Concept store

La tutela del concept store

Una breve panoramica sulla portata della tutela accordata al concept store, anche alla luce di una recente sentenza della Corte di Cassazione

 

Introduzione al concept store

Negli ultimi anni il punto vendita, lungi dal rappresentare meramente un luogo di esposizione dei prodotti, è diventato espressione sempre più tangibile del brand. Si è diffuso il concept store, il cui stesso nome richiama la fusione di un concetto, un’idea astratta, con un luogo, il negozio. Lo scopo del concept store è trasmettere un’idea al consumatore che varchi la soglia del negozio, offrendo delle vere e proprie esperienze e percezioni. Naturalmente, tanto più saranno originali gli allestimenti, quanto più il brand sarà identificabile e riconoscibile rispetto alla concorrenza. La percezione d’insieme viene raggiunta tramite l’utilizzo di vari elementi, quali l’ambiente, l’arredo, le luci, le musiche e persino i profumi. Emblematico è il caso del flagship store, “nave di bandiera”, che, come suggerisce lo stesso nome, rappresenta il brand ed è situato in luoghi strategici della città, combinando elementi architettonici e di design più innovativi rispetto agli altri punti vendita della stessa marca, per comunicare il proprio stile.

Le soluzioni adottate per il concept store, sempre più diversificate e originali, sono suscettibili di essere illecitamente riprodotte dalla concorrenza, in tal modo rischiando di vanificare gli investimenti attuati dalle aziende. Quali sono i tipi di tutela accordati dall’ordinamento con specifico riferimento al concept di un negozio?

 

Le tipologie di tutela

Il concept adottato in un punto vendita è meritevole di tutela sotto diversi profili.

Innanzitutto, viene in rilievo la tutela autorale, potendo il concept store rientrare tra le “opere dell’ingegno di carattere creativo”, esemplificativamente elencate dall’art. 2575 cc., tra cui figurano anche le opere di architettura. Disciplina di riferimento nel nostro ordinamento è la L. 633/1941[1], legge sul diritto d’autore (l.d.a.). Come noto, nell’alveo del diritto d’autore, oltre ai diritti morali dell’autore dell’opera, irrinunciabili e inalienabili, sussistono una serie di diritti patrimoniali, nonché di diritti connessi.

In generale, affinché un’opera sia tutelabile è necessario che abbia forma espressiva, in quanto il diritto d’autore protegge l’espressione in cui l’opera, frutto dell’ingegno, si estrinseca e non, invece, l’idea in sé, che sta dietro alla creazione. Inoltre, l’opera deve presentare caratteri di creatività, nozione che attiene all’espressione personale ed individuale dell’autore. Non è invece necessario un aggiuntivo valore artistico, tranne per ciò che riguarda le opere del disegno industriale, di cui all’art. 2, n. 10 l.d.a. Tra le opere meritevoli di tutela all’art. 2, n.5 l.d.a. figurano “i disegni e le opere dell’architettura”: tale ipotesi non riguarda solo gli edifici, ma anche gli arredamenti d’interni.

Sotto un secondo profilo, la forma di una stanza, negozio o show room potrebbe essere considerata alla stregua di un marchio di forma[2], come statuito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso Apple (Corte giustizia UE sez. III, n.421/13), a condizione che sia presente il requisito della capacità distintiva. Tale elemento, valutato in concreto, nel caso del concept store si estrinsecherà nella presenza di un lay-out estremamente caratterizzante.

Inoltre, in presenza di un rapporto di concorrenzialità tra imprenditori, l’indebita ripresa del concept store potrebbe integrare le ipotesi concorrenza sleale previste dall’art. 2598 cc.

 

La vicenda KIKO s.rl. – WYCON s.r.l.

Nel 2013 Kiko s.r.l. aveva contestato a Wycon s.r.l. – sua concorrente nel settore cosmetico – l’indebita ripresa del proprio progetto di negozio, affidato ad uno studio di architettura, sulla base del quale erano stati realizzati numerosi negozi monomarca Kiko. Ciò in violazione dei diritti esclusivi di utilizzazione economica derivanti dalla tutela autorale, nonché dell’art. 2598 nn. 1,2,3 cc., sotto il profilo della concorrenza sleale.

In accoglimento delle domande dell’attrice[3], il Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di impresa, rilevava che l’arredamento d’interni ed in generale le opere di architettura rientrano nella tutela, unanimemente riconosciuta, di cui all’art. 2, n. 5 l.d.a, ove la progettazione prescinda dalla stretta funzionalità: in altre parole, che non sia imposta dal problema tecnico – funzionale che l’autore vuole risolvere. Elemento imprescindibile in tale contesto è la creatività, che può sussistere anche ove l’opera consista in idee semplici o conosciute nel patrimonio intellettuale delle persone esperte della materia, laddove vi sia un’interpretazione personale dell’autore. Infatti, nelle parole del Tribunale “il concetto giuridico di creatività, cui fa riferimento l’art. 1 L.A., non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta, riferendosi, per converso, alla personale e individuale espressione di un’oggettività appartenente alle categorie elencate negli artt. 1 e 2 L.A.”. Ciò coerentemente con l’oggetto della tutela autorale che, come accennato, attiene all’espressione della creatività soggettiva dell’autore.

Tale carattere creativo, valutato con riferimento al risultato complessivo ottenuto, è stato ritenuto presente nel concept dei negozi dell’attrice, caratterizzati da uno stile minimalista. A tal fine, venivano richiamati “l’ingresso open space con ai lati due grandi grafiche retroilluminate, all’interno espositori laterali consistenti in strutture continue e inclinate aventi pareti caratterizzate da alloggi in plexiglass trasparente traforati nei quali sono inseriti i prodotti, “isole” a bordo curvilineo posizionate al centro dei negozi per contenere i prodotti o fornire piani di appoggio, presenza di numerosi schermi TV incassati negli espositori inclinati, utilizzazione di combinazioni dei medesimi colori (bianco, nero, rosa/viola) e di luci ad effetto discoteca”.

Infine, veniva riconosciuta in capo alla convenuta la condotta di concorrenza sleale parassitaria, che, ai sensi dell’art. 2598, n.3 cc., sussiste laddove un imprenditore ponga in essere un’imitazione sistematica delle iniziative imprenditoriali del concorrente, volta allo sfruttamento del lavoro e della creatività altrui, non rilevando la confondibilità, di per sé, tra i lay-out dei negozi.

 

La sentenza della Corte di Cassazione

Dopo la conferma della sentenza di primo grado davanti alla Corte d’Appello, Wycon proponeva ricorso in Cassazione, conclusosi, da ultimo, con la pronuncia della Corte di legittimità[4]. Tra i vari motivi di ricorso, la ricorrente lamentava la non tutelabilità del progetto di Kiko ai sensi dell’art. 2, n.5 l.d.a., in mancanza dell’individuazione di una superficie di immobile specifica in cui l’opera dovrebbe incorporarsi, potendo quest’ultima essere tutelabile, al più, nell’ambito delle singole opere del design industriale di all’art. 2, n. 10 l.d.a., protezione che, come accennato, richiede un aggiuntivo valore artistico.

Nel respingere tale prospettazione, la Corte ha chiarito l’irrilevanza dell’incorporazione degli elementi di arredo con l’immobile essendo, invece, sufficiente la presenza di elementi o combinazioni originali, frutto della creatività, anche minima, dell’autore. Ribadendo i principi espressi in fase di merito, la Corte sottolineava la necessaria identificabilità e riconoscibilità dell’opera sul piano dell’espressione formale come opera unitaria d’autore, per effetto di precise scelte di composizione d’insieme degli elementi oggetto dell’esclusiva, che rivelino una precisa “chiave stilistica”.

In conclusione, la pronuncia della Cassazione ha cristallizzato la piena tutelabilità del concept store anche dal punto di vista del diritto d’autore in quanto opera dell’architettura, ai sensi dell’art. 2, n.5 l.d.a., qualora ricorra una progettazione unitaria dotata di creatività come descritta, non rilevando il fatto che i singoli elementi d’arredo siano semplici o comunemente utilizzati nel settore di riferimento.

Informazioni

Manuale breve della proprietà industriale e intellettuale – Pier Paolo Muià, Maggioli Editore.

https://www.insidemarketing.it/glossario/definizione/flagship-store/

[1] La normativa sul diritto d’autore è oggetto di un processo di armonizzazione a livello europeo. Si veda, sul punto, il contributo su DirittoConsenso dal titolo “Il processo di armonizzazione del diritto d’autore in Europa”: http://www.dirittoconsenso.it/2020/06/18/processo-armonizzazione-diritto-autore-in-europa/

[2] Tale tipo di protezione era stata, peraltro, negata alla stessa Kiko – parte nella lite di cui ai paragrafi successivi – dall’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO, 29 marzo 2016 – R 1135/2015-1).

[3] Cfr. sentenza del Tribunale di Milano n. 11416/15 Kiko S.r.l. vs. Wycon S.r.l., pubbl. il 13/10/2015.

[4] Cfr. sentenza n. 8433 del 30 aprile 2020.


pubblicità ingannevole

Pubblicità ingannevole, Real time marketing e covid-19

Come ogni altro settore, l’attività pubblicitaria ha subito l’impatto del Covid-19, adeguando le strategie di comunicazione all’attuale situazione di emergenza. In questo contesto non bisogna però trascurare i rischi posti dalla pubblicità ingannevole, alla luce dei recenti interventi a tutela del consumatore

 

Pubblicità ingannevole – La comunicazione ai tempi del Covid-19

L’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia in atto ha reso molteplici prodotti e servizi non fruibili. Di conseguenza, varie campagne pubblicitarie sono state sospese o annullate: si pensi, ad esempio, al settore turistico, fortemente penalizzato. Tuttavia, tale tendenza non ha riguardato la totalità delle comunicazioni pubblicitarie; alcune realtà hanno infatti deciso di investire ugualmente, se non maggiormente, in tale settore. A ben vedere, tenuto conto del bisogno di rimanere aggiornati sugli sviluppi della situazione in tempo reale e dei maggiori tempi di utilizzo dei media in generale, la scelta di incrementare e affinare la comunicazione di questi tempi appare sensata. Peraltro, restando a casa, il tempo trascorso su internet e sui media in generale si dilata enormemente, anche per far fronte ad esigenze personali, quali la socialità e lo sport. Lo conferma un report pubblicato da IAS (Integral Ad Science), da cui emerge che il 93% delle persone è attivamente alla ricerca di notizie e contenuti sul Coronavirus online ed in generale il 90% consuma più notizie come conseguenza della situazione. Tale “bombardamento” di informazioni e contenuti sul virus influenza necessariamente il settore pubblicitario. In tal senso, il cd. Real Time Marketing – consistente nella creazione di contenuti che sfruttano argomenti “caldi” o eventi dell’attualità – ha assunto diverse sfaccettature. Nel selezionare le migliori strategie di comunicazione, molte aziende hanno espresso vicinanza e solidarietà ai consumatori, invitandoli ad assumere atteggiamenti coscienziosi e sicuri. Si pensi ai messaggi pubblicitari che hanno incluso il diffusissimo hashtag #iorestoacasa. Altre realtà, stante la difficolta o l’impossibilità di vendere i propri prodotti, hanno manifestato il loro continuo impegno in vista di momenti migliori.

È indubbio che di questi tempi la pubblicità debba avere riguardo allo stato d’animo dei destinatari e agire con particolare sensibilità rispetto alle mutate esigenze di vita quotidiana. A tal fine, è interessante interrogarsi sulle aspettative dei consumatori in questo momento storico. I risultati di una ricerca dal titolo “Brand Trust and the Coronavirus Pandemic” condotta da Edelman – società di consulenza in comunicazione – mostrano come l’83% del campione intervistato sostenga che i brand dovrebbero esprimere empatia e supporto, l’84% creda che la pubblicità debba concentrarsi su prodotti utili a superare le sfide quotidiane poste dalla pandemia e il 77% ritenga che si debba tenere conto dell’impatto della crisi globale. Non è particolarmente percepito un bisogno di distrazione o di evasione: la maggior parte delle persone non apprezza campagne ironiche e leggere. In sostanza, la fiducia dei consumatori è orientata verso quei brand che dimostrino supporto nell’affrontare l’emergenza.

In ogni caso, anche prescindendo dal contesto emergenziale, i consumatori non vogliono essere ingannati. Tuttavia, sin dall’inizio dell’emergenza sono stati ravvisati numerosi casi di pubblicità ingannevole. Prima di analizzare tali vicende, occorre accennare alla tutela del consumatore nell’ambito delle comunicazioni commerciali.

 

La protezione dei consumatori tra Codice del Consumo e norme di autodisciplina

Come noto, tra le varie competenze dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM)[1], è ricompresa la tutela del consumatore. In particolare, l’Autorità è chiamata a vigilare sulla correttezza delle pratiche commerciali, intese come qualsiasi condotta, dichiarazione o comunicazione commerciale, diffusa con ogni mezzo, posta in essere in relazione alla promozione, alla vendita o alla fornitura di beni o servizi ai consumatori. Tali pratiche sono scorrette quando, in contrasto con il principio della diligenza professionale, falsano (o sono idonee a falsare) in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore. Normativa di riferimento è il Codice del Consumo, emanato con il Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 e successive modifiche e integrazioni, che recepisce la maggior parte delle disposizioni dell’Unione Europea per la protezione del consumatore. Nell’alveo delle pratiche commerciali scorrette figurano le ipotesi di pubblicità ingannevole, previste agli articoli 21-23, nonché i casi di pubblicità aggressiva, di cui agli articoli 24-26. Quanto alla pubblicità ingannevole, è opportuno menzionare l’art. 21 del Codice, che individua l’ingannevolezza nelle pratiche contenenti informazioni false o, in quelle che seppur corrette, inducano (o possano indurre) in errore il consumatore medio e in ogni caso lo inducano (o possano indurlo) ad assumere decisioni di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Ai sensi dell’art. 24 del Codice, sono invece considerate aggressive le pratiche poste in essere tramite molestie, coercizione o altre forme di indebito condizionamento. In questo contesto d’emergenza, risulta particolarmente rilevante l’ipotesi di cui all’art. 25, lett. c) del Codice, che menziona lo “sfruttamento da parte del professionista di qualsivoglia evento tragico o circostanza specifica di gravità tale da alterare la capacità di valutazione del consumatore, al fine di influenzarne la decisione relativa al prodotto”.

Su un diverso piano opera l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) che fissa i parametri per garantire una comunicazione “onesta, veritiera e corretta”, a tutela non solo del consumatore, ma anche della concorrenza leale tra le imprese. Normativa di riferimento è il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, a cui aderiscono i principali operatori del settore, peraltro recentemente modificato, con l’entrata in vigore della 67esima edizione. Tra le varie misure, particolarmente incisive, di cui dispongono gli organi dell’IAP – il Comitato di Controllo e il Giurì – vi è la cessazione immediata della comunicazione scorretta, con relativa pubblicazione della pronuncia.

Sempre in tema di pubblicità ingannevole, l’art. 2 del Codice di Autodisciplina vieta ogni dichiarazione o rappresentazione tale da indurre in errore i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni non palesemente iperboliche. Ancora, l’art. 8, rubricato “Superstizione, credulità, paura”, prescrive che “la comunicazione commerciale deve evitare ogni forma di sfruttamento della superstizione, della credulità e, salvo ragioni giustificate, della paura”.

 

Recenti provvedimenti in materia di pubblicità ingannevole

Recentemente, vi sono stati numerosi interventi nei confronti di comunicazioni che facevano leva proprio sul sentimento di paura dilagante.

Quanto all’IAP, esso è intervenuto dapprima con l’ingiunzione n. 14/20 del 28 febbraio 2020, nei confronti di una comunicazione che pubblicizzava un Gel disinfettante mani. Il messaggio, del seguente tenore “Leccati le dita in tutta sicurezza, da noi puoi farlo! () Gel mani disinfettante(…). Prodotto specifico contro il CORONAVIRUS – SARS” è stato ritenuto manifestamente contrario agli artt. 2 e 8 del Codice di Autodisciplina. E ciò sia con riferimento all’asserita capacità del disinfettante in questione di far fronte alla diffusione del Covid-19, sia con riguardo alle erronee conferme scientifiche riportate.

Ancora, il Comitato è intervenuto con l’ingiunzione n. 18/20, in data 27 marzo 20. In questo caso si trattava della pubblicità di una tisana che recitava: “in questo momento è fondamentale rinforzare le proprie difese immunitarie con (.)”. Anche tale messaggio, a sua volta corredato da riferimenti scientifici errati che avrebbero dimostrato “l’effetto anti-infiammatorio” del prodotto, sarebbe da considerarsi pubblicità ingannevole ai sensi dell’art. 2 del Codice. In tale occasione, il Comitato ha invitato a prestare particolare cautela con riferimento alle comunicazioni che richiamano l’attuale situazione di emergenza sanitaria, poiché suscettibili di suggestionare i consumatori e condizionarli nelle proprie scelte di acquisto. Peraltro, il Comitato ha sottolineato il particolare rischio che i messaggi che pubblicizzano i prodotti come strumenti di prevenzione abbassino “il senso di vigilanza” dei consumatori.

Quanto all’AGCM, numerose sono state le attività di monitoraggio, anche nel settore dell’e-Commerce, portate avanti dall’Autorità sin dallo scoppio dell’emergenza. I vari interventi hanno riguardato, in particolare, la presenza di riferimenti erronei all’efficacia preventiva e/o terapeutica dei prodotti offerti e di offerte di kit test per l’autodiagnosi del virus.

Si segnala, da ultimo, l’avvio di un procedimento istruttorio nell’ambito del quale l’Autorità ha altresì disposto in via cautelare la sospensione della promozione e vendita online dei dispositivi individuali di protezione che risultino difformi da quelli pubblicizzati. L’urgenza dell’intervento è stata giustificata dall’estrema gravità della pratica posta in essere dalla società destinataria del provvedimento, stigmatizzata dall’offerta di prodotti ai quali venivano attribuite caratteristiche qualitative e tecniche, anche tramite l’utilizzo improprio di “marchi noti e affidabili” che non trovavano riscontro nei prodotti effettivamente consegnati. Inoltre, tali prodotti, privi delle certificazioni vantate, venivano offerti in vendita a prezzi elevati e consegnati con considerevoli ritardi rispetto alla tempistica reclamizzata. In base a tali elementi, l’Autorità ha ravvisato uno sfruttamento della “tragica pandemia in atto per orientare i consumatori all’acquisto dei prodotti reclamizzati”, identificando diversi profili di contrasto con il Codice del Consumo. Infatti, anche tali comunicazioni costituiscono ipotesi di pubblicità ingannevole, in quanto idonee a indurre i consumatori, con modalità scorrette, a determinarsi all’acquisto dei prodotti pubblicizzati, in violazione dell’art. 21, comma 1, lettera b) del Codice del Consumo, nonché suscettibili di porre in pericolo la salute dei consumatori, inducendoli a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza, in violazione dell’art. 21, comma 3 del Codice. Quanto alle indicazioni in merito alla scarsa disponibilità dei prodotti offerti in vendita, l’Autorità ha ravvisato il contrasto con l’art. 23, lettera t), del Codice sulla base dello sfruttamento dello stato di particolare preoccupazione derivante dalla difficoltà di reperimento delle mascherine.

Oltre ad integrare pubblicità ingannevole, tali comunicazioni sono state ritenute aggressive, in violazione degli artt. 24 e 25, comma 1, lettera c) del Codice del Consumo, in ragione dell’indebito sfruttamento dell’emergenza sanitaria in corso “in un momento in cui la capacità di valutazione dei consumatori risulta già alterata dalla situazione di particolare allarme sanitario”.

In conclusione, l’IAP e l’AGCM, proficuamente impegnate nella lotta contro le pratiche commerciali scorrette, hanno più volte invitato gli operatori del settore ad una maggiore cautela, in considerazione del particolare momento di allarme. Pare tuttavia auspicabile un atteggiamento di maggiore attenzione anche da parte del consumatore, più suscettibile di essere influenzato dalla pubblicità ingannevole nelle circostanze attuali.