La Convenzione UNIDROIT sui beni culturali rubati o illecitamente esportati è un trattato internazionale ancora valido ma con alcuni problemi
La Convenzione UNIDROIT sui beni culturali del 1995: inquadramento generale
La Convenzione UNIDROIT sui beni culturali è uno dei trattati cardine della lotta al traffico illecito dei beni culturali. Tale trattato – entrato in vigore in Italia con la legge 7 giugno 1999 n. 213[1] – presenta notevoli punti su cui bisogna soffermarsi. Le specificità verranno trattate nei singoli paragrafi.
Basta leggere il preambolo della Convenzione UNIDROIT sui beni culturali rubati o illecitamente esportati per comprendere il problema del fenomeno. Un punto su tutti del preambolo rende ben chiaro il perché gli Stati abbiano inteso rincontrarsi:
“profondamente preoccupati per il traffico illecito di beni culturali e per i danni irreparabili da esso spesso causati, sia a questi stessi beni che al patrimonio culturale delle comunità nazionali, tribali, indigene o di altro tipo, nonché al patrimonio di tutti i popoli, e in particolare dal saccheggio dei siti archeologici e dalla conseguente perdita di insostituibili informazioni archeologiche, storiche e scientifiche”.
Affrontare il traffico illecito di beni culturali[2] richiede un grande impegno: per vari motivi[3], l’UNESCO[4] ha chiesto all’UNIDROIT di sviluppare la Convenzione sugli Oggetti Culturali Rubati o Illegalmente Esportati del 1995, come strumento complementare alla Convenzione UNESCO del 1970.
I punti più importanti
Nella Convenzione UNIDROIT sui beni culturali, gli Stati si impegnano a un trattamento uniforme per la restituzione di oggetti culturali rubati o esportati illegalmente. Inoltre, gli Stati facilitano le richieste di restituzione dei beni culturali, richieste che possono essere valutate attraverso i ricorsi fatti ai tribunali nazionali.
Sin dal preambolo della Convenzione si mira alla cooperazione tra gli Stati con l’obiettivo di rafforzare la restituzione dei beni culturali illecitamente rimossi o trasferiti tra gli Stati contraenti. La Convenzione inoltre riconosce l’importanza di rimedi compensativi per effettuare la restituzione dei beni e il ritorno in alcuni Stati.
Un aspetto degno di nota della Convenzione UNIDROIT del 1995 è la riduzione dei controlli all’importazione. Nessuna disposizione della Convenzione impone ai paesi importatori di attuare controlli sulla liceità dei beni culturali all’ingresso nel proprio territorio, siano essi destinati a musei o ad altri acquirenti. L’intento è responsabilizzare i paesi esportatori. Questo punto è estremamente delicato.
E poi – ne parlerò in dettaglio successivamente – la Convenzione distingue la “restituzione dei beni culturali rubati” e il “ritorno degli oggetti culturali illecitamente esportati”, prevedendo due regimi differenziati. Fin d’ora si può dire che mentre “restituzione” si applica in caso di furto, “ritorno” si riferisce ai casi di esportazione illecita.
Nucleo centrale della Convenzione e articolo 1
La Convenzione del 1995 si propone di limitare l’ambito di discrezionalità concesso agli Stati di origine dei beni culturali.
Come detto precedentemente, la particolarità della Convenzione è che in essa viene fatta la distinzione tra restituzione (restitution) dei beni culturali rubati e ritorno (return) degli oggetti culturali illecitamente esportati prevedendo due regimi differenziati, rispettivamente nella rubrica del Capitolo II e del Capitolo III della Convenzione.
L’articolo 1 infatti stabilisce che:
“La presente Convenzione si applica alle richieste di carattere internazionale:
- Di restituzione di beni culturali rubati;
- Di ritorno di beni culturali esportati dal territorio di uno Stato contraente in violazione della sua legge che regolamenta l’esportazione di beni culturali, al fine di proteggere il suo patrimonio culturale (d’ora in poi chiamati “beni culturali illecitamente esportati”).”.
L’articolo 1 prevede espressamente che la richiesta di restituzione debba avere carattere internazionale: è sufficiente che il bene culturale sia rubato o trasferito illecitamente dal paese di origine in un altro Stato.
Tra restituzione, ritorno e due diligence: il cuore della Convenzione UNIDROIT sui beni culturali
Il Capitolo II della Convenzione UNIDROIT sui beni culturali rubati o illecitamente esportati riguarda la restituzione.
L’articolo 3 specifica cosa si intenda con il concetto di “rubato”:
“(1) Il possessore di un bene culturale rubato deve restituirlo.
(2) Ai sensi della presente Convenzione, un bene illecitamente scavato o scavato lecitamente ma illecitamente trattenuto è considerato come rubato, compatibilmente con la legislazione dello Stato nel quale tali scavi siano stati effettuati”[5]
Viene inoltre stabilito il termine entro cui si possa agire:
“(3) Ogni richiesta di restituzione deve esser presentata entro un termine di tre anni a decorrere dal momento in cui il richiedente ha conosciuto il luogo dove si trovava il bene culturale e l’identità del suo possessore e, in tutti i casi, entro un termine di cinquant’anni dalla data del furto.
(4) Tuttavia, un’azione per la restituzione di un bene culturale che faccia parte integrante di un monumento o di un sito archeologico identificati, o che faccia parte di una collezione pubblica, non è sottoposta ad alcun termine di prescrizione salvo che ad un termine di tre anni dal momento in cui il richiedente sia venuto a conoscenza del luogo dove si trovava il bene culturale e dell’identità del possessore.
(5) Nonostante le disposizioni del paragrafo precedente, ogni Stato contraente può dichiarare che un’azione si prescrive entro un termine di 75 anni o in un termine più lungo previsto dalla sua legge. Un’azione intentata in un altro Stato contraente per la restituzione di un bene culturale prelevato da un monumento, da un sito archeologico o da una collezione pubblica, situati in uno Stato contraente che effettua tale dichiarazione, si prescrive ugualmente nello stesso termine.
L’articolo 4 si concentra sulla figura del proprietario del bene su cui vi è una richiesta di restituzione. Il proprietario ha diritto al momento della restituzione al pagamento di un equo e ragionevole (fair and reasonable) indennizzo purché questi fosse in buona fede (good faith), cioè non sapesse né avrebbe dovuto ragionevolmente sapere che l’oggetto fosse stato rubato. Inoltre, nel determinare se il possessore avesse esercitato la dovuta diligenza (due diligence), si deve tenere conto di tutte le circostanze dell’acquisizione, incluso il carattere delle parti, il prezzo pagato, se il possessore avesse consultato un registro ragionevolmente accessibile di oggetti culturali rubati e tutte quelle informazioni e documentazioni pertinenti, nonché se il possessore avesse consultato agenzie accessibili o fatto qualsiasi altro passo che una persona ragionevole avrebbe preso in tali circostanze.
Il Capitolo III della Convenzione UNIDROIT sui beni culturali rubati o illecitamente esportati riguarda il ritorno dei beni culturali.
In base all’articolo 5(1) si stabilisce che:
“(1) Uno Stato contraente può richiedere al giudice o ad ogni altra autorità competente di un altro Stato contraente che sia ordinato il ritorno di un bene culturale illecitamente esportato dal territorio dello Stato richiedente.”.
Tale norma è considerata il cuore della Convenzione.
Gli Stati Parte possono richiedere che un bene sia restituito là dove la rimozione del bene pregiudichi uno o più dei seguenti interessi:
- La conservazione fisica del bene o del suo contesto
- L’integrità di un bene complesso
- La conservazione dell’informazione, in particolare di natura scientifica o storica, relativa al bene
- L’uso tradizionale o rituale del bene da parte di una comunità autoctona o tribale; oppure dimostri che il bene ha per detto Stato un’importanza culturale significativa.
In tema ancora di return dei beni culturali esportati illegalmente, si deve considerare che il possessore che abbia acquisito l’oggetto dopo che era stato esportato illegalmente ha diritto al pagamento, da parte dello Stato richiedente, di un indennizzo equo e ragionevole. Questo è stabilito dall’articolo 6(1). È richiesto però che il possessore non sapesse, né avrebbe dovuto ragionevolmente averlo saputo al momento della acquisizione, che l’oggetto era stato esportato illegalmente. Nel determinare se il possessore sapeva o avrebbe dovuto ragionevolmente sapere che l’oggetto culturale era stato esportato illegalmente, occorre tenere conto delle circostanze dell’acquisizione, inclusa l’assenza di un certificato di esportazione richiesto dalla legge dello Stato richiedente.
È chiaro quindi che la Convenzione UNIDROIT considera insufficiente, ai fini dell’indennizzo, la buona fede (good faith) ma richiede la due diligence che appare più gravosa da dimostrare.
In base all’articolo 6(3), si legge che:
“Invece dell’indennizzo e d’accordo con lo Stato richiedente il possessore che deve riconsegnare il bene culturale sul territorio di questo Stato può decidere:
- Di rimanere proprietario del bene; o
- Di trasferire la proprietà, a titolo oneroso o gratuito, ad una persona di sua scelta residente nello Stato richiedente e che offre le necessarie garanzie.”.
Proseguendo, l’articolo 7 della Convenzione chiude il Capitolo III:
- Le disposizioni del presente Capitolo non si applicano quando:
- L’esportazione del bene culturale non è più illecita nel momento in cui se ne chiede il ritorno; oppure
- Il bene è stato esportato quando era in vita il suo autore, o entro un periodo di 50 anni dopo il suo decesso.
- Nonostante le disposizioni del capoverso b del paragrafo precedente, le disposizioni del presente Capitolo si applicano quando il bene culturale è stato creato da un membro o da membri di una comunità autoctona o tribale per l’uso tradizionale o rituale di tale comunità, e, che deve essere restituito a tale comunità.
L’articolo 10: l’applicazione delle disposizioni
Il Capitolo IV stabilisce alcune disposizioni generali. I reclami effettuati alle condizioni previste nei Capitoli II e III possono essere portati dinanzi ai tribunali o ad altre autorità competenti dello Stato contraente in cui si trova l’oggetto culturale, oltre ai tribunali o ad altre autorità competenti ai sensi delle norme in vigore negli Stati contraenti. Per una maggior tutela dei beni, è possibile ricorrere alle misure provvisorie, comprese quelle protettive (pensiamo al sequestro). Inoltre, non viene precluso agli Stati di adottare misure o strumenti più favorevoli per la restituzione o il ritorno dei beni culturali esportati illecitamente.
L’articolo 10 della Convenzione UNIDROIT stabilisce quando si applicano le disposizioni dei Capitoli II e III:
“(1) Le disposizioni del Capitolo II si applicano ad un bene culturale che è stato rubato dopo l’entrata in vigore della presente Convenzione nei confronti dello Stato dove la richiesta è presentata, con riserva che:
- Il bene sia stato rubato sul territorio di uno Stato contraente dopo l’entrata in vigore della presente Convenzione per quello Stato; oppure
- Il bene si trova in uno Stato contraente dopo l’entrata in vigore della presente Convenzione per quello Stato.
(2) Le disposizioni del Capitolo III si applicano solo ad un bene culturale illecitamente esportato dopo l’entrata in vigore della Convenzione, nei confronti dello Stato richiedente così come dello Stato dove la richiesta è presente.
(3) La presente Convenzione non legittima in alcun modo un’operazione illecita di qualunque natura che ha avuto luogo prima dell’entrata in vigore della presente Convenzione o un’operazione per la quale è esclusa dai paragrafi (1) e (2) del presente articolo l’applicazione della Convenzione, né limita il diritto di uno Stato o di ogni altra persona di intentare, al di là della presente Convenzione, un’azione per la restituzione o il ritorno di un bene culturale rubato o illecitamente esportato prima dell’entrata in vigore della presente Convenzione.”.
È questo il punto più delicato: qualsiasi richiesta in nome della Convenzione UNIDROIT sui beni culturali deve riguardare un bene che sia stato illecitamente esportato dopo l’entrata in vigore della stessa Convenzione. Storicamente però i beni sono stati per la stragrande maggioranza esportati illecitamente prima di questa Convenzione[6]. A complicare la situazione è il fatto che poi dipende dalla ratifica di questa Convenzione che uno Stato può richiedere una restituzione: per esempio, l’Italia, che ha ratificato la Convenzione nel 1999 e che è entrata in vigore nel 2000, ha potuto richiedere la restituzione di beni dopo questa data mentre Birmania e Lettonia, avendola rispettivamente ratificata nel 2018 e 2019, possono richiedere restituzioni di beni solamente da pochi anni a questa parte.
Considerazioni sulla Convenzione UNIDROIT sui beni culturali
Per concludere, mi soffermo su alcuni elementi per comprendere come funziona la Convenzione UNIDROIT sui beni culturali.
Gli Stati parte alla Convenzione sono, al marzo 2023, 54. Gli ultimi Stati che hanno ratificato la Convenzione ed in cui è entrata in vigore sono Messico e Marocco[7]. Gli Stati parte sono di gran lunga inferiori rispetto alla Convenzione UNESCO del 1970 e ancora troppo pochi, il che rende meno efficace il contrasto al traffico illecito di beni culturali. Ad un’analisi più attenta degli Stati parte si nota che siano proprio gli Stati importatori o di mercato che non hanno firmato o ratificato la Convenzione: questo dimostra l’efficacia dello strumento nella protezione del patrimonio culturale ma al contempo è ragione di scarsa diffusione.
Altra particolarità di questa Convenzione è che generalmente ritenuta uno strumento complementare alla Convenzione UNESCO del 1970: tale legame tra le due Convenzioni deriva dal fatto che l’UNESCO chiese all’UNIDROIT di redigere una bozza della Convenzione del 1995 per creare uno strumento più completo della Convenzione del 1970: in effetti la Convenzione UNIDROIT sui beni culturali del 1995 contiene disposizioni che rafforzano quanto stabilito nella Convenzione del 1970 e che creano dei criteri minimi sulla restituzione dei beni culturali. La Convenzione UNIDROIT sui beni culturali elenca norme di diritto privato e processuale che consentono l’applicazione dei principi contenuti nella Convenzione UNESCO del 1970. È chiaro quindi che la Convenzione UNIDROIT del 1995 non sostituisce quella del 1970.
La Convenzione parla di restituzione e di ritorno, di lotta al traffico illecito, di cooperazione tra gli Stati e di rafforzare gli sforzi contro il fenomeno in questione. Non parla però di un problema assai complesso nei casi di traffici illeciti: non si occupa cioè di dare una soluzione a quale sia la legge applicabile nel caso delle controversie o nei casi di richiesta di restituzione. La Convenzione UNIDROIT quindi rimane più vicina al diritto internazionale pubblico che al diritto internazionale privato.
Per finire: la Convenzione UNIDROIT non si occupa di prevenzione del traffico illecito di beni culturali. Si sofferma invece sull’uniformare le regole per la restituzione ed il ritorno. Nonostante ciò la Convenzione è un fondamentale strumento e rimane un valido trattato per la lotta al traffico illecito di beni culturali.
Informazioni
UNIDROIT Convention on stolen or illicitly exported cultural objects – Rome, 24 June 1995.
Explanatory Report prepared by the UNIDROIT Secretariat.
Aedon – Documentazione (mulino.it).
Sidorsky, E. (1996) “The 1995 Unidroit Convention on Stolen or Illegally Exported Cultural Objects: The Role of International Arbitration *,” International Journal of Cultural Property, 5(1), pp. 19–72.
Frigo, M. (2015) “The Impact of the Unidroit Convention on International Case Law and Practice: An Appraisal,” Uniform Law Review, 20(4), pp. 626–636.
[1] Ratifica ed esecuzione dell’atto finale della conferenza diplomatica per l’adozione del progetto di Convenzione dell’UNIDROIT sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati, con annesso, fatto a Roma il 24 giugno 1995. All’atto del deposito del proprio strumento di ratifica, l’Italia ha formulato la seguente dichiarazione: «Il Governo della Repubblica italiana dichiara, ai sensi dell’art. 16 della convenzione, che la domanda di restituzione o di ritorno dei beni culturali rubati o illecitamente esportati dovrà essere proposta dinanzi al tribunale del luogo in cui si trova il bene. Nel caso in cui tale luogo sia sconosciuto o il bene non si trovi nello Stato, la domanda si propone dinanzi al tribunale del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio o, se questi sono sconosciuti, dinanzi a quello del luogo in cui il convenuto ha dimora. Se il convenuto è una persona giuridica o un’associazione non riconosciuta, si applicano le disposizioni dell’art. 19 del codice di procedura civile italiano. Il Governo della Repubblica italiana dichiara, inoltre, che le domande di restituzione o ritorno dei beni dovranno essere proposte per le vie diplomatiche e consolari».
[2] Per comprendere alcune specificità del traffico in questione: Il traffico illecito di beni culturali – DirittoConsenso.
[3] Prott, L. V., International Institute for the Unification of Private Law and Institute of Art and Law (Great Britain) (1997) Commentary on the Unidroit convention on stolen and illegally exported cultural objects 1995. Leicester: Institute of Art and Law.
[4] L’UNESCO è direttamente coinvolto nelle negoziazioni sui trattati internazionali per la protezione del patrimonio culturale. La spiegazione del ruolo di questa organizzazione internazionale: L’UNESCO e i trattati contro il traffico illecito dei beni culturali – DirittoConsenso.
[5] Questa parte dell’articolo 3 indirizzava un problema di fondo: i beni scavati illecitamente devono essere considerati come rubati? Ovviamente questo punto dava adito ai dubbi sulla questione del diritto di proprietà.
[6] Dai casi più noti a quelli meno, oggi ci sono ancora parecchie controversie su beni culturali e sono auspicabili soluzioni mirate.

Lorenzo Venezia
Ciao, sono Lorenzo. Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca con una tesi sul recupero dei beni culturali nel diritto internazionale e sul ruolo dell'INTERPOL e con il master "Cultural property protection in crisis response" all'Università degli Studi di Torino, sono interessato ai temi della tutela dei beni culturali nel diritto internazionale, del traffico illecito di beni culturali e dei fenomeni di criminalità organizzata e transnazionale.