Gli arresti domiciliari mediante controllo elettronico: un problema pratico
Gli arresti domiciliari mediante controllo elettronico e l’indisponibilità dei dispositivi di controllo: un approfondimento sulla giurisprudenza costituzionale
Le misure cautelari personali: cenni
Prima di parlare degli arresti domiciliari mediante controllo elettronico è bene fare una breve premessa agli istituti cautelari.
Le misure cautelari sono il contenuto di provvedimenti che, a richiesta del Pubblico Ministero, il giudice adotta nel corso del procedimento penale per rispondere a determinate finalità: cd. esigenze cautelari.
Queste si collegano all’esigenza di garantire l’accertamento che nel processo si deve compiere impedendo all’imputato o indagato[1] di inquinare le prove; garantire gli esiti del processo assicurandosi che il provvedimento conclusivo del processo possa essere eseguito, impedendo perciò all’imputato di darsi alla fuga; o ancora adottate con l’intento di evitare, da parte della persona sottoposta a giudizio, la commissione di reati.
Le misure cautelari si distinguono in personali e reali a seconda che incidano sulla libertà della persona oppure sulla disponibilità di determinati beni materiali[2].
Per quanto riguarda le misure cautelari personali, si è detto che queste vanno ad incidere, limitandola, sulla libertà della persona; questa tuttavia va intesa in senso non solo restrittivo, ossia non solo come “libertà dagli arresti”. In questo senso, seppur vero che talune gravi misure incidono sulla libertà della persona in senso stretto (si può pensare a tal riguardo alla custodia cautelare in carcere e agli arresti domiciliari), la gamma di misure cautelari in vario senso incidenti sulle libertà della persona include anche tutta una serie di altre misure che incidono su altre libertà, in particolare sulla libertà di circolazione e sul fare o non fare determinate attività.
Le misure cautelari personali sono distinte dalla legge in coercitive ed interdittive[3].
Le prime si dividono poi ulteriormente in:
- custodiali, implicanti una restrizione della libertà personale in senso stretto (cd. “libertà dagli arresti”) e
- obbligatorie, implicanti invece un semplice obbligo di tenere o non tenere una determinata condotta.
Rientrano nelle misure custodiali: gli arresti domiciliari e la custodia cautelare in carcere.
Rientrano invece nelle misure obbligatorie: il divieto di espatrio, l’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria (cd. obbligo di firma), il divieto e l’obbligo di dimora, l’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
Le misure cautelari custodiali
Con la misura degli arresti domiciliari il soggetto che vi è sottoposto ha l’obbligo di non allontanarsi da alcuni luoghi determinati, luoghi nei quali gli arresti domiciliari vengono appunto disposti.
Questi possono essere:
- l’abitazione,
- un altro luogo di privata dimora,
- un luogo pubblico di cura o assistenza,
- o ancora, ove istituita, una casa-famiglia protetta.
Il perimetro entro il quale il soggetto sottoposto alla misura cautelare può muoversi è quello legato alla casa in senso stretto.
Se si tratta, ad esempio, di un appartamento in un condominio, il terrazzo rientra nei confini, così come il giardino privato fa parte di un’abitazione indipendente. Gli spazi comuni, come i cortili, fuoriescono dal perimetro e non rientrano quindi tra i luoghi ammessi.
A questo contenuto base il giudice può inoltre imporre divieti ulteriori, diretti a limitare la facoltà della persona sottoposta agli arresti domiciliari di vedere e comunicare con persone esterne. In quest’ultimo caso, nessuno può entrare in casa per fare visita all’imputato e a costui è negata la possibilità di utilizzare mezzi di comunicazione a distanza (es. cellulare e social network)[4].
Con la misura della custodia cautelare in carcere (o carcerazione preventiva), invece, gli ufficiali e gli agenti di Polizia Giudiziaria catturano l’imputato o indagato e lo conducono immediatamente in un istituto penitenziario (il carcere).
È comunque previsto che la misura della custodia cautelare sia disposta in un luogo di cura, nel caso in cui la persona si trovi in uno stato di infermità di mente[5] che ne esclude o diminuisce grandemente la capacità di intendere e volere, ovvero in un istituto a custodia attenuata per detenute madri.
Gli arresti domiciliari con controllo elettronico
Con il provvedimento che dispone gli arresti domiciliari il giudice, quando la natura ed il grado delle esigenze cautelari lo richiedono, può disporre il controllo dell’individuo medianti mezzi elettronici tramite cui si possono tracciare gli spostamenti del soggetto: il cd. braccialetto elettronico[6].
Il braccialetto viene applicato alla caviglia dell’imputato, e nell’abitazione viene istallata una centralina in grado di rilevare gli spostamenti in un determinato raggio di azione. Se il soggetto sottoposto a questa misura si allontana o cerca di manomettere l’apparecchio, la centralina farà partire un allarme diretto alle forze dell’ordine.
L’utilizzo – e l’applicazione – di un simile strumento di controllo, ai sensi dell’art. 275 bis, richiede però necessariamente il consenso dell’interessato, reso alla Polizia Giudiziaria incaricata di eseguire la misura. Qualora il soggetto si rifiuti, verrà automaticamente applicata la misura della custodia cautelare in carcere.
Il ricorso a questa particolare modalità di controllo risale al 2011, ed è rimasta per molto tempo scarsamente attuata per problemi connessi alla difficoltà di reperire questi strumenti. In tempi più recenti, anche sull’onda della sentenza Torregiani[7], si è puntato molto su questa misura come ultima soluzione prima di arrivare alla custodia in carcere, cercando così di ovviare al sentito problema del sovraffollamento carcerario.
La riforma della materia cautelare ad opera della l. 47/2015, ha così introdotto l’art. 275 co. III bis c.p.p., secondo il quale:
“nel disporre la custodia cautelare in carcere il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le modalità di controllo elettronico”.
La riforma non ha però risolto il problema pratico di cosa succede quando, in una situazione che vede come adeguata la misura degli arresti domiciliari con controllo elettronico, tali dispositivi non siano disponibili.
In altre parole, bisogna chiedersi se un giudice pur ritenendo adeguata al caso concreto la misura degli arresti domiciliari con controllo elettronico, riscontrando come unico ostacolo alla sua applicazione l’indisponibilità del dispositivo, debba orientarsi verso l’applicazione della misura più grave della custodia in carcere ovvero verso l’applicazione della misura meno grave degli arresti domiciliari semplici.
La sentenza delle Sezioni Unite n. 20769/2016
Un primo orientamento risolveva il problema in termini automatici, ritenendo che per il mero fatto dell’indisponibilità del braccialetto elettronico, si sarebbe dovuta applicare la custodia in carcere.
La motivazione a supporto di questa corrente di pensiero era che le esigenze cautelari che imponevano l’applicazione della misura con il braccialetto elettronico non potevano essere soddisfatte applicando gli arresti domiciliari semplici.
Sempre secondo questo orientamento si riteneva che l’art. 275 bis c.p.p. imponendo al giudice di accertare preventivamente la disponibilità dello strumento, comportasse un automatismo in favore della custodia in carcere di fronte all’indisponibilità del dispositivo elettronico.
Il secondo orientamento, faceva anch’esso un ragionamento automatico, ma di segno opposto.
In primo luogo, riconosceva che gli arresti domiciliari con controllo elettronico fossero una particolare modalità esecutiva degli arresti domiciliari e non una misura autonoma.
Sulla luce di questa premessa, riteneva quindi che il giudice fosse chiamato a monte a compiere una scelta, e nel caso in cui avesse scelto tra carcere ed arresti domiciliari, questa doveva rimanere ferma, a prescindere dalla disponibilità o meno dello strumento di controllo.
Pertanto, se scelta la misura degli arresti domiciliari mediante controllo elettronico tali strumenti non risultavano disponibili, tenuto conto che l’unico caso espressamente previsto dalla legge in cui in automatico si applica la custodia in carcere è quando manca il consenso dell’interessato, il giudice avrebbe dovuto disporre la misura degli arresti domiciliari ordinari.
Le Sezioni Unite con la sentenza 20769/2016[8] arrivano ad una soluzione di compromesso, che rifugge tanto dall’automatismo in danno all’imputato che a quello in favore.
Innanzitutto, conferma che gli arresti domiciliari con controllo elettronico non sono una misura a sé, ma una modalità esecutiva della misura unica degli arresti domiciliari.
La Sezioni Unite si soffermano poi sull’art. 275 co. III bis c.p.p. il quale impone al giudice, nel caso in cui applichi la custodia in carcere, di motivare espressamente perché nel caso concreto le esigenze cautelari non possono essere soddisfatte con gli arresti domiciliari mediante controllo elettronico.
Seppur vero che la verifica circa disponibilità dei dispositivi elettronici dev’essere fatta a monte e perciò il giudice nel momento in cui decide sa già che tale strumento non è disponibile, la norma gli impone comunque di motivare, a prescindere da questo, sulla inidoneità degli arresti domiciliari con controllo elettronico. Perciò, ritiene la Corte, dato che comunque rimane un onere motivazionale, dalla mera indisponibilità dei dispositivi di controllo non si può tratte alcuna conseguenza automatica, ma il giudice è tenuto a fare un doppio passaggio motivazionale.
In primo luogo, deve valutare se, nell’ipotesi in cui il dispositivo fosse disponibile, la misura idonea sarebbe quella degli arresti domiciliati con controllo elettronico. Se il giudice reputa adeguata questa misura, prendendo atto dell’indisponibilità dello strumento, non può orientarsi in termini automatici nell’uno o nell’altro senso, ma deve effettuare un ulteriore passaggio motivazionale, calibrato sulle esigenze del caso concreto, motivando in ordine a quale alternativa – arresti domiciliari semplici o custodia cautelare in carcere – sia la più idonea.
Conclusioni
Se da un lato la soluzione data dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 20769 del 2016 sia da apprezzare nella misura in cui prende le distanze da ogni forma di automatismo, dall’altro non sembra essere riuscita a porre un freno all’abuso fatto della custodia cautelare in carcere.
Il giudice, trovandosi davanti al problema dell’indisponibilità degli strumenti di controllo elettronici, difficilmente potrà orientarsi verso la misura meno afflittiva degli arresti domiciliari semplici in una situazione in cui ha, in precedenza, dichiarato l’idoneità degli arresti domiciliari con strumenti elettronici e quindi, intrinsecamente, l’inidoneità nel caso concreto degli arresti domiciliari ordinari.
Informazioni
M. SCAPARONE, Procedura Penale, Vol. II, Sesta edizione, Giappichelli Editore.
[1] Sebbene il codice di procedura penale indichi come soggetto passivo delle misure cautelari l’imputato, queste sono applicate soprattutto nella fase delle indagini preliminari, nella quale la figura dell’imputato non compare ancora.
[2] Sono misure cautelari reali il sequestro preventivo e conservativo.
[3] Le misure interdittive a differenza di quelle coercitive, non incidono sulla libertà di movimento di un soggetto, ma sulla sua sfera giuridica, limitando l’esercizio di talune potestà.
[4] Questi ulteriori limitazioni possono essere comminate ad esempio nel caso che non interrompendo il flusso comunicativo verso persone esterne queste possano commettere condotte pregiudizievoli per la genuinità delle prove.
[5] Per un approfondimento sull’infermità di mente: L’infermità di mente nell’ordinamento italiano – DirittoConsenso.
[6] Non solo nel caso in cui il giudice applichi ab origine la misura degli arresti domiciliari, ma anche in sostituzione alla custodia cautelare in carcere.
[7] Sentenza della Corte Europea con la quale l’Italia è stata condannata per la situazione di sovraffollamento carcerario e, più in particolare, per le condizioni di vita dei detenuti.
[8] Cass. pen., Sez. Unite, 28.04.2016, n. 20769.
Il giudizio abbreviato secondo la Riforma Cartabia
Breve analisi delle novità normative introdotte dalla recente Riforma Cartabia al giudizio abbreviato, rito speciale del processo penale
Il giudizio abbreviato: cenni
Il giudizio abbreviato rientra tra i cosiddetti riti speciali[1], i quali si pongono come alternative rispetto al procedimento ordinario[2].
I riti speciali, rispondendo ad esigenze di economia processuale, riducono l’iter del processo penale di primo grado il quale, benché assicura alle parti del processo la più ampia possibilità di far valere le proprie ragioni, e in particolare all’imputato la più ampia possibilità di esercitare il diritto di difesa, risulta complesso e lento.
Con specifico riguardo al giudizio abbreviato, lo schema processuale previsto dal legislatore fa si che il procedimento penale venga definito nella fase che avrebbe dovuto essere dedicata all’udienza preliminare con conseguente omissione della fase del dibattimento e delle facoltà ad esso direttamente connesse, ed in base alle prove raccolte in difetto di contraddittorio dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari, nonché delle altre prove eventualmente assunte nello stesso giudizio abbreviato (giudizio cd. allo stato degli atti)[3].
Nonostante questo, si tratta di un processo a tutti gli effetti, che porterà ad una decisione in cui il giudice dovrà orientarsi tra proscioglimento e condanna, non diversamente da quanto succede in esito a dibattimento, seppure sulla base di un compendio probatorio differente.
Poiché la scelta di giudizio abbreviato implica l’omissione del dibattimento e delle relative garanzie difensive, il legislatore offre all’imputato un vantaggio sul piano del trattamento sanzionatorio. In caso di condanna, rispetto alla pena che il giudice ritiene sarebbe stata inflitta in esito a dibattimento, le pene detentive e le pene pecuniarie sono ridotte di un terzo se si procede per delitto e della metà se si procede per contravvenzione[4].
L’ampliamento dei presupposti per accedere al cd. giudizio abbreviato condizionato
Il giudizio abbreviato deve essere richiesto dall’imputato personalmente o a mezzo di procuratore speciale (solitamente il difensore) al giudice dell’udienza preliminare[5].
La richiesta di giudizio abbreviato può essere:
- semplice oppure
- subordinata alla condizione che il giudice assuma una o più prove ulteriori a quelle presentate dal pubblico ministero (cd. giudizio abbreviato condizionato)[6].
Effettuata la richiesta, il giudice è tenuto ad effettuare una valutazione di ammissibilità della stessa.
La richiesta semplice, se correttamente presentata, conferisce all’imputato un diritto allo svolgimento del procedimento speciale: il giudice non può rifiutare l’accesso a tale rito ma dovrà ammettere il giudizio abbreviato. I
n caso di richiesta condizionata, l’imputato non ha diritto all’ammissione del rito, il giudice autorizzerà lo svolgimento del giudizio abbreviato solo in presenza di due requisiti:
- se ritiene che le prove, alla cui assunzione l’imputato ha subordinato la richiesta, sono necessarie per la decisione e
- se la loro assunzione è compatibile con le finalità di economia processuale proprie del giudizio abbreviato[7].
La modifica apportata dalla Riforma Cartabia all’art. 438, co. V c.p.p., fermo restando il requisito della necessità della prova ai fini della decisione, ha inteso incidere sul secondo presupposto.
Prima della riforma, infatti, si sarebbe potuto pensare che il riferimento all’economia processuale volesse tener fuori tutte le prove che, pur se necessarie, allungassero troppo i tempi di celebrazione del rito speciale (es. una perizia complessa, l’esame di un gran numero di testimoni).
Alla luce di questa considerazione, la Corte Costituzionale, già in passato, aveva chiarito che per vagliare la compatibilità della prova integrativa con le finalità di economia processuale, in riferimento all’eventuale complessità o lunghezza dei tempi necessari per la sua acquisizione, il raffronto non andasse fatto tra giudizio abbreviato puro e giudizio abbreviato condizionato, perché non avrebbe potuto che portare al rigetto della richiesta, ma piuttosto tra giudizio abbreviato condizionato e dibattimento[8].
Un diverso indirizzo giurisprudenziale, tuttavia, ha continuato a ritenere legittimo il diniego di accesso al rito abbreviato nel caso in cui la condizione riguardasse l’acquisizione di un elevato numero di prove ovvero di prove particolarmente complesse[9].
Sull’argomento – e a sostegno del primo orientamento – è intervenuta la recente Riforma Cartabia con una modifica al co. V dell’art. 438 c.p.p.: il giudice è ora tenuto a disporre il giudizio abbreviato se l’integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della decisione “e il giudizio abbreviato realizza comunque una economia processuale, in relazione ai prevedibili tempi dell’istruzione dibattimentale”.
Il secondo requisito impone ora esplicitamente al giudice di effettuare un confronto tra il rito speciale ed il giudizio ordinario dibattimentale, mentre non va eseguita una comparazione con il giudizio abbreviato semplice.
L’esplicito riferimento ai tempi della formazione della prova nel giudizio dibattimentale, più lunghi anche rispetto a quelli di un giudizio abbreviato subordinato a consistente integrazione probatoria, dovrebbe inoltre comportare un deciso ampliamento delle possibilità di accedere al rito abbreviato condizionato e di conseguenza fungere da incentivo al suo ricorso.
L’ampliamento dei profili di premialità in caso di omessa impugnazione
Nel giudizio abbreviato, oltre ad un differente schema processuale, vige una diversa disciplina rispetto alle regole ordinarie in tema di impugnazione, in senso limitativo[10]. Questo, in parte per evitare di compromettere attraverso i diversi gradi di impugnazione gli obiettivi di economia processuale perseguiti da questo rito speciale, in parte come ulteriore fattore di bilanciamento rispetto ai profili di premialità.
Sempre nell’ottica di un più accentuato favor nei confronti della definizione dei processi mediante il rito abbreviato è necessario porre l’attenzione sul nuovo comma 2 bis introdotto dalla recente Riforma Cartabia all’interno dell’art. 442 c.p.p., secondo cui “quando né l’imputato, né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell’esecuzione”.
Con questa modifica è stata quindi prevista un’ulteriore riduzione di pena – rispetto al tradizionale sconto pari alla metà se si procede per una contravvenzione o al terzo se si procede per un delitto – ove non intervenga impugnazione della sentenza che definisce il giudizio abbreviato di primo grado, né dall’imputato, ne dal suo difensore.
L’obiettivo dalla Riforma con la concessione di un ulteriore sconto di pena è chiaramente quello di ridurre il lavoro che grava sugli uffici giudiziari e perseguire ulteriormente gli obiettivi di economia processuale propri del rito speciale in oggetto, limitando la formulazione di impugnazioni meramente dilatorie.
Allo stesso tempo, l’ampliamento della premialità potrebbe fungere, anche in questo caso, da incentivo ulteriore per l’imputato in un’ottica di strategia processuale, comportando verosimilmente un maggior ricorso al giudizio abbreviato.
Tale scelta, infine, sembra portare avanti la ratio già posta a base dello schema processuale delle impugnazioni nel giudizio abbreviato. Infatti, in un’ottica di bilanciamento, a fronte di una ulteriore limitazione sul piano delle impugnazioni – limitazione questa volta non imposta, ma lasciata alla discrezione dell’imputato e del suo difensore – viene previsto un ampliamento dei profili di premialità.
Conclusioni
I riti speciali, sviluppatisi come alternativa al rito ordinario che vede nel dibattimento la sua fase centrale, hanno da sempre avuto difficoltà di funzionamento, tra le altre ragioni, l’irragionevole durata dei processi penali.
Il rito accelerato garantisce si dei benefici sanzionatori in caso di condanna, ma porterà più facilmente ad una sentenza di questo tenore per via delle minori garanzie, e soprattutto in tempi più rapidi.
Perché allora seguire questa linea quando seguendo la via ordinaria si può immaginare che quel processo durerà tempi immemorabili e che magari si riuscirà ad arrivare alla prescrizione.
Negli anni si è cercato di porre rimedio al poco funzionamento dei riti speciale con una serie di riforme volte ad incentivarne il ricorso, ma siccome il legislatore non brilla per coerenza, ci sono state anche riforme di segno opposto.
Questa è stata la tendenza della precedente riforma in materia di giudizio abbreviato, la quale ne ha escluso l’esperibilità per tutta una fascia di reati di altissima gravità che prima vedevano un significativo ricorso al rito speciale proprio per via dei benefici sanzionatori da esso previsti.
La recente Riforma Cartabia, ampliando le possibilità di accesso al giudizio abbreviato ed i vantaggi premiali ad esso connessi, tenta di dare oggi una svolta significa alla situazione.
In una prospettiva futura è però naturale domandarsi se le novità introdotte raggiungeranno gli obiettivi che la Riforma si prefigge e se saranno sufficientemente in grado di determinare radicali sconvolgimenti nell’approccio al giudizio abbreviato.
Informazioni
Procedura Penale – vol. II, M. Scaparone, sesta edizione, 2019, Torino, G. Giappichelli Editore.
[1] Gli altri riti speciali previsti dal codice di procedura penale sono il giudizio abbreviato, l’applicazione della pena su richiesta delle parti (cd. patteggiamento), il giudizio direttissimo, il giudizio immediato, il procedimento per decreto penale e la sospensione del procedimento con messa dell’imputato alla prova
[2] Per approfondimenti relativi alle caratteristiche del giudizio abbreviato, si rimanda all’articolo su DirittoConsenso Il giudizio abbreviato: caratteri generali, di Lisa Montalti, 27 novembre 2021, Il giudizio abbreviato: caratteri generali – DirittoConsenso.
[3] Tali garanzie hanno però rango costituzionale, i riti speciali (cd. procedimenti di carattere inquisitorio), trovano spazio nel nostro sistema solo perchè l’art. 111, co. V Cost. ammette che l’imputato rinunci al contraddittorio
[4] Procedura Penale – vol. II, M. Scaparone, sesta edizione, 2019, Torino, G. Giappichelli Editore, pp. 151 – 153
[5] Il giudizio abbreviato non può invece essere richiesto dal pubblico ministero o da qualsiasi altra parte o soggetto del processo
[6] Per approfondimenti relativi al giudizio abbreviato di tipo condizionato, si rimanda all’articolo su DirittoConsenso Giudizio abbreviato condizionato: criteri di ammissibilità, di Viviana Simi, 21 ottobre 2020, Giudizio abbreviato condizionato: criteri di ammissibilità – DirittoConsenso.
[7] Procedura Penale – vol. II, M. Scaparone, sesta edizione, 2019, Torino, G. Giappichelli Editore, pp. 154 – 157
[8] Corte Cost., 07.05.2001, sent. n. 115
[9] Cass. pen., Sez. III, 13.07.2012, sent. n. 28141; Cass. pen., Sez. III, 09.06.2017, sent. n. 28693; Cass. pen., Sez. I, 07.01.2019, sent. n. 315
[10] La legge prevede limiti all’appello, nessun limite è previsto invece per il ricorso in Cassazione, costituzionalmente garantito come mezzo di impugnazione contro ogni sentenza.