Il concetto anacronistico di pater potestas – patria potestà – in chiave moderna: spiegazione e concetto

 

Patria potestas: una breve introduzione

La famiglia ha sempre rivestito, innegabilmente, un peculiare – e centrale – ruolo nella storia dell’uomo, rappresentando il primo centro sociale in cui l’individuo si muove e con il quale si confronta. L’intervento legislativo, pertanto, non ha fatto che cristallizzare regole consuetudinarie che si sono consolidate nel tempo all’interno dei focolari. Alcune di queste norme pratiche sono risalentissime e affondano le loro radici (non sorprende) proprio nell’epoca romana.

Chiaro è che, a quei tempi, il concetto di diritto e di uguaglianza era coerente con una visione del mondo certamente lontana dai canoni che oggi vediamo applicati ma che, per ciò solo, non sono da considerare come errati tout court, bensì semplicemente diversi e adatti, a loro volta, ad un tipo diverso di società e famiglia.

In particolare, la società romana era solita distinguere nettamente tra compiti e responsabilità dei coniugi e, in senso lato, dei vari membri all’interno del nucleo familiare. Da qui il significato del termine matrimonio, derivato del latino mater munus, ovvero “compito, dovere” della mater, responsabile della cura e della crescita dei figli generati dalla coppia a seguito di una giusta unione.

A questa fattispecie faceva da contraltare il c.d. pater munus, ovvero il dovere del padre alla cura di un insieme di beni sopra i quali egli poteva esercitare il proprio potere. Trattavisi principalmente di beni e ricchezze imputabili alla famiglia, impostazione, questa, che tradiva il credo secondo cui il padre fosse tendenzialmente affidatario della sfera patrimoniale del nucleo familiare e di questa responsabile. Egli aveva il compito di produrre ricchezza al fine di garantire il sostentamento della famiglia. L’ordine all’interno del nucleo e tra i suoi vari membri era, invece, garantito (tendenzialmente) dalla madre[1].

 

Dinamiche di potere nella familias romana

Come accennato, la civiltà romana non declinava il concetto di uguaglianza come ad oggi da noi inteso. Lo stato di fatto descritto nel paragrafo che precede – e che alterna alle responsabilità e ai compiti della madre parallele responsabilità e compiti del padre – rischia di consegnare una immagine distorta di quelle che erano le regole che governavano una famiglia. Al padre, difatti, competeva una ulteriore posizione all’interno del nucleo: a questi spettava l’esercizio della patria potestas, intesa come il potere, genericamente illimitato, che il pater familias vantava sui membri della propria famiglia (non come da noi intesa, ma che si estendeva a tutti i discendenti in linea retta maschile).

Da notare che il pater familias non poteva più esercitare tale potere sulle figlie femmine a seguito delle di loro giuste nozze: in questo caso, difatti, il potere passava in capo al pater familias della famiglia di appartenenza dello sposo.

Il concetto di patria potestas o patria potestà è sopravvissuto nel tempo, sebbene anche solo nella terminologia adottata dal codice (richiamando, per ciò solo, una forma di supremazia quasi insita all’essere uomo all’interno del nucleo familiare), venendo abolita solamente a seguito della menzionata riforma del diritto di famiglia occorsa nel 1975, la quale ha equiparato in doveri e dignità le figure del padre e della madre. Da notare, altresì, che la riforma ha avuto ad oggetto anche la abolizione della c.d. potestà maritale[2].

 

Brevi conclusioni sul tema

Un istituto apparentemente antidemocratico come la patria potestas pare inevitabilmente inconciliabile con lo spirito (in apparenza) garantista che permea la società in cui viviamo oggigiorno.

La complessità di questo concetto richiede al lettore un importante sforzo con cui contestualizzare la patria potestà nel periodo in cui essa nasce e si sviluppa. La società romana, prima vera democrazia moderna nella sua piena maturità, si basava su un semplice sistema gerarchico che aveva, nel tempo, dato i suoi frutti, consentendo alla res publica di divenire impero. Era inevitabile, pertanto, che tale modus operandi fosse riflesso anche all’interno delle mura domestiche.

Dobbiamo, poi, ricordare che le analisi comportamentali che governano le logiche familiari risentono senz’ombra di dubbio dell’istinto prevaricatore che da sempre caratterizza la nostra specie. Lungi dal considerare solamente la deriva patologica in cui siffatto istinto di prevaricazione può inevitabilmente naufragare, è importante analizzare questa fattispecie sotto una nuova luce. Il pater familias è, in primo luogo, il difensore di quel centro di interessi che può essere il focolare domestico e pronto a sacrificare sé stesso pur di garantire la sopravvivenza di coloro che lo compongono.

La posizione imprescindibilmente sovraordinata del pater familias è, inoltre, elemento necessario a garantire l’ordine e il corretto funzionamento della società famiglia. Ogni organizzazione, difatti, deve avere un “comandante in capo” che ne tenga le redini generali e cooperi con il gruppo per il bene del gruppo medesimo. Mettere in crisi un tale sistema organizzativo, che, invero, esiste ancora oggi, vuol dire annullare l’ordine delle cose e rischiare che la democrazia si trasformi in anarchia. Non bisogna, infatti, dimenticare che troppi diritti si traducono in nessun diritto e che la limitazione della sfera di ciascun individuo è necessaria a tutelare le sfere degli altri soggetti. Adottando una logica quasi hobbesiana, i membri della famiglia alienano parte della loro libertà alla figura del pater familias, un moderno leviatano responsabile della composizione degli interessi dei consociati che si traduce, prima fra tutte, nella limitazione della sua libertà.

Informazioni

Inserisci qui la bibliografia

[1] Per un interessare analisi comparativa sui doveri coniugali e, in particolare, sul mantenimento del minore, si consulti un articolo pubblicato sul tema in DirittoConsenso al seguente link: Il mantenimento dei figli.

[2] Manifestazione lampante del ruolo predominante rivestito dall’uomo nei confronti della moglie e che consentiva a costui di alterare la facoltà della moglie a stipulare indipendentemente contratti, intentare cause, amministrare i propri beni e, più in generale, di imporre divieti o impartirle ordini di varia natura.