei beni demaniali.
Pertanto nel gennaio 2009 la Commissione Europea inviava all’Italia una lettera di messa in mora nella quale contestava la compatibilità delle norme nazionali, che prevedevano il diritto di insistenza e il rinnovo automatico delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative, con i principi di libertà di stabilimento, partita di trattamento e non discriminazione sanciti dal TFUE e dalla direttiva Bolkestein.
Dopo l’invio, nel maggio 2010, di una ulteriore messa in mora complementare a carico dell’Italia dovuta al tentativo di “resistere” del nostro paese alle motivazioni addotte nella prima lettera dalla Commissione, il Parlamento, nel febbraio 2011, abrogava il diritto di insistenza e, nel dicembre 2011, abrogava anche la norma nazionale che prevedeva il rinnovo automatico delle concessioni di sei anni in sei anni. Questo allineamento nazionale conduceva, nel febbraio 2012, la Commissione ad archiviare la procedura di infrazione avviata quattro anni prima.
Tuttavia, con la stessa norma[3] con la quale il Parlamento aveva proceduto ad abrogare il diritto di insistenza, sancito dall’art. 37 del codice della navigazione, si decideva di prorogare fino al 31 dicembre 2025 la durata delle concessioni demaniali marittime non ancora scadute, annunciando altresì, una riforma generale del diritto marittimo che avrebbe dovuto consentire una conciliazione della materia con i diritti sanciti a livello europeo.
Con legge n. 221/2012, inoltre, il legislatore italiano statuiva una seconda proroga della durata delle concessioni, spostandola al 31 dicembre 2020 e motivandola con la dichiarata necessità di garantire, per il periodo intercorrente, l’operatività delle concessioni in essere e la necessità dello studio, con conseguente successiva emanazione, di una nuova disciplina organica della materia.
A mettere un primo punto fermo sul contenzioso apertosi in materia di concessioni demaniali tra Italia e Commissione Europea è stata la Corte di Giustizio dell’Unione Europea che, sulle proroghe indiscriminate e generalizzate, ha condannato il nostro Paese con la celebre sentenza “Promoimpresa” del 14 luglio del 2016.
Con tale pronuncia la CGUE ha ribadito la contrarietà ai principi di libera concorrenza, trasparenza e pubblicità della nostra disciplina nazionale.
L’importanza di tale approdo giurisprudenziale è stata incrementata dalla successiva sentenza del 30 gennaio 2018 emanata dalla Grande Sezione della Corte di giustizia nella causa C-360/15 Visser. Con tale pronuncia la Corte di giustizia ha chiarito che tutte le disposizioni del capo terzo della direttiva Bolkestein, disciplinanti la libertà di stabilimento dei prestatori di servizi, compreso quindi l’art. 12, relativo alle autorizzazioni, “devono essere interpretate nel senso che si applicano anche ad una situazione i cui elementi rilevanti si collocano all’interno di un solo Stato membro”.
Così statuendo, la Corte ha esteso la platea dei potenziali controinteressati alla proroga automatica delle concessioni: non più qualche decina di operatori economici di altri Stati membri, ma a migliaia di imprese balneari italiane potenziali candidate alla concessione di un’area demaniale che si sono viste riconoscere dalla Corte UE il “diritto” ad una procedura pubblica di aggiudicazione della concessione stessa.
Nonostante il quadro europeo chiaro, evidentemente contrario agli indirizzi che il legislatore italiano negli anni ha provveduto a dare in materia di proroghe e concessioni demaniali, con la legge di bilancio per il 2019[4] è stata disposta l’estensione della durata delle concessioni demaniali marittime per 15 anni ovvero sino al 1° gennaio 2034.
Tale scelta è stata giustificata dalla finalità di assicurare la tutela e la custodia delle coste italiane, costituenti risorse basilari per il paese e, al tempo stesso, di proteggere l’occupazione e il reddito delle imprese balneari venutesi a trovare in situazione di grave crisi a causa dei consistenti danni patiti a seguito dei cambiamenti climatici e dei frequenti eventi calamitosi e straordinari.
Ancor più di recente, la legge 17 luglio 2020 n. 77 ha statuito che, ferma restando l’estensione di 15 anni delle concessioni, “per le necessità di rilancio del settore turistico e al fine di contenere i danni, diretti e indiretti, causati dall’emergenza epidemiologica da Covid-19”, le amministrazioni competenti non potranno avviare o proseguire procedimenti amministrativi per il rilascio o per l’assegnazione con procedure di evidenza pubblica delle aree che, alla data di entrata in vigore della legge (luglio 2020), siano già oggetto di concessione.
Dunque, il legislatore oltre a ribadire l’estensione della durata delle concessioni al 1° gennaio 2034 ha espressamente vietato, sino a quella data, ogni procedura pubblica concorrenziale.
Infine, il con il c.d “decreto agosto”[5], nel prevedere che l’estensione quindicennale si applichi anche alle concessioni lacuali e fluviali e alle concessioni per la realizzazione e la gestione di strutture nautiche, la proroga è stata implicitamente ribadita anche per le concessioni demaniali marittime a uso turistico-ricreativo.
A rendere ancora più incerto e intricato il quadro complessivo, inoltre, è nuovamente intervenuta la Commissione Europea, la quale, nel dicembre 2020, ha avviato nei confronti dell’Italia un formale procedimento di infrazione, indirizzando al Ministero degli affari Esteri una lettera di costituzione in mora, nella quale si sostiene che anche l’estensione disposta dalla legge 145/2018 è in contrasto con il diritto europeo e con la sentenza della Corte Ue del 14 luglio 2016, ancora precisando il contrasto della disciplina interna con i principi di libera concorrenza e di libertà di stabilimento, ribadendo l’obbligo di assegnazione delle concessioni mediante procedure aperte, pubbliche, trasparenti e imparziali.
L’intervento europeo, che ha suscitato accese discussioni, ha comunque avuto l’effetto pratico di indurre molti dirigenti e funzionari comunali a rifiutare la formalizzazione dell’estensione, così da bloccare i relativi procedimenti di concessione.
Sul punto si registra una divergenza di opinione fra gli interpreti.
A titolo d’esempio, si consideri la sentenza n. 1742/2019 del Tar Catanzaro. Questa, nell’affermare l’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di un’impresa balneare volta ad ottenere il riconoscimento della validità dell’estensione quindicennale, ha espressamente statuito la piena validità ed efficacia della normativa nazionale, ordinando al Comune di adottare i necessari atti conseguenti.
Tale tipo di impostazione non è rimasta isolata, infatti, anche il Tar Lecce, con due sentenze gemelle del novembre 2020, ha accolto il ricorso proposta da alcuni balenerai avverso i provvedimenti del Comune di appartenenza che avevano provveduto, seguendo gli indirizzi di derivazione europea, ad annullare l’estensione delle concessioni in precedenza rilasciati.
Dubbi e contrasti: l’intervento delle Plenarie 17 e 18/21 del Consiglio di Stato
Nel districato e complesso quadro sin qui delineato, con due sentenze gemelle fondamentali[6] l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è intervenuta mettendo la parola fine – sarà davvero così? – al regime delle proroghe indiscriminate delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali.
Le due sentenze citate hanno sancito:
- la natura self-executing della direttiva Bolkestein e, pertanto, la sua diretta applicazione nel sistema normativo nazionale italiano;
- la preclusione della sussistenza del diritto alla prosecuzione del rapporto in capo agli attuali concessionari, per evidente contrasto con la disciplina comunitaria dei provvedimenti amministrativi concessori;
- una proroga sino al 31 dicembre 2023 delle concessioni in essere al fine di evitare un significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una loro immediata cessazione.
In questa sede è utile, tuttavia, analizzare nello specifico le repliche che la Plenaria espone rispetto agli argomenti di critica utilizzati nei rispettivi ricorsi.
Con riferimento all’art. 49 TFUE (recante il divieto delle restrizioni alla libertà di stabilimento) veniva messo in discussione la mancanza del requisito, nel caso di specie, dell’interesse transfrontaliero certo.
E ancora, con rispetto alla direttiva Bolkestein, si riteneva che non potesse essere qualificata come autorizzazione di servizio la concessione demaniale marittima e che questa, inoltre, non si potesse qualificare come una risorsa naturale scarsa. Ciò in quanto, l’art 12 della Direttiva ritiene che quando il numero di autorizzazioni per un determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali, gli stati membri possano procedere attraverso una procedura di selezione con garanzie di pubblicità e trasparenza.
La replica della Plenaria a tali critiche muove dalla considerazione che l’interesse transfrontaliero certo sussista, nelle ipotesi in esame, sulla base della considerazione che non si debba considerare la singola controversia, il singolo oggetto della vertenza, ma più complessivamente la risorsa oggetto di considerazione.
Il patrimonio costiero nazionale italiano infatti viene a costituire un bene di particolare rilevanza anche dal punto di vista della tutela della concorrenza e della libera circolazione in quanto tale patrimonio esercita un’indiscutibile capacità attrattiva verso le imprese di altri stati membri.
Il Consiglio di Stato evidenzia che, in ogni caso, la disciplina automatica di rinnovo delle concessioni si pone in contrasto con la direttiva 123/2006 Bolkestein, la quale prescinde dal requisito dall’interesse transfrontaliero certo.
A tal proposito, la Direttiva servizi è una c.d. direttiva di liberalizzazione, la cui disciplina è volta ad eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento e di circolazione, garantendo quindi l’implementazione del sistema concorrenziale. Suo obiettivo primario non è quello di armonizzare le discipline nazionali, ma è quello di eliminare gli ostacoli alla libera concorrenza.
Questo comporta che vada confermato l’impianto argomentativo della pronuncia della Corte di Giustizia sulla base della considerazione che non si possa ritenere non sussistente il requisito della scarsità naturale.
Vero è, infatti, che il nostro paese si caratterizza per una particolare vastità sotto il profilo dell’esposizione costiera ma, vero è anche che attualmente il 60 – 70 % delle coste italiane sono oggetto di concessione demaniale marittima e perciò non sono da considerarsi “libere”.
A tal proposito, va inoltre considerato che parte delle spiagge e coste oggi “libere” soffrono dell’erosione costiera e/o presentano uno stato di abbandono, risultando di conseguenza inutilizzabili.
Quando si parla di risorsa naturale scarsa, occorre verificare se sussista una disponibilità sufficiente per permettere lo svolgimento di attività da parte di altri operatori economici. Nel merito, alla luce dell’analisi economico-giuridica condotta dal Consiglio di Stato, può darsi una risposta negativa proprio sulla base del fatto che la scarsità della risorsa è da individuare laddove questa non sia sufficiente a consentire lo svolgimento di attività ad operatori economici diversi rispetto agli attuali concessionari.
Secondo ulteriori critiche esposte, l’inquadramento giuridico delle concessioni svaluterebbe l’elemento del servizio, soffermandosi sull’attribuzione del diritto a sfruttare il bene senza tenere in considerazione l’esercizio dell’attività.
Si tratta di una distinzione fra il profilo autorizzatorio, che consente l’utilizzazione di un bene pubblico e il profilo concessorio, che consente di esercitare l’attività di servizio.
La risposta dell’Adunanza Plenaria, a tal proposito, muove dall’ottica funzionale e pragmatica che caratterizza il diritto europeo conducendo a considerare la concessione, a prescindere dalla sua qualificazione giuridica, ed evidenziando quei profili di vantaggio economicamente rilevante di cui gode il concessionario e che, di fatti, sono sottratti all’assetto concorrenziale.
In fin dei conti si tratta di un fenomeno locativo di proprietà demaniale vincolato al corrispettivo di un canone che peraltro, secondo l’attuale regime, viene considerato basso rispetto al potenziale giro di affari miliardario che potrebbe generare l’apertura al mercato concorrenziale delle concessioni demaniali marittime in Italia.
Conclusioni
Addivenire a delle conclusioni sul tema delle concessioni balneari, alla luce della disciplina, dei principi europei e della giurisprudenza nazionale, da ultimo definitivamente pronunciatasi con le sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria n. 17 e 18/2021, risulta paradossalmente semplice, nonostante l’evoluzione della materia che, come in parte visto, è stata lunga e travagliata.
Ad oggi, tuttavia, non c’è certezza se non sul fatto che le attuali concessioni resteranno in vigore sino al 31 dicembre 2023, come stabilito dal Consiglio di Stato, e che non saranno considerate come valide ulteriori proroghe.
Ma allora cosa manca? La legge. Infatti, ad oggi, il grande assente resta il legislatore italiano, il cui intervento definitivo in materia è ormai atteso da molti (troppi) anni. Decisioni e indecisioni, restano incertezza e proclami.
Informazioni
Consiglio di Stato, sent. Ad. Plen. n. 17-18/2021.
[1] L. 16 marzo 2001, n 88.
[2] Per un approfondimento sulle fonti europee: Regolamenti e direttive dell’UE – DirittoConsenso.
[3] D.L. “Milleproroghe” n. 194/2009 convertito con L. n. 25/2010.
[4] L. 30 dicembre 2018 n. 145.
[5] D.L. 14 agosto 2020 n. 104.
[6] Ad. Plen. Consiglio di Stato n. 17-18/2021.

Gabriele Pulice
Ciao, sono Gabriele. Sono nato a Cosenza nel 1996 e nel 2020 ho conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Pisa discutendo una tesi in ordinamento giudiziario italiano e comparato. Successivamente mi sono trasferito a Pavia per proseguire gli studi. Nel 2021 ho svolto un tirocinio formativo presso la sezione penale dibattimentale del Tribunale per i Minorenni di Milano e, nel 2022, ho conseguito il diploma di specializzazione presso la SSPL Università di Pavia / Università Bocconi di Milano. Recentemente ho concluso il periodo di pratica forense presso uno studio di consulenza legale e tributaria, esperienza che mi ha permesso di approfondire lo studio del diritto civile e del diritto fallimentare.