L'evasione carceraria ed il recente caso del Beccaria di Milano
Spiegazione del reato di evasione carceraria e conseguenze della fuga da un istituto penitenziario come nel caso del Beccaria di Milano
Il delitto di evasione: conseguenze previste dal codice penale
Il reato di evasione è un delitto previsto e punito dall’art. 385 del Codice penale. Esso punisce l’arrestato o il detenuto che evada dal luogo in cui si trova ristretto a seguito di un provvedimento dell’autorità giudiziaria.
La norma è divisa in due parti:
- il primo comma del presente articolo prevede la pena della reclusione da uno a tre anni;
- il secondo comma, invece, sancisce un aggravamento di pena da due a cinque anni di reclusione nel caso in cui l’evasore, commette il fatto usando violenza o minaccia verso persone, ovvero mediante effrazione ed inoltre la pena base è ulteriormente aumentata, da tre a sei anni di reclusione, se la violenza o la minaccia di cui sopra è commessa con armi o da più persone riunite.
Il concetto sottostante questa norma è proprio quello di tutelare le forme di detenzione o restrizione della libertà personale, disposte dall’autorità giudiziaria, facendo sì che queste vengano effettivamente eseguite.
In più, tale norma appartiene alla categoria dei delitti contro l’autorità delle decisioni giudiziarie ed è una disposizione normativa che è volta proprio a garantire il rispetto dei provvedimenti giudiziari custodiali.
L’evasione è un reato proprio, in quanto può essere commesso solo ed esclusivamente da soggetti legalmente arrestati (ex art. 380 e ss. c.p.p.) o detenuti. Difatti il presupposto del reato di evasione si evince dalla sussistenza di un legittimo arresto o di una legittima detenzione.
L’elemento soggettivo del delitto di evasione presuppone il dolo generico, cioè la consapevolezza di essere sottoposti a misura detentiva e la volontà di violare le prescrizioni disposte dal magistrato[1].
L’evasione avvenuta nel Istituto Penitenziario Minorile “Beccaria” di Milano: riflessioni
Il pomeriggio del 25 dicembre 2022, sono evasi dal carcere minorile “Beccaria” sette detenuti (tre dei quali maggiorenni).
I fuggitivi avrebbero scavalcato le mura di cinta, ove in quel momento si stavano compiendo dei lavori di manutenzione, ormai da incorso da diversi anni, e approfittando di questa situazione, avrebbero aperto un varco nella recinzione per poi darsi immediatamente alla fuga.
Senza soffermarsi troppo su quanto effettivamente accaduto, questo episodio, evidentemente scatenato da sentimenti di ribellione e di frustrazione che ogni giorno pervadono le menti dei giovani detenuti, deve far riflettere sulla gestione delle carceri, specie quando si tratta di condannati minorenni.
Le cause che spesso inducono taluni soggetti a commettere il delitto di evasione dalla struttura carceraria sono spesso animate da un preoccupante sovraffollamento delle carceri italiani[2], che rende sempre più difficoltosa la gestione delle stesse.
Nel caso in esame, infatti, è intervenuto la denuncia da parte dei sindacati circa la grave e complessa situazione in cui versa il carcere minorile Beccaria. Anche i sindacati di Polizia Penitenziaria, a seguito di quanto accaduto, si sono mossi per far conoscere e comprendere le esigenze di tutelare gli ambienti comuni all’intero delle mura carcerarie, proprio perché, nel corso degli anni, sono aumentate le aggressioni sia tra detenuti che tra quest’ultimi è operatori.
Concludendo, si può oggi constatare una situazione critica e sempre più pericolosa, sia per i soggetti detenuti all’interno dei carceri, sia per gli operatori che ogni giorno si trovano a dover affrontare suddetti episodi senza aver, purtroppo, i mezzi per contrastarli. Il problema del sovraffollamento carcerario e delle condizioni all’interno degli istituti penitenziari rientra nelle principali conseguenze delle complicanze del sistema detentivo.
Informazioni
Articolo 385 Codice penale.
Giurisprudenza Penale “Detenzione domiciliare e delitto di evasione nella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione”, G. Tamburini.
Marinucci Dolcini – Diritto penale parte speciale – I reati contro l’autorità giudiziaria.
[1] Cass. pen. Sez. VI n.31995/2003.
[2] Sul problema rinvio alla lettura di un altro articolo pubblicato su DirittoConsenso: Il problema del sovraffollamento carcerario – DirittoConsenso.
Istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia: l'articolo 414 bis del codice penale
Analisi dell’articolo 414 bis codice penale e della sua natura come reato contro l’ordine pubblico
Articolo 414 bis codice penale: ordine pubblico quale bene giuridicamente tutelato
L’articolo 414 bis codice penale è una norma che si impone di tutelare il bene giuridico dell’ordine pubblico.
Con il termine ordine pubblico il legislatore intende contemplare l’insieme dei principi dell’ordinamento giuridico, che costituiscono il fondamento etico dello stesso. In particolare, nel diritto penale il concetto di ordine pubblico è rappresentato, in senso materiale, come il complesso di condizioni che assicurano la tranquillità e la sicurezza concreta di tutti i cittadini.
Pertanto l’articolo 414 bis codice penale si impone di tutelare l’ordine pubblico attraverso la previsione di un pericolo concreto per lo stesso rappresentato dall’istigazione, da parte del soggetto agente, a pratiche di pedofilia e di pedopornografia in danno di minorenni. Il bene giuridico oggetto di tutela viene altresì tutelato nel comma secondo della suddetta norma incriminatrice, la quale punisce anche chi pubblicamente fa apologia di uno o più delitti previsti dal comma primo, ovvero i reati di cui agli artt. 600 bis c.p. e i seguenti reati di pornografia minorile (art. 600 ter c.p.), di detenzione di materiale pornografico (art. 600 quater c.p.).
L’articolo 414 bis codice penale e il suo inserimento nell’alveo dei reati di pericolo
La norma in esame appartiene per sua natura alla categoria dei c.d. reati di pericolo concreto. In dettaglio, il reato di pericolo è quella particolare classificazione di delitti ideata dalla dottrina in cui il bene giuridico viene messo in pericolo senza effettivamente subire una vera e propria lesione. Pertanto si tratta di casi in cui il legislatore anticipa la tutela penale, andando a punire solo ed esclusivamente il pericolo stesso.
In particolare, l’articolo 414 bis codice penale si inserisce in questa singolare categoria di reati di pericolo concreto. Il reato di pericolo concreto, a differenza di quello astratto, presuppone che il bene giuridico tutelato, nel caso in esame l’ordine pubblico, venga effettivamente messo a rischio dalla condotta dell’agente.
Infatti per quanto concerne la condotta posta in essere dal soggetto che agisce, deve esprimere una capacità tale da “determinare un rischio effettivo della consumazione di altri reati lesivi di interessi omologhi a quelli istigati.” Il comportamento dell’agente dunque, deve essere, per il contenuto intrinseco, per la condizione personale dell’autore e per le circostanze di fatto in cui si esplica, idoneo a determinare il rischio concreto della consumazione di altri reati. (Cass. Pen. Sez. VI, 17 luglio 2019, n. 31562).
In tema va ricordata la pronuncia della Corte di Cassazione la quale ha affermato che il delitto di istigazione o apologia a pratiche di pedofilia e di pedopornografia di cui all’articolo 414 bis codice penale è un reato di pericolo concreto con dolo generico che consiste nell’indurre altri alla commissione di reati analoghi a quelli istigati o di cui si è fatta apologia (Cass.pen. sez. III sent. 23927/2021).
Il dolo istigatorio consiste, infatti, nella coscienza e volontà di turbare l’ordine pubblico. Esso deve essere analizzato in relazione alla condotta, che deve ritenersi dotata di una forza suggestiva e persuasiva tale da poter stimolare nell’animo dei destinatari la commissione dei fatti criminosi di cui agli art. 600 bis c.p. e seguenti.
Articolo 414 bis codice penale e il suo rapporto con i reati contro la libertà individuale
L’articolo 414 bis codice penale, nel suo primo comma, sancisce che “Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, con qualsiasi mezzo, e con qualsiasi forma di espressione, pubblicamente istiga a commettere, in danno di minorenni, uno o più delitti previsti dagli articolo 600 bis, 600 ter e 600 quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600 quater. 1.,600 quinquies, 609 bis, 609 quater e 609 quinquies è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni.”.
Si intuisce immediatamente il rischiamo della norma oggetto di analisi ai reati previsti dagli articoli 600 bis codice penale e seguenti.
I delitti contro la liberà personale appartengono al più ampio novero dei delitti contro la libertà individuale. Alla tutela delle libertà individuali è dedicato, come già citato, il capo III del dodicesimo titolo del libro secondo del codice penale. In particolare, la sezione I contempla i c.d. delitti contro la personalità individuale – tutela del diritto di libertà individuale in senso stretto – in quanto prevede fatti che annullano completamente la personalità del soggetto passivo, il quale viene ridotto in uno stato di schiavitù psichica e fisica.
In altri termini l’articolo 414 bis codice penale non è altro che una specificazione della volontà del legislatore di punire le condotte già ampiamente contemplate dagli articolo 600 bis, 600 ter e 600 quater del codice penale. La norma infatti, come meglio sopra esposto, richiama espressamente tali articoli, affermando al suo secondo comma che anche “chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti previsti dal primo comma è punito con la stessa pena stabilita in quest’ultimo”.
Alla luce di quanto sopra esposto, l’articolo 414 bis codice penale è una norma che si ispira alla tutela dell’ordine pubblico, ed in particolare alla tutela di tutti quei soggetti, come i minorenni, che sempre più spesso, nella società odierna, vengono messi in pericolo da condotte lesive ed invasive della propria libertà sessuale.
Informazioni
Articoli 414 bis, 600 bis, 600 ter e 600 quater Codice penale.
DirittoConsenso, I reati di pericolo. Link: I reati di pericolo – DirittoConsenso.
Marinucci Dolcini – Diritto penale parte speciale – I reati contro l’ordine pubblico.
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Associazione per delinquere e associazione mafiosa
Analisi dei reati di associazione per delinquere e associazione mafiosa: analogie e differenze tra i due istituti
Premessa: l’ordine pubblico come bene giuridico tutelato nei reati di associazione per delinquere e associazione mafiosa
I reati di associazione per delinquere e associazione mafiosa, rispettivamente rubricati agli articoli 416 e 416 bis del Codice penale, sono due norme dirette a tutelare l’ordine pubblico.
In particolare, il reato di associazione per delinquere di cui all’art. 416 del Codice penale fa riferimento al pericolo della sola esistenza di un sodalizio criminoso, mentre l’ipotesi delittuosa di associazione di tipo mafiosa rubricata all’art. 416 bis del Codice penale indirizza la suddetta tutela alle ipotesi in cui l’ordine pubblico sia minacciato dall’utilizzo della forza di intimidazione e dalla condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva.
Associazione per delinquere: l’articolo 416 del Codice penale
Al fine di comprendere nel miglior modo possibile le differenze e le analogie nei reati di associazione per delinquere e associazione mafiosa, è opportuno rivolgere l’attenzione alle singole fattispecie di cui sopra, iniziando in primo luogo da quella rubricata all’articolo 416 del Codice penale: associazione per delinquere.
Come anticipatamente sottolineato, la norma tutela l’ordine pubblico, messo in pericolo dall’esistenza di un sodalizio criminale permanente tra persone legate da un comune e indeterminato programma delittuoso. In particolare, gli associati vengono puniti per il solo fatto di appartenere alla associazione, a prescindere dalla effettiva commissione di reati (Cass. Pen. n° 8539/1992).
La suddetta norma rappresenta un’importante deroga al dettato normativo di cui all’articolo 115 c.p., il quale prevede espressamente la non punibilità del mero accordo per commettere un delitto, qualora quest’ultimo non venga più commesso. Questa deroga è l’espressione di una tutela fondata sulla necessità di contenere un allarme sociale che potrebbe in qualsiasi momento mettere in crisi la tranquillità e la pace pubblica. Proprio in ragione dell’importanza del bene giuridico oggetto di tutela il legislatore ha voluto garantire a quest’ultimo la massima protezione, anticipando la soglia di punibilità alla sola partecipazione anche nel caso in cui non sia stato commesso alcun reato.
Altresì, perché il reato di cui all’art. 416 c.p. si configuri, occorre la presenza di almeno tre soggetti attivi, requisito che fa rientrare automaticamente la suddetta ipotesi delittuosa nei reati a concorso necessario proprio. Inoltre ai fini valutativi il numero dei correi deve essere individuato in modo oggettivo, tenendo conto della sola componente umana[1].
Il reato di associazione a delinquere è un reato comune e pertanto può essere commesso da chiunque. Ciò nonostante sono state individuate delle specifiche condotte evidenzianti i singoli ruoli dei soggetti appartenenti al sodalizio, consistenti in:
- Il promotore, colui il quale ha stimolato la nascita dell’associazione e che ha esternato la volontà di costituire una struttura organizzata finalizzata alla commissione di reati.
- Il costitutore, soggetto che assieme al promotore costituisce di fatto l’associazione a delinquere, apportandone regole specifiche di comportamento e di condotta. Il promotore assieme al costitutore, normalmente svolgono anche la c.d. funzione dirigenziale, rivestendo funzioni gerarchicamente superiori.
- L’organizzatore, persona che materialmente si occupa della pianificazione dei progetti criminosi.
- Il partecipe, colui che concretamente svolge l’attività diretta al perseguimento del progetto criminoso.
Gli elementi strutturali del delitto di associazione per delinquere sono la formazione e la permanenza di un vincolo associativo continuativo, fra tre o più persone, allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti, con la predisposizione comune dei mezzi occorrenti per la realizzazione del programma delinquenziale e con la permanente consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio criminoso e di essere disponibile ad operare per l’attuazione del programma stesso (Cass. Pen. n° 3402/1992).
Difatti il reato in esame appartiene al novero dei c.d. reati associativi. Questi ultimi si compongono di tre elementi costitutivi:
- il vincolo associativo
- l’esistenza di una struttura organizzativa
- indeterminatezza del programma criminoso.
Il vincolo associativo deve avere carattere continuativo e permanente. Esso infatti deve durare oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati[2]. Dunque il tratto distintivo del reato di associazione per delinquere, è proprio la permanenza e la continuità della condotta posta in essere dai consociati.
L’esistenza di una struttura organizzativa come elemento costitutivo del reato di cui all’art. 416 c.p. ha portato diversi contrasti in dottrina. In particolare è stata evidenza una lacuna normativa circa la determinazione dei requisiti e criteri fondamentali al fine di poter ritenere l’esistenza di una struttura organizzativa specifica. Secondo la giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurabilità del delitto di associazione per delinquere è necessaria la sussistenza di un’organizzazione strutturale la quale può anche essere rudimentale e preesistente all’ideazione criminosa, purché si presenti adeguata allo scopo illecito perseguito (Cass. Pen. n° 15573/2017). Difatti si ritiene pacificamente sufficiente l’esistenza di una struttura organizzativa intesa come minima predisposizione di mezzi, anche senza una specifica ed organica gerarchia interna.
Ultimo elemento costitutivo del reato in esame è la necessaria esistenza di un programma criminoso indeterminato. Difatti è proprio l’indeterminatezza a contraddistinguere il reato di associazione per delinquere poiché, come più volte ribadito, l’accordo per la commissione di un programma criminoso generale e continuativo che trascende i singoli reati è punito indipendentemente dalla loro effettiva commissione (Cass. Pen. n° 17416/1989). Da qui l’impossibilità di configurare il vincolo della continuazione fra il delitto di associazione per delinquere ed i delitti programmati.
L’elemento soggettivo invece è rappresentato dal dolo specifico inteso come la volontà e la coscienza di far parte di un sodalizio criminoso composto, come da presupposto necessario, da almeno tre persone al fine di commettere una serie indeterminata di delitti. Ne consegue che coloro i quali abbiano commesso uno o più reati funzionali alla realizzazione del programma criminoso, ma che allo stesso tempo abbiano ignorato l’esistenza dell’associazione medesima, rispondono esclusivamente di concorso nel reato di cui all’art. 110 c.p. e non di associazione a delinquere.
Il trattamento sanzionatorio previsto al primo comma dell’art. 416 c.p., detta una cornice edittale contenuta nella pena della reclusione da tre a sette anni. L’art. 416 c.p. al suo secondo comma sancisce l’abbassamento della cornice edittale di cui sopra (da uno a cinque anni di reclusione) per la sola partecipazione. Ai sensi del terzo comma del suddetto articolo, alla stessa pena soggiace chi appartiene ai vertici dell’associazione a delinquere (promotori e costitutori).
Dal dettato normativo si evince come i commi 4 e seguenti sanciscano le circostanze aggravanti della fattispecie sin d’ora analizzata. In dettaglio, il comma quarto, al fine di punire il brigantaggio o scorreria di armi prevede l’applicazione della pena della reclusione da cinque a quindici anni. Altresì la pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più. Ulteriori circostanze aggravanti sono previste dai commi successivi dell’art. 416 c.p.[3].
Associazione di tipo mafioso anche straniere: l’articolo 416 bis del Codice penale
Nell’analisi dei reati associativi di associazione per delinquere e associazione mafiosa va precisato come l’’articolo 416 bis è stato introdotto nel Codice penale con la legge Rognoni – La Torre del 1982.
Il delitto di associazione mafiosa costituisce un principio cardine del contrasto alla criminalità organizzata di tipo mafioso. La norma in esame è diretta anch’essa a tutelare l’ordine pubblico ma, in questo caso, l’attenzione non si concentra tanto sulla struttura organizzativa bensì sul concetto di “fenomeno mafioso”. Da qui infatti si può chiaramente evincere come il dettato normativo rivolga la sua attenzione a tutti quegli agiti caratterizzati dall’utilizzo di una forza intimidatrice e dalla conseguente condizione di assoggettamento ed omertà che da questa ne deriva.
In particolare al primo comma dell’art. 416 bis c.p. viene prevista una punibilità per chiunque faccia parte di un’associazione di tipo mafioso, facendo così facilmente intuire che la mera partecipazione è requisito necessario ai fini dell’integrazione del reato in questione. Pertanto, come conseguenza dell’esiguità descritta dal dettato legislativo, è stato delegato alla giurisprudenza il difficile compito di specificare i presupposti di rilevanza penale della condotta punibile.
In merito è importante sottolineare due diversi orientamenti giurisprudenziali che sono intervenuti sulla questione.
Il primo tra questi prende ispirazione da un modello concettuale definito “causale”, il quale circoscrive la condotta di partecipazione in un contributo apprezzabile apportato dal singolo alla vita o al rafforzamento dell’associazione. In questo modello non sono necessarie ulteriori condotte perché la semplice affiliazione è idonea a integrare il reato di cui all’art. 416 bis c.p.
Al contrario, un secondo orientamento si affida al c.d. modello “organizzatorio”. Quest’ultimo richiede lo specifico inserimento del soggetto nell’organizzazione associativa, cioè l’assunzione di un ruolo preciso e concreto dell’associazione criminale[4]. Non è dunque sufficiente la mera affiliazione per configurare il reato in esame, bensì servono elementi ulteriori i quali fungono da indicatori del predetto ruolo – attivo – dell’affiliato, mettendo così in rilievo la condotta del partecipe al suo oggettivo inserimento nella struttura organizzativa.
Ad ogni modo, il fondamento della norma in esame è inserito nel suo terzo comma, laddove il legislatore fissa due elementi nodali dell’associazione mafiosa: il metodo e la finalità.
Da un punto di vista assiomatico, il metodo mafioso così come descritto dal terzo comma dell’art. 416 bis c.p., inquadra la fattispecie in una classe di reati associativi che parte della dottrina definisce “a struttura mista” in contrapposizione ai reati associativi “puri”, il cui archetipo è plasticamente rappresentato dall’associazione per delinquere comune prevista dall’art. 416 c.p.[5]. Per i primi infatti è necessaria la presenza di un elemento in più rispetto alla sola organizzazione criminale, sufficiente al contrario per i secondi.
Ulteriore elemento descritto precisamente dal terzo comma dell’art. 416 bis c.p., è la necessaria prova di possedere quella “forza intimidatrice”, quale elemento costitutivo del reato in esame, tale da creare una condizione di assoggettamento e omertà che ne derivano. Fatta questa precisazione va sottolineato come la norma richieda all’interprete di delineare una nozione di forza intimidatrice del vincolo associativo, per lo più intesa in concreto come “assoggettamento e omertà”. Orbene per “assoggettamento” si intende comunemente una “condizione di sottomissione o di soggezione psicologica in capo alle potenziali vittime”, mentre per omertà si intende il “rifiuto generalizzato di collaborare con le autorità stradali, forza di polizia e magistratura”.
Premesso ciò, è però necessaria l’esteriorizzazione della capacità di intimidazione, non bastando la mera dimensione interna. Né può trattarsi di stati momentanei o occasionali, bensì risulta essere indispensabile il riscontro di manifestazioni di assoggettamento e omertà costanti dovute esclusivamente alla persistente e diffusa percezione della forza di intimidazione del vincolo associativo.
Altresì, l’articolo 416 bis c.p., al suo ultimo comma prevede l’applicazione della norma alle associazioni mafiose come camorra ‘ndrangheta e altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere.
Quest’ultima locuzione “anche straniere” è stata inserita dal legislatore del 2008 in modo da indirizzare l’attenzione non solo alle associazioni criminali italiane, bensì a tutte quelle strutture e sodalizi di criminalità organizzata di origine straniera, i quali però hanno uno stretto legame con le fazioni criminali presenti nel territorio dello Stato. Nonostante lo spiccato senso di precisione fornito dall’ottavo comma dell’articolo 416 bis c.p., la norma in esame risulta essere un esuberante ripetizione di quanto già esaustivamente specificato nei commi precedenti del suddetto articolo. Difatti il sopra citato precetto evidenzia sin da subito l’applicabilità dello stesso a qualsiasi associazioni che si avvalga del metodo mafioso, circoscrivendone in questo modo i limiti entro cui il dettato normativo trova attuazione.
Differenze tra il reato di associazione per delinquere e associazione di tipo mafioso
L’indagine fin qui compiuta evidenza come i reati di associazione per delinquere e associazione mafiosa previsti dagli artt. 416 e 416 bis del Codice penale presentino notevoli differenze l’uno con l’altro. In particolare, nonostante entrambe le norme si prefissano di tutelare l’ordine pubblico, il reato di associazione di tipo mafioso nasce come specificazione del reato di cui all’articolo 416 c.p.
Come ampiamente precisato il reato di associazione per delinquere richiede, per la sua integrazione, la mera partecipazione nella struttura organizzativa senza la necessaria commissione di reati. Al contrario il reato di associazione di tipo mafioso esige come requisito per la sua applicabilità la partecipazione dell’affiliato nell’organizzazione criminale, utilizzando in quest’ultima il c.d. metodo mafioso, ovvero la forza del vincolo associativo e la condizione di omertà delle vittime.
Altra importante differenza tra associazione per delinquere e associazione mafiosa emerge proprio dalle finalità per cui le rispettive associazioni operano. La finalità dell’associazione per delinquere viene esaustivamente sancita dal comma primo dell’articolo 416 c.p., nella misura in cui lo scopo dell’associazione di tre o più persone è quello diretto alla commissione di delitti. Precetto molto più preciso viene invece dedicato dal legislatore all’ipotesi di reato di cui all’articolo 416 bis nel suo comma terzo. Quest’ultimo infatti precisa che “L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche di concessioni di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.”.
Pertanto, lo scopo delle associazioni di tipo mafioso è si quello di commettere delitti (come per l’associazione per delinquere), ma anche quello di acquisire in modo diretto o indiretto il controllo o la gestione di attività economiche, appalti e servizi pubblici, realizzare profitti ingiusti, impedire il libero esercizio del voto alle elezioni.
Giungendo così al termine della trattazione sin d’ora compiuta, non può che essere ricordata l’importanza dell’introduzione, da parte del legislatore, delle norme in esame: associazione per delinquere e associazione mafiosa. Difatti alla luce di quanto avvenuto nel corso della storia italiana e di ciò che tali avvenimenti hanno comportato, la presenza all’interno del Codice penale di articoli di così elevato rilievo, non fa altro che ricordare a chi legge l’obbligo di contrastare queste forme di criminalità organizzata.
Informazioni
R. Giovagnoli, Manuale di diritto penale parte speciale
G. Falcone, Cose di cosa nostra
Fiandanca – Visconti, Il patto di scambio politico – mafioso al vaglio delle sezioni unite.
Maiello, Il concorso esterno in associazione mafiosa tra crisi del principio di legalità e diritto penale del fatto, in Il concorso esterno tra indeterminatezza legislativa e tipizzazione giurisprudenziale.
Codice penale
L’articolo 416 bis del codice penale italiano – Diritto Consenso. Link: L’articolo 416 bis del codice penale italiano – DirittoConsenso.it.
SPAGNOLO Dai reati meramente associativi ai reati a struttura mista, in Beni e tecniche della tutela penale
[1] Cass. Pen. N° 8958/1987 “In tema di associazione per delinquere, la prova, mancando di norma un atto costitutivo, deve essere desunta da facta concludentia, nei quali possono assumere rilievo anche i delitti programmati effettivamente realizzati, qualora dalle modalità di esecuzione o da altri elementi possa risalirsi all’esistenza di un vincolo associativo. La necessità poi di ricorrere alla prova indiziaria non può risolversi nell’accettazione di una probatio semiplena integrata da congetture (ossia intuizioni od opinioni personali). Anche la prova indiretta deve essere sempre tale da condurre attraverso il confluire dei vari elementi (dei quali sia stata giudizialmente accertata la prova della verità storica) — valutati complessivamente e logicamente coordinati — ad un giudizio di certezza del fatto ignoto, senza lasciare spazio ad un qualsiasi ragionevole dubbio.”
[2] Cass. Pen. N° 10820/1988 “Per la configurabilità del delitto di associazione per delinquere, non è necessaria una vera e propria organizzazione con gerarchia interna e distribuzione di specifiche cariche criminose, ma è sufficiente l’esistenza di un vincolo associativo non circoscritto ad uno o più delitti determinati e consapevolmente esteso ad un generico programma delittuoso. L’accordo relativo all’attuazione di questo, che deve intervenire fra almeno tre persone ed avere carattere continuativo, precede quello particolare avente ad oggetto i delitti genericamente compresi nel programma ed i mezzi e le modalità della sua attuazione.”
[3] I quali prevedono: “Se l’associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601, 601bis e 602, nonché all’articolo 12, comma 3-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché agli articoli 22, commi 3 e 4, e 22 bis, comma 1, della legge 1° aprile 1999, n. 91, si applica la reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da quattro a nove anni nei casi previsti dal secondo comma.”;
“Se l’associazione è diretta a commettere taluno dei delitti previsti dagli articoli 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 quater 1, 600 quinquies, 609 bis, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, e 609 undecies, si applica la reclusione da quattro a otto anni nei casi previsti dal primo comma e la reclusione da due a sei anni nei casi previsti dal secondo comma.”.
[4] Vedi FIANDACA-VISCONTI, Il patto di scambio politico-mafioso al vaglio delle sezioni unite, in Foro it., 2006, 88.
[5] Cfr. SPAGNOLO Dai reati meramente associativi ai reati a struttura mista, in Beni e tecniche della tutela penale, Milano, 1987, 156.