I Non Fungible Token: aspetti teorici, tecnici e giuridici
Non Fungible Token: il nuovo trend che, grazie all’utilizzo della tecnologia blockchain, sta rivoluzionando il mondo dell’arte, del collezionismo e non solo
L’esplosione dei non fungible token
I “token non fungibili” costituiscono attestati di proprietà su opere digitali, come brani, video, opere d’arte, tweet, gif, reel in formato digitale, che in assenza di questa tecnologia si presterebbero, per la propria natura, a repliche infinite. Gli NFT, quindi, reintroducono l’idea di esclusività ed unicità nel mondo digitale da sempre caratterizzato da un’accessibilità universale ai contenuti. Proprio per questa loro peculiarità gli NFT sono diventati virali nel mondo dell’arte, del collezionismo e delle discipline creative giacché le possibilità di vendere qualunque “opera digitale” sono altissime[1].
A riprova di ciò, si pensi che la vendita di NFT spazia dal video di una celebre schiacciata della star NBA LeBron James veduta per oltre 200mila, ad un’animazione di mezzo minuto venduta dal celebre Dj Steve Aoki, ai Kings of Leon che hanno ideato dei pacchetti contenenti il loro nuovo album ed altri contenuti, come ad esempio biglietti per concerti futuri, il tutto sotto forma di NFT.
Il fenomeno in parola non è nuovo. I primi NFT risalgono al 2008, ma fino a questo momento – e precisamente fino al 12 marzo 2021, quando è stata acquistata l’opera “The first 5000 days” per 69,3 milioni – non avevano attirato l’attenzione del grande pubblico. Invero, inizialmente le crypto-art erano scambiate in un mercato di nicchia e poco conosciuto e, va da sé, per somme molto inferiori.
Che cosa sono e come funzionano i non fungible token?
I token non fungibili, dall’inglese non fungible tokens o NFT, sono asset digitali che circolano su blockchain (la maggior parte su Ethereum). Gli NFT, come il nome stesso suggerisce, si caratterizzano per la loro infungibilità, invero gli NFT sono unici e non possono essere modificati, rimossi o distrutti proprio perché immagazzinati e salvati su blockchain[2]. In altri termini, a differenza dei fungible tokens, che per loro stessa natura possono essere scambiati liberamente poiché un bitcoin, a prescindere dalla stringa di codici che lo compone, ha sempre il medesimo valore, gli NFT non sono interscambiabili[3]. Gli NFT, infatti, garantiscono un marchio di originalità poiché ognuno di questi è costituito da informazioni e dati che non possono essere replicati e che lo differenziano da qualsiasi altro NFT rendendolo irriproducibile[4].
Esemplificativamente, pensiamo ai tokens fungibili come ad una banconota da 5 euro, la quale ha il medesimo valore di una qualsiasi altra banconota da 5 euro. Diversamente, si pensi ad un NFT come ad un CD dei Queen autografato da Freddie Mercury, nessun altro CD dei Queen avrà lo stesso valore di quello autografato. Ecco, gli NFT possono essere visti come l’equivalente digitale del CD autografato che assume quindi, un valore del tutto diverso rispetto a tutte le altre copie.
In aggiunta, è bene precisare che un soggetto che acquista un video, un’opera d’arte, un reel di un giocatore NBA, una skin di un videogioco etc., non acquista l’opera in sé ma la capacità di dimostrare il proprio diritto sul bene grazie all’esibizione di uno smart contract[5]. Dal punto di vista tecnico, quindi, tutto inizia con un’opera salvata in formato digitale che viene poi “tradotta” in linguaggio informatico, ossia in una lunga sequenza di codici alfa-numerici. La sequenza ottenuta è il codice hash del blocco su blockchain relativo alla nostra opera digitale che ne garantisce l’immutabilità, giacché basterebbe cambiare anche una sola virgola all’interno del blocco per avere, come risultato, un codice hash completamente diverso e, quindi, non più riconducibile all’opera digitale in questione. Si badi, inoltre, che il soggetto che possiede l’opera digitale può facilmente calcolare il codice hash, mentre per tutti gli altri soggetti non è possibile ricostruire la medesima opera digitale partendo dal solo codice hash. Pertanto, grazie all’utilizzo del codice hash, il possessore dello stesso può dimostrare il suo diritto su quell’opera senza la necessità di rivolgersi ad intermediari.
Al fine di meglio comprendere il meccanismo ora esposto, prendiamo ad esempio il proprietario del video della schiacciata di LeBron James. Questo soggetto è in possesso di un certificato che include l’identificativo del contratto (lo smart contract) stipulato ed ospitato su blockchain, mentre il contratto d’acquisto vero e proprio nonché tutti gli altri dati come l’opera stessa, le condizioni d’acquisto e i diritti di proprietà si trovano al di fuori del registro. In altri termini, l’NFT non corrisponde all’opera digitale acquistata, ma al token ad essa univocamente collegato che dimostra che l’opera appartiene a chi l’ha acquistata e quindi costituisce il certificato di proprietà di quell’opera che viene conservato su blockchain[6].
In estrema sintesi, dunque, si può affermare che gli elementi caratteristici degli NFT sono:
- insostituibilità: gli NFT non sono fungibili e replicabili;
- unicità: gli NFT sono associati univocamente ad un utente o ad un portafoglio virtuale (rectius wallet);
- indivisibilità: gli NFT non possono essere frazionati come il valore delle monete, non esiste, ad esempio, “un quarto di NFT”[7].
I risvolti in ambito legale
Il quadro giuridico relativo agli NFT, alla loro creazione, commercializzazione, acquisto e mantenimento, è in grande misura indefinito e controverso. Invero, gli NTF portano a galla molteplici questioni legali che includono questioni di proprietà intellettuale, questioni contrattuali, diritti di pubblicità e di tutela del consumatore. Alla luce di un contesto così delineato, il paragrafo che segue ha il mero scopo di fornire una panoramica generale di alcune delle possibili questioni giuridiche che l’utilizzo degli NFT solleva.
I diritti di privativa e i diritti di proprietà intellettuale
In primo luogo, vi sono le potenziali questioni concernenti la normativa sulla proprietà intellettuale e sui diritti di privativa, che diventeranno sempre più pressanti con il crescere della popolarità degli NFT. A tale proposito, i giuristi si dividono in due scuole di pensiero. La prima sostiene che gli NFT dovrebbero comportare, in capo al titolare dell’opera, un diritto di privativa. Diversamente, la seconda tesi, sostiene che gli NFT non abbiano alcuna rilevanza dal punto di vista del diritto d’autore ma che la proprietà dell’“originale digitale” debba essere considerata come un qualcosa di autonomo ed isolato rispetto a qualsiasi diritto d’autore. Da questo punto di vista, pertanto, la questione è assimilabile all’acquirente di un dipinto fisico, il quale acquisisce solo il diritto di goderne liberamente e non anche il diritto d’autore su di esso che rimane, invece, in capo all’artista[8].
Al fine di chiarire meglio ciò che precede, prendiamo ad esempio l’utente che ha acquistato l’NFT di Nyan Cat, il quale:
- non ha comprato l’opera giacché quest’ultima rimane sui dispositivi dell’autore e di tutti quei soggetti che possono liberamente riprodurla e scaricarla;
- non ha acquistato i diritti d’autore su quell’opera che rimane, invece, in capo all’autore. Diversamente, il titolare dell’opera non può riprodurla né utilizzarla come se fosse lui stesso l’autore;
- non gode dell’esclusività della riproduzione o dell’uso, invero, la gif in questione è riproducibile e scaricabile da chiunque[9].
La tutela del consumatore
Un ulteriore punto critico orbita intorno alla tutela del consumatore giacché la corretta informazione di quest’ultimo non può in alcun modo prescindere da una quantomeno rudimentale informazione e formazione relativa al funzionamento di blockchain e token[10]. Invero, la complessità e la vastità dell’argomento rendono difficile la sua sintetizzazione in “Termini e condizioni” messi a disposizione dei consumatori. Inoltre, anche se ciò fosse possibile, si affaccerebbe l’ulteriore difficoltà di redigere una guida comprensibile ed esaustiva anche per gli utenti del tutto digiuni della tematica, e i tentativi di informativa rischierebbero di essere frammentari o incompleti o, peggio, confusionari e inutili per il consumatore[11].
Da ultimo, un’ulteriore tema spinoso è costituto dall’articolo 52 del Codice del Consumo, che disciplina il diritto di recesso del consumatore nei rapporti business to consumer; diritto il quale, in questo caso, non potrebbe trovare applicazione giacché è la struttura stessa della blockchain che non permette agli anelli della catena di retrocedere.
La natura giuridica
In molti si interrogano sulla natura giuridica degli NFT e, nella specie, ci si chiede se gli stessi costituiscano un mero titolo rappresentativo di un bene, materiale o digitale che sia, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1996 c.c., ovvero se rappresentino un bene essi stessi. Qualora si opti per questa seconda ricostruzione, il legislatore dovrà chiarire se gli NFT possono essere considerati o meno come prodotti o servizi finanziari con conseguente applicazione della normativa in materia[12].
Gli aspetti fiscali
Da ultimo, vi sono i problemi legati all’ambito fiscale e al rischio di riciclaggio di denaro[13]. Infatti, se da un lato mancano una normativa per l’assolvimento dell’IVA e i criteri per la contabilizzazione di movimenti e patrimoni, dall’altro, in assenza di una regolamentazione ad hoc a livello nazionale ed internazionale, il mercato degli NFT sta servendo da piazza di scambio per ingenti somme di denaro “sporco” che in questo modo viene riciclato e immesso nuovamente sul mercato[14].
Riflessioni conclusive
Tokenizzare le opere digitali in realtà ha perfettamente senso: mentre con le opere d’arte fisiche c’è sempre un originale unico ed irriproducibile, nella sfera digitale non esisteva il concettto di “originale digitale”. Tuttavia, con l’avvento degli NFT, gli “originali digitali” di opere d’arte e, in genere, di contenuti multimediali, possono essere liberamente creati e scambiati. Invero, anche se la “tokenizzazione” di un’opera d’arte come NFT non può impedire che numerose copie dell’opera d’arte esistano su internet e vengano scaricate, può comunque assicurare che ci sia un solo originale di proprietà di una singola persona.
In quest’ottica gli NFT rappresentano una deriva artistica che senza dubbio ha dato una scossa al modo dell’arte creando nuove possibilità di guadagno ed investimento ma che, al contempo, potrebbe comportare l’origine di bolle speculative nonché di problemi giuridici legati al diritto d’autore, al concetto di proprietà ed in tema di tutela del consumatore. A fronte di ciò, è bene che chi si interessi a questa nuova “moneta di scambio” lo faccia con le dovute conoscenze e tutele sia tecniche che giuridiche.
Informazioni
Gli Nft, spiegati bene, Panda Media Center, disponibile qui https://www.pandasecurity.com/it/mediacenter/mobile-news/gli-nft-spiegati-bene/
Legal challenges of “non-fungible tokens” (NFTs), Lexology, disponibile qui: https://www.lexology.com/library/detail.aspx?g=e36c936b-a72f-4320-8b94-f4a9a4496405
Mania di Nft da Leonardo a Hirst, Il Sole24Ore, Disponibile qui: https://www.ilsole24ore.com/art/mania-nft-leonardo-hirst-AD7HMCTB
Musica e NFT, quello che c’è da sapere: futuro della distribuzione o bolla?, Billboard Italia, disponibile qui: Musica e NFT, quello che c’è da sapere: futuro della distribuzione o bolla? (billboard.it)
NFT, Definizione di CNN Business, “What is an NFT? Non-fungible tokens explained”, disponibile qui What is NFT? Non-fungible tokens explained – CNN;
NFT, immagini e copyright: il caso Emrata, Ius in Itinere, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/nft-immagini-e-copyright-il-caso-emrata-38537?utm_content=buffera433d&utm_medium=social&utm_source=linkedin.com&utm_campaign=buffer
NFT: che cosa sono, come funzionano, come investire sui “non fungible token”, Agenda Digitale, disponibile qui: https://www.agendadigitale.eu/documenti/nft-che-cosa-sono-come-funzionano-come-investire-sui-non-fungible-token/
Non-Fungible Tokens: The Blockchain Technology Raising Legal Issues, JDSupra, disponibilie qui: Non-Fungible Tokens: The Blockchain Technology Raising Legal Issues | Arent Fox – JDSupra
Perché nel mondo dell’arte, e non solo, sono tutti pazzi per gli Nft, Wired.it, Disponibile qui: https://www.wired.it/economia/finanza/2021/03/20/nft-arte-collezione-blockchain/
[1] Musica e NFT, quello che c’è da sapere: futuro della distribuzione o bolla?, Billboard Italia, disponibile qui: Musica e NFT, quello che c’è da sapere: futuro della distribuzione o bolla? (billboard.it)
[2] NFT, Definizione di CNN Business, “What is an NFT? Non-fungible tokens explained”, disponibile qui What is NFT? Non-fungible tokens explained – CNN;
[3] NFT, immagini e copyright: il caso Emrata, Ius in Itinere, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/nft-immagini-e-copyright-il-caso-emrata-38537?utm_content=buffera433d&utm_medium=social&utm_source=linkedin.com&utm_campaign=buffer
[4] Non-Fungible Tokens: The Blockchain Technology Raising Legal Issues, JDSupra, disponibilie qui: Non-Fungible Tokens: The Blockchain Technology Raising Legal Issues | Arent Fox – JDSupra
[5] NFT: che cosa sono, come funzionano, come investire sui “non fungible token”, Agenda Digitale, disponibile qui: https://www.agendadigitale.eu/documenti/nft-che-cosa-sono-come-funzionano-come-investire-sui-non-fungible-token/. Come le impronte digitali di due gemelli non sono uguali, nonostante la loro palese somiglianza, allo stesso modo due input apparentemente uguali ma che nascondono qualche piccola differenza avranno un hash diverso. Il codice hash fornisce dunque la garanzia che il dato o l’insieme dei dati iscritti in un determinato blocco restino immutati nel tempo.
[6] Perché nel mondo dell’arte, e non solo, sono tutti pazzi per gli Nft, Wired.it, disponibile qui: https://www.wired.it/economia/finanza/2021/03/20/nft-arte-collezione-blockchain/
[7] Gli Nft, spiegati bene, Panda Media Center, disponibile qui https://www.pandasecurity.com/it/mediacenter/mobile-news/gli-nft-spiegati-bene/
[8] Legal challenges of “non-fungible tokens” (NFTs), Lexology, disponibile qui: https://www.lexology.com/library/detail.aspx?g=e36c936b-a72f-4320-8b94-f4a9a4496405
[9] Supra n.7;
[10] Supra n.3;
[11] Ibid.,
[12] Mania di Nft da Leonardo a Hirst, Il Sole24Ore, disponibile qui: https://www.ilsole24ore.com/art/mania-nft-leonardo-hirst-AD7HMCTB
[13] Sulle fasi del riciclaggio di denaro si rimanda ad un articolo pubblicato su DirittoConsenso di Lorenzo Venezia: http://www.dirittoconsenso.it/2021/03/31/fasi-del-riciclaggio-i-passaggi/
[14] Supra, n.7.
La blockchain e le sue possibili applicazioni nel settore legale
La tecnologia blockchain porta con sé una rivoluzione tecnologica di non poco conto, è quindi opportuno capire di che cosa si tratta, come funziona, in quali ambiti viene utilizzata e quali benefici può apportare al settore legale
Definizione ed architettura della blockchain
Premesso che è difficile dare una definizione univoca di blockchain e che il concetto che sta dietro al termine stesso può rivelarsi piuttosto complicato, l’idea di base da cui questa tecnologia origina è davvero molto semplice. In termini generali la blockchain può essere vista come un database, ossia, una raccolta di informazioni memorizzate elettronicamente su un sistema informatico. Invero, la blockchain è una grande banca dati composta da un insieme di registri digitali condivisi e formati, a loro volta, da blocchi che contengono dati ed informazioni[1]. In altri termini, la blockchain altro non è che una tecnologia che si basa su un registro distribuito (in inglese distributed ledger technology), capace di registrare scambi e informazioni, intervenienti tra i partecipanti alla stessa, in modo sicuro e permanente, mediante la condivisione di un database che rimuove la necessità intermediari e di un’autorità centrale[2].
A ben vedere, quindi, il carattere innovativo della tecnologia in parola, che la distingue da qualsiasi altro registro o database, sta nel fatto che, una volta che un dato o più dati vengono inseriti all’interno dei blocchi, diventano inalterabili ed inoppugnabili, pur rimanendo trasparenti e conoscibili da tutti i partecipanti alla blockchain[3]. Quest’ultima, per garantire un tale risultato, si basa su alcuni concetti chiave, vediamoli insieme:
- Distributed ledger technology, che potremmo tradurre con “tecnologia a registri distribuiti”. Questo inglesismo sta ad indicare come la blockchain si basi su un’architettura decentralizzata; infatti, i blocchi non sono salvati su un unico registro centrale, ma vengono copiati sui registri di tutti i partecipanti[4]. Il numero elevato di registri rende l’intero sistema più sicuro, poiché per modificare i dati contenuti in un blocco, chiunque ne avesse intenzione dovrebbe modificare la maggior parte di essi (compito per l’appunto assai arduo visto che gli stessi non sono conservati su un unico database centrale).
- La crittografia. La blockchain impiega due diverse modalità per criptare i dati che intende conservare: il sistema di firma digitale e quello di hashing. Nel primo caso, ogni partecipante possiede una chiave privata ed una pubblica; con la prima è in grado di criptare i dati, mentre con la seconda di decriptarli. L’hash, invece, può essere assimilato ad un codificatore che trasforma in un messaggio in codice qualunque dato (rectius, input) che gli venga sottoposto. Il codice hash è un codice unico ed appartenente esclusivamente ad un determinato blocco; infatti, proprio per questo motivo può essere definito come l’impronta digitale di quest’ultimo[5]. Sempre sotto il profilo dell’unicità e univocità, si badi che basterebbe cambiare una virgola all’interno del blocco per avere, come risultato, un codice hash completamente diverso. Esemplificativamente, come le impronte digitali di due gemelli non sono uguali, nonostante la loro palese somiglianza, allo stesso modo due input apparentemente uguali ma che nascondono qualche piccola differenza avranno un hash Il codice hash fornisce dunque la garanzia che il dato o l’insieme dei dati iscritti in un determinato blocco restino immutati nel tempo.
- Persistenza, trasparenza ed immutabilità dei dati. Come esposto poc’anzi, ogni blocco contiene tutti i dati relativi ad una determinata operazione. Quindi, ogni qualvolta che i partecipanti decidano di voler porre in essere una nuova operazione, apriranno un nuovo blocco inserendo nuovi dati e criptandoli per ottenere un nuovo codice hash. Terminata questa procedura, i dati vengono registrati ed il blocco viene chiuso e iscritto all’interno dei vari registri[6].
La tecnologia blockchain e le sue possibili applicazioni nel settore legale
Alla luce di quanto ora esposto, una domanda sorge spontanea: può la tecnologia blockchain apportare miglioramenti ed efficientamenti nel campo delle professioni forensi? Se sì, quali? A ben vedere, sebbene la tecnologia in parola abbia senz’altro un enorme potenziale, è opportuno valutare con cautela quale sia l’effettivo impatto che essa ha, ad oggi, sul settore legale, soppesandone accuratamente pregi, difetti e limiti[7].
Ciò posto, la prima, e forse anche più conosciuta applicazione della tecnologia blockchain al settore legale, è quella riguardante gli smart contracts, ossia contratti digitali capaci di eseguirsi automaticamente al verificarsi di condizioni prestabilite e concordate dalle parti[8]. Per capire meglio il funzionamento di uno smart contract pensiamo, ad esempio, alle lunghe trafile cui ci sottoponiamo ogni qualvolta intendiamo chiedere un rimborso per via di un ritardo aereo o ferroviario. Lo smart contract stipulato tra il passeggero e la compagnia area o ferroviaria fa sì che nel momento in cui la condizione “ritardo” si avvera, il pagamento a titolo di rimborso viene effettuato in maniera del tutto automatica. L’esempio appena proposto rappresenta una delle applicazioni più utili della tecnologia blockchain, la quale però trova il suo limite dinanzi a contrattazioni più complicate ed all’utilizzo di concetti legali astratti. Invero, gli smart contract si basano sul principio “if this, then that”, assunto che si rivela piuttosto rigido e poco flessibile sia in sede di esecuzione del contratto sia per la sua interpretazione. In aggiunta, il linguaggio binario utilizzato dagli smart contract non è idoneo a tradurre concetti giuridici astratti e più ampi, utilizzati all’interno di contratti o altri documenti proprio al fine di ricomprendere e normare le circostanze più varie[9]. Pensiamo, ad esempio, al concetto, più volte ricorrente all’interno del nostro impianto codicistico, della buona fede, concetto che non potrebbe essere tradotto in un codice binario, giacché in questo caso le sue intrinseche sfumature e significati andrebbero inevitabilmente persi. Conseguentemente, gli smart contract offrono senza dubbi una applicazione intelligente della tecnologia blockchain, che mira a ridurre al minimo le eccezioni e la necessità di interporre intermediari fidati per la loro risoluzione, i costi per la risoluzione delle controversie e dell’esecuzione e transazione[10]. Tuttavia, l’applicazione in parola lungi dal fornire una “one fits all solution” ma dipende, in ogni caso, da un lavoro di confronto ed intermediazione tra le parti coinvolte e non può prescindere da un’attenta analisi della situazione di fatto e della questione giuridica che si intende regolare.
In aggiunta, con la tecnologia blockchain è possibile certificare e validare temporalmente i dati. Segnatamente, la tecnologia blockchain potrebbe essere sfruttata per una sicura certificazione e conservazione dei documenti, garantendo gli stessi da manomissioni. Invero, il fatto che la blockchain sia un registro decentralizzato, basato su un’interconnessione di nodi e su un rapporto “peer to peer” tra i vari partecipanti, potrebbe, con i giusti accorgimenti, arrivare a rendere la figura del terzo intermediario chiamato a svolgere la funzione di garante, non più necessaria. In questo scenario, la fiducia ingenerata nelle parti non sarebbe più legata alla terzietà del garante ma alla tecnologia stessa che garantirebbe la trasparenza e l’immutabilità dei dati contenuti nei suoi database[11]. Esemplificativamente, immaginiamo di aver depositato un marchio e di aver registrato tale operazione su di un blocco della nostra blockchain; il blocco non contiene solo i dati e il codice hash, ma riporta anche la data in cui il blocco è stato chiuso. Dunque, nel momento in cui un terzo registrasse il medesimo marchio basterà controllare la data di chiusura dei rispettivi blocchi per determinare l’anteriorità del deposito. Va da sé che tale risultato ottimale si potrebbe raggiungere solo dal momento in cui la maggior parte dei soggetti si affidi alla tecnologia blockchain per la validazione temporale, e solo se a quest’ultima sia riconosciuto un valore legale.
In definitiva, quindi, sebbene la tecnologia blockchain, se ben sfruttata, potrebbe velocizzare nonché automatizzare alcune delle operazioni svolte dal legale lasciando allo stesso il tempo per dedicarsi a questioni più complesse, l’attività del giurista non può comunque prescindere dall’impiego della logica, del ragionamento e della creatività.
La blockchain nell’ordinamento italiano
Nell’intento di voler regolare la tecnologia blockchain, il nostro legislatore si è focalizzato su cinque punti ritenuti essenziali: validità giuridica, marche temporali, identità degli utenti, meccanismi contrattali e tutela dei dati. Tutti questi aspetti, che si stagliano sul crinale tecnologico-giuridico, sono stati riportati all’interno della “norma blockchain” contenuta nel D.L. Semplificazioni (D.L. 14 dicembre 2018, n.135 così come convertito dalla legge 19 febbraio 2019 n.12)[12].
Con riferimento agli smart contract, il decreto si concentra sul tema della loro esecuzione ma, oltre a ciò, è necessario porre attenzione anche su altri elementi, quali la formazione del consenso, l’adeguata informativa fornita al contraente debole, e alla giustiziabilità del contratto[13]. In aggiunta, il decreto chiarisce come gli smart contract soddisfino il requisito della forma scritta previa identificazione delle parti interessate tramite un processo fissato dalle linee guida dell’Agid[14].
Per quel che concerne, invece, la validazione temporale, il decreto fa riferimento al regolamento europeo eIDAS, che stabilisce, all’articolo 41, che la validazione temporale elettronica gode della presunzione di accuratezza della data e dell’ora e di integrità, solo qualora sia qualificata. Nella normativa italiana, l’articolo 8-ter del D.L. Semplificazioni afferma che la validazione effettuata tramite blockchain ha valenza di una validazione “semplice”, giacché quella qualificata necessita di altri requisiti, tra cui quello dell’intervento di un prestatore di servizi qualificato[15].
È chiaro come la normativa in esame rappresenti un primo approccio alla tematica della blockchain, approccio che è necessario sviluppare ed ampliare anche con un’impostazione multidisciplinare che veda come protagonisti tutti i soggetti interessati e non solo l’Agenzia per l’Italia digitale, cui la normativa riserva, comunque, un ruolo centrale[16].
Riflessioni conclusive
Indubbiamente, la tecnologia in esame racchiude un potenziale innovativo. Tuttavia, è lecito dubitare, per i motivi sopra esposti, che questa tecnologia possa riuscire a sostituire il lavoro ad oggi svolto da soggetti fisici. Invero, più ragionevolmente si può presumere che, sulla spinta di queste innovazioni tecnologiche, anche gli avvocati debbano diventare più “smart”, ossia in grado di padroneggiare, quantomeno negli elementi più rudimentali, le technicalities che stanno alla base della blockchain e delle sue applicazioni, al fine di lavorare sinergicamente con programmatori, ingegneri ed informartici per far sì che i bisogni del cliente vengano accuratamente tradotti e salvaguardati.
Da ultimo, la trasformazione della professione deve necessariamente ricomprendere anche una trasformazione del linguaggio giuridico, che dovrà mutuare i termini tecnici da altri settori, come quello dell’informatica e dell’ingegneria, al fine non solo di tradurre le esigenze del cliente ma anche per normare in maniera puntuale ed efficiente nuovi fenomeni. Si badi, inoltre, che la trasformazione in parola non è nulla di nuovo e dirompente ma si tratta di un’evoluzione linguistica e professionale che il settore legale ha più volte affrontato e superato, ad esempio uniformandosi ed imparando il linguaggio e le regole del venture capital o del private equity. In definitiva, quindi, si tratta di proseguire con una trasformazione lenta ma costante che ha da sempre coinvolto il settore giuridico.
Questo contributo è stato redatto da un articolista di Legaltech Italia, partner di DirittoConsenso.it
Informazioni
Blockchain: Definizione di Investopedia, disponibile qui: https://www.investopedia.com/terms/b/blockchain.asp
Blockchain: cos’è e come funziona, tutto quello che c’è da sapere, Agenda Digitale, Disponibile qui: https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/blockchain-cose-e-come-funziona-tutto-quello-che-ce-da-sapere/
Blockchain e validazione temporale degli Smart Contract: quali regole in Italia, Agenda Digitale, Disponibile qui: https://www.agendadigitale.eu/documenti/blockchain-e-validazione-temporale-degli-smart-contract-quali-regole-in-italia/
La via italiana alla blockchain sicura (e utile), Il sole 24 ore, Disponibile qui: https://www.ilsole24ore.com/art/la-via-italiana-blockchain-sicura-e-utile-AB8HopYB
Blockchain Technology, Iurisprudentes, Disponibile qui: https://www.iurisprudentes.it/2019/10/11/fare-lavvocato-ai-tempi-della-blockchain/
Blockchain: Definizione di Blog osservatori, Disponibile qui: https://blog.osservatori.net/it_it/blockchain-spiegazione-significato-applicazioni#caratteristiche
Che cosa sono e come funzionano le Blockchain Distributed Ledgers Technology – DLT, Blockchain4Innovation, Disponibile qui: https://www.blockchain4innovation.it/esperti/cosa-funzionano-le-blockchain-distributed-ledgers-technology-dlt/
[1] Definizione di Investopedia, disponibile qui: https://www.investopedia.com/terms/b/blockchain.asp
[2] Blockchain: cos’è e come funziona, tutto quello che c’è da sapere, Agenda Digitale, Disponibile qui: https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/blockchain-cose-e-come-funziona-tutto-quello-che-ce-da-sapere/
[3] Definizione di Blockchain di, Blog osservatori, Disponibile qui: https://blog.osservatori.net/it_it/blockchain-spiegazione-significato-applicazioni#caratteristiche
[4] Che cosa sono e come funzionano le Blockchain Distributed Ledgers Technology – DLT, Blockchain4Innovation, Disponibile qui: https://www.blockchain4innovation.it/esperti/cosa-funzionano-le-blockchain-distributed-ledgers-technology-dlt/;
[5] In gergo tecnico-informatico l’HASH è una funzione non iniettiva (e quindi non invertibile) che mappa una stringa di lunghezza arbitraria in una stringa di lunghezza predefinita. In parole più semplici si tratta di un algoritmo matematico che, se applicato ad un insieme generico di dati di dimensione non definita (il nostro documento Word) restituisce un valore, ossia un insieme di dati di lunghezza finita (la stringa 9fdbeb9dae1b690b43280569505a321e), che dipende strettamente dall’insieme di dati di partenza. Il codice HASH può essere applicato ad un qualunque insieme di dati siano essi appartenenti ad un singolo file, oppure all’intero contenuto di un Hard Disk, di una Pen Drive USB, o di un CD/DVD. Il codice HASH fornisce dunque la garanzia che il dato o l’insieme di dati di nostro interesse restino immutati nel tempo. Definizione disponibile qui: https://www.mbsengineering.it/codice-hash/#:~:text=Nel%20gergo%20informatico%20l’HASH,una%20stringa%20di%20lunghezza%20predefinita.
[6] Supra, nota 4
[7] Per saperne di più su come si sta evolvendo il mercato delle legaltech in Italia e come si prospetta il loro futuro clicca sul seguente link: http://www.dirittoconsenso.it/2021/02/26/legaltech-percezione-e-prospettiva-italiana/
[8] Per saperne di più sugli smart contract clicca sul seguente link: https://www.legaltechitalia.eu/oracoli-negli-smart-contract/
[9] Blockchain Technology, Iurisprudentes, Disponibile qui: https://www.iurisprudentes.it/2019/10/11/fare-lavvocato-ai-tempi-della-blockchain/
[10] Supra, nota 2
[11] Supra, nota 4
[12] La via italiana alla blockchain sicura (e utile), Il sole 24 ore, Disponibile qui: https://www.ilsole24ore.com/art/la-via-italiana-blockchain-sicura-e-utile-AB8HopYB
[13] Ibid.,
[14] Blockchain e validazione temporale degli Smart Contract: quali regole in Italia, Agenda Digitale, Disponibile qui: https://www.agendadigitale.eu/documenti/blockchain-e-validazione-temporale-degli-smart-contract-quali-regole-in-italia/
[15] Ibid.,
[16] Supra nota12
Legaltech: percezione e prospettiva italiana
Come si sta evolvendo il mercato delle legaltech in Italia e come si prospetta il loro futuro?
Introduzione
Oggi la digitalizzazione sta iniziando a pervadere tutti i settori, pensiamo, ad esempio, al mondo fintech[1] e al mondo proptech[2] in cui i servizi tradizionali accompagnati dalle giuste tecnologie hanno dato un forte impulso a tali ambiti. Il diritto non fa e non deve fare eccezione.
Invero, l’ingresso della tecnologia nel mondo dei servizi e della professione forense sta ridisegnando il volto del panorama giuridico italiano, europeo e mondiale grazie a strumenti innovativi più o meno complessi che spaziano dall’utilizzo dei big data, dell’intelligenza artificiale e del machine learning senza dimenticare chi si occupa di contract automation, legal design e giustizia predittiva[3].
In un contesto così delineato appare doveroso volgere lo sguardo sul nostro Paese per capire come le realtà legaltech vengono percepite da un lato dai professionisti forensi e, dall’altro, dai clienti finali come possono essere privati, società, enti etc.. e quali sono le prospettive future per lo sviluppo di tale settore.
Legaltech: una definizione
Prima di addentrarsi nell’analisi dello stato dell’arte delle legaltech in Italia è fondamentale sapere di cosa si parla e, conseguentemente, rispondere alla domanda chiave: “che cosa si intende con il termine legaltech?”
Al contrario di ciò che si potrebbe pensare, il termine legaltech non riguarda le normative disciplinanti le nuove tecnologie né tantomeno attiene a quelle branche del diritto che si occupano di tematiche legate allo sviluppo della tecnologia.
Ciò detto, e premesso che non esiste una definizione univoca di legaltech, tale espressione indica un vero e proprio settore economico costellato di società che producono ed offrono servizi giuridici per studi legali, avvocati, cittadini, enti, società etc.. applicando la tecnologia al settore legale[4]. Anche se, come sottolinea l’Avv. Nicolino Gentile di BLB Studio legale, “all’estero il termine legaltech ha una portata più ampia e non si esaurisce nell’automatizzazione di task forensi, ma ricomprende tutte le soluzioni tecnologiche che forniscono all’utilizzatore finale un prodotto con un valore giuridico e legale”.
In altri termini, si parla di legaltech quando la tecnologia viene utilizzata da compagnie, studi legali stessi o team legali al fine di facilitare i processi interni e di migliorare la loro efficacia. L’obiettivo delle legaltech è dunque quello di semplificare le operazioni, ottimizzare i flussi di lavoro attuali e migliorare la gestione complessiva delle conoscenze e delle informazioni che già esistono negli studi legali o nelle società.[5]
Legaltech: la percezione italiana
È preliminare segnalare le peculiarità del mercato dei servizi legali italiani. Invero, il bel paese vanta un numero di avvocati di gran lunga superiore alla media europea (ad oggi contiamo sul territorio nazionale più di 240.000 avvocati) di cui però solo una modesta percentuale genera profitti rilevanti. Inoltre, a differenza di altri sistemi giuridici, come Stati Uniti e Regno Unito, la realtà italiana è piuttosto ancorata a modalità tradizionali di svolgimento della professione. Ad esempio, non è ancora diffuso il lavoro in team, gli studi professionali associati rappresentano una piccola parte del totale, l’avvocato spesso esercita da solo e qualche volta semplicemente condivide i costi dell’ufficio, molta parte dei professionisti si occupano soltanto di questioni giudiziali e molto poco di consulenza alle imprese.
È, probabilmente, per questo che il mercato del legaltech italiano è ancora timido e presenta numeri ancora contenuti. A riprova di quanto appena detto, è bene segnalare che, in uno studio pubblicato dall’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale[6], viene data testimonianza della diffidenza che gli studi legali riservano, in generali, alle soluzioni legaltech. In questo lavoro si legge, infatti, che gli studi legali sono i soggetti che investono meno, in media, in innovazione e che molti hanno dichiarato di voler ridurre ulteriormente i loro budget (si pensi che uno studio su quattro intende addirittura dimezzarlo).
Lo scenario ora illustrato pare però andare in contrasto con quelle che sono le linee di sviluppo, in generale, e le aperture da parte del legislatore italiano che, a partire dal D.L. 179/2012, ha inteso agevolare la creazione e gli investimenti privati in startup innovative. Alla luce di ciò, la mancata proliferazione delle start-up legaltech non è da imputare ad una questione legislativa quanto, piuttosto, alla chiusura del mercato di riferimento, ossia quello dei servizi legali. In verità, queste difficoltà a decollare si registrano in tutto il comparto finanziario legato alle startup che, negli ultimi due anni si attesta su circa 700 milioni di euro (Fonte, Startupitalia, a fronte di numeri ben più elevati che si riscontrano altrove (rimanendo in Europa, UK, Germania e Francia, in pimis).
Ciononostante, è importante evidenziare alcuni segnali positivi che possono essere riscontrati. Il settore del legaltech italiano, seppur contenuto, è un settore diversificato in cui ogni attività si è ricavata una nicchia specifica in cui lavorare[7].
Queste realtà hanno il pregio di testimoniare la voglia di integrazione crescente tra sviluppatori, avvocati, studi legali e notai e la coscienza dei medesimi di potere e dovere fare di più nell’ambito della innovazione nel settore legale.
Se da un lato la parziale chiusura del mercato e la carenza di stakeholder istituzionali non è di poco momento (il che, certo, non induce gli investitori ad approfondire), queste timide aperture fanno ben sperare.
In aggiunta, nell’ultimo periodo si è registrato un nuovo trend che vede protagonisti i fondi di venture capital che stanno focalizzando sempre più il loro interesse verso il settore delle legaltech. Si tratta principalmente di club deal, non di fondi di investimento, che raccolgono risorse da privati per poi investirli nell’individuazione e nell’investimento in soluzioni legaltech[8].
Legaltech in Italia: quali sono le aree di maggior interesse?
Le aree giuridiche in cui si concentra l’attività di servizi legaltech sono quelle che interessano la protezione della proprietà intellettuale, la protezione della privacy e di compliance con il GDPR, la tecnologia blockchain, le firme elettroniche e l’analisi e redazione automatica di documenti contrattuali.
A maggior chiarimento, è bene distinguere tra i servizi pensati per i professionisti legali, per le società e per i privati.
Per quel che riguarda la prima categoria, i professionisti legali (avvocati, in house counsel, notai, magistrati, cancellieri etc…) le legaltech hanno il precipuo scopo di efficientare e velocizzare il loro lavoro grazie, ad esempio, all’automatizzazione, agli assistenti legali virtuali e chatbot[9], che mirano a digitalizzare quelle che sono le attività “seriali” che vengono svolte all’interno di uno studio legale.
Le società, invece, hanno bisogno di servizi che automatizzino le pratiche amministrative e contabili e che si occupino di valutare la compliance con la normativa vigente, ad esempio per non incorrere in sanzioni. Conseguentemente, in questo campo le legaltech italiane offrono servizi concernenti la contabilità, la fatturazione, l’archiviazione e la creazione in tempi rapidi di documenti contrattuali aventi valore legale.
In ultimo, per i privati cittadini il mondo delle legaltech punta ad offrire soluzioni e risposte in maniera semplice e rapida. Particolarmente attive in quest’area sono le soluzioni di legal design che mirano a conciliare il carattere spiccatamente precettivo del diritto con la sua precipua funzione sociale, aiutando il singolo cittadino a districarsi e comprendere appieno il profluvio normativo italiano (elemento “percettivo”).[10]
Legaltech: la prospettiva italiana
Sebbene sia difficile fare una previsione, possiamo notare come l’evoluzione del mercato legaltech in Italia dipenda in gran misura da due fattori.
Il primo verte sulla necessità di trovare dei driver istituzionali pronti a confrontarsi con il mercato UE ed internazionale e disposti a fungere da catalizzatori del cambiamento favorendo, non solo la promozione delle soluzioni legaltech, ma anche l’incontro tra differenti realtà: il diritto e la tecnologia.
Il secondo riguarda, invece, il cambio di mentalità che devono affrontare gli operatori del diritto. Lo studio legale medio si deve convincere del fatto che investire in soluzioni legaltech non è solo una questione di marketing, ma è soprattutto un’opportunità di sviluppo che li renderà più efficienti e competitivi, automatizzando le attività più standardizzate da un lato, e permettendo all’avvocato di concentrarsi su task in cui la sua professionalità rappresenta il vero valore aggiunto dall’altro. Si potrebbe dire che, prima ancora della opportunità di sviluppo, debba essere compresa dagli operatori del diritto la necessità di dotarsi di una mentalità orientata all’innovazione al fine di non rimanere trappola dei cambiamenti nel settore legale che oggi si intravedono soltanto ma che, in un prossimo futuro, potranno stravolgere la giornata di lavoro tipica di quanti operano nel settore.
Riflessioni conclusive
A fronte di quanto sinora descritto, appare evidente che il settore legale e gli attori che vi operano non sono clienti facili, ridisegnare i flussi di lavoro e l’organizzazione di uno studio legale non è né semplice né scontato. A ben vedere, la difficoltà sta proprio nel trovare una soluzione che sia applicabile ai modelli gestionali ed ai workflow tipici di ogni realtà.
In ultimo, sebbene le soluzioni legaltech avranno certamente un impatto innovativo sulle professioni legali ciò non significa che la figura dell’avvocato debba necessariamente venir meno ma, anche in questo caso, si tratterà di cambiarne i connotati tradizionali. Invero, il ruolo “metagiuridico” dell’avvocato, la sua sensibilità nei rapporti con i clienti, il suo controllo e valutazione sugli elementi del contesto fattuale sono componenti imprescindibili che non possono, ad oggi, essere sostituiti dalla tecnologia. In altri termini, la tecnologia si pone quale mezzo a servizio dei professionisti al fine di efficientare e velocizzare le attività “seriali”, mentre i contenuti forniti ed i risultati finali devono essere valutati ed approvati dal professionista.
Questo contributo è stato redatto da un articolista di Legaltech Italia, partner di DirittoConsenso.it.
Informazioni
Fintech, definizione Consob, Disponibile qui: https://www.consob.it/web/area-pubblica/sezione-fintech
Legal tech Italia: avanti piano, nel mercato e nelle law firm, Altalex, 2 maggio 2020, Disponibile qui: https://www.altalex.com/documents/news/2020/05/25/legal-tech-italia-mercato-law-firm
Legal Tech, la digitalizzazione dei servizi giuridici: lo stato dell’Arte, Agenda Digitale, 17 giugno 2020, Disponibile qui: https://www.agendadigitale.eu/documenti/legal-tech-la-digitalizzazione-dei-servizi-giuridici-lo-stato-dellarte/
Legal Tech: la gelata del Covid-19 e le buone prospettive 2021, Altalex, 1 gennaio 2021, Disponibile qui: https://www.altalex.com/documents/news/2021/02/01/legal-tech-gelata-covid-19-prospettive-2021#p3
Legaltech, Definizione Lexology, Disponibile qui: https://www.lexology.com/library/detail.aspx?g=78c11ed9-0787-4b26-b062-3c6a1222d8e1
Propotech, definizione Network Digital 360, dDsponibile qui: https://www.bigdata4innovation.it/big-data/proptech-cose-e-come-sta-trasformando-il-settore-immobiliare/
Studi legali: effervescenza legal tech ma innovazione ancora timida, Altalex, 5 ottobre 2020, Disponibile qui: https://www.altalex.com/documents/news/2020/10/05/studi-legali-effervescenza-legal-tech-ma-innovazione-ancora-timida
[1] Con il termine “Fintech” viene generalmente indicata l’innovazione finanziaria resa possibile dall’innovazione tecnologica, che può tradursi in nuovi modelli di business, processi o prodotti, ed anche nuovi operatori di mercato. Definizione di “fintech” della Consob disponibile qui: https://www.consob.it/web/area-pubblica/sezione-fintech
[2] ll termine “PropTech” è formato dalla fusione di due vocaboli inglesi “property” e “technology” e si riferisce a un nuovo modello di business che vede le tecnologie e il digitale applicati al settore immobiliare. Definizioni di “proptech” di Network Digital 360 disponibile qui: https://www.bigdata4innovation.it/big-data/proptech-cose-e-come-sta-trasformando-il-settore-immobiliare/
[3] Se vuoi approfondire il tema del legal design clicca su questo link: http://www.dirittoconsenso.it/2020/04/22/legal-design/
[4] Legal Tech, la digitalizzazione dei servizi giuridici: lo stato dell’Arte, Agenda Digitale, 17 giugno 2020, Disponibile qui: https://www.agendadigitale.eu/documenti/legal-tech-la-digitalizzazione-dei-servizi-giuridici-lo-stato-dellarte/
[5] Definizione di Lexology, Disponibile qui: https://www.lexology.com/library/detail.aspx?g=78c11ed9-0787-4b26-b062-3c6a1222d8e1
[6] Studi legali: effervescenza legal tech ma innovazione ancora timida, Altalex, 5 ottobre 2020, Disponibile qui: https://www.altalex.com/documents/news/2020/10/05/studi-legali-effervescenza-legal-tech-ma-innovazione-ancora-timida
[7] Cfr. Mappa LTI https://www.legaltechitalia.eu/maps/
[8] Legal Tech: la gelata del Covid-19 e le buone prospettive 2021, Altalex, 1 gennaio 2021, Disponibile qui: https://www.altalex.com/documents/news/2021/02/01/legal-tech-gelata-covid-19-prospettive-2021#p3; Legal tech Italia: avanti piano, nel mercato e nelle law firm, Altalex, 2 maggio 2020, Disponibile qui: https://www.altalex.com/documents/news/2020/05/25/legal-tech-italia-mercato-law-firm
[9] Se vuoi approfondire il tema degli assistenti legali virtuali e dei chatbot clicca su questo link: https://www.legaltechitalia.eu/lutilizzo-dei-chat-bot-negli-studi-legali/
[10] Supra nota 8
La responsabilità dei provider delle reti content delivery network (CDN)
L’innovativa pronuncia del Tribunale di Milano e la condanna dei CDN Provider per la trasmissione pirata delle partite di serie A
Introduzione
L’aumento della domanda di contenuti multimediali, siano essi video, foto, brani musicali, stimolato probabilmente anche dai vari lock-down che stanno interessando la nostra nazione e non solo, ha comportato inevitabilmente anche l’incremento di piattaforme che consentono la visione in streaming di contenuti protetti altrimenti accessibili solo mediante un apposito abbonamento a pagamento con le piattaforme autorizzate alla ri-trasmissione.
La crescita esponenziale della pirateria audiovisiva ha sempre visto la giustizia italiana assumere un ruolo cardine nel tentativo di limitare ed arginare le attività illecite di trasmissione di contenuti protetti, grazie a pronunce che sono una vera e propria mosca bianca nel panorama europeo.
Di particolare interesse è l’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Milano dell’ottobre 2020 con la quale, per la prima volta, una corte italiana si esprime circa il ruolo dei provider dei servizi di Content Delivery Network.
Prima di analizzare nel merito tale innovativa pronuncia è bene delineare gli aspetti tecnici e gli aspetti giuridici ad essa sottesi.
CDN Provider e CDN. Cosa sono e a cosa servono?
La dicitura Content Delivery Network (CDN) indica una piattaforma di server altamente distribuita che ha la precipua funzione di diminuire la latenza, ossia il tempo intercorrente tra l’inoltro di una richiesta su una pagina web ed il termine del caricamento del contenuto prescelto sul dispositivo utilizzato dall’utente. Il risultato in parola è raggiunto da questi molteplici nodi di server interconnessi, i quali, essendo distribuiti su tutto il globo, riescono a ridurre la distanza fisica che la richiesta di caricamento di un contenuto deve percorrere[1].
Per capire meglio il funzionamento di queste reti pensiamo al caso di un utente web che dal proprio dispositivo, ad esempio un personal computer sito dall’Australia, acceda ad una pagina il cui contenuto è originato da un server in Scozia. Orbene, in assenza di una rete CDN il nostro utente australiano dovrebbe attendere parecchio tempo davanti al pc in attesa del caricamento del contenuto che desidera vedere.
Questa situazione è risolta dai CDN, i quali memorizzano nella cache[2] una versione dei contenuti di vari siti web in più aree geografiche del mondo cosicché a rispondere all’utente che richiede un contenuto non sia il server originario dello stesso ma il server che è fisicamente e geograficamente più vicino al luogo da dove la richiesta è partita. Tornando all’esempio di prima, il server che trasmetterà il contenuto all’utente in Australia sarà un server australiano e non il server scozzese ove quel contenuto è stato originato.
In ultimo, pare opportuno specificare anche cosa si intenda per “CDN Provider”. Il CDN Provider non è altro che un vendor che fornisce ad aziende, gestori di pagine web e a chiunque ne sia interessato, il servizio di distribuzione dei propri contenuti agli users di tutto il mondo tramite l’utilizzo di Content Delivery Network. In altri termini, questa figura funge da congiunzione tra aziende e gestori da un lato e i consumatori finali (gli utenti) dall’altro.
I CDN e le piattaforme audiovisive pirata
Agli indubbi vantaggi di utilizzo dei CDN, che migliorano le cosiddette web experience e web performance degli utenti assicurando una fruibilità e un caricamento veloce dei contenuti web, fanno da contraltare gli utilizzi patologici di questo servizio da parte di veri e propri pirati informatici. Invero, il meccanismo su cui si basano i servizi di Content Delivery Network ben si presta ad essere utilizzato per mascherare l’identità di piattaforme pirata, come ad esempio siti di streaming illegale, poiché consentono alle stesse di immagazzinare una notevole quantità di dati che vengono poi distribuiti e trasmessi spesso illegalmente.
Analogamente a quanto successo con le IPTV (Internet Protocol Television)[3], anche i CDN sono entrati nelle mire dei pirati audiovisivi, che li utilizzano per garantire agli users delle loro piattaforme la distribuzione efficiente e rapida di contenuti protetti da copyright. Ed anzi, grazie al servizio fornito dai CDN le piattaforme riescono a mettere in piedi dei veri e propri servizi di pirateria “all’ingrosso”, sfruttando la delocalizzazione geografica dei server e la loro capacità di caricare rapidamente contenuti anche molto “pesanti”.
Ma vi è di più. A differenza dei servizi di Internet Server Provider (ISP)[4] nei confronti dei quali i giudici, in forza della direttiva europea 2000/31/CE del Parlamento Europeo sull’e-commerce[5] (recepita in Italia con Decreto 70/2003), hanno il potere di pronunciarsi con azioni inibitorie al fine di bloccare o quantomeno di limitare le azioni illecite perpetrate dagli ISP, nel caso dei CDN i giudici europei si trovano a dover navigare a vista in una zona d’ombra del diritto. A ben vedere, infatti, i regimi di responsabilità dettati dalla succitata direttiva europea delineano diversi gradi di responsabilità calibrati sulle diverse attività che in concreto svolgono gli ISP ma che, purtroppo, né comprendono né sono sufficienti a contrastare il sistema di pirateria digitale che ad oggi si basa sull’utilizzo dei CDN.
A tal proposito, si segnala che già nel 2018 gli esperti avevano sentito i primi campanelli d’allarme dichiarando che questi nuovi servizi sarebbero stati utilizzati dai pirati informatici più accorti al fine di limitare le azioni intraprese dalle autorità giudiziarie[6].
La responsabilità dei CDN: il caso
In data 5 ottobre 2020, la Sezione Specializzata in materia di impresa del Tribunale di Milano, con ordinanza n. 42163, ha vietato l’utilizzo dei servizi offerti da CDN provider (così come sopra definiti) in determinati casi. Nel dettaglio, i giudici del tribunale meneghino si trovavano nella situazione di doversi pronunciare su tema della trasmissione illecita di partite di calcio del campionato di serie A su quattro siti vetrina, accessibili da diversi indirizzi. Le piattaforme pirata in parola riuscivano a diffondere questi contenuti “attraverso un accesso abusivo a tali contenuti in favore degli utenti registrati sui rispettivi siti web, con l’utilizzo di infrastrutture complesse ed univocamente dedicate a tale attività illecita” come si evince della chiara lettera dell’ordinanza del tribunale[7].
La pronuncia del tribunale originava da un provvedimento cautelare inaudita altera parte datato settembre 2019 che ordinava ad alcuni provider di CDN coinvolti nella trasmissione di tali contenuti protetti, le partite di serie A, la cessazione immediata della fornitura dei servizi informatici che ne permettevano la diffusione e la trasmissione.
Il procedimento vedeva quali parti ricorrenti Sky Italia e Lega Serie A, il cui interesse ad agire era dato dalla loro qualità di titolari di diritti di ri-trasmissione delle partite di calcio di serie A sul territorio nazionale. Specificamente, le ricorrenti nel 2019 chiedevano al tribunale di pronunciarsi relativamente all’impossibilità per diversi CDN provider di fornire l’accesso ad un popolare servizio di IPTV che permetteva ai suoi utenti di vedere le partite gratis.
Al contrario, nel ruolo di resistenti nel procedimento in parola vi erano diversi CDN provider, la cui difesa si è sempre basata sull’assunto per il quale non può essere qualificata quale attività illecita la memorizzazione temporanea di contenuti anche qualora gli stessi si rivelino poi illeciti. I provider dichiaravano di non poter essere soggetti ad alcuna azione inibitoria da parte di un tribunale poiché il servizio da loro reso richiedeva la sola memorizzazione temporanea di contenuti web allo scopo di ottimizzare la fruizione degli stessi, senza poter operare o avere alcun tipo di imperio sui contenuti che venivano memorizzati sulla rete di server da loro utilizzata e messa a disposizione. In altri termini, i provider sostenevano che l’apporto che offrivano con i loro servizi CDN era meramente tecnico e che non riguardava i contenuti ri-trasmessi e, conseguentemente, la loro attività non poteva essere oggetto di una pronuncia inibitoria giacché meramente strumentale al transito dei dati dal server alle piattaforme web[8].
La responsabilità dei CDN provider: la decisione del Tribunale
Sebbene la strenua difesa dei CDN Provider sia costata al Tribunale un lungo periodo di riflessione, pari a circa ad 1 anno, lo stesso non ha accolto le argomentazioni difensive prospettate dai resistenti, creando un importante precedente per il futuro.
Secondo il collegio giudicante, i server offerti dai CDN provider non hanno assunto la mera funzione di transito delle informazioni ma hanno anche celato e, in un secondo momento, agevolato l’intento della distribuzione illecita di contenuti protetti sulle piattaforme pirata. Prendendo in prestito le parole dei giudici “anche la semplice attività di conservazione temporanea di dati statici può consentire l’azione illecita e, di fatto, rendere possibile la trasmissione di contenuti pirata. È, quindi, possibile ordinare a un provider di servizi di CDN di bloccare la fornitura di tutti i servizi erogati a favore dei siti abusivi” e, pertanto, “deve ritenersi sussistente il fumus boni iuris relativo alle violazioni dedotte, rispetto alle quali la posizione dei resistenti – astrattamente non responsabili per detti illeciti ai sensi dell’art. 14 D.Lgs. 70/03 – assume rilievo in relazione alla loro qualità di intermediari, che consente comunque l’adozione nei confronti dei medesimi di ordine inibitorio a prescindere dalla sussistenza di dolo o colpa per le violazioni prospettate.[9]”.
L’iter logico seguito dai giudici scaturisce dalla circostanza per cui gli stessi non avevano ritenuto sufficientemente provati i limiti dell’operato dei provider. Ciò posto, il collegio si è spinto oltre, affermando che, anche volendo ammettere che i CDN provider si fossero limitati alla mera trasmissione e memorizzazione temporanea dei dati, in ogni caso, l’attività in parola sarebbe stata atta a facilitare l’attività illecita posta in essere dai pirati audiovisivi. Inoltre, il tribunale ha considerato come non rilevanti, nel caso di specie, le definizioni di Internet Service Provider (ISP) riportate nella direttiva europea, recepita in Italia con il D.lg 70/2003, poiché le stesse perdono il loro valore a fronte della necessità di tutelare un valore più importante quale la tutela di diritti di proprietà intellettuale su contenuti protetti[10], e che, pertanto, la loro qualità di meri intermediari non poteva essere considerata quale esimente[11].
Pertanto, alla luce dei ragionamenti sopra esposti, i giudici hanno ritenuto doveroso imporre un limite a condotte di questo tipo, limiti che si sono tradotti in un blocco dei servizi CDN dei provider in relazione a tutti i siti web correlati con l’attività criminosa.
Peraltro, il tribunale non si è limitato alla pronuncia dell’inibitoria totale ma ha anche imposto ai provider un obbligo di “stay down” che consta non solo nel divieto di cessare la fornitura di servizi ma anche in quello di prestare i propri servizi ai medesimi soggetti o alle medesime piattaforme che hanno posto in essere l’attività illecita[12].
In ultimo, il tribunale ha sottolineato come l’inibizione dei servizi CDN forniti a piattaforme pirata porterà ad una vera e propria interruzione nella trasmissione di contenuti pirata, giacché qualora un CDN ne negasse o interrompesse il transito il “pirata” sarebbe costretto a trovare un nuovo canale per la distribuzione dei contenuti.
Riflessioni conclusive
In conclusione, la presente pronuncia risulta essere sicuramente innovativa ed unica nel suo genere giacché per la prima volta un tribunale ha imposto un blocco ai servizi forniti dai CDN provider in caso di trasmissione illecita di contenuti protetti, generando in tal modo un precedente giuridico non di poco momento.
Al contempo, la pronuncia appare significativa poiché ha fatto luce su una tematica eccezionalmente delicata e complessa concernente il difficile inquadramento a livello giuridico della figura del provider di servizi CDN, figura che non rientra nelle definizioni dettata dalla direttiva europea in materia di e-commerce.
Peraltro, a conferma della rilevanza della pronuncia in esame, vi è la circostanza per cui è risultato necessario assoggettare tali condotte ad inibitorie totali e ciò per cercare di arginare quanto più possibile il fenomeno criminoso che, manifestandosi sul web, risulterebbe altrimenti estremamente difficile da gestire.
In ultima analisi, si può affermare che i principi che hanno ispirato l’ordinanza del tribunale di Milano saranno probabilmente i nuovi punti di partenza della giurisprudenza italiana in tema di CDN e CDN provider. Ciò detto, l’insicurezza sta nel sapere per quanto tempo questi principi potranno essere ritenuti validi vista l’evoluzione costante e frenetica della pirateria audiovisiva ma forse anche nella stessa logica con la quale si è giunti a tale decisione, laddove risulta forse evidente che si sia voluti partire da un assunto di base, ossia che il risultato dell’azione è la violazione dei diritti di proprietà intellettuale, e sulla scorta di esso si sia interpretata l’attività del provider, risultando secondario l’aspetto invece, probabilmente, fondamentale, del contenuto tecnico dell’azione del provider e della rete CDN, la quale in sé si pone al di là, ed in maniera indifferente, rispetto al contenuto dei dati conservati e trasmessi. Con questo non si vuol dire che il contemperamento degli interessi giuridici abbia avuto un esito sbagliato, tutt’altro, ma solo che l’opera del giurista si deve fare sempre più articolata per adattarsi alle evoluzioni della tecnologia.
Questo contributo è stato redatto da un articolista di Legaltech Italia, partner di DirittoConsenso.it
Informazioni
Internet Service Provider, definizione Altalex, disponibile qui: https://www.altalex.com/guide/internet-service-provider
Pirateria audio-visiva, le nuove responsabilità dei provider: le sentenze italiane, Agenda Digitale, disponibile qui: https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/pirateria-digitale-i-nuovi-punti-cardine-della-giurisprudenza-in-tema-di-isp/
Pirateria online, bloccati tutti i siti “vetrina” dello streaming illegale, Il Sole 24 Ore, disponibile qui: https://www.ilsole24ore.com/art/pirateria-online-bloccato-nuovo-standard-streaming-illegale-ADlFPyu?refresh_ce=1
Serie A e streaming illegale: il Tribunale di Milano impone il blocco delle Content Delivery Network, Ius in Itinere, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/serie-a-e-streaming-illegale-il-tribunale-di-milano-impone-il-blocco-delle-content-delivery-network-32262
Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di impresa, ordinanza n. 42163 del 5 ottobre 2020
[1] Definizione di “Content Delivery Network” di Akamai, disponibile qui: https://www.akamai.com/it/it/cdn/what-is-a-cdn.jsp
[2] In tema di elaborazione, la cache è un livello di conservazione dei dati ad alta velocità che memorizza temporaneamente un sottoinsieme di dati al fine di rispondere alle richieste degli utenti nella maniera più rapida possibile, facendo venire meno la necessità di accedere ogni volta al percorso principale in cui si trovano i dati. In altri termini, la cache permette di recuperare e riutilizzare in modo veloce ed efficiente tutti quei dati che sono già stati elaborati o raccolti. Definizione di Garzanti Linguistica.
[3]L’Acronimo Internet Protocol Television sta ad indicare un sistema che permette di guardare segnali televisivi sfruttando la connessione internet, In altri termini questi protocolli o standard permettono di vedere i canali televisivi via internet, cioè si possono vedere canali televisivi via internet utilizzando la rete per inviare flussi video.
[4] L’Internet Service Provider è un soggetto che esercita un’attività imprenditoriale che offre agli utenti la fornitura di servizi inerenti Internet, in sostanza è colui che fornisce ai terzi l’accesso alla rete, utilizzando una connessione remota tramite linea telefonica o banda larga. Definizione di Altalex, disponibile qui: https://www.altalex.com/guide/internet-service-provider
[5] Se vuoi approfondire il tema delle direttive Europee in tema di piattaforme digitali clicca su questo link: https://www.legaltechitalia.eu/mercato-unico-digitale-marketplace/
[6] Pirateria audio-visiva, le nuove responsabilità dei provider: le sentenze italiane, Agenda Digitale, disponibile qui: https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/pirateria-digitale-i-nuovi-punti-cardine-della-giurisprudenza-in-tema-di-isp/
[7] Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di impresa, ordinanza n. 42163 del 5 ottobre 2020
[8] Pirateria online, bloccati tutti i siti “vetrina” dello streaming illegale, Il Sole 24 Ore, disponibile qui: https://www.ilsole24ore.com/art/pirateria-online-bloccato-nuovo-standard-streaming-illegale-ADlFPyu?refresh_ce=1
[9] Supra, nota 6
[10] Se vuoi approfondire il tema della proprietà intellettuale e dei diritti ad essa connessi clicca su questo link: http://www.dirittoconsenso.it/2019/09/12/proprieta-intellettuale-diritti/
[11] Supra, nota 5
[12] Serie A e streaming illegale: il Tribunale di Milano impone il blocco delle Content Delivery Network, Ius in Itinere, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/serie-a-e-streaming-illegale-il-tribunale-di-milano-impone-il-blocco-delle-content-delivery-network-32262
La strategia italiana per l'intelligenza artificiale: luci e ombre
Un primo passo verso la regolamentazione dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale in Italia
Come è regolato in Italia l’utilizzo dell’intelligenza artificiale?
Il Ministero per lo Sviluppo Economico ha pubblicato lo scorso luglio un documento contenente le proposte per la strategia italiana per l’intelligenza artificiale, definendolo “giro di boa fondamentale per raggiungere una trasformazione digitale made in Italy”, e completando così il lavoro di una task force di esperti selezionati che hanno raccolto e razionalizzato le osservazioni e i suggerimenti pervenuti a seguito di una consultazione pubblica svoltasi l’anno passato.
Il lavoro svolto dagli esperti del MISE non deve far dimenticare, tuttavia, la necessità prendere atto e di valutare i rischi insiti all’utilizzo incauto dei software AI; esemplificativamente, i rischi connessi alla possibile manipolazione dell’opinione pubblica mediante la creazione e la diffusione virale di fake news, alla responsabilità civile per i danni causati da macchine intelligenti, alla discriminazione e alla mancanza di trasparenza che potrebbero caratterizzare le decisioni prese da una macchina o, ancora, all’utilizzo in ambito militare di tali tecnologie. In altri termini, prendendo in prestito le parole della Commissione Europea “la tecnologia AI cambierà la nostra vita in positivo, ma per fare ciò è necessario che venga regolamentata in modo da presidiare ed azzerare i rischi che inevitabilmente porta con sé”.
Intelligenza artificiale: una breve descrizione
Preliminarmente, prima di addentrarsi nell’analisi del documento redatto dalla task force di esperti del Ministero, è opportuno definire il concetto di “intelligenza artificiale” (o AI volendo utilizzare l’acronimo anglosassone). In primis, va chiarito che nonostante l’utilizzo dell’aggettivo “intelligente”, i sistemi AI non sono intelligenti strictu sensu giacché non possiedono una vera e propria capacità di intellegere la realtà e di formare una coscienza propria ed autonoma. Diversamente, si tratta di una branca della tecnologia che sviluppa software e sistemi che, attraverso l’utilizzo di sofisticati algoritmi, sono in grado di elaborare un’enorme mole di dati sulla base dei quali interpretano la realtà e assumono decisioni, per lo meno in specifici domini e ambiti applicativi.
Proposte per una strategia italiana per l’AI: l’origine
Il documento in parola nasce dalla consapevolezza che l’intelligenza artificiale rappresenta un’opportunità unica e senza precedenti per dare impulso alla produttività, al lavoro, all’interazione sociale e commerciale e allo sviluppo sostenibile di un Paese. La strategia pensata e sviluppata dal MISE prende le mosse dalla strategia europea per l’intelligenza artificiale contenuta nel libro bianco sull’intelligenza artificiale pubblicato dalla Commissione Europea il 19 febbraio 2020. Invero, l’idea di fondo da cui scaturiscono entrambi i succitati documenti risiede nella convinzione per cui la tecnologia basata sui sistemi AI può e deve aiutarci a migliorare la vita delle persone, da qui la scelta operata dalla task force del MISE di trattare la questione in parola mediante un approccio antropocentrico.
Date queste premesse, il gruppo di esperti ha sentito il bisogno di sottolineare che il suddetto approccio antropocentrico non può prescindere dalla regolamentazione dell’AI in un’ottica di tutela dell’individuo, a prescindere dal fatto che lo si consideri cittadino, consumatore od utente. A questo riguardo, la strategia italiana si prefigge l’obiettivo di una tutela tout court dell’individuo, tenendo in debito conto una serie di profili e principi fondamentali tra cui la trasparenza, la sicurezza, la robustezza e l’accountability dei sistemi AI.
Intelligenza artificiale: la sfida al diritto
Premesso che i profili critici e gli ostacoli che l’utilizzo delle tecnologie AI presentano sono molteplici e pervadono diversi campi da quello squisitamente politico, a quello economico, a quello etico[1], questo breve paragrafo si pone di analizzare le principali sfide che le tecnologie in parola pongono dinanzi al diritto. Queste sfide corrono lungo tre direttrici principali, da cui scaturiscono ulteriori diramazioni:
- La tutela del consumatore-utente;
- La protezione dei dati personali;
- La responsabilità civile.
La tutela del consumatore-utente
Il primo filone scaturisce dalla consapevolezza che il consumatore-utente è soggetto “debole”. Invero, nel campo dei sistemi AI l’asimmetria informativa e i limiti cognitivi che caratterizzano il rapporto uomo-macchina sono ancora più sentiti e pregnanti rispetto ad altri settori. Ciò posto, la strategia del MISE mira a trasformare il consumatore-utente in un soggetto attivo, consapevole ed “iperconnesso” e, per fare ciò, individua tre principi cardine che devono essere rispettati e utilizzati come stella polare nell’adozione di nuove leggi o nell’interpretazione di quelle già esistenti: trasparenza, replicabilità, sicurezza ed affidabilità. Tra l’altro, le proposte contenute nel documento strategico non si limitano a descrivere il problema, ma vanno oltre, delineando anche alcune soluzioni.
In primis, si ritiene necessario introdurre, per i produttori e per i soggetti che commercializzano sistemi AI, un obbligo di informazione per il consumatore ogniqualvòlta questo si trovi ad interagire con un soggetto non umano. Per chiarire meglio questa proposta, ci basti pensare a quello che succede oggigiorno con i c.d. CAPTCHA, ossia quei sistemi che in caso di accesso ad un sito web o al fine di validare una scelta sul web, chiedono all’utente di porre in essere delle attività per dare prova di non essere robot. Allo stesso modo, le macchine AI dovranno rivelare la loro natura non-umana ogni qualvolta si interfacceranno con un utente in carne ed ossa. Inoltre, gli esperti considerano fondamentale che l’utente-consumatore goda di un “diritto alla trasparenza” consiste nella possibilità di venire a conoscenza dei parametri, dei dati e dei processi che vengono utilizzati dagli algoritmi AI per assumere una determinata decisione, al fine di poterla opporre e sindacare. Sotto quest’ultimo aspetto, il regolamento europeo generale sulla protezione dei dati (in breve GDPR) presenta già una tutela parziale, nello specifico l’articolo 22 del succitato regolamento impedisce ad un soggetto di essere “sottoposto ad una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato che produca effetti giuridici che lo riguardino o che incida significativamente sulla sua persona.”
Da ultimo, e sempre nell’ottica di rendere i sistemi AI trasparenti, robusti ed affidabili, ed in assenza di un quadro regolamentare adeguato, la strategia propone di prendere ad esempio il meccanismo di data protection impact assessment (DPIA) istituito dall’articolo 35 del GDPR come strumento per responsabilizzare gli operatori e i produttori di tecnologie AI e per consapevolizzare l’utente-consumatore circa l’utilizzo di quest’ultime. In particolare, il DPIA richiede che, qualora il trattamento dei dati di un soggetto presenti un rischio elevato per i diritti e le libertà dell’individuo, il titolare del trattamento prima di procedere al trattamento stesso debba valutare attentamente ed esplicitare all’utente l’impatto che i rischi potrebbero avere sulla sua sfera personale. Sulla falsariga di quanto ora descritto, il MISE propone di redigere una sorta di “check-list” contenente gli adempimenti minimi e necessari e le prescrizioni normative alle quali attenersi per tenere indenne l’utente dai rischi insiti nell’utilizzo della tecnologia AI.
La protezione dei dati personali
Il secondo grande filone riguarda, invece, la protezione dei dati personali e, in particolar modo, la convivenza tra scambio e condivisione di questi ultimi da un lato e le prescrizioni normative del GDPR[1] dall’altro. L’impianto del regolamento europeo riflette perfettamente la consapevolezza che i dati, in particolare i big data, rappresentano il “nuovo oro” e paradigma economico per le imprese.
Al problema dell’utilizzo e dell’acquisizione lecita o non lecita dei dati cui il GDPR cerca di porre un freno, si affianca quello relativo allo sfruttamento dei dati per condizionare le scelte dei singoli consumatori sia sul piano dell’acquisto di beni e servizi, sia su quello geopolitico, in particolar modo con riguardo al pericolo di manipolazione delle scelte in sede elettorale. In aggiunta, l’individuo è sempre più portato a sacrificare i propri dati e la propria privacy in cambio di beni, agevolazioni e servizi che gli vengono forniti a costo zero da parte delle società che utilizzano i suoi dati. A fronte di queste tendenze che sembrerebbero inarrestabili, gli esperti del MISE propongono di dare agli utenti la possibilità di monetizzare i propri dati, purché a questi sia “chiaramente garantito di poter esprimere il proprio consenso e riconosciuta una giusta quota nel valore creato per mezzo del trattamento dei loro dati”. Il dato personale quindi si trasformerebbe da diritto fondamentale ed indisponibile a moneta di scambio. Riguardo tale proposta il Garante della Privacy Italiano ritiene che una monetizzazione comporterebbe un condizionamento ancora maggiore della libertà dei singoli e una limitazione ancora più pregante del controllo sui dati personali. Diversamente, sul fronte europeo, a Bruxelles si discute circa la possibilità di rendere l’utente un vero e proprio “azionista” delle società cui presta il consenso per il trattamento dei propri dati, si tratta però solo di una proposta di cui ancora non conosciamo termini e contenuti effettivi. Quel che è certo è che per tutelare chi non desidera, o meglio non desidererà, mettere in vendita la propria privacy sarà necessario implementare delle misure di sicurezza e di accountability a tutto tondo all’interno di regolamenti e di policy interne alle aziende, nel GDPR e in tutte le altre legislazioni che verranno in materia.
La responsabilità civile
In ultimo, vi è il problema legato al risarcimento per i soggetti colpiti e danneggiati da pratiche di decisione algoritmica automatizzata dei sistemi AI. Non essendoci, a livello comunitario, delle disposizioni precise in tema di responsabilità civile la proposta del Ministero è quella di interpretare estensivamente e analogicamente le disposizioni del nostro codice civile nell’attesa di un intervento del legislatore. Nello specifico, gli esperti ritengono che nell’alveo dell’articolo 2050 c.c. concernente la responsabilità per esercizio di attività pericolose, possano rientrare senza particolari limitazioni le attività che ricomprendono l’utilizzo di robot e più in generale di sistemi AI. Nonostante il fascino e la creatività esegetica dimostrata dalla tesi ora descritta, è bene ricordare che si tratta di interpretazioni analogiche che non trovano, ad oggi, nessun appoggio codicistico e giurisprudenziale, indi per cui sarebbe auspicabile un intervento ad hoc da parte del legislatore che si appresti ad introdurre, ad esempio, delle clausole standard ma al contempo flessibili che tutelino l’utente-consumatore che si interfaccia con sistemi AI e, come proposto nel documento del Ministero, un’assicurazione obbligatoria, sulla falsa riga dell’assicurazione RCA, che garantisca il risarcimento alle vittime danneggiate da sistemi AI.
Riflessioni conclusive
In uno scenario così delineato, per scongiurare il rischio che la regolamentazione dell’intelligenza artificiale si riveli come una scritta sulla sabbia destinata a scomparire all’arrivo di una nuova ondata tecnologica, sono i legislatori e i professionisti forensi ad avere il compito di prendere in mano le redini della situazione e di indagare, con occhio critico, quali potrebbero essere gli sviluppi futuri della tecnologia AI al fine di trovare soluzioni flessibili e adatte a prevenire i rischi che questa porterà con sé in prima battuta, e a non lasciare l’utente consumatore privo di tutela qualora la sua sfera giuridica personale venisse lesa.
Questo contributo è stato redatto da un articolista di Legaltech Italia, partner di DirittoConsenso.it”
Informazioni
La Strategia italiana per l’Intelligenza Artificiale, disponibile qui: https://www.mise.gov.it/index.php/it/per-i-media/notizie/2041246-intelligenza-artificiale-online-la-strategia
White Paper on Artificial Intelligence, disponibile qui: https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/white-paper-artificial-intelligence-public-consultation-towards-european-approach-excellence
[1] Se vuoi approfondire il tema dell’etica legato all’utilizzo dell’intelligenza artificiale clicca su questo link: https://www.legaltechitalia.eu/le-legaltech-e-lo-scontro-con-l-etica/
[2] Se vuoi approfondire il tema dell’intelligenza artificiale e del GDPR clicca su questo link: http://www.dirittoconsenso.it/2020/05/02/il-gdpr-e-intelligenza-artificiale/