Green Deal europeo: per un'Europa sostenibile entro il 2050
Ecco i punti chiave della strategia europea per guidare la transizione ecologica: il nuovo Green Deal europeo
Verso una transizione ecologica: il Green Deal europeo
Nel mondo della sostenibilità, maggio e giugno sono mesi importanti per quanto riguarda ricorrenze e anniversari legati a tematiche ambientali. Tra i più conosciuti sicuramente ci sono:
- l’International Day for Biological Diversity (22 maggio);
- il World Environmental Day (5 giugno) e
- l’International Climate Change Day (21 giugno).
Durante queste giornate, le maggiori istituzioni legate all’ambiente e alla sostenibilità condividono articoli, video e infografiche che spiegano brevemente l’importanza della ricorrenza e del tema trattato. Tuttavia, spesso si potrebbe pensare che la condivisione d’informazioni, per quanto importante ed essenziale per sensibilizzare il pubblico, sia un po’ fine a sé stessa e che non contribuisca concretamente alla soluzione di problemi come la perdita di biodiversità o gli effetti devastanti del cambiamento climatico.
Di certo, diffondere conoscenza non basta. Per questo, negli anni, a livello istituzionale e governativo sono stati sviluppati piani e roadmap per portare a termine azioni concrete e raggiungere obiettivi specifici per mitigare il nostro impatto sul Pianeta e sugli ecosistemi. Un esempio molto noto è l’Agenda per il 2030 con i suoi 17 Sustainable Development Goals (SDGs)[1], obiettivi che trattano la sostenibilità a 360°, comprendendo, quindi, aspetti ambientali, sociali ed economici. Più recentemente, è stato lanciato il nuovo Green Deal europeo: la roadmap per rendere l’economia dell’Unione Europea totalmente sostenibile entro il 2050.
Una crescita a emissioni zero in trent’anni: la Legge per il Clima
I problemi legati al cambiamento climatico e all’impoverimento degli ecosistemi sono minacce concrete alla stabilità europea, non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale e strutturale. Per questo motivo, la Commissione Europea[2] ha deciso di iniziare un percorso ambizioso volto a trasformare l’Europa nel primo continente “climate-neutral”, ponendosi come obiettivi generali:
- L’eliminazione delle emissioni di gas serra entro il 2050;
- Una crescita economica che non sia più dipendente dall’uso sregolato delle risorse;
- Una crescita che sia uniforme sia nei territori che tra le persone.
Su questa base, il nuovo Green Deal europeo, annunciato a dicembre 2019, è tra le strategie adottate dall’Unione per raggiungere e superare gli obiettivi posti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. La volontà è, infatti, quella di creare una macroeconomia verde che sia in grado di trainare i Paesi verso uno sviluppo sostenibile, attuando una serie di politiche trasformative e innovative che possano riguardare tutti i settori economici e, al contempo, rafforzare e ripristinare gli ecosistemi naturali e migliorare la salute umana.
Punto chiave del Green Deal europeo è la Legge per il Clima, proposta dalla Commissione Europea il 4 marzo 2020, che pone come obiettivo giuridico vincolante l’eliminazione delle emissioni di gas serra entro trent’anni. La Legge è pensata per assicurare che le politiche dei Paesi Membri contribuiscano all’obiettivo comune di zero emissioni, coinvolgendo tutti i settori economici e sociali. La proposta di legge è stata concepita per promuovere e rispettare vari principi della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in particolare, quello espresso nell’articolo 37 di tutela dell’ambiente[3].
La Legge per il Clima non prevede vincoli nazionali in termini di azioni specifiche; tuttavia, le politiche dovranno rientrare in tre categorie principali:
- taglio delle emissioni;
- investimenti in tecnologie green;
- protezione degli ecosistemi.
Inoltre, la Legge introduce misure per tracciare e valutare i progressi durante gli anni (si propone di rivedere i progressi ogni cinque anni) e adeguare le azioni degli Stati Membri sulla base dei loro miglioramenti. Il monitoraggio avverrà tramite un sistema di rendicontazione basato su report emessi dai Ministeri Ambientali nazionali, su studi condotti dall’Agenzia dell’Ambiente Europea (AEA)[4] e su evidenze scientifiche rilevanti rispetto agli impatti delle politiche adottate.
Uno strumento di coinvolgimento dei cittadini e delle comunità: il Patto Europeo per il Clima
Altro importante elemento del Green Deal europeo è lo strumento di consultazione pubblica chiamato “European Climate Pact”. Visto l’ambizioso obiettivo di un continente a zero emissioni, il coinvolgimento di tutti gli stakeholder è essenziale poiché non solo i governi ma anche gli attori economici e la società giocano un ruolo essenziale nella realizzazione delle politiche comunitarie. A questo proposito, il Patto è uno strumento d’informazione e raccolta d’idee rivolto a singoli cittadini, associazioni, imprese, organizzazioni e autorità locali e regionali[5].
Non solo, il Patto è anche pensato per essere un mezzo di diffusione di azioni concrete e basilari che ognuno, nel suo piccolo, potrà adottare per contribuire allo scopo di zero emissioni. Dunque, la combinazione tra Legge per il Clima e Patto Europeo per il Clima rappresentano a pieno la volontà di unire approcci top-down e bottom-up per raggiungere l’obiettivo comune di salvaguardia ambientale e sviluppo sostenibile.
Il Green Deal europeo in 10 pilastri
Il piano strategico del Green Deal europeo si baserà su 10 pilastri fondamentali, di diversa natura, che definiscono il perimetro e lo scopo del Deal e che formano la struttura entro la quale le varie politiche nazionali dovranno svilupparsi.
- Essere all’altezza della sfida
- Spingere i fondi UE inutilizzati nei servizi pubblici
- Dare più potere ai cittadini e alle comunità
- Garantire lavori dignitosi
- Innalzare gli standard di vita
- Rafforzare l’uguaglianza
- Investire nel futuro
- Porre fine al dogma della crescita infinita
- Sostenere la giustizia ambientale in tutto il mondo
- Impegnarsi in azioni per l’ambiente oggi.
Tenendo, quindi, a mente la grande sfida del mantenere l’innalzamento delle temperature globali al limite del 1,5°C (oltre il quale il collasso degli ecosistemi diventa uno scenario quasi invitabile), il nuovo Green Deal europeo incoraggia il coinvolgimento del settore pubblico negli investimenti e dei cittadini come leader della transizione economica ed ecologia.
Il fine ultimo è quello di creare un modello di crescita sostenibile, che promuova la salvaguardia dei posti di lavoro, l’uguaglianza e la salute, sia umana che ambientale, in un’ottica di economia circolare e taglio delle emissioni.
Un piano di investimenti a lungo termine
La roadmap del Green Deal prevede vari step ambiziosi e ben programmati. Tuttavia, per assicurarsi il raggiungimento degli obiettivi e implementare le azioni corrette da qui al 2050, la Commissione Europea ha previsto una serie di ingenti finanziamenti – sia pubblici che privati: circa 100 miliardi di euro all’anno (anche se la cifra esatta sarà stabilita dal bilancio pluriennale 2021-2027).
Verrà, quindi, istituito il Fondo per una transizione giusta che servirà a finanziare iniziative sostenibili nelle aree più vulnerabili dell’Unione Europea. I soldi per il Fondo verranno da varie fonti: fondi strutturali europei, programmi di cofinanziamento degli Stati, prestiti della Banca Europea degli investimenti, dal fondo di investimenti privati InvestEU.
Sicuramente il rallentamento economico, dovuto alla pandemia, avrà delle conseguenze sulla tabella di marcia fissata dal Green Deal europeo; soprattutto, rallenterà la definizione del budget e delle regole per accedere ai finanziamenti necessari per raggiungere gli obiettivi. Tuttavia, la strategia per la transizione economica e industriale in ottica sostenibile non è basata solo sui finanziamenti ma anche, e forse in primo luogo, su un cambiamento di mentalità diffuso, capace di mettere al primo posto la volontà di salvaguardare gli ecosistemi e combattere il cambiamento climatico.
Informazioni
A European Green Deal: Striving to be the first climate-neutal continent https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_en
EU Climate Action and the European Green Dealhttps://ec.europa.eu/clima/policies/eu-climate-action_en
Adler David, Wargan Pawel, GDN for Europe, 10 pilastri del Green New Deal https://static1.squarespace.com/static/5cb636ea93a63267f424e168/t/5d0808e11a38890001506db8/1560807651527/GNDE+-+10+pilastri+del+Green+New+Deal+per+l%E2%80%99Europa+.pdf
European Climate Pact https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/12219-European-Climate-Pact/public-consultation
Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, 2012/C 326/02, Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, 26.10.2012 https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:12012P/TXT&from=EN
Proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio, 2020/0036 (COD), Bruxelles, 4.3.2020, Legge europea sul clima, Commissione Europea https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52020PC0080&from=EN
Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, COM(2019) 640 final, Bruxelles 11.12.2019, Il Green Deal europeo, Commissione Europea https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:b828d165-1c22-11ea-8c1f-01aa75ed71a1.0006.02/DOC_1&format=PDF
Misculin Luca, Il Post, Il Green Deal europeo, spiegato bene. Cosa prevede il complesso piano della Commissione Europea per combattere il cambiamento climatico e, a lungo termine, salvare la Terra. 2.02.2020
[1] Per maggiori informazioni sull’Agenda 2030: https://unric.org/it/agenda-2030/
[2] Quali sono le funzioni della Commissione Europea? E quali sono le sfide che la Commissione attuale si trova ad affrontare? http://www.dirittoconsenso.it/2019/09/24/la-commissione-europea-che-verra/
[3] Art. 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: Tutela dell’ambiente. Un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile.
[4] https://europa.eu/european-union/about-eu/agencies/eea_it#:~:text=L’Agenzia%20europea%20dell’ambiente,attendibili%20e%20indipendenti%20sull’ambiente.
[5] Per maggiori informazioni sulla consultazione (conclusa il 17 giugno 2020): https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/12219-European-Climate-Pact/public-consultation
Il diritto al cibo
Affermato dalle Nazioni Unite e riconosciuto in numerosi Trattati e Costituzioni, il diritto al cibo fa parte dei diritti umani fondamentali. La tutela di questo diritto è un punto chiave nel dibattito internazionale odierno poiché è minacciato da sfide globali attuali come cambiamento climatico e aumento demografico senza precedenti
Introduzione
Il diritto al cibo è un diritto umano universale, riconosciuto a livello internazionale, nazionale e regionale, esso si garantisce ad ogni individuo senza discriminazioni né limiti. Secondo Jean Zielger, Relatore Speciale alle Nazioni Unite per il Diritto al Cibo, il diritto al cibo è definito come il diritto ad avere un accesso regolare, permanente e libero al cibo, di qualità e in quantità adeguata, che rispetti le tradizioni e la cultura d’appartenenza del consumatore, e in grado di assicurare salute fisica e mentale agli individui e alla collettività.
La formalizzazione giuridico-istituzionale di questo diritto trova le sue origini dopo il secondo conflitto mondiale, ma gli strumenti applicativi ad oggi sono vari e coinvolgono realtà internazionali, nazionali e locali.
Negli ultimi anni il diritto al cibo ha acquisito un’importanza sempre maggiore, dovuta a vari elementi che caratterizzano la realtà globale odierna come:
- l’aumento demografico, soprattutto nei Paesi del Sud Globale;
- la volatilità dei prezzi degli alimenti e le crisi finanziarie e alimentari, in particolare, la crisi del 2007-2008;
- il cambiamento climatico che minaccia la produttività agricola di molti paesi.
Inoltre, oggi nel mondo si contano 815 milioni di persone denutrite (l’11% della popolazione mondiale) e questo numero è tornato ad aumentare dopo decenni di costante diminuzione.
Problemi globali, come quelli elencati, richiedono una cooperazione a livello internazionale (anche attraverso gli Obiettivi ONU per lo sviluppo sostenibile elencati nell’Agenda 2030) ma non prescindono dalle azioni a livello nazionale e locale. In questo senso, il diritto al cibo viene concretizzato e attuato anche attraverso politiche urbane e locali che vanno a completare Costituzioni e Trattati Internazionali.
Il diritto al cibo nel diritto internazionale
Il diritto al cibo è stato sancito per la prima volta nel 1948 all’interno dell’Articolo 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, dove si esplicita il diritto di ogni individuo ad avere un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della propria famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione. Nel 1966 la Convenzione (o Patto) Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (ICESCR), entrata in vigore nel 1976, riconosce, all’Articolo 11, il diritto di ognuno ad uno stile di vita adeguato che includa un adeguato accesso al cibo e il diritto fondamentale ad essere libero dalla fame. Ad oggi, 169 Paesi hanno ratificato la Convenzione, impegnandosi a intraprendere percorsi che ne facilitino l’attuazione e assicurino la tutela dei diritti per ogni individuo.
Infatti, i Paesi sono tenuti ad adottare, individualmente e/o attraverso la cooperazione internazionale, tutte le misure concrete e necessarie per migliorare i metodi di produzione, conservazione e distribuzione delle derrate alimentari, per sviluppare e riformare i regimi agrari secondo le nuove conoscenze e tecnologie (migliorando anche l’uso delle risorse naturali), e per assicurare un’equa distribuzione delle risorse alimentari mondiali in relazione ai bisogni dei singoli Paesi, sia importatori che esportatori.
Inoltre, i Paesi che hanno ratificato la Convenzione e che, quindi, hanno riconosciuto il diritto al cibo (tra gli altri) come diritto fondamentale universale, si impegnano a rispettare tre sotto-obbligazioni:
- L’obbligo di rispettare il diritto al cibo, ovvero di non interferire con il godimento del diritto, né direttamente né indirettamente;
- L’obbligo di proteggere il diritto al cibo, ovvero assicurare che imprese, gruppi di individui o altre entità non deprivino gli individui dell’adeguato accesso al cibo;
- L’obbligo di realizzare il diritto al cibo, ovvero facilitare il godimento del diritto in maniera proattiva, usando risorse nazionali e internazionali.
In tutte le definizioni del diritto al cibo, presenti nel diritto internazionale[1],si parla diritto a cibo adeguato. Questo implica due principali caratteristiche: disponibilità e accessibilità.
Il cibo è definito disponibile se è presente in quantità e qualità sufficienti a soddisfare il fabbisogno alimentare degli individui. La disponibilità quantitativa indica la possibilità di disporre di cibo sufficiente per magiare in modo durevole e sostenibile. Questo si può ottenere garantendo o l’accesso diretto dei contadini alla terra, o tramite un sistema di distribuzione equo che porti l’alimento dal produttore al consumatore. La disponibilità qualitativa, invece, fa riferimento alla qualità idonea per soddisfare i bisogni alimentari individuali. Il cibo deve quindi essere privo di sostanze nocive e contenere le proprietà organolettiche che lo rendono nutriente e sano (l’alimento deve contenere tutti i micronutrienti necessari per lo sviluppo psico-fisico dell’individuo), nonché gradevole da consumare.
Per quanto riguarda l’accessibilità, questa deve essere sia fisica sia economica. L’accessibilità economica implica che i costi legati all’acquisizione del cibo siano tali da permettere all’individuo, o ai nuclei familiari, di poter soddisfare anche altri bisogni fondamentali, quali istruzione, abitazione e salute. Dunque, l’accesso al cibo adeguato non deve compromettere il godimento di altri diritti umani. Il cibo deve essere accessibile anche fisicamente per tutti; ciò significa che sono compresi anche i soggetti fisicamente vulnerabili come neonati, bambini piccoli, anziani, persone con disabilità, malati terminali o cronici, vittime di disastri (naturali o antropici), o popolazioni indigene che rischiano di perdere l’accesso ai propri territori.
Va infine ricordato che il cibo deve essere anche culturalmente accettato; ovvero, si deve tener conto, per quanto possibile, dei valori soggettivi, culturali e/o religiosi dei popoli o degli individui.
Implicazioni del diritto al cibo
Il diritto al cibo sottintende una serie di altri concetti giuridici importanti: la sovranità alimentare e la sicurezza alimentare (in inglese food security).
La sovranità alimentare è intesa come il diritto dei popoli a definire i propri sistemi agricoli e il proprio cibo secondo metodi sostenibili e culturalmente appropriati. Il concetto di sovranità alimentare nasce alla fine del World Food Summit (WFS) del 1996 e si basa sul riconoscimento del diritto al cibo per tutti gli individui, ma valorizza i sistemi di produzione sostenibili e localizzati in modo da accorciare la distanza tra produttore e consumatore. L’idea di localizzazione implica che i produttori locali siano in grado di avere il controllo del proprio territorio, applicando le nuove tecnologie unitamente al sapere tradizionale in modo da aumentare la resilienza dei piccoli produttori di fronte alle crisi climatiche e finanziarie (come la crisi alimentare e finanziaria del 2007-2008).
Per quanto riguarda la sicurezza alimentare, la definizione istituzionale maggiormente condivisa riprende i principi del diritto al cibo. Infatti, la sicurezza alimentare esiste quando tutti gli individui, in ogni momento, hanno accesso sia fisico che economico ad una quantità sufficiente di cibo sicuro e nutriente, in modo da incontrare le loro necessità e preferenze alimentari per una vita sana e attiva[2]. Questo concetto è utile al fine di identificare i casi in cui ci sia insicurezza alimentare dovuta a povertà e condizioni socio-economiche sfavorevoli, instabilità politica, condizioni climatiche, e fattori macroeconomici. La FAO (Food and Agriculture Organization) ha identificato diversi livelli di insicurezza alimentare, divisibili in base alla durata del fenomeno (insicurezza cronica, transitoria o stagionale) e in base alla severità (malnutrizione o fame)[3].
Il diritto al cibo nel caso italiano
Sebbene il diritto al cibo sia stato formulato in primis a livello di diritto internazionale, ogni Stato ha un margine di discrezione per implementarlo. Infatti, ad oggi, il diritto al cibo è cristallizzato in un centinaio di Costituzioni al mondo ma solo 24 di queste lo tutelano in modo diretto. Nel caso italiano, la Costituzione non protegge il diritto al cibo in modo esplicito ma lo fa indirettamente mediante l’adesione dell’Italia ai Trattati Internazionali che lo garantiscono (come quelli citati, in particolare la Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali).
Mancando, tuttavia, una tutela esplicita del diritto al cibo, il ruolo e la responsabilità dei governi e delle autorità locali diventano rilevanti nella promozione e creazione di sistemi alimentari equi e sostenibili che interessino sia il contesto rurale che quello urbano.
Per esempio, il Milan Urban Food Policy Pact (MUFPP)[4] ha dato il via a un movimento di riscoperta del ruolo delle Città nel raggiungimento degli Obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, con particolare attenzione agli obiettivi 2 “Lotta alla fame” e 11 “Città e comunità sostenibili”. Il MUFPP, infatti, rappresenta un network di 148 città in tutto il mondo che si impegnano a garantire cibo sano e accessibile a tutti i loro cittadini, tenendo conto anche della necessità di preservare la biodiversità e lottare contro lo spreco alimentare.
Le politiche alimentari locali, sicuramente, sono avvantaggiate, sia a livello di comunicazione che di attuazione, dalla vicinanza ai soggetti interessati, ovvero i cittadini. In questo senso, dunque, le Food Policies cittadine diventano strumenti per applicare e concretizzare il diritto al cibo adeguato su un raggio d’azione geograficamente limitato ma specifico.
Conclusione
Sempre più Paesi stanno esplicitamente riconoscendo il diritto al cibo, intraprendendo azioni concrete per assicurarne il godimento da parte di ogni individuo. Le città hanno un ruolo importante nell’attuazione di politiche locali che regolino e trasformino i sistemi alimentari in sistemi più equi e sostenibili poiché hanno una posizione privilegiata dovuta alla vicinanza con i cittadini.
Come si è visto, il diritto al cibo racchiude in sé varie dimensioni: l’accessibilità, sia fisica che economica; la disponibilità, quantitativa e qualitativa; e culturalmente accettabile. È un diritto umano fondamentale e, pertanto, ogni individuo deve poterne godere.
Oggi questo diritto è minacciato dalla situazione socio-economica e climatica attuale; pertanto, la Comunità Internazionale si impegna a proteggere e tutelare il diritto al cibo adeguato, esortando anche le autorità locali e nazionali a perseguire il medesimo obiettivo.
Informazioni
Bottiglieri M., Il diritto al cibo in città. Senso e possibilità, in Journal of Universities and International Development Cooperation, N.1, 2017
Certomà C., Diritto al cibo, sicurezza alimentare e sovranità alimentare, in Rivista di diritto alimentare, Anno IV, N. 2, Aprile-Giugno 2010
De Schutter O., Special Rapporteur on the Right to Food, Mission to Canada Aide-mémoire, Maggio 2012
De Schutter O., The right to food, Discorso presso l’Accademia Politica di Scienze Sociali – Dottrina Cattolica sociale e dei diritti umani, Città del Vaticano, 2010
FAO, Achieving the right to food. The human rights challenge of the twenty-first century, Ottobre 2007
Godrillo G., Obed Mendez J., FAO, Food security and sovereignity, 2013
Golay C., Ozden M., The right to food, Settembre 2013
[1] Si vedano anche l’Articolo 12.1 della Convenzione sull’Eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione verso le Donne (1979); gli Articoli 24.2.c e 27.3 della Convenzione sui Diritti del Fanciullo (1989); gli Articoli 25.f e 28.1 della Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità (2006)
[2] World Food Summit Plan of Action (1996), Paragrafo 1.
[3] Per informazioni più dettagliate sugli indici FAO: http://www.fao.org/3/i0275e/i0275e.pdf
[4] Per informazioni più dettagliate: http://www.comune.milano.it/wps/portal/ist/it/amministrazione/internazionali/urban_food_policy_pact_sa
http://www.milanurbanfoodpolicypact.org/. Dirittoconsenso ha anche parlato degli alimenti del futuro: gli insetti. Link: http://www.dirittoconsenso.it/2020/03/06/insetti-cibo-normativa/