Il controllo giudiziario e l'amministrazione giudiziaria
Il controllo giudiziario e l’amministrazione giudiziaria sono strumenti di bonifica aziendale fondamentali per la protezione dell’attività di impresa dal fenomeno mafioso
Introduzione storica
Va premesso che l’amministrazione giudiziaria è un istituto assai risalente, che è stato per la prima volta disciplinato nell’articolo 3 quater e 3 quinquies della legge n. 575/65, e poi definitivamente introdotto nel 1992 con il d. l. n. 306, a seguito delle stragi di stampo mafioso nelle quali persero la vita i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Nella sua versione iniziale l’amministrazione giudiziaria è stata tendenzialmente inutilizzata, anche alla luce di un impianto normativo che certamente non poteva essere ritenuto chiaro quanto agli scopi perseguiti.
La normativa inerente all’amministrazione giudiziaria e al controllo giudiziario
Oggi l’amministrazione giudiziaria è disciplinata dall’art. 34 del Codice antimafia, integralmente riscritto dall’art. 10 della l. n. 161/17, che prevede come questo istituto possa essere adottata nel caso in cui dalle indagini patrimoniali compiute dalla Guardia di Finanza o dalla Polizia Giudiziaria (o comunque da quelle eseguite per reprimere fenomeni corruttivi o di condizionamento mafioso) risulti che il libero esercizio delle attività economiche sia direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento previste dall’articolo 416 bis del codice penale, recante la disciplina dell’associazione di tipo mafioso[1].
L’amministrazione giudiziaria può essere altresì disposta nel momento in cui l’attività economica, compresa ovviamente anche quella imprenditoriale, possa agevolare l’attività di persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata una delle misure di prevenzione personale o patrimoniale, nonché di persone sottoposte a procedimento penale per alcuni specifici reati (associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, usura, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita), allorquando non ricorrono i presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali.
Detto in altri termini, l’amministrazione giudiziaria può essere disposta qualora le indagini patrimoniali offrano sufficienti elementi per ritenere che il libero svolgimento delle attività economiche indagate agevoli l’attività dei soggetti indicati dalla norma.
In tale caso l’articolo 34 prevede che il Tribunale – Sezione Misure di Prevenzione – può applicare l’amministrazione giudiziaria delle aziende o dei beni da quest’ultime utilizzabili per lo svolgimento delle attività economiche.
In verità il maggior pregio della L. n. 161/2017 riguarda l’introduzione della misura del controllo giudiziario delle aziende, sistemandola in un articolo a sé del Codice antimafia, l’art. 34 bis, così da sancire la totale autonomia di detto istituto rispetto a quella dell’amministrazione giudiziaria.
L’articolo 34 bis del codice antimafia può essere disposto e, nel caso di cui al comma 6, richiesto dall’impresa, quando le circostanze di fatto depongano per un pericolo di infiltrazione mafiosa di tipo occasionale.
Non si richiede, quindi, che l’infiltrazione sia radicata e abbia contaminato in maniera diffusa l’impresa; il controllo giudiziario interviene lì dove l’infiltrazione sia facilmente sterilizzabile mediante un percorso di recupero.
Spicca, a tale proposito, in relazione ad entrambi gli istituti, la peculiarità della scelta seguita dall’ultimo intervento riformatore del 2017, che risiede nell’aver attribuito rinnovata centralità a un aspetto nevralgico dell’azione di contrasto al crimine organizzato: promuovere un proficuo recupero e gestione dei patrimoni potenzialmente destinate a finire in mano ai gruppi criminali mafiosi.
I presupposti applicativi del controllo giudiziario e dell’amministrazione giudiziaria
Il legislatore ha quindi generato il controllo giudiziario e l’amministrazione giudiziaria come istituti patrimoniali alternativi alle misure ablatorie, nell’ottica di rafforzare la supervisione giudiziaria e di promuovere comportamenti conformi alla legge, finalizzato al recupero dell’impresa raggiunta da un’informazione interdittiva antimafia del Prefetto, senza arrivare ad azioni espropriative, come accade con i sequestri e le confische.
Per questo motivo, nonostante l’amministrazione giudiziaria e il controllo giudiziario siano inseriti nel capo quinto del codice antimafia che disciplina le misure di prevenzione patrimoniali diverse dalla confisca, urge osservare che tali due istituti, a giudizio di chi scrive, non possono essere accomunate alle misure di prevenzione patrimoniali.
Questo perché la funzione dei due istituti, in particolar modo quello del controllo giudiziario, non è individuabile nell’ablazione del bene ma nella bonifica dell’attività aziendale.
Per questo motivo l’amministrazione e il controllo giudiziario possono essere definite come misure di prevenzione patrimoniali atipiche o di tipo amministrativo.
Merita di osservare che il tratto comune di queste due misure di prevenzione è il preliminare accertamento da parte del Giudice delle condizioni oggettive descritte nelle norme di riferimento, in modo da individuare il grado di assoggettamento dell’attività economiche alle descritte condizioni di intimidazione mafiosa e la attitudine di esse alla agevolazione di persone pericolose[2].
In definitiva, come si avrà modo di argomentare nel corso del presente elaborato, l’amministrazione ed il controllo giudiziario, quali “misure di prevenzione diverse dalla confisca”, possono essere considerate come due misure tese a reprimere e a bonificare la infiltrazione mafiosa nelle imprese.
Le differenze tra l’amministrazione e il controllo giudiziario
La prima caratteristica che differenzia i due istituti è la seguente:
- nel caso dell’amministrazione giudiziaria, la condotta agevolatrice deve intendersi come attitudine comportamentale atta a rivelare un’obiettiva commistione di interessi tra le attività delittuose dell’agevolato e l’attività dell’impresa agevolante;
- diversamente, nel controllo giudiziario la condotta di agevolazione presenta contorni meno stringenti, in quanto l’art. 34-bis la correla all’elemento dell’occasionalità.
La seconda rilevante differenza tra l’amministrazione giudiziaria e il controllo giudiziario riguarda i soggetti che possono richiedere l’applicazione della misura preventiva:
- In relazione all’articolo 34 e quindi all’amministrazione giudiziaria è previsto che i legittimati alla richiesta siano i soggetti indicati dall’articolo 17 del codice antimafia, i quali possono agire tanto nel caso in cui una proposta di sottoposizione a misura di prevenzione carico di taluno non sia stata ancora avanzata quando nel caso in cui una tale proposta sia stata invece formulata. Inoltre, a differenza del controllo giudiziario, per l’adozione del provvedimento la legge richiede specificamente l’acquisizione di sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio di attività economiche sia compromesso dalle condotte delinquenziali indicate o possa agevolare tali condotte.
- Diversamente, nel caso in cui venga accertata l’occasionale agevolazione all’interno dell’azienda o a favore dei soggetti individuati per l’applicazione della misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria e ove ci siano sufficienti indizi di pericolo concreto di infiltrazione mafiosa, come espressamente previsto dall’art. 34 bis del codice antimafia, il Tribunale su istanza del pubblico ministero o d’ufficio dispone il controllo giudiziario. Questa misura di prevenzione patrimoniale può essere adottata per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni.
Il procedimento di applicazione dell’amministrazione giudiziaria
L’applicazione dell’amministrazione giudiziaria dipende dalla sussistenza di pericoli di infiltrazione mafiosa verificati a seguito delle indagini patrimoniali previste dall’articolo 19 del codice antimafia.
In particolare l’amministrazione giudiziaria dei beni connessi a realtà produttive viene adottata nel momento in cui vi siano sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio di un’attività economica, in particolare quella di tipo imprenditoriale, sia direttamente o indirettamente sottoposta alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento previste dall’articolo 416 bis c.p., oppure possa agevolare l’attività di persone nei cui confronti sia stata proposta l’applicazione di una misura di prevenzione personale o patrimoniale ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per specifici reati.
L’amministrazione giudiziaria è disposta per un periodo non superiore ad un anno e può essere prorogata di ulteriori sei mesi per un periodo, comunque, complessivamente non superiore ai due anni.
Così come previsto dal comma terzo dell’articolo 34 del D. lgs n. 159/2011, il Tribunale, con il decreto che dispone l’amministrazione giudiziaria, nomina il giudice delegato e l’amministratore giudiziario. Quest’ultimo compie tutti gli atti ed esercita tutte le facoltà spettanti ai titolari dei diritti sui beni e sulle aziende oggetto della misura; in altri termini l’amministratore giudiziario va temporaneamente a sostituire il titolare dell’azienda al fine di rimuovere quelle situazioni di fatto e di diritto che hanno determinato la misura.
Per questo motivo il quarto comma dell’articolo 34 del codice antimafia prevede che il provvedimento di amministrazione giudiziaria del Tribunale sia eseguito mediante l’immissione nel possesso da parte dell’amministratore giudiziario dei beni aziendali e con l’iscrizione nel registro della Camera di Commercio del decreto stesso.
Al termine del periodo di amministrazione giudiziaria il Tribunale:
- qualora non disponga il rinnovo del provvedimento, delibera la revoca della misura e può eventualmente applicare contestualmente il controllo giudiziario di cui all’articolo 34 bis.
- Se invece l’esito dell’amministrazione giudiziaria è negativo il Tribunale può disporre la confisca dei beni per i quali vi sia motivo di ritenere che essi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano reimpiego.
In conclusione, laddove l’Autorità Giudiziaria ritenga di poter ancora perseguire l’obiettivo della bonifica aziendale, ne garantirà la continuità mediante l’applicazione del controllo giudiziario, con revoca del provvedimento ex art. 34.
Diversamente, nel caso in cui il condizionamento criminale abbia determinato un recupero difficile dell’impresa, il Tribunale procederà all’applicazione della confisca, con contestuale appropriazione statale, di tutti quei beni che si ha motivo di ritenere siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.
… e del controllo giudiziario
Passiamo ora al secondo istituto previsto dal D.lgs. n. 159/2011 per contrastare il fenomeno mafioso all’interno di realtà imprenditoriali, il controllo giudiziario previsto dall’articolo 34 bis del codice antimafia. Si tratta di un istituto più “dolce” e meno invasivo rispetto all’amministrazione giudiziaria, che provoca l’instaurazione di un rapporto che coinvolge da una parte l’azienda destinataria del controllo e dall’altra l’amministratore giudiziario e il giudice delegato.
In particolare, l’amministratore giudiziario, appositamente nominato con il decreto del Tribunale sezione delle misure di prevenzione, che dispone il controllo giudiziario dell’azienda, dovrà riferire periodicamente al giudice delegato gli esiti della attività di controllo da quest’ultimo svolta.
Più nel dettaglio l’amministratore giudiziario dovrà occuparsi di valutare l’andamento economico dell’azienda, verificando il tipo di operazioni e con quali soggetti l’azienda controllata instauri le proprie relazioni economiche.
Si tratta di un compito di fondamentale importanza, poiché è sulle relazioni intermedie, e poi su quella conclusiva, che si fonda il provvedimento finale dei giudici della prevenzione.
Compito dell’amministratore è altresì quello di valutare gli atti di acquisto, di pagamento effettuati, gli incarichi ricevuti e gli atti e contratti sottoscritti dall’azienda di valore non inferiore ad euro 7.000, Così come previsto dal comma secondo lettera a) dell’articolo 34 bis.
Inoltre, il Tribunale può stabilire ai sensi dell’articolo 34 bis comma terzo del codice antimafia specifici compiti all’amministratore giudiziario imponendo, altresì, determinati obblighi al proprietario dell’azienda[3].
Al termine del periodo di controllo e previa istanza da parte dell’interessato (o del suo difensore), il Tribunale fissa una udienza “conclusiva”, provvedendo in camera di consiglio; all’udienza partecipano il Giudice delegato, il Pubblico Ministero e l’Amministratore Giudiziario.
In ultimo, deve osservarsi che la cessazione del controllo giudiziario può avvenire:
- per scadenza del termine della misura stabilito dal comma 2
- in caso di accertamento della violazione di una o più prescrizioni, cioè qualora ricorrano i presupposti dell’amministrazione giudiziaria, il Tribunale può disporre tale ultima misura;
- in caso di richiesta di revoca del provvedimento di controllo giudiziario da parte del titolare dell’azienda.
Conclusione
In conclusione, alla luce delle considerazioni poc’anzi espresse si può ritenere che amministrazione giudiziaria e controllo giudiziario abbiano un fondamento normativo differente:
- l’amministrazione giudiziaria è un istituto preventivo individuato per contrastare la criminalità organizzata anemizzandone ogni ipotesi di profitto consentendo il suo recupero all’economia legale, mentre
- la ratio ispiratrice del controllo giudiziario risiede in un’effettiva e concreta possibilità di bonificare l’azienda, fondata sulla verifica di concrete possibilità che la singola realtà aziendale abbia o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano.
Informazioni
Visconti C., Contro le mafie non solo confisca ma anche “bonifiche” giudiziarie per imprese infiltrate: l’esempio milanese, in Dir. Pen. cont., 20 gennaio 2012.
Furfaro S., Diritto processuale delle misure di prevenzione, Giappichelli, 2022.
[1] Per un approfondimento sulla norma cardine della lotta alla criminalità organizzata in Italia: L’articolo 416 bis del codice penale italiano – DirittoConsenso.it.
[2] Così, Corte di Cassazione, sentenza n. 35048/2021.
[3] Quali, ad esempio, di non cambiare sede denominazione ha ragione sociale di informare preventivamente l’amministratore giudiziario circa eventuale forme di finanziamento della società da parte di terzi o dei soci.
L'ambito di applicazione delle misure di prevenzione
Questo lavoro nasce dall’intento di evidenziare l’ambito di applicazione delle misure di prevenzione: i soggetti coinvolti, i requisiti, la tipologia (cenni) e il procedimento di applicazione
I soggetti destinatari di una misura di prevenzione
Prima di illustrare i soggetti destinatari delle misure di prevenzione, occorre preliminarmente evidenziare che le misure di prevenzione sono dirette ad evitare la commissione di reati da parte di determinate categorie di soggetti considerati socialmente pericolosi.
Tali misure, vengono applicate indipendentemente dalla commissione di un precedente reato e sono, pertanto, indipendenti dall’esercizio dell’azione penale[1].
Ciò premesso, la distinzione soggettiva riguarda i destinatari a pericolosità generica e i destinatari a pericolosità qualificata.
I primi sono disciplinati dagli artt. 1 e 4 lett c.) cod. antimafia e sono:
- coloro che, sulla base di elementi di fatto, devono ritenersi abitualmente dediti a traffici delittuosi;
- coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;
- coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio di cui all’articolo 2, nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti della vigente normativa, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.
I secondi, invece, sono disciplinati dall’art. 4, con esclusione della lettera c:
- gli indiziati di appartenere alle associazioni di cui all’art. 416 bis c.p.[2];
- i soggetti indiziati di uno dei reati ai soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall’articolo 51, comma 3-bis (tra i quali spiccano i reati di associazione per delinquere e l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti) , del codice di procedura penale ovvero del delitto di trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori, o del delitto che punisce i soggetti che prestano assistenza agli associati ex art. 416 e 416 bis;
- ai soggetti di cui all’articolo 1;
- agli indiziati del reato consumati o tentati con finalità di terrorismo e a coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, ovvero esecutivi diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I del titolo VI del libro II del codice penale o da specifici reati (tra i quali, l’insurrezione armata contro i poteri dello stato, devastazione, saccheggio e strage, la guerra civile, l’avvelenamento di acque e sostanze alimentari), nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale ovvero a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un’organizzazione che persegue le finalità terroristiche;
- a coloro che abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della legge 20 giugno 1952, n. 645, e nei confronti dei quali debba ritenersi, per il comportamento successivo, che continuino a svolgere una attività analoga a quella precedente;
- a coloro che compiano atti preparatori, obiettivamente rilevanti, ovvero esecutivi diretti alla ricostituzione del partito fascista ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 645 del 1952, in particolare con l’esaltazione o la pratica della violenza;
- fuori dei casi indicati nelle lettere d), e) ed f), siano stati condannati per delitti in materia di armi previsti nella legge 2 ottobre 1967, n. 895, e negli articoli 8 e seguenti della legge 14 ottobre 1974, n. 497, e successive modificazioni, quando debba ritenersi, per il loro comportamento successivo, che siano proclivi a commettere un reato della stessa specie col fine indicato alla lettera d);
- agli istigatori, ai mandanti e ai finanziatori dei reati indicati nelle lettere precedenti. È finanziatore colui il quale fornisce somme di denaro o altri beni, conoscendo lo scopo cui sono destinati;
- alle persone indiziate di avere agevolato gruppi o persone che hanno preso parte attiva, in più occasioni, alle manifestazioni di violenza di cui all’articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, nonché alle persone che, per il loro comportamento, debba ritenersi, anche sulla base della partecipazione in più occasioni alle medesime manifestazioni, ovvero della reiterata applicazione nei loro confronti del divieto previsto dallo stesso articolo, che sono dediti alla commissione di reati che mettono in pericolo l’ordine e la sicurezza pubblica, ovvero l’incolumità delle persone in occasione o a causa dello svolgimento di manifestazioni sportive;
- ai soggetti indiziati del delitto di truffa aggravata, associazione a delinquere finalizzata o del alla commissione di taluno di specifici delitti (tra i quali, il peculato, la concussione e la corruzione)
- ai soggetti indiziati del delitto di maltrattamenti contro familiari e conventi del delitto di atti persecutori.
I presupposti per l’applicazione di una misura di prevenzione
Tra i presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione, vi è la riconducibilità della persona ad una delle categorie di pericolosità previste dall’art. 4 del Dlgs. 159/2011.
In particolare, è necessario che sia riscontrata:
- Una pericolosità qualificata, rappresentata dagli indiziati di partecipazione ad associazione mafiosa o la commissione di gravi delitti in materia di mafia.
- Una pericolosità comune (o generica) costituita dalle persone che vivono anche in parte con i traffici delittuosi e del provento di delitti.
- Una pericolosità diretta a prevenire fenomeni sovversivi o di terrorismo, la violenza nelle manifestazioni sportive, o a prevenire fenomeni corruttivi associativi e truffe in pubbliche erogazioni o, infine, a prevenire atti persecutori.
Seguendo quanto indicato dalla sentenza numero 24 del 2019 nella Corte costituzionale, il giudizio di pericolosità nell’ambito delle misure di prevenzione deve dividersi in due fasi ben specifiche.
La prima fase è di tipo constatativo, rapportata all’importazione di dati cognitivi idonei a rappresentare l’avvenuta condotta contraria alle ordinarie regole di convivenza tenuta, in passato, dal proposto.
La seconda, necessariamente seguente, è la fase di tipo essenzialmente prognostico ed è tesa a qualificare come probabile il ripetersi di condotte antisociali inquadrate nelle categorie criminologiche di riferimento previste dalla legge.
Tale frase va compiuta sulla base di elementi di fatto che siano sintomatici e rivelatori di tale pericolosità.
A queste due fasi va aggiunta poi la valutazione circa l’attualità della pericolosità che non deve essere potenziale ma concreta e specifica e può essere desunta da comportamenti in atto nel momento in cui la misura di prevenzione deve essere applicata (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 23641/2014).
I tipi di misure di prevenzione
Va necessariamente premesso che le misure di prevenzione si dividono in…
Misure di prevenzione personali e…
Quanto alle misure personali, si deve partire dall’articolo 6 del D.lgs. n. 159/2011 che disciplina la sorveglianza speciale.
La sorveglianza speciale può essere:
- semplice o
- “aggravata”.
La prima è irrogabile da uno a 5 anni e comporta una particolare vigilanza da parte dell’autorità di polizia nei confronti del soggetto destinatario della misura di prevenzione personale.
la sorveglianza speciale comporta una serie di prescrizioni obbligatorie, specificamente indicate dall’articolo 8 del D.lgs n. 159/2011 che concernono: vivere onestamente, rispettare le leggi, non rincasare la sera più tardi, non uscire la mattina più presto, non allontanarsi dalla dimora senza preventivo avviso dall’autorità locale di pubblica sicurezza.
A tali prescrizioni devono aggiungersi quelle di cui al comma tre dell’articolo 8 e quindi il tribunale prescrive al soggetto di ricercare un lavoro, di fissare la propria dimora, di farla conoscere all’autorità di pubblica sicurezza e di non allontanarsene senza preventivo avviso.
La sorveglianza speciale può anche essere aggravata da:
- da divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province diverse da quella di residenza o di dimora abituale, ma in tale caso tale misura è adottabile solo nei confronti dei pericolosi c.d. qualificati;
- l’obbligo di soggiorno nel Comune di residenza applicabile nei casi in cui le altre misure di prevenzione non siano ritenute idonee alla tutela della pubblica sicurezza.
… misure di prevenzione patrimoniali
Quanto invece alle misure di prevenzione patrimoniali, il titolo II del Libro I del D.lgs n. 159/2011 annovera:
- Il sequestro e la confisca; si tratta delle misure di prevenzione patrimoniali per eccellenza: per applicare il sequestro e la confisca devono ricorrere sia i presupposti soggettivi sia i presupposti oggettivi. Quanto ai presupposti soggettivi, il sequestro e la confisca si applicano nei confronti di tutti i soggetti ritenuti pericolosi ai sensi dell’articolo 4[3]. Quanto ai presupposti oggettivi, il sequestro e la confisca possono essere disposte in caso di disponibilità diretta o indiretta del bene da parte del proposto o in caso di sufficienti elementi indiziari della provenienza illecita.
Le misure di prevenzione patrimoniali diverse dal sequestro e dalla confisca.
- La cauzione;
- L’amministrazione giudiziaria di beni personali;
- L’amministrazione connessa ad attività economiche e alle aziende;
- Il controllo giudiziario.
Il procedimento di applicazione
L’articolo 5 del testo unico antimafia prevede che la competenza a richiedere l’applicazione di una misura di prevenzione personale sia attribuita al Questore, al Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del Capoluogo di Distretto ove dimora la persona e, infine, dal Direttore della Direzione Investigativa antimafia.
A seguito della proposta applicativa, l’articolo 7 del D.lgs. 159/2011 prevede che il tribunale fissi con decreto motivato, entro 30 giorni dal deposito della proposta, l’udienza per la discussione della proposta applicativa della misura di prevenzione.
L’avviso dell’udienza deve essere comunicato alle parti, alle persone interessate e agli avvocati almeno 10 giorni prima della data predetta e deve contenere la concisa esposizione dei contenuti sui quali si fonda la proposta.
Un aspetto molto importante in questa fase riguarda la possibilità per l’interessato dato di presentare memorie difensive. Spesso, con tale atto, espone le ragioni che contrastano con le circostanze introdotte con la proposta applicativa. Il più delle volte con la memoria difensiva si procede anche alla produzione di documenti utili a sostenere la futura discussione della proposta da parte del difensore.
Terminata l’udienza di discussione della proposta applicativa, il tribunale deposita in cancelleria ai sensi del comma 10 sexies dell’art. 7 il decreto conclusivo del primo grado. Tale termine potrà essere elevato ad un termine non superiore a giorni 90 nei casi di maggiore complessità della causa trattata.
Quanto, invece, alle misure di prevenzione patrimoniali è l’articolo 17 a stabilire la titolarità della proposta.
Come per le misure di prevenzione personali, la proposta può essere fatta dal procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove dimora la persona, dal procuratore nazionale antimafia antiterrorismo, dal questore o dal direttore della direzione investigativa antimafia.
Inoltre, a norma dell’art. 19 del D.lgs. n. 159/2011, tali soggetti possono procedere, di norma a mezzo della Guardia di finanza della Polizia giudiziaria, a svolgere indagini patrimoniali circa il tenore di vita, le disponibilità finanziarie e la consistenza del patrimonio dei soggetti destinatari della proposta applicativa di misura di prevenzione patrimoniale.
Quanto al procedimento applicativo da parte del Tribunale, l’articolo 23 rinvia alle disposizioni previste per le misure di prevenzione personali.
Degno di nota però è il ruolo dei c.d. terzi interessati; tali soggetti possono svolgere le loro deduzioni con l’assistenza di un difensore e soprattutto presentare memorie difensive e produrre documenti utili ai fini della richiesta di revoca della misura di prevenzione patrimoniale.
Conclusione
Come si è avuto modo di illustrare, il procedimento di applicazione delle misure di prevenzione si caratterizza per essere dotato di minori limitazioni rispetto al procedimento penale.
La particolarità del procedimento applicativo sta nella differenza tra l’applicazione di misura di prevenzione personale oppure patrimoniale.
In particolare l’assenza, nelle misure di prevenzione patrimoniali, di un collegamento diretto con una misure di prevenzione personale ha provocato un’importanza sempre maggiore dei provvedimenti ablatori nel panorama degli strumenti di contrasto alla criminalità.
Informazioni
Padovani T.., Misure di Sicurezza e Misure di Prevenzione, Pisa University Press, 2015.
Maiello V., La legislazione penale in materia di criminalità organizzata, misure di prevenzione ed armi, Giappichelli, 2015.
Menditto F., Misure di prevenzione, in Il Penalista.
[1] Procedimento penale e procedimento di prevenzione – DirittoConsenso
[2] L’articolo 416 bis del codice penale italiano – DirittoConsenso.it
[3] Bisogna sottolineare come in passato le misure di prevenzioni patrimoniali erano connesse al principio di accessorietà; ciò significa che le misure di prevenzione patrimoniali potevano essere irrogate solo in presenza di una misura di prevenzione di tipo personale. Nel 2008 col decreto-legge 92 (oggi articolo 18 nel testo unico antimafia) è stato introdotto il principio dell’applicazione disgiunta delle misure di prevenzione patrimoniali
Procedimento penale e procedimento di prevenzione
L’analisi degli istituti sottesi al procedimento penale e al procedimento di prevenzione rilevano delle profonde differenze: nel primo l’oggetto di verifica si ricollega ad un determinato fatto di reato, mentre nel secondo l’esame si concentra sulla pericolosità del soggetto e su condotte che non necessariamente costituiscono reato
La genesi delle differenze tra i due procedimenti
I primi provvedimenti legislativi in tema di prevenzione risalgono alla fine dell’800 – inizi del 900: si tratta della Legge Galvani del 1852, del Testo Unico Crispi del 1889, della Legge del 20 marzo 1865, del decreto di pubblica sicurezza del 1859 e, infine, della Legge Pica del 1863. In epoca fascista le misure di prevenzione divennero uno strumento largamente utilizzato contro il disagio sociale, i dissidenti e gli oppositori politici.
Con l’entrata in vigore della Costituzione iniziò il lungo processo di separazione dei due procedimenti.
Ad oggi il procedimento penale è scandito da una successione di atti, è avviato dall’autorità giudiziaria, inizia con l’iscrizione della notizia di reato e culmina con un provvedimento conclusivo del Giudice.
Lo scopo del procedimento penale è duplice: da una parte costituisce il modo attraverso il quale può essere attuata la tutela dei diritti sanciti dalla legge, dall’altra rappresenta l’accertamento dei giudici sul reato commesso da un cittadino.
Diversamente, il fondamento del procedimento di prevenzione è costituito dall’esigenza di tutela della sicurezza, indipendentemente dalla commissione di un reato.
Le misure di prevenzione, tanto quelle personali quanto quelle patrimoniali, mirano a limitare la sfera della libertà personale o la disponibilità/utilizzo di beni che si credono di provenienza illecita.
La sinergia prevista art. 23 bis della L. 646/1982
Venendo ai rapporti che possono intercorrere tra il procedimento penale e procedimento di prevenzione, si rileva che tra i due procedimenti non vi è interazione ma una vera e propria autonomia.
Ad onore del vero, in epoca passata, il Legislatore ha cercato di creare una sinergia tra la funzione processuale e quella preventiva.
Ci si riferisce, ovviamente, alla ratio sottesa al comma terzo dell’art. 23 bis della Legge 646/1982.
Tale norma contemplava un’ipotesi di sospensione per pregiudizialità del procedimento di prevenzione “se la cognizione del reato influisce sulla decisione del procedimento di prevenzione”.
In tale caso, il Giudice doveva sospendere il procedimento per l’applicazione della misura di prevenzione fino alla definizione del procedimento penale.
Era inoltre previsto che la sentenza penale irrevocabile di proscioglimento, pronunciata in sede penale, aveva autorità di cosa giudicata nel procedimento di prevenzione “per quel che attiene all’accertamento dei fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale.”
A conforto dell’art. 23 bis della L. 646/1982 deve essere citata la nota sentenza n. 3248/1990 della Corte di Cassazione, la quale aveva precisato che quando la richiesta applicativa della misura di prevenzione e l’azione penale erano fondate sugli stessi elementi di fatto e probatori il procedimento di prevenzione doveva essere sospeso.
L’intento era di palmare evidenza: evitare la contraddittorietà tra il processo di prevenzione e quello penale.
Da tali argomentazioni si potrebbe pensare ad una iniziale sinergia tra il procedimento di prevenzione e il procedimento penale. In verità, di sinergia non può parlarsi; tutt’al più può essere sostenuto che la previsione di cui all’art. 23 bis mirava ad una limitazione parziale della autonomia del procedimento di prevenzione rispetto a quello penale.
Infatti, la sospensione era prevista solo in caso di coincidenza nei due procedimenti del thema probandum e del thema decidendum.
In ogni caso, il rapporto di pregiudizialità dell’art. 23 bis ebbe vita breve: il D.L. 152/1991 ha abrogato i commi 3 e 4 dell’art. 23 bis della L. 646/1982, espungendo ogni residuo di pregiudizialità tra i due procedimenti.
L’art. 29 del d.lgs. n. 159/2011
Il principio di autonomia ha trovato piena consolidazione nell’art. 29 del D.lgs n. 159/2011, il quale prevede che “l’azione di prevenzione può essere esercitata anche indipendentemente dall’azione penale.”.
Infatti, la prassi giudiziaria attesta un vero e proprio parallelismo del procedimento di prevenzione al procedimento penale; il procedimento di prevenzione è spesso precedente, concomitante o successivo al procedimento penale.
Il dato non è di poco conto poiché un unico soggetto (il proposto nel procedimento di prevenzione e l’imputato nel processo penale) è chiamato a rispondere dei medesimi addebiti in due procedimenti diversi.
Inoltre, l’indipendenza e l’autonomia dei procedimenti, nonostante riguardino il medesimo soggetto, può condurre a risultati divergenti.
Comporta, in particolare, che un soggetto possa essere assolto in sede penale e contemporaneamente, subire l’applicazione di una misura di prevenzione di tipo patrimoniale.
Le prime differenze tra i due procedimenti
Va preliminarmente osservato che fino all’entrata in vigore della L. 161/2017, una grossa differenza che caratterizzava il procedimento di prevenzione rispetto al procedimento penale concerneva l’assenza di una norma assimilabile all’articolo 417 comma 1 lettera b) c.p.p.
Per questo motivo, era previsto che il proposto non avesse diritto a ricevere una contestazione dei fatti per i quali veniva richiesta la misura di prevenzione ma esclusivamente la indicazione della data di udienza.
Oggi, tramite l’articolo 7 comma 2 del d.lgs. 159/2011, il proposto ha diritto alla notifica del decreto, il quale contiene la “concisa esposizione dei contenuti della proposta. Solo in questo modo, secondo la Corte Suprema il proposto ha possibilità di conoscere il thema decidendum e fare le proprie controdeduzioni (v. Corte di Cassazione, sentenza n. 8038/2019).
A questa prima differenza deve aggiungersi che il procedimento di prevenzione non è dotato di un proprio statuto processuale, ma è modellato sul rito camerale di cui agli artt. 127 e 666 c.p.p.
Tale rito si caratterizza spesso per la sua non funzionalità rispetto alle più ponderose verifiche richieste al giudice della prevenzione, soprattutto in materia di misure patrimoniali.
Il tema della prova
È certamente con riferimento al tema della prova che si registrano le maggiori diversità tra il procedimento penale e il procedimento di prevenzione.
La prima evidente differenza tra i due procedimenti concerne l’assenza, in quello di prevenzione, di una distinzione tra elementi probatori acquisiti “per le determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione penale” e elementi formati nel contraddittorio tra le parti.
Il riferimento riguarda, chiaramente, l’assenza nel procedimento di prevenzione di un fascicolo di indagine e di un fascicolo dibattimentale.
Non a caso il decreto legislativo n. 159/2011 prevede una attività investigativa solo all’articolo 19, in cui vengono disciplinate le indagini patrimoniali (aventi ad oggetto il tenore di vita, le disponibilità finanziarie, il patrimonio e le attività economiche riconducibili al proposto dalle quali può essere individuata una fonte di reddito)[1].
Diversamente, nel processo penale, vi è una netta distinzione tra il contenuto del fascicolo indagine e il contenuto del fascicolo del dibattimento.
Come è noto, gli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero possono fare ingresso nel fascicolo dibattimentale solo in caso di concorde volontà delle parti, così come previsto dall’art. 431 comma 2 del codice di procedura penale.
Manca poi una figura predominante nella fase investigativa di prevenzione; in altri termini nell’ambito delle misure di prevenzione non vi è una specifica norma che preveda la titolarità del potere di direzione delle indagini, così come previsto nell’ambito del processo penale (art. 327 c.p.p.).
Infatti il decreto legislativo 159 del 2011, distingue la figura del titolare della proposta da coloro i quali svolgono, nella quasi totalità dei casi, le funzioni investigative.
In particolare, all’articolo 17, viene previsto che titolare della proposta può essere il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto ove dimora la persona, il Procuratore nazionale antimafia, il Questore o il Direttore della Direzione Investigativa Antimafia.
Diversamente l’articolo 19 prevede che le indagini patrimoniali possano essere svolte dai titolari della proposta “anche a mezzo della Guardia di finanza della polizia giudiziaria.”.
Per prassi consolidata, si assiste al fatto che la proposta applicativa di una misura di prevenzione non sia nient’altro che una riproposizione delle risultanze contenute nella annotazione della Guardia di Finanza o dalla Polizia Giudiziaria confluite.
A ciò va aggiunto che a differenza di quanto previsto nel codice di procedura penale, il d.lgs n. 159/2011 è particolarmente scarno in ordine alle modalità con le quali possono essere svolte le indagini patrimoniali (gli unici riferimenti sono previsti nel citato art. 19).
Degna di nota è però la previsione contenuta al comma quarto e quinto dell’articolo 19.
Questi due commi mettono in luce due macroscopiche differenze tra il procedimento di prevenzione e il processo penale:
- l’autorizzazione al sequestro di documenti può essere rilasciata, alternativamente, dal pubblico ministero o dal giudice procedente;
- il Tribunale può procedere ad ulteriori indagini oltre a quelle già compiute, delegando al tal fine la Guardia di finanza o la polizia giudiziaria.
La lacuna normativa concernente la disciplina della titolarità e delle modalità dell’attività d’indagine nell’ambito delle misure di prevenzione non è sfuggita alla giurisprudenza di legittimità.
In particolare, con la sentenza n. 27147/2016, la Corte di Cassazione ha delineato dei tratti tipici del procedimento di prevenzione rispetto al processo penale.
Il primo passaggio, secondo la Suprema Corte, è che i titolari dell’azione di prevenzione godono di ampia autonomia operativa, alla quale va aggiunta una libertà di forme nella raccolta di dati informativi da parte di quest’ultimi. Il secondo passaggio, più pregnante, a giudizio di chi scrive, rispetto al primo, riguarda la mancata estensione delle garanzie previste per le indagini preliminari nel procedimento penale alla fase investigativa di prevenzione.
In altri termini, secondo la giurisprudenza di legittimità citata, gli unici limiti previsti per il procedimento di prevenzione concernono i principi dello Stato di diritto, il rispetto della persona e le garanzie previste dal codice di procedura penale in relazione alle prove illegali (art. 191 c.p.p.).
La circolazione probatoria nei due procedimenti
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza 25 maggio 2010 ha sancito la cosiddetta circolazione probatoria tra i due procedimenti, quello di prevenzione e quello penale.
Secondo quanto rilevato dalle Sezioni Unite, il Giudice della prevenzione può servirsi degli elementi probatori emersi nel corso del processo, anche in assenza di sentenza irrevocabile ed anche a prescindere della decisione finale del giudice in ordine all’accertamento della responsabilità dell’imputato/proposto.
Anche in questo caso, però, emergono alcune differenze dirimenti tra le regole processuali e le regole previste per il procedimento di prevenzione.
In particolare, in tema di acquisizione di atti o altri elementi probatori, a differenza delle regole e dei limiti previsti dal codice di procedura penale, nel procedimento di prevenzione non vi è alcuna norma che regoli l’acquisizione già dalla fase della formulazione della proposta.
Inoltre, in tema di istruzione probatoria nel corso del procedimento di prevenzione, si assiste ad una assoluta discrezionalità da parte del giudice nel richiedere atti e notizie in assenza di richiesta di parte, e soprattutto in assenza dei limiti previsti dall’articolo 238 c.p.p.
Come noto tale norma prevede che i verbali di altri procedimenti possano essere utilizzati contro l’imputato solo nel caso in cui il difensore abbia partecipato all’assunzione della prova o se nei suoi confronti fa stato la sentenza civile. Al di fuori di tale caso, i verbali di altro procedimento possono essere utilizzati in dibattimento solo nei confronti dell’imputato che vi abbia consentito.
Inoltre, come già anticipato precedentemente, il vero problema del procedimento di prevenzione e che il tema di prova non riguarda un fatto di reato ma ha ad oggetto la persona. Il punto è che seppur in presenza di tale diversità, il procedimento di prevenzione richiede comunque una ricostruzione delle condotte precedenti del soggetto destinatario di una misura di prevenzione.
Solo attraverso la ricostruzione della “biografia criminale” del soggetto può concretamente essere adottata una misura di prevenzione, sia essa di tipo personale o di tipo patrimoniale.
Invero così come previsto dall’articolo 18 del d.lgs n. 159/2011, le misure di prevenzione patrimoniali possono essere adottate “anche indipendentemente dalla pericolosità del soggetto proposto” al momento della richiesta del provvedimento ablatorio.
Conclusione
Le differenze illustrate confermano l’assenza di un vincolo di pregiudizialità dell’accertamento penale rispetto al procedimento di prevenzione, così determinando una reciproca autonomia tra i due processi.
Ne discende che il procedimento di prevenzione può coesistere e svilupparsi accanto al processo penale, alla luce della netta separazione tra i due settori.
Informazioni
Fiorentin F., Le misure di prevenzione personali: nel codice antimafia, in materia di stupefacenti e nell’ambito di manifestazioni sportive, Giuffrè, 2012.
Maiello V., La legislazione penale in materia di criminalità organizzata, misure di prevenzione ed armi, Giappichelli, 2015.
Marafioti L., Sinergie fra il procedimento penale e procedimento di prevenzione, in Diritto Penale Contemporaneo, 2010-2016.
Padovani T., 2. Misure di Sicurezza e Misure di Prevezione, Pisa University Press, 2018.