Mediazione penale minorile

La mediazione penale minorile

In che cosa consiste la mediazione penale minorile e come viene attuata in Italia? Dalle fonti internazionali alle prassi operative nel nostro sistema di giustizia minorile

 

La mediazione penale minorile e il concetto di “child friendly justice

La giustizia minorile è un settore molto specifico nell’ambito della protezione dei minori. La peculiarità relativa ai minori autori di reato si sostanzia nel trattamento multidisciplinare e diversificato nei processi penali, diverso da quello riservato ad imputati adulti, a causa della loro vulnerabilità, essendo ancora in un momento formativo del loro sviluppo psico-fisico e identitario, come conferma l’art. 2 delle Regole di Pechino[1]:

“A juvenile is a child or young person who, under the respective legal systems, may be dealt with for an offence in a manner which is different from an adult.”


Questa riflessione sul paradigma della giustizia riparativa si inserisce bene all’interno della  Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, soprattutto in merito a quali programmi di giustizia riparativa possono essere utilizzati nei procedimenti penali che hanno coinvolto minorenni come autori di reato e vittime come attuazione dei diritti del bambino ad avere una giustizia a misura di minore (child friendly justice approach), in cui  i medesimi hanno il diritto di essere ascoltati e di partecipare attivamente.

A tal proposito preme precisare che i sistemi di giustizia minorile devono concentrarsi non solo sulla natura del reato commesso, ma anche sulle cause profonde del fatto criminoso, le singole circostanze del minore coinvolto e sui minori in qualità di vittime e testimoni.

 

La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e gli articoli 3 e 39

Riferendosi al concetto di giustizia a misura di minore, lo strumento principale dal quale partire è la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo (CRC), dove all’art. 3, è spiegato il superiore interesse del minore, che dovrebbe prevalere in tutte le decisioni riguardanti bambini:

In all actions concerning children, whether undertaken by public or private social welfare institutions, courts of law, administrative authorities or legislative bodies, the best interests of the child shall be a primary consideration […][2].

 

Tuttavia il testo della CRC[3] non menziona espressamente il sistema di “giustizia riparativa”, ma esprime il diritto del minore ad avere una giustizia a misura di minore, con un focus sulla responsabilizzazione del minore rispetto al crimine commesso e la sua reintegrazione all’interno della società.

La CRC ha come obiettivo la tutela dei diritti dei minori che entrano in conflitto con il sistema giudiziario, attraverso alcuni principi cardine:

  • il trattamento penale deve mirare alla rieducazione e al reinserimento sociale dei i minorenni autori di reato,
  • l’obbligo degli Stati firmatari di fissare un’età attribuibile al di sotto della quale nessun minore può essere condannato,
  • l’uso di misure alternative alla detenzione,
  • l’obbligo di proteggere i minori nei procedimenti penali e di disporre come misura ultima nei casi in cui non sia possibile adottare misure diverse la detenzione in istituti di pena.

 

Tuttavia la svolta è rappresentata dall’art. 39 della CRC, in cui si menziona la protezione dei minori vittime, attraverso l’assistenza, compreso l’aiuto alle vittime e sopravvissute a violenze, violenze sessuali, abbandono, sfruttamento di ogni genere, abusi, torture, armi conflitto e tratta:

States Parties shall take all appropriate measures to promote physical and psychological recovery and social reintegration of a child victim of: any form of neglect, exploitation, or abuse; torture or any other form of cruel, inhuman or degrading treatment or punishment; or armed conflicts. Such recovery and reintegration shall take place in an environment which fosters the health, self-respect and dignity of the child.

 

Questa peculiarità è legata al paradigma della giustizia Riparativa perché l’articolo stabilisce l’importanza del reinserimento sociale, del recupero e della dignità sociale, ed è questo che la Giustizia Riparativa sta cercando di creare e promuovere concretamente, attraverso la mediazione e altri strumenti ad essa connessi.

 

Quali sono le porte di ingresso normative della mediazione penale nel processo penale minorile?

Nonostante a livello nazionale manchi una norma definitoria che stabilisca le porte di ingresso della mediazione o di altri strumenti della giustizia riparativa, in termini di prassi i diversi tribunali nazionali con l’ausilio dei Centri di Giustizia riparativa sparsi sul territorio nazionale hanno permesso la sperimentazione e l’ingresso di tale rito speciale.

La disposizione di una normativa ad hoc diviene tanto più importante oggi, a seguito della recente approvazione dell’ordinamento penitenziario minorile[4]. Seppur specificamente in relazione alla fase esecutiva, vi è infatti contenuto, all’art. 1, il primo riferimento in una fonte legislativa interna alla giustizia riparativa:

“L’esecuzione della pena detentiva e delle misure penali di comunità deve favorire percorsi di giustizia riparativa e di mediazione con le vittime di reato. Tende altresì a favorire la responsabilizzazione, l’educazione e il pieno sviluppo psico-fisico del minorenne, la preparazione alla vita libera, l’inclusione sociale e a prevenire la commissione di ulteriori reati, anche mediante il ricorso ai percorsi di istruzione, di formazione professionale, di istruzione e formazione professionale, di educazione alla cittadinanza attiva e responsabile, e ad attività di utilità sociale, culturali, sportive e di tempo libero.”.

 

Tale riferimento, tuttavia, rischia di rimanere ambiguo quanto al suo significato, non fornendo le indicazioni operative necessarie allo svolgimento dei programmi di giustizia riparativa.

Tuttavia in termini di prassi consolidate, sono varie e diverse tra loro le interazioni tra giustizia riparativa e procedimento penale minorile, riguardanti da un lato le modalità con cui la giustizia riparativa trova ingresso nel procedimento giudiziario, dall’altro la successiva incidenza su di esso.

La via di accesso per eccellenza è sempre stata l’art. 28 d.P.R. 448/1988, che prevede la possibilità, per il giudice minorile, di sospendere con ordinanza il processo penale per valutare la personalità del minorenne all’esito di un percorso di messa alla prova. L’imputato viene affidato ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno.

La normativa dell’art. 28 presenta il vantaggio di permettere l’accesso a percorsi di giustizia riparativa senza particolari limitazioni oggettive, anche per reati gravi, ma presenta il limite della collocazione in una fase avanzata del processo, mai anteriore all’udienza preliminare. A tal proposito si è ricorsi all’art. 9 d.P.R. 448/1988, dalla portata particolarmente trasversale. Infatti si è ritenuto che nel processo informativo e valutativo della personalità del minorenne imputato, affidato al servizio sociale minorile, ben potesse essere ricompreso anche il percorso di giustizia riparativa, quale ulteriore elemento di valutazione.

L’ampiezza della norma contenuta nell’art. 9 ha permesso l’utilizzo della disposizione quale veicolo normativo privilegiato anche in fasi successive alle indagini preliminari.

In questa ottica, l’art. 9 è divenuto uno strumento prezioso per l’innesto della mediazione in fase di dibattimento. Analogamente, si ricorre all’art. 9 per l’invio alla mediazione in quei contesti territoriali nei quali si ritiene di tenere fuori quest’ultima dai progetti di messa alla prova, pur collocandosi nel medesimo frangente temporale.

Una modalità ulteriore di ingresso della giustizia riparativa, sperimentata in diversi distretti giudiziari, è correlata alla normativa dettata per gli imputati minorenni, ovvero che non abbiano superato i quattordici anni di età e che dunque risultino non imputabili.

Si registra, infatti, un disagio notevole da parte dei professionisti della giustizia minorile per non disporre di strumenti alternativi adeguati ad offrire una risposta educativamente proficua in tali situazioni.

Nel caso in cui il percorso di giustizia riparativa sia portato a termine, sono molteplici le soluzioni individuate in via di prassi affinché la ricomposizione del conflitto si riverberi sulla definizione del procedimento penale.

Nel caso di mediazione incardinata o comunque collegata ad un percorso di messa alla prova, essa potrà influire sulla valutazione positiva della prova ai fini dell’estinzione del reato (art. 29 d.P.R. 448/1988).

Se invece la mediazione o altro percorso di giustizia riparativa sono stati svolti sulla base dell’art. 9 d.P.R. 448/1988, le strade sperimentate per consacrare l’esito nel procedimento sono plurime: la più diffusa è stata individuata nell’art. 27 d.P.R. 448/1988, che sancisce la possibilità di emettere una sentenza di non procedibilità per irrilevanza del fatto. Si ritiene in tali casi che un fatto, pur non irrilevante in sé, possa essere considerato tale a seguito di un cammino relazionale che conduca le parti a riconoscersi quali membri di una medesima comunità e a condividere la valenza delle sue regole fondamentali.

 

Conclusioni

La mediazione può offrire un ambiente in cui i minori vittime, partecipano attivamente a un processo che soddisfi il loro bisogno di avere una risposta su ciò che hanno subito, ma allo stesso tempo rappresenta l’opportunità per il reo di passare da una responsabilità oggettiva verso qualcosa (il reato) a una responsabilità soggettiva ovvero verso qualcuno (vittima/comunità) attraverso l’incontro con l’altro.

Qualsiasi modello europeo di giustizia riparativa deve dimostrare che è concepito e realizzato nell’interesse superiore del minore, che facilita il diritto del minore di essere ascoltato e che adotta tutte le misure necessarie per proteggere il minore da una vittimizzazione secondaria.

Informazioni

Raccomandazione del Consiglio d’Europa n. 19/99 (https://rm.coe.int/168091ebf7 )

D. lgs. 2 ottobre 2018, n. 121 (https://www.giustizia.it/resources/cms/documents/linee_indirizzo_esecuzione_pene_minori_15gen2020.pdf )

Codice processo penale minorile – D.P.R. 448/1988 “Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”.

Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dalle Nazioni Unite (ONU) nel 1989 a New York (https://www.ohchr.org/en/professionalinterest/pages/crc.aspx )

Il processo penale minorile. Con formulario e Giurisprudenza” a cura di Armando Macrillò, Fulvio Filocamo, Guido Mussini, Debora Tripiccione, Maggioli Editore, III Ed.,2017

http://www.dirittoconsenso.it/2021/05/19/ordinamento-penitenziario-minorile/

http://www.dirittoconsenso.it/2020/03/11/irrilevanza-del-fatto/

[1] Regole minime standard delle Nazioni Unite per l’amministrazione della giustizia minorile (“The Beijing Rules”) adottate con risoluzione dell’Assemblea generale 40/33 del 29 novembre 1985

[2] Art. 3, Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia. “States Parties undertake to ensure the child such protection and care as is necessary for his or her well-being, taking into account the rights and duties of his or her parents, legal guardians, or other individuals legally responsible for him or her, and, to this end, shall take all appropriate legislative and administrative measures. States Parties undertake to ensure the child such protection and care as is necessary for his or her well-being, taking into account the rights and duties of his or her parents, legal guardians, or other individuals legally responsible for him or her, and, to this end, shall take all appropriate legislative and administrative measures.

States Parties shall ensure that the institutions, services and facilities responsible for the care or protection of children shall conform with the standards established by competent authorities, particularly in the areas of safety, health, in the number and suitability of their staff, as well as competent supervision.”

[3] Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dalle Nazioni Unite (ONU) nel 1989 a New York.

[4] d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 121


Giustizia riparativa

La giustizia riparativa: un nuovo paradigma di giustizia

Cosa significa Giustizia Riparativa? Un approfondimento delle fonti normative e delle modalità di utilizzo del suo strumento principe

 

Le fonti di diritto internazionale della Giustizia Riparativa, quali sono i suoi strumenti e come avviene il procedimento di mediazione

Tra le principali norme sovranazionali che si riferiscono alla giustizia riparativa vi sono:

  • La Raccomandazione R (85) 11[1];
  • la Raccomandazione del Consiglio d’Europa n. 19/99, che definisce lo strumento della mediazione penale;[2]
  • La Raccomandazione R (2006) 2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee al paragrafo 103 n. 7 prevede che “I detenuti che lo desiderano possono partecipare a programmi di giustizia riparativa e riparare le infrazioni commesse”;[3]
  • Dichiarazione di Vienna su criminalità e giustizia[4];
  • Direttiva europea 29 del 2012[5].

 

Dal punto di vista normativo la giustizia riparativa è definita pertanto da norme di carattere internazionale, quale la Direttiva UE n. 29/2012, che la definisce come:

“Qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale”.

 

Questa definizione è frutto dei Basic Principles on the use of restorative justice – ONU 2000-2002, che definiva tale paradigma di Giustizia come:

“il procedimento in cui la vittima, il reo e/i altri soggetti o membri della comunità lesi da un reato partecipano attivamente insieme alla risoluzione della questione emersa dell’illecito, spesso con l’aiuto di un terzo equo e imparziale”.

 

Il reato, nella sua nuova accezione, è inteso quindi come conflitto tra esseri umani. È una lesione altrui e l’obiettivo è quello di porre rimedio a tale lesione, attraverso la partecipazione attiva dei soggetti coinvolti alla commissione del delitto. La caratteristica pregnante è quella di passare dalla responsabilità oggettiva verso qualcosa, alla responsabilità soggettiva verso qualcuno, l’Altro.

 

I diversi strumenti della giustizia riparativa

Numerosi sono anche i diversi strumenti di cui la giustizia riparativa si serve:

  • Mediazione reo-vittima;
  • Mediazione con vittima a-specifica (in alcuni reati l’individuazione della vittima non è immediata o non è possibile pertanto la mediazione può essere effettuata con un’altra vittima che abbia subito un reato analogo sempre sulla base del principio di volontarietà);
  • Community/Family Group Conferencing (mediazione allargata a gruppi parentali);
  • scuse formali attraverso lo strumento della lettera (apology)
  • community restorative board (dove gruppi di cittadini incontrano l’autore del fatto per predisporre un percorso riparativo);
  • community sentencing/peacemaking circles (la comunità viene coinvolta nel predisporre un programma sanzionatorio corrispondente agli interessi di tutti i soggetti coinvolti);
  • community/neighbourhood/victim impact statements (una modalità che viene utilizzata soprattutto nei reati senza vittima individuata per sottolineare le conseguenze sociali del crimine);
  • victim/community impact (scambi comunicativi di piccoli gruppi di vittime e di autori);

 

Lo strumento principe della Giustizia Riparativa è la mediazione. Questa è definita dalla Raccomandazione 19 (1999) del Consiglio d’Europa come:

il procedimento che permette alla vittima e al reo di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente, alla risoluzione delle difficoltà derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo indipendente“.

 

Tale terzo indipendente è stato individuato nella figura del mediatore, il quale facilita il confronto tra le parti.

 

Le caratteristiche e le funzioni del mediatore e i principi della mediazione

Il mediatore è una figura terza, imparziale, equiprossima alle parti. Il linguaggio usato dal mediatore deve tendere al riconoscimento delle emozioni del conflitto per mirare al raggiungimento di una possibilità di riparazione.

Il mediatore differisce dalla tradizionale figura del giudice per la sua equiprossimità. Questo neologismo (equiprossimo) significa che occorre una uguale vicinanza a entrambe le parti in conflitto per avviare in loro un processo di responsabilizzazione e riconoscimento di quanto accaduto.

La mediazione non è uno strumento obbligatorio ma si basa sul principio della volontarietà, ovvero sono le parti a scegliere quando e se entrare in mediazione.

Altri principi dello strumento mediativo sono la confidenzialità e il non giudizio:

  • La confidenzialità implica che le questioni emerse durante la mediazione non vengono riportate all’esterno da parte del mediatore e nemmeno quanto detto nei colloqui preliminari dalle singole parti verrà riferito ad entrambe durante il procedimento di mediazione.
  • Il principio del non giudizio prevede che il ruolo dei mediatori esuli da quello dell’organo giudicante, dal creare un nuovo processo o dall’emettere sentenze, né sul piano relazione di dare consigli o di interpretare le questioni emerse ma di ascoltare in maniera attiva/riflessiva per rimandare i sentiti e le questioni emerse alle parti. I mediatori hanno il ruolo di facilitare la comunicazione che si è interrotta, prima portando le parti ad un riconoscimento delle proprie emozioni e di quelle dell’altro, poi dei valori, fino ad arrivare, se ci sono le condizioni, ad un atto di riparazione.

 

La mediazione reo/vittima avviene in un incontro congiunto delle parti con tre mediatori (possibilmente due dei quali non devono aver incontrato le parti nei colloqui preliminari). Dopo una premessa in cui i mediatori spiegano come si svolgerà la mediazione, le due parti iniziano a raccontare il loro punto di vista, senza interagire e senza interrompersi. Successivamente uno dei mediatori sintetizza e rimanda quanto riportato da entrambe e le parti possono iniziare ad interagire.

L’esito della mediazione viene valutato dai mediatori secondo la presenza o meno di alcuni indicatori “irrinunciabili” quali:

  • chiara percezione del mediatore che le parti hanno avuto la possibilità di esprimere a fondo i propri sentimenti;
  • chiara percezione del mediatore che le parti sono giunte a una diversa visione l’uno dell’altro, a un riconoscimento reciproco, a un rispetto della dignità dell’altro (non necessariamente a una riappacificazione);
  • chiara percezione del mediatore di un cambiamento fra le parti rispetto alle modalità di comunicazione;
  • raggiungimento di una riparazione simbolica o materiale.

 

Emerge il concetto di riparazione, sul quale è opportuno soffermarsi. A differenza infatti del concetto di riparazione che nella giustizia retributiva viene assimilato alla mera sanzione, al risarcimento del danno, ai lavori socialmente utili o alle restituzioni, l’obiettivo primario della riparazione nel paradigma della giustizia riparativa è quello di non confinare ad un ruolo marginale l’oggetto reale o simbolico dell’offesa, sia esso persona fisica, collettività, istituzioni o valori ideologici dell’ordinamento. Esulano infatti dalle forme di riparazione i cc.dd. lavori di pubblica utilità imposti al reo.

La riparazione che emerge dal procedimento mediativo è una riparazione voluta e concordata da entrambe le parti: vittima e reo partecipano attivamente (sempre su base volontaria) alla costruzione della riparazione, non subendo solamente una mera decisione passiva, seppur necessaria e imprescindibile quale proviene dalla sentenza.

 

Conclusioni

Il potenziale della giustizia riparativa è enorme in quanto essa non pone al centro l’autore di reato, ma la stessa vittima, la quale può partecipare attivamente. La giustizia riparativa coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di soluzioni agli effetti del conflitto, generato dal fatto delittuoso, allo scopo di promuovere la riparazione del danno, la riconciliazione tra le parti e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo, attraverso un riconoscimento reciproco che porta a ricucire il patto di cittadinanza che è stato frantumato dalla commissione del reato.

Una giustizia nuova e inclusiva che rinnova in partenza la risposta al crimine commesso, al vulnus creato nell’ordinamento giuridico.

Informazioni

Raccomandazione del Consiglio d’Europa n. 19/99 (https://rm.coe.int/168091ebf7 )

“Lo spirito della mediazione”, Jacqueline Morineau, Ed. Franco Angeli, 2004

Basic Principles on the use of restorative justice-ONU 2000-2002 (https://www.unodc.org/pdf/criminal_justice/Basic_Principles_on_the_use_of_Restorative_Justice_Programs_in_Criminal_Matters.pdf )

http://www.dirittoconsenso.it/2021/10/22/la-rieducazione-del-condannato/

[1] Raccomandazione R (85) 11, adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 28 giugno 1985.

[2] Raccomandazione del Consiglio d’Europa n. 19/99, adottata il 15/09/1999 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulla mediazione penale a Strasburgo.

[3] Art. 27, Raccomandazione R (2006) 2 “Con cui gli Stati membri si impegnano alla promozione del principio di legalità ed al potenziamento del sistema giustizia penale, nonché allo sviluppo ulteriore della cooperazione internazionale nella lotta alla criminalità transnazionale ed all’effettiva prevenzione della criminalità. Alcuni punti della dichiarazione trattano specificatamente la definizione di impegni verso l’introduzione di “adeguati programmi di assistenza alle vittime del crimine, a livello nazionale, regionale, ed internazionale, quali meccanismi per la mediazione e la giustizia riparatrice” individuando nel 2002 il “termine ultimo per gli Stati per rivedere le proprie pertinenti procedure, al fine di sviluppare ulteriori servizi di sostegno alle vittime e campagne di sensibilizzazione sui diritti delle vittime, e prendere in considerazione l’istituzione di fondi per le vittime, oltre allo sviluppo e all’attuazione di politiche per la protezione dei testimoni”

[4] Dichiarazione di Vienna su criminalità e giustizia, adottata nel X Congresso delle Nazioni Unite sulla Prevenzione del Crimine e il trattamento dei detenuti, Vienna 10-17 aprile 2000

[5] Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI.


Principi del processo penale minorile

I principi del processo penale minorile

Un’analisi dei principi del processo penale minorile: le principali fonti internazionali e il loro recepimento nella normativa nazionale

 

I principi del processo penale minorile: la Convention on the Rights of the Child

Un grande contributo per lo sviluppo di un processo penale a misura di minore è stato dato dalle fonti legislative europee e internazionali. Infatti l’assetto normativo di un processo penale a carico di imputati minorenni è volto all’affermazione di un sistema sanzionatorio e processuale differenziato, responsabilizzante ed educativo.

Lo strumento giuridico vincolante rivoluzionario per eccellenza in tema di diritti dei minori è sicuramente la Convention on the Rights of the Child[1] (da adesso, CRC), che  ha investito anche l’ambito del diritto penale minorile con alcuni principi cardine che si ritrovano nelle precedenti e successive fonti europee e nazionali:

  • il trattamento penale deve tendere alla rieducazione e al reinserimento sociale dei minori autori di reato,
  • l’obbligo degli Stati firmatari a fissare un’età imputabile al di sotto della quale nessun minore può essere condannato,
  • il ricorso alle misure alternative alla carcerazione/detenzione,
  • l’obbligo di tutela dei minori nel procedimento penale e la loro entrata nel circuito penale come ultima scelta.

 

Tali principi si riscontrano negli artt. 37, 39 e 40 della CRC, i quali promuovono un approccio orientato ad una child-friendly justice”.

Analizzando nello specifico tali principi, l’art. 37[2] investe l’ambito penale minorile esprimendo non solo il divieto di sottoporre i minori a tortura o altri trattamenti inumani e degradanti, compresi la pena capitale o l’ergastolo senza possibilità di rilascio, ma anche il diritto del minore ad avere un equo processo, permettendogli un’adeguata assistenza in giudizio, nonché il diritto alla contestazione della privazione della propria libertà dinanzi a un tribunale o altra autorità competente, indipendente e imparziale, e ad una pronta/veloce decisione in merito, evitando lungaggini processuali.

Tali misure devono essere inserite all’interno del contesto politico-legislativo di ciascuno Stato firmatario della Convenzione, come espresso dall’art. 40[3] CRC, secondo cui gli Stati firmatari devono promuovere il senso di dignità e valore del minore, tenendo in considerazione l’età imputabile e la promozione del reinserimento del minore con un ruolo costruttivo all’interno della società. Tutto questo è reso possibile se si garantisce la messa in atto di programmi di istruzione e formazione professionale e altre alternative alla detenzione. Un’attenzione nuova è data anche alla figura della vittima di minore età, dove all’art 39[4] della suddetta Convenzione, in cui si menziona la protezione dei minori vittime violenze sessuali, abbandono, sfruttamento di ogni genere, abusi, torture, armi conflitto e tratta attraverso l’assistenza che deve avvenire in un ambiente che favorisca la salute, il rispetto di sé e la dignità del bambino.

 

Altre fonti di diritto internazionale

Precursori di tali principi sono altri due documenti internazionali importanti, rispettivamente:

  1. le Regole Minime per l’amministrazione della giustizia minorile (c.d. Regole di Pechino) del 1985 e
  2. la Raccomandazione del Consiglio d’Europa n. 20 del 1987.

 

In particolare le Regole di Pechino si avvicinano maggiormente all’affermazione dei principi poi ritrovati nella CRC e recepiti dal nostro ordinamento. Infatti stabiliscono la differenziazione della regolamentazione processuale e sanzionatoria tra adulti e minorenni (art.2), i quali sono penalmente responsabili solo se hanno superato la soglia minima di quattordici anni (art.4), la specializzazione degli organi minorili (art. 5-6), il diritto di difesa e di assistenza affettiva e psicologica, nonché la presunzione d’innocenza e il diritto al silenzio (art.7), la residualità della carcerazione (art.11).

Principi, questi, ripresi a livello europeo dalla Raccomandazione citata sopra con un particolare focus riguardo l’uscita del minorenne dal circuito giudiziario mediante misure alternative e di ricomposizione del conflitto da parte dell’organo che esercita l’azione penale.

In tal senso è stata recepita a livello nazionale nel Codice del processo penale minorile (Dpr 448/1988), la considerazione della pena detentiva nei confronti del minore come ultima scelta e applicabile per la più breve durata possibile. Se il ricorso alla detenzione è necessario, lo stesso Codice, in ossequio all’art.37 CRC, prevede che ogni minore detenuto sia trattato con umanità e con il rispetto dovuto alla dignità della persona umana e in maniera da tenere in considerazione le esigenze delle persone della sua età.

 

Il recepimento dei principi internazionali nel codice del processo penale minorile italiano (D.p.r. 448/1988)

I suddetti principi internazionali sono stati recepiti ufficialmente con l’introduzione del Codice del processo penale minorile ovvero del D.p.r 448/1988, un corpus normativo fondamentale per la costruzione di un processo a misura di minore.

Specificatamente, l’articolo 1 c.p.p. min[5] esprime fin dal primo comma i due principi cardine attorno ai quali verte il sistema di giustizia minorile:

  • Il principio di sussidiarietà, in base al quale laddove l’Istituto processuale non trovi regolamentazione specifica in tali disposizioni normative c.d sussidiarietà fisica, si osserveranno le disposizioni contenute nel DPR 447/1988;
  • Il principio di adeguatezza applicativa, detto anche da parte di alcuna dottrina sussidiarietà logica, per cui l’interprete (ovvero il giudice) è tenuto ad un’opera di adattamento che non può limitarsi al mero rinvio, ma dovrà essere valutata caso per caso l’adeguatezza delle disposizioni alle esigenze del minorenne.

 

A questi due macro principi che reggono l’impianto dell’intero processo minorile, ne derivano altri dotati di applicazione maggiormente concreta quali:

  • Principio di minima offensività del processo: esso si basa sul fatto che per il minore il processo deve arrecare il minor danno possibile. A tal fine il D.p.r. 448/1988 contiene alcuni istituti fondamentali quali la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (art. 27 c.p.p min). Questo istituto mette in evidenza lo scopo di eliminare la natura afflittiva del processo nel momento in cui si constati la tenuità del fatto e l’occasionalità della condotta, rispondendo così all’esigenza educativa del sistema.
  • Principio di de-stigmatizzazione: principio a tutela dell’identità sociale del minore che prevede non solo il divieto di pubblicazione e di divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini idonee a consentire l’identificazione del minorenne coinvolto nel procedimento (art.13 c.p.p. min) ma anche udienze a porte chiuse (art. 33 c.p.p. min.), disposizioni restrittive riguardanti le iscrizioni nel casellario giudiziale, nonché al fine di mantenere una percezione sociale positiva del minore, l’obbligo per la polizia giudiziaria di adottare le necessarie cautele nell’esecuzione delle misure restrittive della libertà personale.
  • Principio di indisponibilità del rito e dell’esito del processo: il processo penale minorile è dominato dal principio di indisponibilità del rito, in quanto il giudice può disporre la traduzione coattiva dell’imputato non comparso (art. 31 c.p.p. min.) nonché, a differenza del procedimento degli adulti il divieto di patteggiamento della pena.
  • Principio di residualità della detenzione: molte le norme che nel codice del processo penale minorile (D.p.r. 448/1988) recepiscono il principio della pena detentiva come extrema ratio quali ad esempio l’art. 23 c.p.p. min in tema di custodia cautelare che delimita in termini stringenti i casi in cui vi si possa ricorrere. Inoltre la sentenza n.168/1994 della Corte Costituzionale ha dichiarato l’incompatibilità della previsione della pena dell’ergastolo per minorenni proprio in violazione degli artt. 27, comma 3 e 31, comma 2 Cost.

 

Conclusioni

Il processo penale minorile per la sua conformazione specifica deve tendere al contemperamento dell’esigenza di accertamento del fatto di reato e di quella educativa propria del minore.

Nonostante siano stati effettuati profondi interventi dalla legislazione internazionale e nazionale volti alla tutela del minore autore di reato, molto è ancora da fare.

Numerosi sono gli Stati che non solo non hanno fissato un’età imputabile ma anche che parificano il trattamento carcerario adulto nei confronti dei minori, non prevedendo specifiche misure alternative o specifici ambienti che non contrastino con il loro sviluppo psico-fisico.

Nel nostro ordinamento grazie al Codice del processo minorile (D.p.r n.448/1988) non solo sono stati recepiti i principi internazionali in tema di tutela del minore autore di reato,ma anche  si è costruito un sistema di giustizia differenziato improntato  sulla vulnerabilità del minore che entra nel circuito penale.

Informazioni

Il processo penale minorile. Con formulario e Giurisprudenza” a cura di Armando Macrillò, Fulvio Filocamo, Guido Mussini, Debora Tripiccione, Maggioli Editore,III Ed.,2017

The United Nations Convention on the Rights of the Child. (https://www.ohchr.org/en/professionalinterest/pages/crc.aspx  )

Codice processo penale minorile – D.P.R. 448/1988  “Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”.

Raccomandazione del Consiglio d’Europa n. 20 del 1987 (https://rm.coe.int/168070ce24 )

Regole Minime per l’amministrazione della giustizia minorile (c.d. Regole di Pechino) 1985(https://www.un.org/ruleoflaw/blog/document/united-nations-standard-minimum-rules-for-the-administration-of-juvenile-justice-the-beijing-rules/ )

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[1] The United Nations Convention on the Rights of the Child Adopted and opened for signature, ratification and accession by General Assembly resolution 44/25 of 20 November 1989 entry into force 2 September 1990, in accordance with article 49 (https://www.ohchr.org/en/professionalinterest/pages/crc.aspx )

[2] Art. 37, CRC: “[…](a) No child shall be subjected to torture or other cruel, inhuman or degrading treatment or punishment. Neither capital punishment nor life imprisonment without possibility of release shall be imposed for offences committed by persons below eighteen years of age;(b) No child shall be deprived of his or her liberty unlawfully or arbitrarily. […](c) Every child deprived of liberty shall be treated with humanity and respect for the inherent dignity of the human person, and in a manner which takes into account the needs of persons of his or her age. In particular, every child deprived of liberty shall be separated from adults[…](d) Every child deprived of his or her liberty shall have the right to prompt access to legal and other appropriate assistance[…].”

[3] Art.40, ibi: 1. States Parties recognize the right of every child alleged as, accused of, or recognized as having infringed the penal law to be treated in a manner consistent with the promotion of the child’s sense of dignity and worth, which reinforces the child’s respect for the human rights and fundamental freedoms of others and which takes into account the child’s age and the desirability of promoting the child’s reintegration and the child’s assuming a constructive role in society.[…].”

[4] Art.39, ibi:“States Parties shall take all appropriate measures to promote physical and psychological recovery and social reintegration of a child victim of: any form of neglect, exploitation, or abuse; torture or any other form of cruel, inhuman or degrading treatment or punishment; or armed conflicts. Such recovery and reintegration shall take place in an environment which fosters the health, self-respect and dignity of the child.”

[5] C.p.p. min abbr. per codice del processo penale minorile