Verso una nuova costituzione cilena?
Ad ottobre 2020 si è tenuto un referendum sulla proposta di redigere una nuova costituzione cilena che ha ottenuto un largo consenso popolare
La situazione precedente la nuova costituzione cilena
La Repubblica del Cile è una repubblica presidenziale in cui vige, al momento, la Costituzione promulgata il 21 ottobre 1980 ed entrata in vigore l’11 marzo 1981. La costituzione cilena del 1980, che sostituiva quella del 1925, ha subito diverse modifiche nel corso degli anni. Nonostante ciò, la costituzione cilena del 1980 resta quella che fu decisa e applicata durante la dittatura militare di Augusto Pinochet (instaurata con un colpo di stato di diversi generali).
È da notare comunque che il suo contenuto iniziale, che includeva diverse misure che davano un potere significativo alla leadership militare e ostacolavano i tentativi di riforma, è stato ampiamente modificato dopo il ritorno al governo democratico, in particolare nella riforma del 2005.
Tuttavia, la struttura principale del testo è ancora in vigore, e la critica maggiore che viene mossa riguarda la mancanza di diritti concessi ai cittadini.
In particolare, questa impostazione è stata contestata nelle proteste del 2019 che hanno portato al referendum del 2020, in cui i cileni hanno votato in modo schiacciante per un cambiamento della costituzione. Si è dunque stabilito che entro il 2022 essa dovrà essere sostituita.
Il Referendum dell’ottobre 2020
L’evento assurto a simbolo delle proteste e rivendicazioni che hanno interessato il Paese nei mesi precedenti al referendum è stato il rincaro dei prezzi di biglietti annunciato il 6 ottobre da Metro de Santiago (l’azienda che si occupa della gestione dei mezzi pubblici nella capitale). Dietro a ciò si celava un malcontento profondo, e in effetti le proteste sono state tutt’altro che pacifiche, sfociando spesso in scontri tra manifestanti e forze dell’ordine con morti e feriti.
Il presidente Piñera ha allora concesso il referendum costituzionale, come richiesto a gran voce dai movimenti popolari, nella speranza di rinnovare la fiducia che stava progressivamente perdendo.
Il Referendum Cileno 2020 o Plebiscito Nazionale 2020 (in spagnolo: Plebiscito Nacional 2020) ha avuto luogo domenica 25 ottobre 2020, dopo un rinvio di sei mesi a causa della pandemia di Covid-19. La proposta di redigere una nuova costituzione è stata approvata da una larga maggioranza di quasi il 79% dei voti.
Come risultato di un movimento sociale su larga scala che ha portato i principali partiti del paese a concordare sulla necessità di convocare questo referendum, gli elettori sono stati chiamati a votare su un cambiamento di costituzione, in sostituzione di quella adottata nel 1980 sotto il regime di Pinochet, così come sulla natura dell’organo a cui vogliono affidare il potere costituente incaricato di redigerla: un’assemblea costituente interamente eletta o una composta per metà da eletti e per l’altra metà da parlamentari.
In seguito, una maggioranza altrettanto netta ha optato per la creazione di un’assemblea costituente interamente eletta, che è stata istituita con le elezioni costituenti del 15 e 16 maggio 2021, la c.d. Convenzione costituzionale.
I lavori della Convenzione costituzionale
L’assemblea costituente si è riunita in prima battuta per dare inizio alle consuete procedure istituzionali, prima di iniziare effettivamente a lavorare sulla nuova costituzione cilena. Le prime sessioni, infatti, prevedevano:
- il varo di un regolamento interno,
- l’istituzione di una segreteria tecnica e
- l’elezione di un presidente e di un vicepresidente.
Una volta conclusa questa fase preliminare, l’Assemblea così formata redige e presenta al presidente della Repubblica il nuovo testo costituzionale entro 9 mesi (prorogabili per una sola volta per altri 3 mesi).
La proposta della nuova costituzione cilena
I punti fermi sono che la nuova costituzione cilena non potrà sovvertire l’assetto repubblicano e l’ordine democratico del Paese e non potrà sottrarre il Cile dagli impegni internazionali assunti con i trattati in vigore. Il testo della Nuova Costituzione da sottoporre a referendum, dunque, deve rispettare il carattere della Repubblica dello Stato del Cile, il suo regime democratico, le sentenze giudiziarie definitive ed esecutive e i trattati internazionali ratificati dal Cile e che sono in vigore[1].
Si apre poi un’ulteriore fase: dopo l’approvazione della carta da parte dell’assemblea, il presidente della Repubblica ha il compito di indire un nuovo referendum a partecipazione obbligatoria, con cui i cittadini saranno chiamati ad esprimersi sull’approvazione della Carta.
Bisogna notare come il processo costituente della nuova carta cilena sia di straordinario interesse per una molteplicità di ragioni. Innanzitutto, nel XXI secolo è uno dei rari processi di questo tipo, cioè che si svolgono in uno Stato, come il Cile, che ha raggiunto un livello soddisfacente di stabilizzazione democratica, e dunque non si trova in un contesto di transizione democratica o di regressione.
Inoltre, la vicenda del Cile, come si evince, è veramente singolare: vi è stata la fine di un regime autoritario e la transizione alla democrazia in assenza di una nuova carta costituzionale, modificando quella del 1980 che si lega al regime di Pinochet.
A livello di diritto comparato globale, secondo alcuni studiosi, si può parlare di un prodotto tardivo dell’onda lunga del 1989 (fu in quegli anni che si ebbe la vittoria del no al plebiscito del 1988 sulla continuazione del governo di Pinochet per altri 8 anni).
Non resta dunque che seguire gli sviluppi di questo processo – indubbiamente pieno di ostacoli – ma che sfocerà in un’esperienza costituzionale degna di nota.
Informazioni
https://ilmanifesto.it/cile-costituente-a-ostacoli-le-idee-piu-avanzate-non-hanno-vita-facile/
“Il Cile verso la Convenzione costituzionale” di Tania Groppi, Elena Bindi e Andrea Pisaneschi, http://www.dpceonline.it/index.php/dpceonline/article/view/1319/1279
https://www.orizzontipolitici.it/il-referendum-in-cile-che-vuole-superare-pinochet/
https://www.affarinternazionali.it/2021/05/il-cile-degli-indipendenti-riscrive-la-costituzione/
[1] Per una panoramica sulle fonti del diritto internazionale: http://www.dirittoconsenso.it/2019/10/28/le-fonti-del-diritto-internazionale-e-i-cambiamenti-della-comunita-internazionale/
La giurisprudenza ambientale della CEDU
Attraverso diverse disposizioni, in particolare gli articoli 2, 8 e 10, si è affermata una giurisprudenza ambientale della CEDU
Lo sviluppo della giurisprudenza ambientale della CEDU
La Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali rappresenta lo strumento giuridico di riferimento per la protezione di numerosi diritti, spesso ribaditi anche in sede di “piccola Europa” (cioè l’Unione Europea) e negli ordinamenti nazionali[1]. Sorprendentemente, però, manca una disposizione specifica che tuteli l’ambiente (o, più precisamente, in una prospettiva antropocentrica, il diritto dell’uomo a vivere in un ambiente sano). Nonostante le discussioni in tal senso e l’attenzione dimostrata sia dai policy-makers che dalla società civile, l’unico documento che ha visto la luce è il c.d. “Manuale sui diritti dell’uomo e l’ambiente”[2]. In questa guida possiamo trovare appunto la giurisprudenza ambientale della CEDU, ma non è un testo vincolante.
Tuttavia, la Corte europea dei diritti dell’uomo (organo giurisdizionale del Consiglio d’Europa) ha comunque manifestato una certa sensibilità sul tema, allargando – ove possibile – la protezione offerta da altri articoli anche a situazioni in cui si presentavano questioni ambientali e sviluppando così una vera e propria giurisprudenza ambientale della CEDU.
Questa tecnica incontra inevitabilmente un limite: la necessaria correlazione con un diritto sancito dalla Convenzione. Si parla anche di protezione di riflesso[3].
La Corte intende interpretare la Convenzione alla luce della società attuale e delle condizioni di vita odierne. Nel caso Kukkola contro Finlandia[4], troviamo il riconoscimento da parte della Corte del fatto che “la società di oggi è sempre più preoccupata per la protezione dell’ambiente“. In Hamer contro Belgio[5] nel 2007 la Corte mette in evidenza la necessità di preservare l’ambiente, sostenendo che “l’ambiente è un valore la cui difesa suscita nell’opinione pubblica e di conseguenza presso i poteri pubblici un interesse costante e sostenuto; gli imperativi economici e anche alcuni diritti fondamentali come il diritto alla proprietà non dovrebbero essere prioritari rispetto alle considerazioni relative alla protezione dell’ambiente, in particolare quando lo Stato ha legiferato in questo settore”.
L’ultimo esempio che possiamo dare in questo campo è il famoso caso Prestige (Mangouras contro Spagna[6]) del 2010, dove viene affermato che “la Corte non può ignorare la crescente e legittima preoccupazione che esiste sia a livello europeo che internazionale nei confronti del crimine ambientale“.
L’utilizzo dell’articolo 2 (diritto alla vita)
Il primo diritto utilizzato in questo senso è il diritto alla vita: nel caso Öneryildiz contro Turchia[7] del 2004 la Corte ha riconosciuto l’impatto delle attività industriali che sono pericolose per natura, e ha stabilito che il semplice fatto di esporre gli individui a pericoli è sufficiente per considerare che il loro diritto alla vita sia minacciato, senza che ci sia stata necessariamente una violazione effettiva. La Corte ritiene che ci sia un obbligo positivo per gli Stati di proteggere la vita e anche l’integrità fisica. In altre parole, la morte non è una condizione dell’inadempienza dello Stato, e questo obbligo positivo di proteggere la vita, di fare tutto il possibile per proteggere la vita, può avere un’eco nelle questioni ambientali attraverso l’obbligo di prevenire i danni all’ambiente e di fornire informazioni sulle minacce che possono esistere.
Ci sono stati altri casi con riferimento all’articolo 2, per esempio casi legati all’assenza di politiche di pianificazione territoriale e alla mancata fornitura di assistenza di emergenza in una zona a rischio. C’è una difficoltà in materia ambientale, sempre sull’articolo 2, riguardante la questione del nesso di causalità: nel caso turco non vi era difficoltà a stabilire il nesso di causalità, ma a volte può essere più problematico, soprattutto quando c’è incertezza scientifica (molti danni hanno inoltre natura multifattoriale).
L’utilizzo dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare)
Il secondo articolo utilizzato (e probabilmente il più utilizzato nella costruzione della giurisprudenza ambientale della CEDU) è l’articolo 8, la protezione della vita privata. L’articolo 8 protegge la vita privata e familiare, il domicilio e la corrispondenza.
Nel 1994, nel caso Lopez Ostra contro Spagna[8], per la prima volta la Corte usa l’articolo 8 per garantire il diritto all’ambiente. La ricorrente si lamentava del fastidio dovuto all’installazione di un impianto di trattamento delle acque e dei rifiuti vicino alla sua abitazione. La Corte considera che un disturbo grave è un’interferenza con la vita privata e che è suscettibile di violare l’articolo 8 pur non mettendo la salute in grave pericolo.
Ma, ancora una volta, ci sono dei limiti: le violazioni devono essere collegate a un diritto garantito dalla Convenzione, e nel caso Kyrtatos contro Grecia[9] la Corte dirà che la Convenzione non garantisce una protezione generale dell’ambiente: se non si può collegare il danno ambientale alla vita privata o familiare di una persona o al suo domicilio, la Corte sarà impossibilitata ad agire.
La Corte inoltre effettua un controllo di proporzionalità, richiedendo un danno ambientale di una gravità minima (come stabilito nel caso Fadeïeva contro Russia[10] del 2005), quindi fa un bilanciamento di interessi. Questo è l’aspetto materiale del controllo, ma la Corte controlla anche la proporzionalità del processo decisionale: la Corte si assicurerà che i migliori processi decisionali siano stati messi in atto per valutare l’impatto delle attività sull’ambiente e per stabilire un giusto equilibrio degli interessi in gioco.
Per concludere sull’articolo 8, esso permette anche il riconoscimento di un diritto all’informazione ambientale. La Corte lo ha affermato in particolare nel caso Maria Guerra e altri 39 contro Italia[11] del 1998: vi è un diritto del pubblico ad essere informato dei rischi gravi per la salute.
L’utilizzo dell’articolo 10 (libertà di espressione)
Tra gli altri diritti che possono entrare in gioco per la protezione del diritto a un ambiente sano possiamo menzionare la libertà di espressione in materia ambientale. Essa deve essere garantita e quindi la giurisprudenza ambientale della CEDU passa anche attraverso l’articolo 10, perché la Corte considera l’ambiente un tema di interesse generale: deve esservi la libertà di esprimersi su di esso.
La questione è stata sollevata in diversi casi. In particolare, abbiamo casi in cui associazioni per la protezione dell’ambiente si sono espresse in modi diversi e poi sono state attaccate, in particolare per diffamazione, ed è quindi in queste occasioni che il caso può arrivare davanti alla Corte europea.
Il primo caso che riguarda la libertà di espressione è Vides Aizsardzibas Klubs contro Lettonia[12] del 2004: si trattava della pubblicazione su un quotidiano regionale di una risoluzione dell’assemblea di questa associazione, in cui si denunciavano le attività irresponsabili e illegali delle autorità di un comune. L’associazione fu citata in giudizio per diffamazione e la Corte considerò che la causa per diffamazione dell’associazione non era necessaria in una società democratica, e ritenne che ci fosse stata una violazione dell’articolo 10, e quindi una violazione della libertà di espressione.
Nel caso Steel e Morris c. Regno Unito[13] del 2005 abbiamo nuovamente una condanna per diffamazione di un gruppo di attivisti ambientali che aveva preparato e distribuito un volantino che attaccava una multinazionale. La Corte ha ritenuto che il risarcimento del danno a cui erano stati condannati gli attivisti fosse sproporzionato rispetto ai loro redditi modesti. Da ultimo, citiamo il caso di Noël Mamère contro Francia[14] del 2006: il giornalista Noël Mamère aveva fatto dei commenti in un programma televisivo sul modo in cui alcune autorità francesi avevano gestito il disastro di Chernobyl a metà degli anni ’80 e per questo era stato perseguito. La Corte ha ritenuto ancora una volta che ci fosse una violazione della libertà di espressione: la protezione dell’ambiente e della salute pubblica sono questioni di interesse generale e bisogna potersi esprimere su questi temi senza essere minacciati di essere perseguiti.
Conclusioni
In conclusione, possiamo citare il caso Duarte Agostinho et altri contro 33 Stati, introdotto davanti la Corte lo scorso settembre. A prescindere dall’esito, il caso è destinato a sfociare in una pronuncia unica nella storia della Corte. Il ricorso è stato introdotto da giovanissimi cittadini portoghesi che lamentano una violazione degli articoli 2, 8 e 14 (divieto di discriminazione) della CEDU in ragione degli effetti nocivi del riscaldamento climatico globale sulla loro vita e salute, in particolare considerando la loro giovane età.
In ogni caso, finché non ci sarà una protezione diretta dell’ambiente – ma non è all’ordine del giorno – da parte della Convenzione, avremo i limiti sopracitati, anche se la giurisprudenza ambientale della CEDU si dimostra molto audace.
Informazioni
P. Martin-Bidou, Droit de l’environnement, Bréal, coll.Lexifac, 2019;
A. Scarcella, Giurisprudenza C.e.d.u. e diritto dell’ambiente: i principali «filoni» della Corte di Strasburgo.
[1] Per una panoramica sulla protezione ambientale a livello internazionale, invece, si rimanda a http://www.dirittoconsenso.it/2020/11/12/la-tutela-internazionale-ambiente/.
[2] https://www.echr.coe.int/LibraryDocs/DH_DEV_Manual_Environnement_Fr.pdf (in francese).
[3] È una tecnica utilizzata dai giudici di Strasburgo anche in altri ambiti, come stabilito nel 2002 nella sentenza Christine Goodwin c. Regno Unito, allo scopo di rendere le garanzie della Convenzione concrete ed effettive e non solo teoriche.
[4] https://www.stradalex.com/en/sl_src_publ_jur_int/document/echr_26890-95.
[5] https://hudoc.echr.coe.int/fre#{%22languageisocode%22:[%22ENG%22],%22appno%22:[%2221861/03%22],%22documentcollectionid2%22:[%22CHAMBER%22],%22itemid%22:[%22001-83537%22]}.
[6] https://www.stradalex.com/en/sl_src_publ_jur_int/document/echr_12050-04_001-100686.
[7] https://hudoc.echr.coe.int/fre#{%22itemid%22:[%22001-67614%22]}.
[8] https://hudoc.echr.coe.int/fre#{%22itemid%22:[%22001-57905%22]}.
[9] https://hudoc.echr.coe.int/fre#{%22itemid%22:[%22001-61099%22]}.
[10] https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid%22:[%22001-69315,%22]}.
[11] http://www.dirittiuomo.it/sentenza-19-febbraio-1998.
[12] https://hudoc.echr.coe.int/eng-press#{%22itemid%22:[%22003-1013988-1048313%22]}.
[13] https://hudoc.echr.coe.int/eng-press#{%22itemid%22:[%22001-23839%22]}.
[14] https://hudoc.echr.coe.int/fre#{%22itemid%22:[%22001-77842%22]}.
Il danno ambientale nel diritto dell'Unione Europea
La Commissione Europea ha recentemente precisato cosa debba intendersi per danno ambientale nel diritto dell’Unione Europea
Il danno ambientale nel diritto dell’Unione Europea: la direttiva 2004/35/CE
Risale al 2004 la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (2004/35/CE), la c.d. direttiva Responsabilità ambientale[1].
Il principio ispiratore di tale regolamentazione è “chi inquina paga” secondo il quale il responsabile dell’inquinamento sarà dovuto alla riparazione del danno. Si tratta, più in generale, di uno dei principi più importanti del diritto ambientale anche su scala internazionale[2], ed è per questo che esso ispira l’azione dell’Unione Europea non soltanto con riferimento a questa direttiva, ma nei vari aspetti della questione ambientale.
Prima di tutto, è utile comprendere i tratti salienti della direttiva, che ha introdotto il concetto di danno ambientale nel diritto dell’Unione Europea. Oltre al già citato principio del “chi inquina paga”, la direttiva obbliga quanti svolgono attività che costituiscono una minaccia imminente per l’ambiente (definita come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno ambientale in un futuro prossimo) a prendere misure preventive. La direttiva assegna alle autorità competenti (cioè gli enti pubblici designati dallo Stato membro) il ruolo di “custodi” dell’ambiente.
La direttiva impone la responsabilità soltanto se l’attività dell’operatore ha provocato il danno ambientale oggetto di indagine. Provare la responsabilità di un singolo operatore che provoca un episodio di inquinamento accidentale da fonte puntuale può essere relativamente semplice; la direttiva si applica tuttavia anche al danno provocato da inquinamento di carattere diffuso e generale purché possa essere stabilito un nesso di causalità. La direttiva si applica inoltre a una pluralità di operatori che concorrono congiuntamente a provocare un singolo incidente o un danno ambientale persistente.
La direttiva distingue fra due tipi di operatori:
- quelli che svolgono attività professionali pericolose e
- quelli che svolgono tutte le altre attività professionali.
Agli operatori che svolgono le attività pericolose (indicate dalla direttiva) si applica una disciplina di responsabilità oggettiva. Ciò significa che non occorre stabilire la colpa perché l’operatore sia ritenuto pienamente responsabile dei danni al terreno, alle acque, nonché alle specie e agli habitat protetti. A tutti gli altri si applica una disciplina di responsabilità per colpa (dunque occorre stabilire la colpa o la negligenza dell’operatore perché sia ritenuto responsabile) che vale soltanto per i danni arrecati a specie e habitat naturali protetti.
Le linee guida della Commissione
L’articolo 2 della direttiva si preoccupa di dare le definizioni dei vari termini impiegati, specificando in particolare cosa debba intendersi per danno e per danno ambientale.
Nonostante questo dimostri l’attenzione per la chiarezza del testo, recentemente la Commissione ha pubblicato una comunicazione (2021/C118/01)[3] recante Linee guida per un’interpretazione comune del termine “danno ambientale”. Si tratta infatti di una nozione fondamentale per l’applicazione della direttiva ma, come la stessa Commissione ha rilevato, mancava di uniformità nella pratica.
Ai sensi dell’articolo 2, punto 2, della direttiva, i quattro concetti fondamentali presenti nella definizione di “danno” sono:
- l’ambito di applicazione materiale dell’oggetto del “danno” vale a dire le risorse naturali e i servizi di una risorsa naturale. Le risorse naturali contemplate dalla direttiva sono tre: le specie e gli habitat naturali protetti, le acque e il terreno; per servizi di una risorsa naturale si intende tutto ciò che è legato all’utilizzo di queste tre componenti;
- il concetto di effetto negativo, ossia mutamenti negativi e deterioramenti;
- la portata di tali effetti negativi, ossia quelli che sono misurabili. Questa precisazione rimanda all’idea che i danni devono comunque raggiungere un certo grado di gravità, per permettere una comparazione tra la situazione antecedente e quella successiva;
- i modi in cui si verificano tali effetti negativi, ossia direttamente o indirettamente. È importante perché la materia ambientale è complessa, e perciò spesso non troviamo un immediato collegamento tra l’azione dannosa e le sue conseguenze.
La nozione di danno ambientale nel diritto dell’Unione Europea è complementare a quella di danno, nel senso che la ingloba necessariamente e la circoscrive. In estrema sintesi, il danno ambientale è il danno alle specie e agli habitat naturali protetti, il danno alle acque e il danno al terreno.
Per determinare la rilevanza degli effetti negativi per le tre categorie di risorse naturali la definizione di «danno ambientale» si basa su un concetto di riferimento: per le specie e gli habitat naturali protetti, il concetto di riferimento è il loro stato di conservazione favorevole; per le acque è lo stato ecologico, chimico o quantitativo o il potenziale ecologico delle acque ai sensi della direttiva quadro Acque e lo stato ecologico delle acque marine ai sensi della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino, che hanno portate differenti; per quanto riguarda il terreno il concetto di riferimento è il rischio per la salute umana. Tali concetti di riferimento servono a fornire parametri e criteri sulla cui base è possibile esaminare la rilevanza degli effetti negativi.
La Commissione, infatti, spiega che un elemento cruciale nell’architettura della direttiva è la valutazione dell’entità del danno. Per questo motivo, è precisato più volte che gli effetti negativi devono essere significativi.
Nella pratica, questo si traduce nel considerare diversi elementi che concorrono a chiarire tale significatività. Per esempio, vi possono essere da un lato delle attività professionali pericolose in sé che presentano difficoltà per il loro normale funzionamento e dall’altro degli incidenti occasionali: le variabili da prendere in considerazione saranno diverse nei vari casi.
A seconda dell’entità e del fattore temporale, poi, bisognerà valutare la possibilità di attuare misure di prevenzione, di gestione immediata del danno e/o di riparazione.
Le tre categorie di danno ambientale
Passando alle tipologie di danno ambientale nel diritto dell’Unione Europea, la direttiva distingue:
- danno alle specie e agli habitat naturali protetti. La definizione è strettamente legata alle disposizioni della direttiva Uccelli (n. 79/409/CEE, poi sostituita dalla direttiva 2009/147/CE[4] del Parlamento europeo e del Consiglio) e della direttiva Habitat (Direttiva n. 92/43/CEE[5]), indicate congiuntamente come “direttive Natura”. Esse hanno molto in comune con la direttiva Responsabilità ambientale, infatti – come specificato nel considerando 5 della direttiva Responsabilità ambientale – quando un concetto è desunto da altra legislazione pertinente dell’Unione è opportuno utilizzare la stessa definizione, affinché possano essere applicati criteri comuni e possa essere incentivata un’applicazione omogenea della legislazione. Non mancano però le differenze, che le Linee guida vogliono evidenziare con particolare riguardo all’ambito di applicazione (materiale e geografico) delle specie e degli habitat naturali protetti contemplati, al concetto di riferimento per gli effetti negativi (e cioè, come visto, lo stato di conservazione favorevole), alla valutazione dell’entità e infine alle eventuali esclusioni;
- danno alle acque. In termini di ambito di applicazione materiale, il concetto di «danno alle acque» si riferisce a due categorie principali di acque: le acque interessate ai sensi della direttiva quadro Acque (n. 2000/60/CE[6]) e le acque marine che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino (n. 2008/56/CE[7]). Le Linee guida esaminano queste due categorie separatamente;
- la definizione di danno al terreno è più diretta rispetto alle due appena esaminate. Al contrario di queste ultime, essa non contiene riferimenti espliciti ad altra legislazione ambientale dell’Unione, nessun riferimento trasversale a ulteriori definizioni relative al suo ambito di applicazione e nessuna esclusione specifica ai sensi di altra legislazione. Vi sono pertanto meno elementi da tenere in considerazione ai fini di un’interpretazione comune, il che la rende più agevole. È interessante notare però che la definizione si limita al “rischio significativo di effetti negativi sulla salute umana”. La Commissione rileva inoltre che alcuni Stati membri applicano una definizione più ampia, che comprende ad esempio un rischio per l’ambiente o un rischio di violazione dei valori limite per taluni inquinanti. In tali casi, gli Stati membri interessati possono mantenere la loro legislazione sul terreno più rigorosa ma devono almeno soddisfare anche i requisiti della direttiva in riferimento al danno al terreno (è appena il caso di ricordare, infatti, che gli Stati membri godono di una certa flessibilità nella ricezione delle direttive nei loro diritti interni, purché raggiungano il risultato richiesto dalla disciplina europea).
Conclusioni
Dato che l’obiettivo delle Linee guida è quello di dare un’interpretazione comune della nozione di danno ambientale nel diritto dell’Unione Europea, la Commissione conclude con il ricordare l’importanza di una cooperazione efficace tra le agenzie competenti nei vari Stati membri, nonché tra le varie autorità interne di uno Stato, vista la complessità e l’interdisciplinarietà delle conoscenze necessarie per comprendere gli effetti negativi dei danni ambientali.
La Commissione invita inoltre all’apprendimento e all’utilizzo dei “materiali formativi”, cioè degli sviluppi in materia conseguenti alle pronunce della Corte di giustizia.
In conclusione, sarà il tempo a dirci se le Linee guida abbiano realmente raggiunto lo scopo di rendere più chiara la disciplina.
Informazioni
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32004L0035&from=en
http://www.dirittoconsenso.it/2020/11/12/la-tutela-internazionale-ambiente/
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52021XC0407(01)&from=IT
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32009L0147&from=IT
https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CONSLEG:1992L0043:20070101:IT:PDF
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:02000L0060-20141120&from=EN
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32008L0056&from=IT
[1] Per il testo in italiano della direttiva: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32004L0035&from=en.
[2] Per una panoramica sulla tutela internazionale in materia, si veda http://www.dirittoconsenso.it/2020/11/12/la-tutela-internazionale-ambiente/.
[3] Per il testo in italiano delle Linee guida: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52021XC0407(01)&from=IT.
[4] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32009L0147&from=IT.
[5] https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CONSLEG:1992L0043:20070101:IT:PDF.
[6] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:02000L0060-20141120&from=EN.
[7] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32008L0056&from=IT.