Società occulta

La società occulta e l'imprenditore occulto

Il tema della società occulta e dell’imprenditore occulto e le conseguenze giuridiche in caso di fallimento

 

La definizione di imprenditore e società occulta

In ordine all’affascinante tema di questo articolo, occorre chiarire alcuni concetti di non facile individuazione che sono stati oggetto di studio e chiarificazione da parte della giurisprudenza e della dottrina[1].

Il principio generalmente vigente nel nostro ordinamento, ai fini della imputabilità dell’attività di impresa è quello della “spendita del nome” per cui è considerato imprenditore solo chi esercita personalmente l’attività di impresa, compiendo i relativi atti[2]. Se un soggetto gestisce l’impresa senza apparire come imprenditore nei confronti dei terzi è detto imprenditore occulto: il più delle volte egli si serve di un prestanome, il quale può essere una persona fisica o giuridica (cd. società etichetta), che agisce sotto le sue direttive apparendo all’esterno come imprenditore palese.

Stesso sistema si può utilizzare anche nell’ambito societario, tramite la società occulta o non manifesta, in cui il rapporto sociale non è esteriorizzato, e, sebbene compia un’attività economica sotto una ragione sociale, essa è esercitata a nome di un singolo che può essere un socio o un terzo, anche estraneo alla compagine sociale.

La società occulta, quindi, esiste solo nei rapporti interni tra soci, mentre all’esterno opera come un’impresa gestita da un singolo[3], il che può creare alcune problematiche in ordine alla responsabilità dei singoli soci per le attività compiute e, soprattutto, in caso di assoggettamento alla disciplina fallimentare.

La società occulta è generalmente ammessa nel nostro sistema dato che, secondo l’art. 2247 c.c., l’esteriorizzazione dell’attività economica non risulta un presupposto necessario per esercitare l’attività di impresa.

Può succedere che la società da occulta diventanti palese, creando confusione in ordine alle misure da adottare dato lo sdoppiamento dei rapporti interni ed esterni, poiché l’impresa risulta sociale nei rapporti interni mentre si presenta come individuale quando opera all’esterno[4]. Ci si domanda infatti, se la responsabilità che grava normalmente sui soci nelle società palesi per le obbligazioni assunte, debba gravare anche sui soci della società occulta.

Si può concludere che quando quest’ultima diviene palese avrà la stessa posizione dell’imprenditore occulto: infatti, la responsabilità per l’esercizio dell’impresa e le conseguenze giuridiche degli atti, secondo i principi cardine dell’ordinamento, sono attribuite in capo a colui nel cui nome l’atto o l’attività è stata realizzata. Quindi, sarà il prestanome o la società etichetta a rispondere nei confronti dei terzi, con diritto di rivalersi sulla società occulta fino a quando rimanga tale, mentre se nel frattempo essa si è disvelata, diventando palese, potrà agire direttamente nei confronti di essa. Ciò non vuol dire che l’imprenditore o la società occulta vadano esenti dalla responsabilità di impresa e, soprattutto, dalla soggezione al regime fallimentare: infatti non potrebbe essere considerato ammissibile esimersi da tali obblighi esercitando l’impresa sotto nome altrui, per questo, per affermare la sua responsabilità bisogna far riferimento ai concetti giuridici di agire per mezzo di altri, come gestore, e agire sotto nome altrui (tramite un prestanome)[5].

 

L’estensione della dichiarazione di fallimento all’imprenditore e alla società occulta          

Le conseguenze giuridiche delle due situazioni non possono essere ritenute assimilabili, dato che nell’attività gestoria il risultato dell’atto sarà imputabile alla volontà dell’agente, mentre nel caso del prestanome egli non partecipa del processo volitivo poiché è solamente un tramite materiale della volontà dispositiva esercitata dall’imprenditore occulto. Comunque, poiché il prestanome si avvale della spendita del nome, si verifica un vero e proprio sdoppiamento dell’attività volitiva esterna e interna, per cui l’imprenditore palese (prestanome) rimarrà obbligato ma ciò non esclude che quando si accerti la sussistenza di una situazione di “inganno” e l’imprenditore occulto venga allo scoperto, anche egli sarà considerato responsabile perché titolare dell’interesse e della volizione sottesa all’atto.

Il legislatore in caso di fallimento ha esteso la lettera dell’art. 147 l. fall. 5° comma[6] anche all’imprenditore occulto, se a seguito della dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulta che l’impresa è in realtà riferibile a una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile. In questo caso, bisogna immaginare la situazione in cui un imprenditore, che all’esterno figura come individuale, è in realtà socio di una società semplice, con lo scopo di imputare l’attività e le obbligazioni assunte alla stessa per non subirne le conseguenze sfavorevoli in caso di dissesto. Quindi, il fallimento sarà esteso anche all’imprenditore occulto che cerca di “evitare” la sua responsabilità, e subirà il doppio pregiudizio di sottostare a un regime di responsabilità illimitata, quindi senza il beneficio della separazione tra il suo patrimonio e quello della società.

La motivazione della disposizione è orientata a sanzionare l’esercizio scorretto dei poteri gestionali attribuendo una forma di responsabilità civile per i danni che ne sono conseguiti, a fini risarcitori e titolo di responsabilità extracontrattuale.

Pertanto, anche nell’eventualità di rapporto sociale occulto, dove il socio è legato agli altri da un rapporto contrattuale, pur formalizzato in un atto ma non esternato a terzi, si applica la norma sancita dal 4° comma dell’art. 147 l. fall. che espressamente dispone:

se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore, di un socio fallito, dichiara il fallimento dei medesimi”.

 

Il regime di responsabilità illimitata discende dalla mancata registrazione del contratto di società presso il registro delle imprese, che seppure non determini l’inesistenza della società, comporta l’assoggettamento della stessa al regime della società semplice o, se esercitano attività commerciale, a quello delle società irregolari ex. art. 2297 e 2317 c.c.

Inoltre, la responsabilità del socio occulto discende dall’efficacia esterna del rapporto instaurato; perciò se si verifica una situazione di insolvenza tutti i soci sia palesi che occulti vanno dichiarati falliti, e molto spesso la qualità di socio occulto viene portata alla luce proprio in occasione delle indagini condotte dal curatore fallimentare[7].

Per quanto riguarda invece gli elementi che possono provare il rapporto sociale occulto, questi possono rinvenirsi: nel documento scritto in cui è stato formalizzato il rapporto sociale o, se manca, da fatti e circostanze da cui si possano desumere l’elemento soggettivo e oggettivo. Il primo consta nella comune intenzione di gestire un’attività economica organizzata e di goderne i risultati patrimoniali (cd affectio societatis) e il secondo nella creazione di un fondo comune per l’esercizio di un’attività imprenditoriale. La prova dell’elemento oggettivo può consistere nel continuo sostegno finanziario alla società, il rilascio di garanzie o il pagamento dei debiti sociali, la percezione di utili; al contrario, rinvenire l’elemento soggettivo è più difficile.

Solitamente l’affectio societatis è provata tramite una presunzione negativa, ad esempio quando manca un rapporto che possa giustificare una diversa causa per il continuo afflusso di capitali alla società o della percezione di utili e non sia possibile addurre la causa di liberalità o rapporti contrattuali di altra natura.

Da ultimo, un altro interrogativo che l’operatore del diritto si pone è: entro quale termine può intervenire la dichiarazione di fallimento in estensione al socio o all’imprenditore occulto? Secondo un risalente orientamento della Corte Costituzionale[8] la riposta può rinvenirsi nel 2° comma dell’art. 147 l. fall.:

il fallimento dei soci illimitatamente responsabili non può essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale”.

 

Tale criterio risponde al principio generale di certezza delle situazioni giuridiche, che impone la possibilità di dichiarare fallito l’ex socio entro un ristretto limite temporale. Medesimo discorso è seguito anche in occasione della dichiarazione di fallimento dell’imprenditore deceduto o che ha terminato l’attività imprenditoriale[9].

Informazioni

S. Belmonte e A. Benedetti, in Ventiquattrore Avvocato, 2013, n. 1, p. 11

M. C. Lupetti, in Diritto e pratica delle società, 2000, n. 10, p. 62

G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, 2016

S. Marzo, in Il societario, Socio occulto, 2017, pp. 1-9

C. Cost., sent. 12 marzo 1999, n. 66; C. Cost., sent. 21 luglio 2000, n. 319

[1] Per altri articoli dalla stessa autrice: http://www.dirittoconsenso.it/2021/11/03/cosa-e-patrimonio-culturale-immateriale/

[2] S. Belmonte e A. Benedetto, in Ventiquattrore avvocato, 2013, n.1 p. 11.

[3] M.C. Lupetti, in Diritto e pratica delle società, 2000, n. 10, p. 62.

[4] G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, 2016, cap. II par. 7, p. 189 e ss.

[5] G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, 2016, cap. III, par. 3.8, p. 60 e ss.

[6] Introdotto dal d. lgls. n. 5 del 2006.

[7] S. Marzo, in Il societario, socio occulto, 2017, pp. 1-9.

[8] C. Cost., sent. 12 marzo 1999, n. 66; C. Cost., sent. 21 luglio 2000, n. 319.

[9] Artt. 10 e 11 del R.D. n. 267 del 1942.


Patrimonio culturale immateriale

Cos'è il patrimonio culturale immateriale?

L’evoluzione della nozione di patrimonio culturale immateriale dalle prime Convenzioni Unesco fino ad oggi

 

Introduzione al concetto di patrimonio culturale immateriale

I beni immateriali sono, per loro natura, beni che non presentano un’identificazione materiale, concreta o corporale ma acquistano rilevanza per l’ordinamento giuridico in relazione all’applicazione concreta di essi, a cui si riconosca tutela giuridica. L’esempio più diffuso di tale tipologia di beni si rinviene nelle opere creative o dell’ingegno, le quali sono oggetto di tutela in virtù del diritto di proprietà intellettuale dell’autore, e dello sfruttamento pratico o economico che può derivarne, tutelato invece dal diritto industriale con la disciplina dei marchi e brevetti[1].

 

Quadro normativo di riferimento

Sebbene le opere creative e dell’ingegno costituiscano i principali esempi di beni immateriali, in questa sede ciò che ci interessa rimarcare non è la loro tutela, bensì l’individuazione e la disciplina dei beni culturali immateriali così come intesi e regolati:

  • dal Codice dei beni culturali e del paesaggio e
  • dalla Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio immateriale[2].

 

La Convenzione Unesco, infatti, in origine disciplinava i beni culturali aventi il carattere della materialità, valorizzando e favorendo la diffusione dell’idea di un patrimonio culturale universale[3]. Tale trattato internazionale, vigente tra gli stati firmatari, ha la funzione di identificare in modo ampio i beni costituenti il patrimonio culturale, tra cui venivano inclusi i beni naturali e materiali.  La convezione stabilisce, inoltre, l’obbligo per gli stati aderenti di assicurarne l’identificazione, la protezione, la conservazione, la valorizzazione e la trasmissione alle generazioni future[4]. Il trattato quindi, si sovrappone alla protezione già garantita a livello nazionale, determinando una tutela rafforzata dei beni culturali.

Solo successivamente, la nozione di bene culturale è stata ampliata includendo anche i beni immateriali ovvero quelli espressivi di una “testimonianza materiale avente valore di civiltà[5] ovvero rappresentativi delle tradizioni orali, delle manifestazioni di folklore e, in generale, portatori di un valore culturale.

Il legislatore italiano ha preso atto delle innovazioni provenienti dalla Convenzione Unesco del 2004[6] sui beni immateriali, provvedendo ad innovare la materia nel 2008 includendo nel Codice l’articolo 7 bis[7]. Il testo dell’articolo però, sembrerebbe adottare una visione più restrittiva di bene culturale immateriale rispetto alla definizione della Convezione[8], ancorando la sua rilevanza giuridica alla possibilità di associarlo a “testimonianze materiali[9], ovvero alla loro riconduzione ad un supporto materiale. La ragione di tale decisione linguistica sta forse nel timore di sminuire oltremodo il concetto di bene culturale, includendo ipotesi che non possono considerarsi assimilabili a tali contesti, come ad esempio le tradizioni popolari tramandate in via orale.

Il rischio che il legislatore italiano intende scongiurare è quello di ampliare a dismisura il concetto di bene culturale, facendo rientrare in tale definizione fattispecie che attengono piuttosto al campo delle attività culturali[10].

 

Dalla concezione estetizzante a una visione storicistica di bene culturale

Inizialmente, la legislazione in materia di beni culturali italiana traeva origine dalla filosofia crociana ed idealistica, in cui la rarità e la bellezza estetica del bene erano considerati elementi cardine per attribuirgli un certo grado di tutela. Infatti, la legislazione italiana della seconda metà degli anni ’30 faceva riferimento a un “concetto ristretto di bene artistico-storico[11], figlia della nozione crociana del “bello d’arte in cui i beni di interesse culturale erano considerati al più come oggetti esteticamente piacevoli alla vista, non prendendo in considerazione altri elementi.

Successivamente, durante gli anni ’60 tramite i lavori della commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e del paesaggio presieduta dell’onorevole Franceschini, si compì il definitivo passaggio dalla concezione estetizzante a una storicistica di bene culturale.

Infatti, in questa sede bene culturale fu definito come “tutto ciò che costituisce testimonianza materiale avente valore di civiltà” e quindi anche in ragione della testimonianza dell’assetto storico e culturale rappresentativo degli stessi[12]. Questa definizione, che ha avuto il pregio di modernizzare il concetto di bene culturale, ha preso in considerazione solamente la dimensione materiale, senza considerare l’elemento della possibile configurazione volatile degli stessi. Per questo motivo, allo stato dell’arte, la disciplina italiana è incentrata solamente sui beni materiali, e ha omesso di dettare una normativa sul patrimonio immateriale.

Recentemente, alcune istanze di riforma sono giunte sia da parte di realtà regionali, che hanno sottolineato l’importanza di prevedere forme di protezione del patrimonio intangibile[13], sia dall’Unione Europea, con la “Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società”[14]. Tale convenzione, siglata a Faro nel 2015 e sottoscritta dall’Italia nel 2013, ha ampliato ulteriormente la nozione di bene culturale, associandolo all’ eredità, ai significati e agli usi che tali luoghi o oggetti possono rappresentare.

Tale documento rappresenta una “convenzione quadro”, per cui non si occupa di imporre o creare obblighi di azione, lasciando allo Stato aderente la possibilità di decidere come e con che mezzi attuare le norme della convenzione[15]. Generalmente, la Convenzione ha identificato il bene culturale immateriale come un bene non assoggettabile al concetto di proprietà e ha ricompreso in questa categoria elementi materiali, immateriali e il paesaggio. La finalità di questo scritto è nel complesso improntata alla creazione di una nuova nozione di tutela e gestione del patrimonio culturale, non esclusivamente concentrata sul suo valore scientifico ma anche al suo ruolo di strumento per lo sviluppo e crescita dell’uomo[16].

 

La potenzialità economica connessa alla valorizzazione dei beni culturali immateriali

Il riconoscimento giuridico dei beni culturali immateriali rappresenta, oltre alla presa di coscienza della testimonianza storica e culturale di un determinato gruppo sociale, anche un importante volano economico e di commercializzazione. Basti pensare alle riproduzioni massive delle opere dei maestri del Rinascimento italiano, vendute sul mercato digitale e oggetto di riproduzione su capi di abbigliamento o al successo che ultimamente stanno acquisendo le opere d’arte digitali. Esemplificativa di tale tendenza è l’opera “the first 5000 days” dell’artista Beeple, un enorme immagine Jpeg, battuta online per 70 milioni di dollari dalla casa d’aste Christie’s, rappresentativa della diffusione del movimento della crypto art[17].

Nel panorama italiano, quindi, emerge sicuramente l’importanza di una normativa tesa a tutelare le diversità culturali esistenti, rappresentative dell’immenso patrimonio artistico e culturale nostrano, nonché delle prospettive economiche e degli enormi vantaggi che ne deriverebbero. Infatti, nella prospettiva della redazione di un disegno di legge che tenga conto di questi importanti spunti, dovrebbe essere ricompresa la dimensione immateriale di patrimonio culturale come “uno strumento importante per la crescita e lo sviluppo sostenibile della società, anche in termini di prosperità economica[18]. Tra le innumerevoli rievocazioni storiche esistenti basti citare il Palio di Siena, il calcio in costume a Firenze che sono oggetto di offerte turistiche e di attività imprenditoriale, nonché alle manifestazioni della tradizione popolare come il Carnevale di Venezia.

 

Conclusioni

Ad oggi, il legislatore non ha ancora preso atto della immensa potenzialità insita nella dimensione immateriale dei beni culturali, non solo in considerazione del loro valore economico e turistico, ma anche come strumento di dialogo e interculturalità tra le nazioni. Infatti, attraverso l’attenzione all’immateriale si opera un superamento da una concezione statica di bene culturale, favorendo così il passaggio a una visione più dinamica degli stessi. In questo modo, il bene culturale non sarà più inteso come statica testimonianza di una civiltà del passato ma anche come parte della contemporaneità, non essendo più solamente oggetto di tutela o conservazione, ma anche come parte integrante dell’identità culturale moderna[19].

Informazioni

Paola Chirulli in Diritto Amministrativo, fasc. 4, 2019, p. 697 e ss. 

Manuale di diritto amministrativo (parte generale e speciale), R. Garofoli e G.Ferrari, nel diritto Editore, XIV edizione, 2020-2021, pp. 1305 e ss.

Antonio Bartolini in Diritto amministrativo, fasc. 2, 2019, p. 223 e ss.

Annalisa Gualdani, I beni culturali immateriali: una categoria in cerca di autonomia in Aedon, 2019, fasc. 1. 

Sabino Cassese, Il futuro della disciplina dei beni culturali, inGiorn. dir. amm., 2012, 7, pag. 781.

https://www.coe.int/it/web/venice/faro-convention

https://www.studiocataldi.it/articoli/39041-beni-immateriali.asp.

https://www.wired.it/economia/business/2021/03/12/arte-beeple-christie-ntf/?refresh_ce=

http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Comunicati/visualizza_asset.html_961554379.html

[1] https://www.studiocataldi.it/articoli/39041-beni-immateriali.asp.

[2] D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio) e Convenzione per la salvaguardia del patrimonio immateriale conclusa a Parigi il 17 ottobre 2003 e ratificata e resa esecutiva con in Italia il 30 ottobre del 2003.

[3] Convenzione Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale del 2003, ratificata con l. 27 settembre 2007, n. 167.

[4] Paola Chirulli in Diritto Amministrativo, fasc. 4, 2019, p. 697 e ss.

[5] Così come definiti dai lavori della Commissione Franceschini raccolti nell’opera Per la salvezza dei beni culturali in Italia, Roma, Colombo, 1967.

[6] Ratificata in Italia con L. 27 settembre del 2007, n. 167.

[7]Le espressioni di identità culturale collettiva contemplate dalle Convenzioni UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e per la protezione e la promozione delle diversità culturali, adottate a Parigi, rispettivamente, il 3 novembre 2003 ed il 20 ottobre 2005, sono assoggettabili alle disposizioni del presente codice qualora siano rappresentate da testimonianze materiali e sussistano i presupposti e le condizioni per l’applicabilità dell’articolo 10”. Così il testo dell’art. 7 bis del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 del 2004) rubricato “Espressioni di identità culturale collettiva”, ed introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. c), d.lgs. 26 marzo 2008, n. 68.

[8] Il testo della Convenzione internazionale per la salvaguardia dei beni culturali intangibili, nella definizione di “patrimonio culturale immateriale” include: “a) tradizioni ed espressioni orali, ivi compreso il linguaggio, in quanto veicolo del patrimonio culturale immateriale; b) le arti dello spettacolo; c) le consuetudini sociali, gli eventi rituali e festivi; d) le cognizioni e le prassi relative alla natura e all’universo; e) l’artigianato tradizionale”.

[9] Manuale di diritto amministrativo (parte generale e speciale), R. Garofoli e G.Ferrari, nel diritto Editore, XIV edizione, 2020-2021, pp. 1305 e ss.

[10] Antonio Bartolini in Diritto amministrativo, fasc. 2, 2019, p. 223 e ss.

[11] Legge 1° giugno 1939, n.1089, Tutela delle cose d’interesse Artistico o Storico, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 184 dell’8 agosto 1939.

[12] Annalisa Gualdani, i beni culturali immateriali: una categoria in cerca di autonomia in Aedon, 2019, fasc. 1.

[13] S. Cassese, Il futuro della disciplina dei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 2012, 7, pag. 781.

[14] L. 1° ottobre 2020, n. 133 di Ratifica ed esecuzione della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società’, fatta a Faro il 27 ottobre 2005.

[15] https://www.coe.int/it/web/venice/faro-convention

[16] A. Gualdani, i beni culturali immateriali: una categoria in cerca di autonomia.

[17] https://www.wired.it/economia/business/2021/03/12/arte-beeple-christie-ntf/?refresh_ce=

[18] In tal senso la Dichiarazione dei Ministri della Cultura del G7, in occasione della riunione “La cultura come strumento di dialogo tra i popoli”, Firenze, 30 marzo 2017, in http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Comunicati/visualizza_asset.html_961554379.html .

[19] A. Bartolini, in Diritto amministrativo.