Dati biometrici

I dati biometrici

Le nuove frontiere dei dati biometrici, tra distopia e realtà

 

I dati biometrici: uno sguardo d’insieme

Nelle ultime settimane, ha suscitato scalpore il caso di alcune scuole inglesi che adottano sistemi di riconoscimento facciale per garantire l’accesso alla mensa ai soli studenti in regola con il pagamento della retta[1]. Grazie a innovativi strumenti tecnologici, infatti, agli operatori scolastici è data la possibilità di identificare in maniera univoca un soggetto grazie ai suoi tratti somatici, come ad esempio l’iride, o ancora il timbro vocale. Questo processo è reso possibile grazie alla raccolta di dati c.d. biometrici: di che cosa si tratta, e quali garanzie ci sono per i cittadini?

I dati biometrici rappresentano una particolare categoria di dati personali. A livello europeo, la privacy e la riservatezza dei cittadini sono tutelati dal Regolamento Europeo 679/2016, più comunemente conosciuto come General Data Protection Regulation (GDPR), entrato in vigore il 25 maggio 2018[2].

Da un punto di vista giuridico, in particolare, “dato personale” è definibile come quell’insieme di informazioni che, direttamente o indirettamente, possono portare all’identificazione di una determinata persona fisica (art. 4 GDPR), come, ad esempio, il codice fiscale o una fotografia.

All’interno della categoria dei dati personali, rientrano i dati biometrici, definiti come quei dati personali “ottenuti da un trattamento tecnico specifico, relativi alle caratteristiche fisiche, fisiologiche o comportamentali di una persona fisica e che ne consentono o confermano l’identificazione univoca, quali l’immagine facciale o i dati dattiloscopici” (art. 4, par. 1, n. 14, GDPR). Si pensi alla possibilità, sempre più frequente, di poter sbloccare il proprio telefono con l’impronta digitale: al sensore inserito sullo schermo del dispositivo è associato un programma in grado di analizzare i dati raccolti, come appunto la nostra impronta, di confrontarli con le informazioni raccolte nella propria banca dati, e infine di accettare quel determinato input o meno. Ad essere conservata non è, dunque, un’immagine statica della nostra impronta digitale, ma una ricostruzione virtuale e matematica realizzata da algoritmi sempre più sofisticati.

 

Dati biometrici, quali applicazioni?

Il legislatore europeo, nell’approcciarsi alla questione sulla legittimità o meno del trattamento dei dati biometrici, ha optato per un approccio molto restrittivo, in chiave garantista. Questo al fine di evitare che a partire di un semplice gesto quasi inconsapevole del cittadino la sua intera identità possa essere ricondotta, in maniera biunivoca, ad una serie algoritmica.

Per questo motivo, vige all’interno dell’Unione Europea un generale divieto di trattamenti di dati biometriciintesi a identificare in modo non univoco una persona fisica” (art. 9, par. 1, GDPR).

Questo principio generale, però, è fortemente temperato, se non addirittura snaturato, da una serie di eccezioni, tra cui la sussistenza di un consenso dell’interessato (si pensi, appunto, allo sblocco del telefono attraverso l’impronta digitale, per la sicurezza e l’incolumità della persona, per motivi di pregnante interesse pubblico previsti dalla legge, nell’ambito della medicina diagnostico-preventiva (art. 9, par. 2, GDPR). Prima di poter procedere alla raccolta e al trattamento di dati biometrici, tuttavia, il titolare del trattamento, e cioè il soggetto responsabile della correttezza e liceità della raccolta di dati, è chiamato a svolgere una c.d. valutazione di impatto (art. 35 GDPR) della tecnologia che intende usare sui diritti imprescindibili del soggetto interessato, che deve poter mantenere il controllo sui propri dati, e a tenere un registro dei trattamenti effettuati (art. 30 GDPR), da tenere pronto a esibire alle autorità nazionali competenti in caso di necessità.

Nonostante, dunque, il trattamento di dati biometrici dovrebbe essere limitato a ipotesi prestabilite, soprattutto se raccolti in grande numero, nella prassi si fa sempre più ricorso a queste tecnologie[3], specialmente da parte delle pubbliche amministrazioni, in assenza, spesso, di una specifica normativa nazionale che regolamenti le modalità di esercizio di questo tipo di trattamenti – e con il rischio, dunque, di trattamenti arbitrari e lesivi dei diritti dei cittadini.

 

Diritti a rischio

L’intrinseca pericolosità di queste tecnologie, tuttavia, è tornata a far discutere con la recente presa di Kabul, quando è emerso che il regime talebano si era impossessato dei database in cui l’esercito statunitense in missione in Afghanistan aveva registrato i dati biometrici dei propri collaboratori locali[4]. I dati biometrici, infatti, poiché sono in grado di identificare univocamente – o quasi, a seconda dell’affidabilità della tecnologia impiegata – possono trasformarsi in uno strumento di controllo generalizzato e diffuso della popolazione, un rischio particolarmente elevato nei Pasi non occidentali, dove aumentano le campagne di raccolta massiccia dei dati da parte di Stati spesso autoritari.

Come racconta l’attivista messicano Luis Fernando García, si rischia di andare verso un nuovo tipo di regime, dove il controllo sui cittadini assume carattere quasi dispotico[5]. Parimenti, in Brasile, il monitoraggio della popolazione attraverso i loro dati biometrici è stato accolto con favore dalla maggior parte delle varie fazioni politiche, mentre crescono i timori che queste tecnologie possano avere come unico effetto quello di aumentare la discriminazione e la repressione della popolazione di colore[6].

Queste pericolose derive, tuttavia, si cominciano a registrare anche in Europa, dove i servizi di controllo e di monitoraggio dei flussi immigratori da Paesi terzi rispetto all’Unione europea corre il rischio di trasformarsi in uno strumento di sorveglianza diffusa e indiscriminata[7], e anche in Italia, dove alcune amministrazioni comunali, in assenza di una specifica base giuridica, che le autorizzasse a procedere in tal senso, hanno stanziato ingenti fondi per impianti di videosorveglianza con sistemi di riconoscimento facciale integrato[8].

È dunque indubbio come i dati biometrici siano raccolti con sempre maggiore frequenza, per fini molto diversi tra di loro. La difficoltà di saggiare la liceità dei trattamenti posti in essere, tuttavia, unita ad una scarsa educazione digitale, possono creare gravi rischi per gli individui e per la collettività. Secondo Sandra Wachter, docente di Data Ethics presso l’Oxford Internet Institute, i rischi collegati ai dati biometrici sono davvero troppi per essere ignorati. Prendendo a riferimento il caso delle mense inglesi, la docente ritiene che l’obiettivo perseguito dall’amministrazione scolastica, e cioè quello, forse, di rendere più veloci le operazioni di ingresso alla mensa, viene pagato con un prezzo molto caro, e cioè la riservatezza e il diritto all’immagine di migliaia di minori, che per il solo fatto della loro età dovrebbero essere più tutelati.

A questioni etiche, tuttavia, si accompagnano anche preoccupazioni pratico-operative, poiché nel caso di trattamento di dati biometrici, in assenza di linee guida internazionali e condivise, non è agevole risalire a dove si trovino i server, con quale misura di sicurezza siano protetti, e dopo quale lasso temporale i dati vengono cancellati.

 

Conclusioni

Alla luce di queste considerazioni, è possibile affermare che utilizzare la privacy e i dati personali come moneta di scambio per avere servizi – forse – più efficienti sembra stridere con i valori identitari su cui si fonda il costituzionalismo europeo. Secondo Stephanie Hare, autrice di Technology Ethics, l’assenza di una normativa più incisiva e di un’adeguata conoscenza dei propri diritti nella sfera digitale possono portare ad un ulteriore rischio, quello di condizionare intere società ad abituarsi a rapporti sempre più invasivi con la tecnologia.

Nonostante le lusinghe delle grandi aziende dell’industria digitale e la tendenziale normalizzazione dell’utilizzo, a livello globale, di questo particolare tipo di dati da parte dei governi nazionali, permangono molti rischi per i diritti dei cittadini.

Informazioni

BARBERA A., FUSARO C., Corso di diritto costituzionale, Ed. Il Mulino, quinta edizione (2020).

PASCUZZI G., Il diritto dell’era digitale, Ed. Il Mulino, quinta edizione (2020).

BASSINI M., Internet e libertà di espressione. Prospettive costituzionali e sovranazionali, Aracne editrice, 2019.

GIANNONE CODIGLIONE G., La tutela della riservatezza, in SICA S., ZENO-ZENCOVICH V. (a cura di), Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, Wolters Kluwer, 2020.

European Union Agency for Fundamental Rights (EFRA) e Consiglio d’Europa, Handbook on European data protection law, Lussemburgo, 2018.

http://www.dirittoconsenso.it/2018/01/07/la-privacy-e-il-trattamento-dei-dati-personali/ .

[1] La notizia, rilanciata dalla testata online The Verge, può essere letta qui: https://www.theverge.com/2021/10/18/22732330/uk-schools-facial-recognition-lunch-payments-north-ayrshire.

[2] Il testo del Regolamento, in italiano, può essere consultato sul sito del Garante per la protezione dei dati personali: https://www.garanteprivacy.it/il-testo-del-regolamento.

[3] L’utilizzo di tecnologie che sfruttano dati biometrici era circoscritto, in origine, ad operazioni militari, anche internazionali, rivolte a missioni di massima sicurezza o ad attività di lotta al terrorismo internazionale. Già negli anni scorsi, tuttavia, nei momenti in cui la lotta a questo fenomeno transnazionale era particolarmente intesa, il Counter-Terrorism Office delle Nazioni Unite aveva divulgato delle linee guida per un ricorso sostenibile e responsabile ai dati biometrici. Il report, in inglese, può essere consultato qui: https://www.unodc.org/pdf/terrorism/Compendium-Biometrics/Compendium-biometrics-final-version-LATEST_18_JUNE_2018_optimized.pdf .

[4] Fonte: https://www.bbc.com/news/technology-58245121.

[5] L’intervista può essere recuperata qui: https://restofworld.org/2021/the-dystopian-danger-of-a-mandatory-biometric-database-in-mexico/.

[6] Fonte: https://restofworld.org/2021/brazil-facial-recognition-surveillance-black-communities.

[7] Fonte: https://www.theguardian.com/world/2021/sep/08/eu-seeking-to-turn-migrant-database-into-mass-surveillance-tool.

[8] Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/10/04/udine-il-comune-stanzia-675mila-euro-per-67-videocamere-a-riconoscimento-facciale-ma-non-possono-essere-usate-per-ora/6338822/.


Legittima difesa domiciliare

La legittima difesa domiciliare

La legittima difesa domiciliare tra riforme e prassi giurisprudenziale: definizione e questioni interpretative

 

La legittima difesa domiciliare e le scriminanti: uno sguardo d’insieme

Nel nostro ordinamento, sono previste delle ipotesi in cui il soggetto che abbia compiuto un fatto normalmente integrante un reato andrà esente da sanzione penale. Questo perché il suo comportamento viene considerato, a determinate condizioni, come lecito o autorizzato dall’ordinamento, in un’ottica di bilanciamento di interessi contrapposti. Queste particolare ipotesi, dette scriminanti o cause di giustificazione, vanno ad incidere sulla cosiddetta punibilità in astratto, e dunque sull’opportunità o meno per lo Stato di applicare la sanzione penale, di cui detiene normalmente il monopolio. Tra le cause di giustificazione spicca, in particolare, quella della legittima difesa[1], prevista dall’art. 52 del codice penale.

Nella sua originaria formulazione, tuttora presente nel primo comma, tale disposizione riconosce la non punibilità di chi abbia commesso un fatto altrimenti costituente reato «per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa».

La deroga al principio del monopolio statale dell’uso della forza, in questa ipotesi, è giustificata dal fatto che la condotta altrimenti penalmente rilevante del soggetto si è resa necessaria per difendere diritti fondamentali in situazioni di grave e attuale pericolo che lo Stato, con il suo apparato istituzionale, non è riuscito ad evitare. E, come sottolinea autorevole dottrina[2], la scriminante della legittima difesa è altresì un’attuazione del vincolo solidaristico di cui all’art. 2 della Costituzione, in quanto può trovare applicazione anche qualora il soggetto abbia reagito alla difesa di un diritto altrui.

Su tale impianto normativo hanno due importanti interventi del Legislatore:

  • con la legge n. 59/2006, infatti, è stata introdotta nel nostro ordinamento la peculiare figura della c.d. legittima difesa domiciliare, inserita nel secondo comma dell’art. 52 c.p. e che trova applicazione allorquando l’offesa abbia avuto luogo nel domicilio, dimora od esercizio commerciale del soggetto chiamato a difendersi, e successivamente
  • con legge n. 36/2019 è stato inserito, sempre nel quarto comma, l’avverbio “sempre”. Dal combinato disposto di queste due riforme, emerge che non sarà sanzionabile penalmente il soggetto che reagisca, anche con armi legittimamente detenute, all’introduzione indebita nel proprio domicilio o luogo di attività professionale, suscitando non pochi dubbi interpretativi sulla portata effettiva di questa nuova particolare scriminante.

 

Le caratteristiche della legittima difesa domiciliare

Come anticipato, la legittima difesa domiciliare potrà trovare applicazione laddove un soggetto reagisca all’indebita violazione del proprio domicilio.

L’elemento di specialità del nuovo quarto comma dell’art. 52 c.p., dunque, è rappresentata dal carattere violento della violazione di domicilio, riconducibile all’ipotesi aggravata di cui all’art. 614, co. 4 c.p, che sanziona appunto la violazione di domicilio, la cui intangibilità è un principio di rango costituzionale.

Ulteriore elemento di specialità, che distingue la legittima difesa domiciliare dalla clausola generale di cui al primo comma dell’art. 52 c.p. è l’introduzione di una norma di favore per chi abbia integrato una condotta di legittima difesa, in ragione del luogo in cui viene arrecata l’offesa. Se così, ad esempio, il ferimento o addirittura l’uccisione di un soggetto a mezzo di un’arma da fuoco potrebbe integrare i delitti di lesioni o di omicidio, il Legislatore ha inteso accordare una maggiore tutela nei confronti del soggetto che abbia visto violato il proprio domicilio nel senso sopra precisato.

E infatti, quell’avverbio «sempre» sembra escludere che il soggetto che si difende il soggetto possa integrare il c.d. eccesso colposo di cui al successivo art. 55 c.p., il quale prevede che chi abbia travalicato i limiti di una delle scriminanti previste negli articoli precedenti potrà comunque andare soggetto a responsabilità penale a titolo di colpa, qualora il reato contestato al soggetto sia punibile con tale criterio di imputazione soggettiva.

Così, ad esempio, se un soggetto, trovandosi un ladro in casa, dovesse sparare e uccidere nell’erronea convinzione che l’intruso fosse armato, è possibile ch’egli sia chiamato a rispondere a titolo di omicidio colposo; essenziale, dunque, è un accertamento delle circostanze in cui ha agito il soggetto che ha posto in essere una condotta di legittima difesa. La Cassazione, pertanto, ha affermato che quel «sempre» non può privare il giudice del suo potere di accertamento, perché sarebbe incostituzionale; la novella, semmai, avrà un mero significato rafforzativo della presunzione posta dalla norma (Cass. Pen., sez. I, 14/05/2019, n. 39977[3]).

 

La legittima difesa domiciliare e le applicazioni giurisprudenziali

La giurisprudenza è tempestivamente intervenuta a ridefinire, in senso restrittivo, la portata della nuova scriminante della legittima difesa domiciliare così come delineata dalla novella del 2019, che, se applicata alla lettera, darebbe vita a delle storture inaccettabili dei capisaldi del nostro diritto penale.

La Corte di Cassazione, infatti, ha precisato come questa scriminante non possa trovare applicazione in maniera automatica, senza che siano stati debitamente accertati tutti i fatti e le circostanze di causa (sentenza n. 49883 del 2019[4]).

Così, i giudici hanno affermato che la condotta di legittima difesa potrà ritenersi scriminata, e quindi non punibile, solo se necessaria, e quindi «connotata da un pericolo attuale e concreto, quale, ad esempio, la mancata desistenza da parte dell’aggressore colto sul fatto; occorre, altresì, che l’offesa, arrecata o anche solo minacciata, dall’aggressore, potesse qualificarsi come ingiusta e rivolta a beni o all’incolumità personale del soggetto agente o di terzi».

Tutti questi presupposti, in particolare, vanno valutati, secondo la giurisprudenza, ex ante, o con un giudizio c.d. prognostico. Ciò significa che l’interprete e il giudice dovranno, con uno sforzo di astrazione, collocarsi nella mente del soggetto al momento della condotta, valutando e il contesto in cui stava operando, valutando la gravità e la serietà del pericolo posto dall’intruso, e chiedendosi quale comportamento sarebbe stato in astratto richiedibile al soggetto agente, tenuto conto delle sue condizioni e del normale discernimento ascrivibile ad un soggetto modello.

Calando questi principi nel concreto, ad esempio, è possibile applicare legittimamente la scriminante della legittima difesa domiciliare qualora un soggetto, colto di sorpresa, di notte, nel proprio domicilio, legittimamente in possesso di un’arma, terrorizzato dall’apprendere che un terzo soggetto si è intrufolato, armato, nella sua stanza, cominci a sparare colpi in aria o comunque non verso parti vitali del suo avversario – con l’intento, dunque, di spaventare, ma non di ferire o uccidere. Il giudizio prognostico ex ante si farà, invece, più complesso qualora il soggetto, pur in condizioni di minorata difesa, abbia mirato direttamente alla testa o al torace del ladro, perché quella condotta potrebbe portare all’imputazione per omicidio colposo o addirittura volontario.

Così, ad esempio, la legittima difesa domiciliare «non consente un’indiscriminata reazione contro colui che si introduca fraudolentemente nella dimora altrui, ma postula che l’intrusione sia avvenuta con violenza o con minaccia dell’uso di armi o di altri strumenti di coazione fisica, così da essere percepita dall’agente come un’aggressione, anche solo potenziale, alla propria o altrui incolumità» (Cass. Pen., Sez. V, sentenza 13/06/2019, n. 40414).

Parimenti, «l’uso di un’arma, legittimamente detenuta, rappresenta reazione sempre proporzionata nei confronti di chi si sia illecitamente introdotto, o illecitamente si trattenga, all’interno del domicilio o dei luoghi a questo equiparati a patto che il pericolo dell’offesa ad un diritto personale o patrimoniale sia attuale» (Cass. Pen., Sez. III, 10/10/2019, sentenza n. 49883).

La reazione, dunque, sarà legittima solo laddove si configuri come risposta ad un effettivo e tangibile pericolo, mentre non avrà efficacia scriminante una reazione violenta a comportamenti solo minacciosi, ma non offensivi; così, ad esempio, potrà essere chiamato a rispondere di lesioni chi colpisca il vicino che si stava arrampicando sul proprio balcone per raggiungere quello adiacente, di proprietà appunto del vicino, rimasto chiuso fuori dalla propria abitazione (così Cass. Pen., Sez. V, sentenza n. 33191/2019).

 

Conclusioni

In conclusione, dunque, la giurisprudenza sembra aver adottato un’interpretazione restrittiva dell’istituto della legittima difesa domiciliare, che non andrà dunque a modificare l’impianto normativo di cui agli artt. 52, primo comma, e 55 del codice penale, ma che imporranno all’interprete di valutare le circostanze concrete nel modo più favorevole possibile nei confronti del soggetto che abbia reagito ad un’indebita violazione del proprio domicilio.  Da un punto di vista processuale, dunque, sarà onere del difensore richiedere l’assoluzione dell’imputato, in quanto il fatto non costituisce reato perché scriminato, valorizzando le circostanze del caso concreto.

Informazioni

R. GAROFOLI, Manuale di Diritto Penale. Parte generale e speciale, Lecce, 2021.

G. MARINUCCI, E. DOLCINI, G.L. GATTA, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, Milano 2021.

S.D. MESSINA, G. SPINNATO, Manuale breve di Diritto Penale, Milano 2020.

[1] Per un approfondimento si rinvia ad un altro articolo su DirittoConsenso: http://www.dirittoconsenso.it/2020/03/10/la-legittima-difesa-nella-cronaca-e-nel-codice/

[2] Marinucci

[3] Il testo della sentenza può essere consultato qui: https://sentenze.laleggepertutti.it/sentenza/cassazione-civile-n-31997-del-06-12-2019.

[4] Il testo della sentenza può essere consultato qui: http://dirittifondamentali.it/wp-content/uploads/2020/01/Cass.-pen.-49883.2019.pdf


Contratto preliminare ad effetti anticipati

Il contratto preliminare ad effetti anticipati

Il contratto preliminare ad effetti anticipati: definizione, prassi, la tutela del promissario acquirente

 

Il contratto preliminare ad effetti anticipati: uno sguardo d’insieme

Il contratto preliminare ad effetti anticipati è una particolare figura di contratto preliminare. Quest’ultimo schema negoziale, a sua volta, può essere definito come il più intenso dei c.d. vincoli prenegoziali e che può essere definito come quel contratto sinallagmatico ad effetti obbligatori che obbliga le parti a concludere un successivo contratto, detto definitivo, di cui vengono già tratteggiati gli elementi essenziali.

Nonostante il largo uso nella prassi, specialmente in quella della compravendita immobiliare, questo istituto non trova una compiuta ed autonoma disciplina da parte del Legislatore, il quale si limita invece a regolarne singoli aspetti rilevanti. È questo, ad esempio, il caso dell’art. 1351 c.c., il quale prescrive per il contratto preliminare, a pena di nullità, la stessa forma del successivo contratto definitivo, ove per quest’ultimo sia prevista la forma scritta ad substantiam. Così, sarà soggetto alla forma scritta il contratto preliminare di compravendita immobiliare. E ancora, l’art. 2645 bis c.c. dispone la trascrivibilità del contratto preliminare, al fine di renderlo opponibile ai terzi, mentre l’art. 2932 c.c. consente alla parte che subisca l’altrui inadempimento[1] di chiedere l’esecuzione in forma specifica del preliminare rimasto inadempiuto, domanda che potrà essere trascritta ai sensi dell’art. 2652, n. 2, c.c.

Quanto alla natura giuridica del contratto preliminare, secondo un primo orientamento giurisprudenziale affermatosi fino alla prima metà degli Anni Ottanta, questo schema contrattuale veniva qualificato come un mero pactum de contrahendo, e cioè come accordo con effetti obbligatori volti unicamente alla prestazione dei consensi, e non già alle prestazioni finali. Da questa interpretazione del contratto preliminare, ne discendeva l’ulteriore considerazione per cui contratto preliminare e contratto definitivo avevano cause distinte e che gli eventuali vizi del preliminare non potevano essere fatti valere prima della stipula del definitivo. Questa tesi viene definitivamente superata dall’impostazione fornita dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 1720/1985, che riconosce al contratto preliminare una causa complessa, rappresentata dalla coesistenza di un c.d. pactum de contrahendo, ovverosia “obbligo di contrattare” (inteso, il contratto definitivo)  e di pactum de dando, ovverosia l’obbligo di adempiere la propria prestazione finale, e quindi la consegna della proprietà del bene da parte da una parte e il pagamento del prezzo dall’altra.

Il contratto preliminare, in altri termini, racchiude al suo interno un ventaglio di attività preparatorie (ad esempio, acquisizione della documentazione necessaria, sottoscrizione di un eventuale contratto di mutuo, e via discorrendo) da attuare durante la vigenza dello stesso preliminare. Fermo restando, tuttavia, prendendo ad esempio la compravendita di un bene immobile, che l’effetto traslativo della proprietà avverrà solo con la conclusione del contratto definitivo: in caso contrario, infatti, si avrebbe un mero contratto di compravendita, indipendentemente dal nomen iuris dato dalle parti.

Da questa nuova accezione del contratto preliminare e della sua portata, ne discende una diversa, e più profonda, tutela dei contraenti di fronte all’altrui inadempimento. Qualora non vengano attuate le necessarie attività volte all’acquisizione della proprietà, a tutela della parte non inadempiente saranno esperibili l’azione di inadempimento o di esatto inadempimento, nonché ancora l’azione di nullità, di annullamento, di risoluzione per impossibilità ed eccessiva onerosità sopravvenuta, nonché le azioni edilizie di cui agli artt. 1490 ss. c.c.

Al di là della denominazione che le parti hanno inteso dare ad un determinato contratto, dunque, sarà necessario ricostruire la volontà e valutare il comportamento, anteriore e successivo, delle parti stesse. La Suprema Corte ha sul punto affermato che si tratta di un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, che applicherà i normali criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c.

Lungi dall’essere una mera questione definitoria, la difficoltà pratica di distinguere tra contratto preliminare e definitivo si riscontrata con specifico riguardo al c.d. contratto preliminare ad effetti anticipati.

 

Il collegamento negoziale ed il preliminare ad effetti anticipati

Secondo consolidata giurisprudenza, in particolare, per contratto preliminare ad effetti anticipati si intende quel contratto, molto frequente nelle compravendite immobiliari, con cui le parti si impegnano ad anticipare l’esecuzione delle prestazioni finali, e dunque nell’anticipato pagamento del prezzo e/o nella consegna del bene, fermo restando che l’effetto traslativo avverrà solo al momento della conclusione del contratto definitivo (ex multis, Cass. Civ., sent. n. 16629/2013). Il tormentato dibattito sulla natura giuridica di questa figura negoziale viene risolto da un nuovo intervento delle Sezioni Unite che, con la sentenza n. 7930/2008, hanno rilevato come il preliminare ad effetti anticipati integri un collegamento negoziale.

In altre parole, secondo i giudici ermellini, il preliminare ad effetti anticipati è in realtà dato dalla coesistenza di due contratti:

  1. uno di comodato, in virtù del quale avviene l’anticipata immissione nel godimento del bene, e
  2. uno di mutuo gratuito, giustificatore della corresponsione delle somme al promissario venditore da parte del promissario acquirente.

 

Quest’ultimo, precisano i giudici, rimane un detentore qualificato e non già un possessore, in quanto rimane consapevole dell’altruità della res (Cass. Civ., sent. n. 12634/2011), e conseguentemente non potrà acquistare la proprietà sulla stessa a titolo di usucapione, a meno che non sia intervenuta un’interversione del possesso (Cass. Civ., ordinanza n. 356/2017; Cass. Civ., sent. n. 3305/2019; Cass. Civ., sent. n. 10186/2019).

 

La tutela del promissario acquirente in caso di consegna anticipata del bene

Si pone, e si è posto, il problema di quali siano i rimedi esperibili dal promissario acquirente, parte di un contratto preliminare ad effetti anticipati avente ad oggetto una compravendita immobiliare che, ricevuto in consegna l’immobile prima della conclusione del contratto definitivo, riscontri dei vizi nella res. La giurisprudenza, in particolare, si è interrogata sulla possibilità di estendere a tale fattispecie l’esperibilità delle azioni edilizie, assimilando dunque la posizione giuridica del promissario acquirente a quella dell’acquirente tout court.

Al riguardo, si rammenta che, come noto, in tema di compravendita, disciplinata dagli artt. 1470 ss. c.c., il Legislatore regolamenta espressamente due fattispecie di vizio del bene compravenduto:

  1. quello redibitorio, di cui agli artt. 1490-1492 c.c., e
  2. la mancanza di qualità, di cui all’art. 1497 c.c.

 

In particolare, ogniqualvolta vi si un’alterazione delle caratteristiche del bene che lo rendono inidoneo all’uso, o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore, l’acquirente potrà agire alternativamente per l’azione di risoluzione del contratto (actio redhibitoria) o per la riduzione del prezzo (actio quanti minoris), scelta che però diviene irrevocabile quando viene presentata la domanda giudiziale (art. 1492, co. 2, c.c.). Entrambi questi rimedi tipici, tuttavia, si scontrano con la disciplina dell’art. 1495 c.c., il quale prevede la denuncia dei vizi entro il termine decadenziale di otto giorni dalla scoperta e che assoggetta l’azione giudiziale al termine prescrizionale breve di un anno dalla denuncia.

Come noto, tale disciplina si giustifica con la necessità di bilanciare gli interessi contrapposti del compratore e del venditore, tenuto alle garanzie di cui all’art. 1476 c.c. come conseguenza naturale della conclusione del contratto (che avverrà al momento dell’effettivo incontro delle volontà, conformemente al principio consensualistico di cui all’art. 1376 c.c.). La rigorosa disciplina di cui all’art. 1495 c.c., tuttavia, si giustifica anche in ragione del fatto che il soggetto che intenda esercitare le azioni edilizie è oramai divenuto proprietario del bene.

Per quanto qui di interesse, tuttavia, tale non è il caso del promissario acquirente di un contratto preliminare ad effetti anticipati, il quale è mero detentore, ancorché qualificato, dell’immobile, e non già proprietario. Tale interpretazione trova conferma nelle pronunce della Corte di Cassazione, la quale ha più volte rilevato come “la consegna dell’immobile, avvenuta prima della stipula del definitivo, non determina la decorrenza del termine di decadenza” ex art. 1495 c.c.per opporre i vizi, né comunque quello di prescrizione”, e ciò in quanto tali limiti presuppongono “l’avvenuto trasferimento del diritto” (Cass. Civ., sent. n. 10148/).

Esclusa, dunque, l’operatività delle azioni edilizie all’istituto in esame, la giurisprudenza precisa che “il promissario acquirente, anticipatamene immesso nella disponibilità materiale del bene, risultato successivamente affetto da vizi, può chiedere l’adempimento in forma specifica del preliminare, ai sensi dell’art. 2932 c.c. e contemporaneamente agire con l’azione quanti minoris per la diminuzione del prezzo” (2004 Cass. Civ., sent. n. 7584/2016).

 

Conclusioni

In sintesi, dunque, l’ordinamento ben consente, ai sensi dell’art. 1322 c.c., che le parti stipulino un contratto di compravendita immobiliare che anticipi gli effetti del contratto definitivo, e dunque il pagamento del prezzo e/o la consegna del bene, precisando tuttavia che l’effetto traslativo avverrà solo con la sottoscrizione del definitivo. Qualora, tuttavia, in vigenza del contratto preliminare ad effetti anticipati, il promissario acquirente, già detentore qualificato dell’immobile, riscontri dei vizi nello stesso, egli potrà agire ex art. 2932 c.c. e, contestualmente, richiedere la diminuzione del prezzo, senza che gli si possa opporre il decorso termine prescrizionale di cui all’art. 1495 c.c.

Informazioni

M. Balloriani, R. De Rosa, S. Mezzanotte, Manuale breve di Diritto civile, Giuffrè Francis Lefebvre, 2020, p. 572 ss.

R. Giovagnoli et al., Codice civile annotato con la giurisprudenza, Giuffrè Francis Lefebvre, 2020.

F. Colli, F. Ferri, S. Gennari, I Codici civile e penale per l’esame di avvocato, edizione 2020, La Tribuna S.r.l.

S. Petiti, E. Vincenti, Codice Civile, Giuffrè Francis Lefevbre, 2021

[1] Vedi la nostra ricostruzione sulla disciplina dell’inadempimento al tempo della pandemia: http://www.dirittoconsenso.it/2021/03/04/contratti-impatto-covid-19/.