Inquadramento della nuova disciplina relativa al whistleblowing

 

Cosa significa “whistleblowing”?

Con il termine “whistleblowing” si fa riferimento alla denuncia, da parte di un soggetto operante in un ente, di fenomeni lesivi di interessi pubblici che si verifichino al suo interno.

La necessità di una normativa dedicata nasce al fine di prevenire fenomeni corruttivi nella Pubblica Amministrazione, ma con il tempo l’ambito applicativo si è esteso anche alla dimensione privata e alla tutela, più in generale, di interessi pubblici. Questa normativa si accompagna anche a previsioni inerenti alla trasparenza e al controllo dell’operato della P.A., contenute in altre fonti normative che non verranno trattate in questa sede[1].

L’esigenza iniziale appare comprensibile laddove si pensi ad alcune caratteristiche del reato corruttivo e delle sue manifestazioni. Ad esempio, si tratta di un c.d. reato-contratto: diversamente dalle ordinarie ipotesi di reato in cui vi sono un reo e una persona offesa, in questo caso i “protagonisti” dell’illecito sono in accordo, con una probabilità di emersione dello stesso molto più ridotta. In secondo luogo, vi è il timore del denunciante di subire atti di ritorsione a causa della propria segnalazione; motivo per cui, oltre a misure di prevenzione del fenomeno, occorrono anche strumenti specifici di protezione per il c.d. “whistleblower“, cioè, per l’appunto, il segnalatore.

 

L’evoluzione dell’istituto nel nostro ordinamento

La prima disciplina si rinviene nel Decreto Legislativo n. 165/2001, “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche“. L’art. 54-bis, in particolare, nella sua versione originaria si fonda sui seguenti essenziali pilastri, alcuni dei quali sono rimasti tutt’ora invariati e che, al di là delle modifiche anche significative intervenute, continuano a costituire l'”ossatura” della materia.

È stato posto il generale divieto di adottare provvedimenti disciplinari, discriminatori o di licenziamento nei confronti del dipendente pubblico a causa della segnalazione effettuata.

L’identità di quest’ultimo non può essere rivelata nel procedimento disciplinare conseguente alla denuncia. In particolare si delineano due ipotesi, che ancora oggi individuano due distinte normative:

  • procedimento disciplinare che scaturisce da altri, ulteriori e distinti, accertamenti rispetto alla segnalazione: in questo caso l’identità del whistleblower può essere rivelata solo con il suo consenso;
  • procedimento che scaturisce in tutto o in parte dalla segnalazione: in tal caso la rivelazione dell’identità è ammessa solo ove assolutamente indispensabile alla difesa dell’incolpato.

 

La segnalazione viene sottratta al c.d. diritto di accesso: ciò significa che, in deroga a quanto normalmente previsto per gli atti amministrativi, non potrà essere oggetto di consultazione e/o di estrazione di copia da parte di qualsivoglia soggetto che abbia interesse a visionarne il contenuto.

Il Pubblico dipendente, con le suddette protezioni, può così denunciare il fatto illecito all’Autorità Giudiziaria, alla Corte dei Conti o al superiore gerarchico; con Decreto Legge n. 90/2014 è stata aggiunta anche l’ANAC (Autorità Nazionale Anti Corruzione) tra i potenziali “ricettori” della segnalazione.

Queste forme di protezione non trovano applicazione nel caso in cui il denunciante commetta, attraverso il proprio comportamento, i reati di diffamazione, calunnia o un illecito civile ai sensi dell’art. 2043 del Codice Civile.

La legge n. 179/2017 ha innovato più profondamente la norma, ampliandone l’ambito di applicazione sotto diversi profili: i soggetti abilitati a ricevere le segnalazioni (si è aggiunto il Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza); i potenziali segnalatori ricomprendono anche i dipendenti di enti pubblici economici, di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico, nonché i lavoratori e i collaboratori di società fornitrici di beni o servizi e che realizzino opere per la P.A.; all’elenco dei provvedimenti non adottabili a seguito della segnalazione si aggiungono anche il trasferimento o altre misure organizzative che abbiano effetti negativi sulle condizioni di lavoro.

Maggiori limiti sono poi stati posti alla possibilità che sia rivelata l’identità del dichiarante. Nel processo penale è coperta da segreto secondo quanto disposto dall’art. 329 c.p.p., riguardante la segretezza degli atti di indagine; nel procedimento avanti alla Corte dei Conti il segreto permane per tutta la durata della fase istruttoria. Per quanto riguarda il procedimento disciplinare, resta la bipartizione in base ai fatti determinanti l’addebito: se quest’ultimo dipende da accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, vi è un divieto di rivelazione; altrimenti, e se la rivelazione stessa è necessaria per la difesa dell’incolpato, la denuncia sarà utilizzabile solo in caso di consenso del whistleblower.

Di regola le misure ritorsive o discriminatorie adottate a seguito della segnalazione sono nulle ed è onere della prova della P.A. dimostrare che sono state assunte per ragioni diverse da essa; il lavoratore licenziato a causa della denuncia ha inoltre diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro.

Sono previste sanzioni amministrative pecuniarie comminabili dall’ANAC nei confronti dei responsabili degli enti che siano, in vari modi, negligenti (assenza di procedure di gestione delle segnalazioni, mancata verifica delle stesse) o colpevoli dell’adozione di misure discriminatorie o ritorsive.

Si ampliano i casi in cui il denunciante è punibile a causa della propria condotta: la norma non si limita a menzionare gli illeciti già completati nella versione previgente (diffamazione, calunnia o illecito civile ai sensi dell’art. 2043 del Codice Civile), ma dispone altresì, con una formula generale di chiusura, la punibilità per i reati comunque commessi.

Tuttavia, contestualmente, si limita la responsabilità civile derivante dai suddetti reati alle sole ipotesi di dolo e colpa grave.

 

La disciplina più recente: il decreto legislativo n. 24/2023

Il Decreto Legislativo n. 24/2023[2] ha abrogato la norma sopra descritta. Il decreto è in vigore dal 30/03/2023 ma specifica, nelle proprie disposizioni transitorie e di coordinamento, le date a partire dalle quali determinate norme saranno efficaci. Vediamone i punti salienti.

Dal punto di vista soggettivo, si estende ancora la platea dei coinvolti. La normativa, infatti, si applica anche nei rapporti di lavoro privato e nelle società private, in base al numero di lavoratori; si aggiungono anche i liberi professionisti, i consulenti, i lavoratori autonomi, i volontari e i tirocinanti. Dunque, non necessariamente per persone che hanno in essere un rapporto di lavoro: è sufficiente anche essere in fase precontrattuale (per esempio in corso di selezione), oppure dopo lo scioglimento del rapporto, laddove l’informazione posta a fondamento della segnalazione sia stata conosciuta prima.

La tutela è estesa anche ai c.d. “facilitatori, cioè coloro che assistono il segnalatore nella relativa procedura, nonché a colleghi, parenti entro il 4° grado o persone legate al denunciante da un legame affettivo, enti di sua proprietà.

Vengono poi istituite due principali forme di segnalazione:

  • interna all’ente: questa procedura, che le persone giuridiche toccate dalla normativa in esame devono obbligatoriamente adottare, deve essere resa pubblica e il segnalatore deve esserne informato;
  • esterna, indirizzata all’ANAC: è residuale, opera laddove l’interna non funzioni, vi siano rischi ritorsivi nell’avvalersene o in caso di pericolo imminente e palese per l’interesse pubblico.

 

Entrambe le procedure prevedono il dovere di consegnare al segnalante un avviso di ricevimento della segnalazione entro 7 giorni e quello di riscontrare la denuncia entro 3 mesi. Nel caso della segnalazione esterna, il riscontro può pervenire dopo 6 mesi per giustificate e motivate ragioni. È inoltre previsto espressamente che, nella procedura esterna, l’ANAC comunichi al segnalatore l’esito finale, che può “anche” (dunque, ad avviso di chi scrive, trattasi di un elenco non tassativo) essere l’archiviazione, la trasmissione ad altra Autorità competente, l’adozione di una raccomandazione o la comminazione di una sanzione amministrativa.

In via ulteriormente residuale è anche ammessa la divulgazione pubblica dell’illecito. Non deve esservi stato riscontro né alla segnalazione interna né a quella esterna, deve configurarsi un pericolo imminente e palese per il pubblico interesse, oppure devono essere configurabili rischi di infruttuosità della segnalazione esterna per, ad esempio, collusione piuttosto che distruzione od occultamento di prove. Resta salvo il segreto professionale del giornalista sulla fonte della notizia.

In tema di segreto sull’identità del denunciante, la disciplina è rimasta invariata, salvo prevedere che nelle ipotesi in cui occorre il suo consenso bisogna informarlo per iscritto esplicitando il motivo per cui serva rivelare il dato.

Sulla riservatezza dei contenuti delle segnalazioni, si prevede l’obbligo di cancellazione delle informazioni non rilevanti e il limite alla conservazione per il tempo necessario all’espletamento della procedura e comunque non oltre 5 anni dalla comunicazione dell’esito finale.

Viene esplicitato che le misure di protezione operano anche nel caso vi sia fondato motivo di ritenere che i fatti posti a fondamento della segnalazione siano veri. Peraltro, la protezione viene meno laddove sopravvenga condanna, anche in primo grado, per calunnia, diffamazione o responsabilità civile per dolo o colpa grave a seguito della denuncia fatta; oltre a ciò, in questo caso viene anche comminata al segnalante una sanzione disciplinare. Si noti che la norma non richiede che la sentenza di condanna sia definitiva.

Significativa novità è la previsione di un’apposita esclusione della responsabilità per il segnalante. Se infatti è necessario per svelare la lesione dell’interesse pubblico e se tutti gli altri strumenti di segnalazione sono già stati infruttuosamente esperiti, egli potrà diffondere anche notizie coperte per legge da segreto. Tuttavia, ciò non vale per ciò che è oggetto di segreto professionale forense, medico, per le informazioni classificate né per le deliberazioni di organi giurisdizionali che godano di questa tutela.

Nel caso in cui, dunque, oggetto di diffusione da parte del denunciante siano informazioni coperte da queste ultime tipologie di segreto elencate, lo stesso sarà perseguibile. L’esclusione di responsabilità copre anche l’acquisizione delle informazioni, salvo che sia avvenuta commettendo un fatto costitutivo di reato.

Sulla nullità degli atti ritorsivi e sul diritto al reintegro in caso di licenziamento nulla è cambiato, come anche per la ripartizione dell’onere della prova sulla causa dei suddetti provvedimenti. La descrizione di questi ultimi è stata tuttavia tipizzata; la norma, testualmente, riporta “talune fattispecie“, espressione che sembrerebbe suggerire che l’elenco non sia tassativo.

Il compimento di atti di tal fatta, come anche comportamenti negligenti sull’adozione delle procedure di segnalazione, continua a comportare la possibilità per l’ANAC di comminare sanzioni amministrative pecuniarie.

Infine, ma non per importanza, vi sono le disposizioni transitorie e di coordinamento. Le norme contenute nel decreto in esame diverranno efficaci dal 15/07/2023, mentre gli obblighi connessi all’elaborazione delle procedure di segnalazione interna per le società private (in base al numero dei lavoratori) saranno vigenti dal 17/12/2023, data posta più lontana, probabilmente e ragionevolmente, per dare tempo alle società di adottare i modelli organizzativi e di gestione più adatti.

Informazioni

Decreto Legislativo n. 165/2001 e successive modifiche.

La lotta alla corruzione nella pubblica amministrazione“, Deborah Veraldi, DirittoConsenso, 8/10/2020, link: La lotta alla corruzione nella Pubblica Amministrazione – DirittoConsenso.

[1] Si rinvia a “La lotta alla corruzione nella pubblica amministrazione“, Deborah Veraldi, DirittoConsenso, 8/10/2020, link: La lotta alla corruzione nella Pubblica Amministrazione – DirittoConsenso.

[2]Attuazione della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali“.