Lo streaming illegale
Lo streaming illegale come una delle principali violazioni del copyright, inteso come titolarità del diritto di riproduzione e diffusione di contenuti di intrattenimento quali film, musica, eventi sportivi e serie televisive
Streaming illegale: di cosa si tratta?
Lo streaming illegale rientra oggi a pieno diritto nel più ampio genus della pirateria informatica, intesa come una serie di attività di natura illecita perpetrate tramite l’utilizzo di strumenti informatici, destinate alla lesione del diritto d’autore, volte a creare un beneficio economico per colui che diffonde illecitamente il servizio a pagamento e per l’utente finale che paga abbonamenti irrisori o ne usufruisce gratuitamente[1]. Tra le varie forme ad oggi più utilizzate, vi sono:
- la pirateria domestica (intesa come la duplicazione e masterizzazione di musica, video protetta dal diritto d’autore in ambito domestico),
- la violazione delle condizioni di licenza o underlicensing (intesa come l’installazione di software su un numero di software finali superiore rispetto a quello consentito dalla stessa licenza d’uso),
- il download pirata (inteso come il mero trasferimento-prelievo illegale di materiale protetto da copyright) e, infine,
- il c.d. streaming illegale[2].
Cinema chiusi, concerti annullati, eventi sportivi a porte chiuse hanno portato all’inevitabile desiderio da parte dell’utente finale di poter usufruire di film, musica, e sport comodante da casa e, se possibile, anche gratuitamente. Una simile situazione ha dunque consentito nell’ultimo anno un’impennata del fenomeno dello streaming, e ancor di più di quello illegale.
Meccanismi di funzionamento dello streaming illegale
Con il termine streaming si intende l’insieme di dati video e audio proveniente da una determinata sorgente e diretto ad una rete telematica, ossia un metodo di trasmissione di contenuti che si avvale della rete internet, appoggiandosi a reti di comunicazione elettronica fissa a banda larga o ultra larga, come per esempio la fibra veloce[3].
Lo streaming diviene illegale quando un tale metodo di funzionamento viene impiegato allo scopo di trasmettere in modo illecito un servizio protetto da copyright, intenso come l’insieme di diritti e facoltà che appartengono all’autore di un’opera dell’ingegno di carattere creativo e che permettono di rivendicarne la titolarità della riproduzione nonché l’utilizzo economico esclusivo mediante la riproduzione distribuzione e diffusione. Si pensi ai servizi a pagamento che offrono la riproduzione di video streaming online, sia in diretta che on demand, di eventi sportivi, musica e film.
Ebbene, per capire dove si nasconde e si inserisce l’attività illecita è necessario individuare le modalità di funzionamento e i sistemi di trasmissione dello streaming.
Una prima tecnologia oggi ampiamente utilizzata consiste nell’uso dell’IPTV, acronimo di Internet Protocol Division, sistema che consente di vedere i canali TV tramite internet, utilizzando il protocollo RTP – real time transport e il protocollo RTSP – Real time streaming protocol. Si basa sull’utilizzo di liste, generalmente in formato M3U, in cui sono contenuti i riferimenti dei canali che guardare in streaming. I servizi IPTV, si articolano a sua volta in tre gruppi, come la direct television, catch up TV e video on demand[4].
Una seconda tecnologia consiste nella OTT, acronimo di Over The Top, termine per definire la distribuzione di contenuti a pagamento, web based, tramite connessione a banda larga su reti aperte, accessibili attraverso una molteplicità di devices[5]. Su questo sistema si inseriscono anche gli OTTV (inteso come Over the top television) in grado offrire contenuti in diretta, riproducibili on demand e di tipo gratuito[6].
L’utilizzo di queste tecnologie diviene illecito quando attraverso questi protocolli il provider pirata mette a disposizione e diffonde i programmi e i servizi per i quali normalmente dovrebbe essere pagato l’abbonamento.
Una terza tecnologia, a sé stante, che via via sta lasciando il passo alle prime due sopra citate, riguarda il cosiddetto Card Sharing, da intendersi come la condivisione con altri utenti individuati delle chiavi di ingresso per decodificare il segnale video trasmesso; questo meccanismo richiede il possesso da parte dell’utente di un decoder collegato ad antenna in grado di captare il segnale protetto[7].
Tutela del fenomeno dello streaming illegale a livello europeo
Non sempre gli utenti sono a conoscenza delle problematiche sottese alle pratiche dello streaming illegale; anzi comunemente vengono al più sottovalutate e non avvertite come rilevanti penalmente.
A livello europeo, sono stati molteplici gli sforzi volti a comporre un nucleo normativo organico sul diritto d’autore e sui profili di violazione di esso, del quale lo streaming illegale rappresenta oggi una manifestazione tangibile. In primo luogo, la Direttiva 2001/29/CE, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, mira ad adottare la normativa sul diritto d’autore e sui diritti connessi agli sviluppi tecnologici, fornendo al tempo stesso un elevato livello di protezione della proprietà intellettuale; essa richiede agli Stati UE una protezione giuridica contro chiunque consapevolmente e senza averne diritto:
- rimuove o altera qualsiasi informazione elettronica sul regime dei diritti;
- distribuisce, diffonde per radio o televisione, comunica o mette a disposizione del pubblico opere o altri materiali protetti dai quali siano state rimosse le informazioni elettroniche sul regime dei diritti[8].
Da ultimo, è stata adottata dal Parlamento europeo la Direttiva (UE) 2019/790 del 17 aprile 2019[9] sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale – c.d. normativa copyright – la quale si impone l’obiettivo di armonizzare ulteriormente il quadro giuridico dell’Unione applicabile al diritto d’autore e ai diritti connessi nell’ambito del mercato interno, tenendo conto in particolare degli utilizzi digitali e transfrontalieri dei contenuti protetti. Per ciò che riguarda la tematica odierna, si osserva in particolare l’articolo 17 della direttiva, rubricato “utilizzo di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi di condivisione di contenuti online”.
Questo articolo si concentra sul rapporto tra i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online e i titolari dei diritti, richiedendo in primo luogo l’autorizzazione da parte dei titolari dei diritti, per esempio attraverso un accordo di licenza e successivamente la possibilità di diffondere il contenuto mediante un atto di comunicazione al pubblico. In questo articolo si afferma esplicitamente che qualora non sia concessa alcuna autorizzazione, i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online sono responsabili per atti non autorizzati di comunicazione al pubblico, compresa la messa a disposizione del pubblico, di opere e altri materiali protetti dal diritto d’autore.
Riflessioni conclusive
Il fenomeno dello streaming illegale appare oggi più che mai da contrastare in maniera ferrea.
Le modalità di accesso a questo servizio illecito e illegale sono le più svariate, in continua evoluzione e non è facile per le Autorità competenti intervenire in maniera tempestiva e costante.
Occorre in primo luogo una maggiore conoscenza da parte del privato sul reale disvalore che le condotte esaminate manifestano.
La normativa europea offre validi principi a tutela dello streaming e del copyright; è compito dei singoli Paesi dell’Unione europea prevedere nel proprio ordinamento specifiche normative volte a reprimere il fenomeno.
È delle scorse settimane, ad esempio, la notizia del blocco di una piattaforma chiamata Webnet, una piattaforma dedita alla vendita e distribuzione di dispositivi di decodificazione idonei a permettere l’accesso al servizio criptato di IPTV per fruire di contenuti televisivi senza il pagamento del canone dovuto, sulla quale sono collegate circa cinquanta mila utenti[10].
Informazioni
F. Laprovitera, Pirateria online: tra abitudini ancestrali e nuove strategie di lotta, Altalex 2016
A. Barillaro, Cosa significa streaming? In Informatica per tutti
F. Pincelli, Che differenza c’è tra IPTV, web TV, OTT e OTTV, https://www.01net.it/iptv-web-tvott-ottv/
T. D’Angeli, IPTV e streaming illegale: to pay or not to pay, il dilemma “pezzotto”, in Iusinitinere.it
C. Aparo, L’innovativa pronuncia del Tribunale di Milano e la condanna dei CDN Provider per la trasmissione pirata delle partite di serie A, in DirittoConsenso: http://www.dirittoconsenso.it/2021/01/28/la-responsabilita-dei-provider-delle-reti-content-delivery-network-cdn/
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/LSU/?uri=celex:32001L0029
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32019L0790&from=RO
[1] Seguirà un articolo esclusivamente sulla normativa italiana prevista per contrastare il fenomeno
[2] F. Laprovitera, Pirateria online: tra abitudini ancestrali e nuove strategie di lotta, Altalex 2016
[3] A. Barillaro, Cosa significa streaming? In Informatica per tutti
[4] F. Pincelli, Che differenza c’è tra IPTV, web TV, OTT e OTTV, https://www.01net.it/iptv-web-tvott-ottv/
[5] https://www.agcom.it/documents/10179/539593/Allegato+20-05-2011/bd8d815d-38d8-4f75-9194-3059360b3244?version=1.0
[6] F. Pincelli, op. cit.
[7] T. D’Angeli, IPTV e streaming illegale: to pay or not to pay, il dilemma “pezzotto”, in Iusinitinere.it
[8] Per un approfondimento: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/LSU/?uri=celex:32001L0029
[9] Consultabile al seguente indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32019L0790&from=RO
[10] Per un approfondimento: https://www.tecnoandroid.it/2021/01/14/iptv-chiusa-piattaforma-e-beccati-50-000-utenti-ecco-in-arrivo-le-multe-854981
La riparazione per ingiusta detenzione
L’istituto della riparazione per ingiusta detenzione come rimedio avverso l’indebita applicazione di alcune tipologie di misure cautelari
Natura dell’istituto e inquadramento normativo
La riparazione per ingiusta detenzione costituisce il rimedio successivo avverso la indebita applicazione di misure cautelari. Questo istituto si inserisce nel genus dell’errore giudiziario, disciplinato agli artt. 643 – 647 c.p.p.
Tuttavia, è necessario precisare e distinguere i casi di riparazione per ingiusta detenzione da quelli di riparazione derivante da errore giudiziario. Nel primo caso si fa riferimento alla detenzione subita in via preventiva prima dello svolgimento del processo e quindi prima dell’eventuale condanna, mentre nel secondo si presuppone una condanna a cui sia stata data esecuzione sulla quale si inserisce un successivo giudizio di revisione (quindi a seguito di una sentenza irrevocabile di condanna) in base a nuove prove o alla dimostrazione che la condanna è stata pronunciata in conseguenza della falsità in atti[1].
La riparazione per ingiusta detenzione trova il proprio riconoscimento costituzionale nell’art. 24 c. 4, nella quale si fa riferimento agli errori giudiziari in senso lato, mentre a livello sovranazionale deve essere menzionato l’art. 5 comma 5 della Convenzione per la salvaguardia dei diritto dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), il quale riconosce e tutela il diritto alla libertà e alla sicurezza e afferma che ogni persona vittima di arresto o di detenzione in violazione a una delle disposizione dell’art. 5 “ha diritto ad una riparazione”. Nel nostro codice di procedura penale è dedicato invece un apposito capo[2]. Più precisamente l’articolo 314, rubricato “presupposti e modalità della decisione” e l’articolo 315 intitolato “procedimento per la riparazione”[3].
A completamento dell’inquadramento normativo giuridico, si rileva che anche le norme di attuazione del codice di procedura penale si occupano dell’istituto. Si tratta degli artt. 102[4], dedicato alle modalità di presentazione della domanda e 102 bis[5] il quale affronta invece l’aspetto della reintegrazione nel posto di lavoro perso a seguito dell’applicazione della misura cautelare.
L’istituto della riparazione per ingiusta detenzione non copre ogni indebita restrizione della libertà personale, bensì solo quella inerente alla custodia cautelare; rileveranno, quindi, la custodia in carcere, quella in luogo di cura, gli arresti domiciliari (stante la loro equiparazione alla custodia cautelare); rilevano, infine, per espressa previsione normativa (art. 313, comma 3) anche le misure di sicurezza illegittimamente disposte in via provvisoria. Non è, invece, previsto alcun indennizzo nel caso di misure coercitive non custodiali o di misure interdittive[6]. Ai sensi dell’art. 722 bis c.p.p.[7], anche la custodia cautelare all’estero in conseguenza di domanda di estradizione presentata dallo Stato è computata ai fini della riparazione per ingiusta detenzione nei casi indicati dall’art. 314 c.p.p.
Pertanto, con il procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, l’interessato, titolare di un vero e proprio diritto soggettivo, è posto nella condizione di ottenere un effetto giuridico a proprio vantaggio e a carico della pubblica amministrazione, consistente nel pagamento di una somma di denaro a favore dell’istante.
Dati e statistiche
Prima di procedere all’analisi giuridica dell’istituto, un interessante studio della associazione “errorigiudiziari”[8], consente di farsi un’idea dell’ammontare degli errori giudiziari in Italia – da intendersi come ingiusta detenzione ed errore giudiziario in senso stretto[9] – e quante invece le persone vittima di ingiusta detenzione.
Orbene, dal 1991 al 31 dicembre 2019 i casi totali sono stati 28.893; per quanto riguarda invece i casi di ingiusta detenzione, dal 1991 (anno da cui parte la contabilità ufficiale delle riparazioni per ingiusta detenzione nei registri conservati presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze) al 31 dicembre 2019, si sono registrati 28.702 casi: in media, 1025 innocenti in custodia cautelare ogni anno.
Nel solo anno 2019 i casi di ingiusta detenzione sono stati 1000, per una spesa complessiva in indennizzi di cui è stata disposta la liquidazione pari a 44.894.510,30 euro. Rispetto all’anno precedente, sono in aumento il numero di casi (+105) e soprattutto l’ammontare della spesa complessiva (+33%)[10].
Disciplina
Passando ora all’analisi dell’istituto, l’art. 314 c.p.p. individua due diverse fasce di ipotesi nelle quali si delineano i presupposti per il riconoscimento di una situazione di ingiustizia rilevante ai fini della riparazione.
Al comma 1 – ipotesi cosiddette sostanziali – si riconosce il diritto al soggetto che è stato assolto con sentenza divenuta irrevocabile con le seguenti formule:
- perché il fatto non sussiste;
- per non aver commesso il fatto;
- perché il fatto non costituisce reato;
- perché il fatto non è previsto come reato.
Lo stesso diritto, ai sensi del comma 3, è riconosciuto a favore dei soggetti nei cui confronti sia stato pronunciato:
- provvedimento di archiviazione (nelle formule di cui agli articoli 408, 409, 411);
- sentenza di non luogo a procedere (ai sensi dell’art. 425 c.p.p.).
Al comma 2, è invece riportata la categoria delle ipotesi cosiddette formali, nelle quali – indipendentemente dalla condanna o dal proscioglimento dell’imputato – si accerti con decisione irrevocabile che il provvedimento che ha disposto la misura cautelare è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità di cui agli artt. 273 e 280 e cioè:
- l’assenza di gravi indizi di colpevolezza all’epoca dell’applicazione o della conferma della misura;
- la presenza, di cause di non punibilità, di estinzione del reato o di estinzione della pena che si ritenga irrogabile[11];
- la contestazione di delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni[12].
Considerata la formulazione tassativa del suddetto comma 2, non sono idonee a fondare il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione, né la violazione dell’art. 274, relativo alle esigenze cautelari, né l’inosservanza dei principi di adeguatezza e proporzionalità delle misure, enunciati nell’ art. 275, mentre, invece, tale diritto si configura soltanto ove sussista una causa di illegittimità enucleabile dall’art. 273 o dall’art. 280[13].
Cause di esclusione del diritto alla riparazione
L’art. 314 c.p.p. riporta inoltre alcune cause per le quali si intende compensata l’ingiustizia della restrizione patita dall’imputato, escludendo pertanto la configurabilità del diritto alla riparazione.
In primo luogo, deve escludersi il riconoscimento del diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione nei casi in cui la vittima abbia dato o concorso a dare causa con dolo o colpa grave alla detenzione illegittima.
La ratio della disposizione si fonda sul bilanciamento tra l’esigenza statale di prevenire e reprimere i reati ed il verificarsi di ulteriori conseguenze negative, anche attraverso misure di custodia cautelare, ed il diritto del cittadino ad essere indennizzato se la detenzione era priva di presupposti sempre che la condotta tenuta dall’imputato non sia stata tale da indurre l’accusa a ritenerlo colpevole[14].
Per dolo deve intendersi, qui in senso differente dalle accezioni di dolo tipizzate per l’attribuzione della responsabilità penale, qualsivoglia comportamento, anche omissivo, perpetrato mediante artifici e raggiri destinato a mutare gli elementi a disposizione del giudice ai fini della decisione.
Per colpa grave, giurisprudenza consolidata (Cass. Pen. n. 45324/2009; Cass. Pen. SSUU. 32383/2010) ha fornito un’accezione piuttosto ampia definendola come la condotta caratterizzata da noncuranza, negligenza, incuria e indifferenza per le conseguenze dei propri atti ai fini del processo penale, o l’astensione dal fornire spiegazioni all’autorità giudiziaria. Potranno quindi essere prese in considerazione tanto le condotte extraprocessuali (come la grave leggerezza o la macroscopica trascuratezza tali da aver consentito la promozione dell’incolpazione) quanto quelle endo-processuali (autocalunnia, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi).
In secondo luogo, si esclude la configurabilità del diritto alla riparazione per quella parte della custodia cautelare che sia computata ai fini della determinazione della misura di una pena. In più, non è previsto il diritto alla riparazione per il periodo di tempo in cui le limitazioni conseguenti all’applicazione della custodia siano state sofferte anche in forza di altro titolo (cfr. art. 297 e 298 c.p.p.)[15].
Infine, al quinto comma, è prevista una restrizione al diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione in riferimento ai casi di diritto intertemporale. In particolare, nei casi in cui con sentenza o provvedimento di archiviazione è stato affermato che il fatto non è previsto dalla legge come reato per abrogazione della norma incriminatrice (cfr. art. 2 c.p.), non si avrà diritto alla riparazione nei casi di custodia cautelare sofferta prima della abrogazione della medesima.
Profili procedurali
Per quanto concerne invece l’iter volto a instaurare il procedimento per la riparazione per ingiusta detenzione, l’art. 315 c.p.p. fissa alcune regole e richiami ben precisi.
- Autorità competente: la domanda deve essere presentata presso la cancelleria della corte d’appello nel cui distretto è stata pronunciata la sentenza o il provvedimento di archiviazione; nel caso di sentenza emessa dalla corte di cassazione, è competente la corte di appello nel cui distretto è stato emesso il provvedimento impugnato.
- Limite temporale: la domanda deve essere presentata entro due anni dal giorno in cui la sentenza di proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile, la sentenza di non luogo a procedere è divenuta inoppugnabile o è stata effettuata la notificazione del provvedimento di archiviazione alla persona nei cui confronti è stato pronunciato (cfr. artt. 408,409, 411 c.p.p.).
- Limite quantitativo: l’entità della riparazione non può comunque eccedere l’importo di 516.456,90 euro.
- Disciplina applicabile: l’ultimo comma dell’art. 315 c.p.p. richiama, in quanto disciplina, l’intera disciplina prevista pe la riparazione dell’errore giudiziario di cui agli articoli 643-647 c.p.p.
- Soggetti legittimati: colui che ha sofferto l’ingiusta detenzione; nel caso di decesso della persona che ha subito l’ingiusta detenzione possono richiederne la riparazione: il coniuge, i discendenti e gli ascendenti, i fratelli e le sorelle, gli affini entro il primo grado e le persone legate da vincolo di adozione con quella deceduta[16].
Da ultimo, si osserva come nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione l’operazione logica del giudice sarà del tutto differente rispetto a quella del giudice del processo penale, quest’ultima finalizzata all’accertamento della sussistenza del reato e della commissione da parte dell’imputato. Nel caso di procedimento per ingiusta detenzione il giudice infatti dovrà stabilire se le condotte dell’interessato sono da ritenersi come fattore condizionante alla produzione dell’evento della misura cautelare e non dovrà stabilire se determinate condotte perfezionano un determinato reato oppure no.
Per un ulteriore approfondimento
La Corte Costituzionale, con diverse pronunce di illegittimità costituzionale, ha riconosciuto che il diritto all’ingiusta detenzione spetta anche in ulteriori casi rispetto a quelli espressamente previsti dall’art. 314.
Sul tema si segnalano:
- Corte cost. n. 310/1996, relativa all’erroneo ordine di esecuzione
- Corte cost. n. 109/1999, relativa all’arresto in flagranza o di fermo di indiziato di delitto
- Corte cost. n. 219/2008, relativa al proscioglimento nel merito delle imputazioni.
Informazioni
Conso Grevi, Compendio di procedura penale, IX edizione
De Robbio, Le misure cautelari personali, Milano 2016
F. Galluzzo, Riparazione per ingiusta detenzione, il Penalista, 2015
V. Simi, Schema pratico del processo penale, in DirittoConsenso, 2020. Link: http://www.dirittoconsenso.it/2020/12/17/uno-schema-pratico-del-processo-penale/
https://www.ca.milano.giustizia.it/Distretto/come_fare_per.aspx?cfp_id_scheda=753
https://www.errorigiudiziari.com/errori-giudiziari-quanti-sono/
[1] Per un’analisi degli aspetti procedurali la pagina della Corte di Appello di Milano al seguente link: https://www.ca.milano.giustizia.it/Distretto/come_fare_per.aspx?cfp_id_scheda=753
[2] Capo VIII – all’interno del Titolo I – misure cautelari personali – del libro quarto intitolato “Misure cautelari”
[3] Conso Grevi, Compendio di procedura penale, IX edizione, pp.472-474
[4] Domanda di riparazione per ingiusta detenzione
[5] Reintegrazione nel posto di lavoro perduto per ingiusta detenzione
[6] In dottrina si discute sulla ragionevolezza dell’esclusione della misura dell’obbligo di dimora
[7] Articolo inserito dall’ articolo 5 c. 1 lettera E del D.lgs 149/2017
[8] Consultabile al sito https://www.errorigiudiziari.com/
[9] Vale a dire quelle persone che, dopo essere state condannate con sentenza definitiva, vengono assolte in seguito a un processo di revisione
[10] Per l’indagine completa si veda: https://www.errorigiudiziari.com/errori-giudiziari-quanti-sono/
[11] Con la pronuncia delle Sez. Unite della Suprema Corte n. 20/1993 è stato affermato che la sussistenza di cause di giustificazione, le quali implicando l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non costituisce reato, rientrano nella diversa previsione di cui al comma 1 dell’art. 314 c.p.p. e non nelle condizioni di cui al comma 2.
[12] Conso Grevi, op. cit.
[13] De robbio, Le misure cautelari personali, Milano, 2016
[14] F. Galluzzo, riparazione per ingiusta detenzione, il Penalista, 2015
[15] F. Galluzzo, op. cit.
[16] De robbio, op. cit.
L'abuso d'ufficio alla luce del Decreto Semplificazioni
Analisi della nuova disciplina del delitto di abuso d’ufficio prevista dal Decreto Semplificazioni e commento alle prime pronunce giurisprudenziali post-riforma
L’evoluzione normativa del delitto di abuso d’ufficio
Il delitto di abuso d’ufficio, disciplinato dall’art. 323 c.p., è stato nuovamente oggetto di intervento e di modifica della fattispecie realizzato mediante il D.L. 76/2020 (cosiddetto “Decreto semplificazioni”).
Questo decreto, provvedimento ancora una volta di natura emergenziale, ha la finalità di disporre un “intervento organico volto alla semplificazione dei procedimenti amministrativi, all’eliminazione e alla velocizzazione di adempimenti burocratici, alla digitalizzazione della pubblica amministrazione, al sostegno all’economia verde e all’attività di impresa”[1].
In particolare, per ciò che attiene al reato qui in esame, l’art. 23, comma 1, D.L. 16 luglio 2020, n. 76[2], conv., con modif., in L. 11 settembre 2020, n. 120[3], in vigore dal 17 luglio 2020, ha sostituito per il delitto di abuso d’ufficio di cui all’art. 323 c.p. le parole “di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità‘” alle parole preesistenti “di norme di legge o di regolamento“.
Questo intervento è solo l’ultimo di una serie di modiche che hanno ripetutamente interessato questa fattispecie, nel tentativo di individuare contorni ben definiti, determinabili e compatibili con il principio di precisione[4].
Orbene, rimandando ad altri approfondimenti la ricostruzione ed il susseguirsi dei numerosi interventi normativi che ha subito la disciplina dell’abuso d’ufficio[5] – nella sua formulazione nonché nella sua cornice edittale – , è comunque necessario individuare, al fine di evidenziare in che direzione si sta muovendo l’evoluzione della disciplina, la fattispecie vigente in seguito alla modifica precedente a quella oggi in commento, ossia la legge 16 luglio 1997, n. 234[6], la quale, già ai tempi, portava con sé la finalità di delineare il campo di intervento del giudice penale, allo scopo di limitare le ingerenze del potere giudiziario e, soprattutto, dal pericolo di inerzia conseguente alla paura di una criminalizzazione dell’operato dei funzionari della pubblica amministrazione[7]. La formulazione del 1997, condannava “salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione delle norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto”.
Analisi della nuova disciplina dell’art. 323 c.p.
Pertanto, a confronto con il precedente intervento normativo, l’attuale fattispecie dell’abuso d’ufficio appare pressoché invariata salvo per l’elemento oggettivo; l’art. 323 c.p. rimane chiaramente un reato proprio che può essere realizzato esclusivamente dal pubblico ufficiale[8] o dall’incaricato di pubblico servizio[9]; di evento consistente nel procurare intenzionalmente a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero nell’arrecare ad altri un danno ingiusto; di dolo intenzionale per il quale è richiesta la rappresentazione e la volizione dell’evento di danno altrui o di vantaggio patrimoniale, come conseguenza diretta e immediata della condotta dell’agente e obiettivo primario perseguito dall’agente. È prevista inoltre una clausola di sussidiarietà espressa (salvo che il fatto non costituisca più grave reato) di tipo restrittivo, avente la funzione di chiusura del sistema dei reati commessi dai pubblici amministratori[10].
Ciò che muta, lasciando contorni certamente non nitidi, è l’elemento materiale che perfeziona il delitto di cui all’ art 323 c.p., il quale deve essere realizzato nello svolgimento delle funzioni del servizio, e consiste ora[11]:
- a) Nella violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità.
oppure, in alternativa, si realizza
- b) mediante l’inosservanza di un obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti[12].
La nuova condotta impone l’analisi delle tre novità che la compongono e che hanno la finalità di circoscrivere e comprimere l’area penalmente rilevante dell’abuso d’ufficio.
Questi elementi sono:
- Il richiamo a “specifiche regole di condotta”;
- la provenienza di regole che siano “espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge”;
- l’esclusiva rilevanza delle regole di condotta dalle quali “non residuano margini di discrezionalità”
Le “specifiche regole di condotta”
Quanto al primo elemento, l’introduzione della violazione di “specifiche regole di condotta” ha la finalità di ridurre l’area applicativa dell’incriminazione escludendo che la violazione di principi generali non definiti in concreto possa integrare l’abuso d’ufficio. Su questo tema, una domanda che il lettore può certamente porsi concerne l’applicabilità di questa fattispecie anche nei casi di violazione di quei principi, costituzionalmente riconosciuti, alla base del sistema amministrativo, come l’art. 54 e 97 cost., rispettivamente relativi al dovere di adempiere con disciplina ed onore l’esercizio di funzioni pubbliche nonché al buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione[13].
Sebbene tali articoli costituiscono principi generali, devono essere considerati nella loro valenza precettiva e non solo programmatica, sul rilievo che le norme costituzionali di cui agli articoli 54 e 97 della Costituzione dettano regole di immediata portata vincolante ed esprimono il divieto per i pubblici agenti di comportamenti connotati da ingiustificate preferenze e favoritismi, atteso che una simile condotta determina l’inosservanza dei doveri costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost., nonché la violazione del dovere di adempiere con disciplina ed onore all’esercizio di funzioni pubbliche previsto dall’art. 54 Cost[14].
Pertanto, a titolo esemplificativo, resterà valido anche per la nuova formulazione dell’abuso d’ufficio, a condizioni esatte, il principio in forza del quale integra il reato di abuso di ufficio il demansionamento di un dipendente comunale attuato con intento discriminatorio o ritorsivo.
Legge o atti aventi forza di legge
Quanto al secondo elemento il richiamo esclusivo alla legge o atti aventi forza di legge limita la configurabilità del reato ai soli casi di violazione delle regole di condotta contenute in norme di rango primario mentre, a differenza della precedente formulazione introdotta nel 1997, espunge del tutto i regolamenti.
Tale scelta legislativa, pur comprensibile avendo individuato la ratio – di cui sopra – del Decreto Semplificazioni, non è però esente da critiche. Con l’introduzione della nuova disciplina viene meno la perseguibilità dell’abuso d’ufficio nei casi di violazione di fonti del diritto secondarie, tra cui i regolamenti.
È una certezza che nel diritto amministrativo il ricorso a regolamenti è prassi comune legittimata e riconosciuta dalla Costituzione la quale, all’art. 117 c. 6, ripartisce la competenza regolamentare in capo a Stato, Regioni, Comuni, Province e Città metropolitane. Si pensi dunque quanto sia comune in capo alla pubblica amministrazione l’impiego di regolamenti contenenti specifiche regole di condotta. Tralasciando i regolamenti governativi di cui all’art. 17 della l. 400/1998[15], basti pensare alla potestà regolamentare degli enti locali, esplicazione del principio di autonomia normativa di cui essi godono, riconosciuta costituzionalmente – art. 117 Cost – e riaffermato ai sensi dell’ art. 7 del D. lgs 267/2000, il quale riporta che il Comune e la Provincia adottano regolamenti nelle materie di propria competenza nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo Statuto.
A ben vedere, dunque, la rilevanza penale dell’abuso d’ufficio riferita ai soli atti aventi natura di legge o forza di legge rischia di produrre l’effetto di una impunità e di una inefficacia preventiva dell’incriminazione, specie in assenza di una concreta efficacia di strumenti alternativi quali, per esempio, i procedimenti disciplinari[16].
Di fronte ad un tale incontrastato arretramento della rilevanza penale della norma si potrebbe porre rimedio in primo luogo attraverso una espansione interpretativa della seconda condotta, alternativa alla prima, prevista per il delitto di abuso d’ufficio e consistente nella violazione dell’obbligo di astenersi; in secondo luogo mediante un intervento delle fattispecie richiamate attraverso la clausola di sussidiarietà espressa, quale, per esempio, il delitto di peculato per distrazione di cui all’art. 314 c.p.
Requisito dell’assenza di margini di discrezionalità
Terzo e ultimo elemento della nuova disciplina riguarda la rilevanza penale nei casi in cui non residuano margini di discrezionalità. Ciò significa, in altri termini, escludere che la violazione di una specifica ed espressa regola di condotta, caratterizzata da margini di discrezionalità, possa integrare un abuso d’ufficio penalmente rilevante.
Nel diritto amministrativo la discrezionalità connota l’esistenza stessa dell’amministrare, cioè della cura in concreto degli interessi pubblici; tale attività presuppone che l’apparato titolare del potere abbia la possibilità di scegliere la soluzione migliore nel caso concreto. Come si può cogliere già a livello intuitivo, un amministratore che, nella p.a., sia privo di margini di manovra è quasi una contraddizione in termini[17]. In altre parole, la discrezionalità consiste nella ponderazione degli interessi pubblici e privati rilevanti al fine di individuare, da parte della p.a. la soluzione migliore per curare nel caso concreto l’interesse pubblico.
In realtà, i casi in cui la legge determina il se, il cosa e il come di una condotta imposta ad un agente pubblico sono non solo rari, ma attinenti ad una sfera minuta dell’attività amministrativa: quella di attività vincolata nella quale l’amministrazione non ha altro compito se non quello di verificare se nella fattispecie concreta siano rinvenibili tutti gli elementi indicati dalla norma attributiva.[18]
L’intervento del legislatore pertanto, sembra voler quasi affermare l’irrilevanza penale delle condotte dei soggetti della p.a. ai quali sono riconosciuti poteri discrezionali (es. il rilascio di un porto d’armi) mentre residua rilevanza penale soltanto per quelle poche ipotesi nel quale è la legge a stabilire l’an, il quid e il quomodo di una condotta imposta ad un agente pubblico (es: l’iscrizione ad un albo professionale).
Cass. Pen. Sez. Fer. 32174/2020
In tema di abuso d’ufficio è intervenuta una recente pronuncia della Corte di Cassazione in seguito alle modifiche previste dal D.l. 76/2020, nella quale si rinvengono interessanti spunti interpretativi; si tratta della pronuncia n. 32174/2020 Cass. Pen. sez. fer. Del 25 agosto 2020, cui è seguito il deposito delle motivazioni in data 17 novembre 2020. Sebbene questa pronuncia si riferisca e riguardi la seconda condotta di cui all’art. 323 c.p., rimasta invariata nonostante il Decreto semplificazioni, nella parte iniziale si sofferma sulla prima condotta; enunciando in particolare che:
– Si tratta di una modifica che investe solo uno dei due segmenti di condotta che sono considerati rilevanti ai fini dell’integrazione del delitto di abuso d’ufficio che punisce con lo stesso trattamento sanzionatorio, accomunandone il relativo disvalore
– Per effetto di tale modifica l’abuso di ufficio nella prima opzione, può essere ora integrato solo dalla violazione di “regole di condotta previste dalla legge o da atti aventi forza di legge”, cioè da fonti primarie, con esclusione dei regolamenti attuativi, e che abbiano, inoltre, un contenuto vincolante precettivo da cui non residui alcuna discrezionalità amministrativa.
– Siffatta modifica, non esplica alcun effetto con riguardo al segmento di condotta che riguarda l’inosservanza dell’obbligo di astensione, rispetto al quale la fonte normativa della violazione è da individuarsi nella stessa norma penale salvo che per il rinvio agli altri casi prescritti, rispetto ai quali non pare ugualmente pertinente la limitazione alle fonti primarie di legge, trattandosi della violazione di un precetto vincolante già descritto dalla norma penale, sia pure attraverso il rinvio, ad altre fonti normative extra-penali che prescrivano lo stesso obbligo di astensione.
Nel caso di specie, pertanto, trovandosi nell’ipotesi di un abuso di ufficio riferito alla specifica violazione dell’obbligo di astensione, la modifica normativa non produce alcun effetto, permanendo la rilevanza penale della condotta in esame. Tuttavia, tale pronuncia offre alcuni spunti in tema di trattamento sanzionatorio, di esclusiva rilevanza delle fonti di rango primario per la condotta novellata e di definizione dell’enunciato “altri casi prescritti” così come previsto dalla seconda condotta dell’art. 323 c.p.; oltre ad affermare, in tema di diritto intertemporale, gli inevitabili effetti di favore applicabili retroattivamente ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 2 originati dalla notevole limitazione dell’ambito di rilevanza penale del delitto di abuso d’ufficio.
Osservazioni conclusive
Come si è appreso dalla relazione illustrativa del decreto semplificazioni[19], le modifiche della disciplina sull’abuso d’ufficio di cui all’ art. 323 c.p. hanno lo scopo di definire in maniera più compiuta la condotta rilevante ai fini del reato di abuso di ufficio.
Tuttavia, da un’attenta analisi della nuova condotta tipizzata sorgono evidenti dubbi in riferimento, da un lato, ad un eccessivo arretramento dell’intervento penale, dall’altro ad un incontrastato avanzamento della discrezionalità amministrativa.
Sebbene sia apprezzabile il tentativo di rendere più aderente al principio di tipicità in senso stretto la disciplina sull’abuso d’ufficio nonché il tentativo di agevolare l’individuazione delle condotte penalmente rilevanti, tale intervento appare ai più un’opera incompleta a causa del sommo disordine che caratterizza il nostro sistema amministrativo e alla quale difficilmente una legislazione emergenziale può porre rimedio[20].
Informazioni
T. Padovani, Vita, morte e miracoli dell’abuso d’ufficio, in www.giurisprudenzapenale.com.
G. L. Gatta, Riforma dell’abuso d’ufficio (d.l. n. 76/2020) in Sistema Penale
S. Marani, Abuso d’ufficio, in Altalex
G. Viciconte, B. Ridarelli, Il nuovo abuso d’ufficio e la difficile convivenza tra diritto penale e diritto amministrativo ne Il penalista
R. Greco, Abuso d’ufficio: per un approccio “eclettico” in Giustizia insieme
M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, IV ed. pp. 68-70
Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 54 del 7 Luglio 2020
D. Veraldi, Artt. 97-98 della Costituzione: il buon andamento della Pubblica Amministrazione al servizio della Nazione e la lotta alla corruzione, in DirittoConsenso http://www.dirittoconsenso.it/2020/10/08/lotta-alla-corruzione-pubblica-amministrazione/
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/07/16/20G00096/sg
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/09/14/20G00139/sg
http://www.appaltiecontratti.it/wpcontent/uploads/Relazione_illustrativa_decreto_semplificazioni.pdf
[1] Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 54 del 7 Luglio 2020
[2] Consultabile al seguente link: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/07/16/20G00096/sg
[3] Consultabile al seguente link: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/09/14/20G00139/sg
[4] Nullum crimen nulla pena sine lege certa.
[5] Per una disamina puntuale, sul punto Padovani T., Vita, morte e miracoli dell’abuso d’ufficio, in www.giurisprudenzapenale.com.
[6] Consultabile al seguente link: https://www.camera.it/parlam/leggi/97234l.htm con specifico riferimento all’ art. 1.
[7] G.L. Gatta, Riforma dell’abuso d’ufficio (d.l. n. 76/2020) in Sistema Penale
[8] Art. 357 c.p. nozione di pubblico ufficiale
[9] Art. 358 c.p. nozione di incaricato di pubblico servizio
[10] S. Marani, Abuso d’ufficio in Altalex
[11] Gaetano Viciconte, Benedetta Ridarelli, Il nuovo abuso d’ufficio e la difficile convivenza tra diritto penale e diritto amministrativo ne Il penalista
[12] In tema di obbligo di astensione degli amministratori degli enti locali si vedano gli artt. 77-78 D.Ls 267/2000 – TUEL
[13] D. Veraldi, Artt. 97-98 della Costituzione: il buon andamento della Pubblica Amministrazione al servizio della Nazione e la lotta alla corruzione, in DirittoConsenso http://www.dirittoconsenso.it/2020/10/08/lotta-alla-corruzione-pubblica-amministrazione/
[14] R. Greco, Abuso d’ufficio: per un approccio “eclettico” in Giustizia insieme
[15] M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, IV ed. pp. 68-70
[16] G.L. Gatta, op. cit.
[17] Clarich, op. cit.
[18] T. Padovani, op. cit.
[19] http://www.appaltiecontratti.it/wpcontent/uploads/Relazione_illustrativa_decreto_semplificazioni.pdf
[20] T. Padovani, op. cit.
Avanzamento del processo penale telematico e legislazione emergenziale
Le nuove restizioni alla libertà di movimento hanno portato ad importanti novità per quanto riguarda lo sviluppo del processo penale telematico
Il processo penale telematico al vaglio delle recenti misure emergenziali
A causa dell’emergenza sanitaria tuttora in corso e dell’aggravarsi delle condizioni di diffusione del virus verificatosi nel terzo trimestre del 2020, il Consiglio dei Ministri ha approvato il cosiddetto “Decreto ristori” (D.L. 28 ottobre 2020, n. 137)[1] e, a distanza di pochi giorni, il “Decreto ristori bis” (D.L. del 9 novembre 2020, n. 149)[2], volti a introdurre misure urgenti per la tutela della salute e per il sostegno ai lavoratori e ai settori produttivi, nonché in materia di giustizia e sicurezza connesse all’epidemia da covid-19. Questi provvedimenti oltre a porre una barriera alle estreme difficoltà economiche di questo periodo, dedicano dettagliate disposizioni ad alcuni aggiustamenti relativi alle modalità di accesso ai Tribunali, alla partecipazione alle udienze da parte dei privati e addetti ai lavori, nonché al rispetto del principio del contraddittorio e oralità. I provvedimenti di seguito analizzati aggiungono tasselli rilevanti nel percorso di sviluppo e ingresso nella realtà di tutti i giorni – non solo emergenziale – del processo penale telematico; tali provvedimenti, se pur destinati ad una durata e ad un effetto nel solo periodo emergenziale, pro tempore, si auspica possano essere assunti come spunto per una più ampia definizione e organizzazione del processo penale telematico.
Attività giurisdizionale – Art. 23 d. l. 149/2020
Per quanto riguarda il primo provvedimento, il d. l. n. 149/2020, da un’attenta analisi dei 32 articoli di cui è composto, si osserva come l’art. 23 rubricato “Disposizioni per l’esercizio dell’attività giurisdizionale nella vigenza dell’emergenza epidemiologica da covid-19”, contenga una fitta rete di disposizioni in questo senso. Vediamole insieme.
- Indagini preliminari: il pubblico ministero e la polizia giudiziaria possono avvalersi di collegamenti da remoto, per compiere atti che richiedono la partecipazione della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa, del difensore, di consulenti, di esperti o di altre persone, salvo che il difensore della persona sottoposta alle indagini si opponga, quando l’atto richiede la sua presenza; si pensi, per esempio al primo atto che viene notificato a colui che è sottoposto ad indagini preliminari, ossia al verbale di identificazione, dichiarazione e/o elezione di domicilio ai sensi degli artt. 349, 161 c.p.p. Le persone chiamate a partecipare all’atto sono tempestivamente invitate a presentarsi presso l’ufficio di polizia giudiziaria più vicino al luogo di residenza che abbia in dotazione strumenti idonei ad assicurare il collegamento da remoto. Il difensore partecipa da remoto mediante collegamento dal proprio Studio, salvo che decida di essere presente nel luogo ove si trova il suo assistito. Il pubblico ufficiale che redige il verbale dà atto nello stesso delle modalità di collegamento da remoto utilizzate, delle modalità con cui si accerta l’identità dei soggetti partecipanti e di tutte le ulteriori operazioni.
- Udienze: le udienze dei procedimenti civili e penali alle quali è ammessa la presenza del pubblico possono celebrarsi a porte chiuse, ai sensi dell’articolo 472, comma 3 c.p.p. il quale richiama espressamente i motivi di “pubblica igiene”. Le udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private, dai rispettivi difensori e dagli ausiliari del giudice possono essere tenute mediante collegamenti da remoto[3]. Lo svolgimento dell’udienza avviene con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti. I difensori attestano l’identità dei soggetti assistiti, i quali, se liberi o sottoposti a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, partecipano all’udienza solo dalla medesima postazione da cui si collega il difensore[4]. Il giudice, inoltre può partecipare all’udienza anche da un luogo diverso dall’ufficio giudiziario. Queste disposizioni non si applicano alle udienze nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti, nonchè alle discussioni relative al giudizio abbreviato -art. 441 c.p.p.- e dibattimentali -art. 523 c.p.p.- e, salvo che le parti vi consentano, alle udienze preliminari.
- Persone detenute, internate, in stato di custodia cautelare, fermate o arrestate. La partecipazione a qualsiasi udienza è assicurata, ove possibile, mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Con le stesse modalità è assicurata la partecipazione agli atti che richiedono la loro partecipazione. Per esempio, con queste modalità, il giudice potrà procedere all’interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare ai sensi dell’art. 294 c.p.p.
- Procedimenti in camera di consiglio e ricorsi per cassazione. La decisione sui ricorsi per cassazione ai sensi degli artt. 127 c.p.p. e 614 c.p.p. procede in camera di consiglio senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle altre parti, salvo che una delle parti private o il procuratore generale faccia richiesta di discussione orale. Si prevede inoltre un contradditorio cartolare che si articola nelle seguenti modalità:
- entro il quindicesimo giorno precedente l’udienza, il procuratore generale formula le sue richieste con atto spedito alla cancelleria della Corte a mezzo di posta elettronica certificata. La cancelleria provvede immediatamente a inviare, con lo stesso mezzo, l’atto contenente le richieste ai difensori delle altre parti.
- I difensori delle altre parti entro il quinto giorno antecedente l’udienza, possono presentare con atto scritto, inviato alla cancelleria della corte a mezzo di posta elettronica certificata, le
L’eventuale richiesta di discussione orale deve invece essere formulata per iscritto dal procuratore generale o dal difensore abilitato a norma dell’articolo 613 del c.p.p. entro il termine perentorio di 25 giorni liberi prima dell’udienza e presentata, a mezzo di posta elettronica certificata, alla cancelleria[5].
Attività di deposito atti, documenti e istanze – Art. 24 d. l. 137/2020
Proseguendo, indicazioni di assoluta rilevanza si rinvengono nel disposto dell’art. 24 del d. l. 137/2020, relative alla semplificazione delle attività di deposito di atti, documenti e istanze nella vigenza dell’emergenza epidemiologica da covid-19.
In particolare il deposito di memorie, documenti, richieste ed istanze indicate dall’articolo 415-bis, comma 3 c.p.p. presso gli uffici delle procure della repubblica presso i tribunali avviene, esclusivamente, mediante deposito dal portale del processo penale telematico individuato con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia e con le modalità stabilite nel decreto stesso[6]. Inoltre, con uno o più decreti del Ministro della giustizia, saranno indicati gli ulteriori atti rispetto a quelli indicati per i quali sarà reso possibile il deposito telematico. Per tutti gli indicati e per i quali verrà disposto il deposito telematico non sarà possibile l’invio tramite posta elettronica certificata non è consentito e non produce alcun effetto di legge.
Per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli indicati fino al 31 gennaio 2020, è consentito il deposito con valore legale mediante posta elettronica certificata inserita nel Registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata [7].
Detenzione domiciliare – Art. 30 d. l. 137/2020
Infine, in materia di detenzione domiciliare nel d. l. 137/2020 è stato inserito l’art. 30, il quale prevede espressamente che, fino alla data del 31 dicembre 2020, la pena detentiva verrà eseguita, su istanza, presso l’abitazione del condannato o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, ove non sia superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena.
Sono esclusi da questo provvedimento in particolare:
- soggetti condannati per reati di maltrattamenti contro familiari e conviventi (572 c.p.), atti persecutori (o stalking, 612 bis c.p.) e tutta una serie di delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza e tutta una serie di delitti di estrema gravità indicati nell’art. 4 bis della legge sull’ordinamento penitenziario;
- delinquenti abituali, professionali o per tendenza ai sensi degli artt. 102,105,108 c.p.;
- detenuti privi di un domicilio effettivo e idoneo anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato.
Il magistrato di sorveglianza adotta il provvedimento che dispone l’esecuzione della pena presso il domicilio, salvo che ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura. Inoltre, salvo si tratti di condannati minorenni o di condannati la cui pena da eseguire non è superiore a 6 mesi è applicata la procedura di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici resi disponibili per i singoli istituti penitenziari.
La procedura di controllo, alla cui applicazione il condannato deve prestare il consenso, viene disattivata quando la pena residua da espiare scende sotto la soglia di 6 mesi[8][9].
Decreto Ristori bis
Segue, a pochi giorni di distanza, il decreto ristori bis che contiene ulteriori articoli dedicati al processo penale telematico nel periodo dell’emergenza sanitaria in corso. Vediamoli insieme:
Giudizi di appello – Art. 23 d. l. 149/2020
L’art. 23, intitolato “disposizioni per la decisione dei giudizi penali di appello nel periodo di emergenza epidemiologica” prevede in primo luogo un contraddittorio cartolare nei giudizi di appello proposti contro le sentenze di primo grado; in particolare, la Corte di appello procede in camera di consiglio senza l’intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale o che l’imputato manifesti la volontà di comparire. Entro il decimo giorno precedente l’udienza, il pubblico ministero formula le sue conclusioni con atto trasmesso alla cancelleria della Corte di appello, la quale trasmetterà “immediatamente” e per via telematica l’atto al difensore. I difensori delle altre parti, entro il quinto giorno antecedente l’udienza, possono presentare le conclusioni con atto scritto trasmesso alla cancelleria della corte d’appello per via telematica.
L’eventuale richiesta di discussione orale è formulata per iscritto dal pubblico ministero, dal difensore o dall’imputato a mezzo del difensore entro il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell’udienza ed è trasmessa alla cancelleria della Corte di appello.
Importanti limiti temporali di applicazione: non si applicano ai procedimenti nei quali l’udienza per il giudizio di appello è fissata entro il termine di quindici giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino a quelli in cui è fissata udienza entro il 31 gennaio 2020.
Prescrizione e custodia cautelare – Art. 24 d. l. 149/2020
L’art. 24 si concentra sulla prescrizione, in particolare sulla sospensione del corso della prescrizione e dei termini di custodia cautelare nei procedimenti penali.
Dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 gennaio 2020, i giudizi penali sono sospesi, è sospeso il corso della prescrizione e dei termini di durata massima della custodia cautelare durante il tempo in cui l’udienza è rinviata per l’assenza del testimone, del consulente tecnico, del perito o dell’imputato in procedimento connesso i quali siano stati citati a comparire per esigenze di acquisizione della prova, dovuta alle restrizioni ai movimenti imposte dall’obbligo di quarantena o dalla sottoposizione a isolamento fiduciario e previste dalla legge o dalle disposizioni attuative dettate con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro della salute.
In questi casi, la successiva udienza non potrà essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione delle restrizioni ai movimenti, in caso contrario, si considereranno gli effetti della durata della sospensione del corso della prescrizione e dei termini di durata massima della custodia cautelare, al tempo della restrizione aumentato di 60 giorni.
Osservazioni conclusive sul processo penale telematico
Alla luce degli interventi normativi effettuati si rileva come il processo penale telematico sia stato sottoposto ad un cambiamento forzato e forzoso dalla legislazione emergenziale di questo periodo.
Ad eccezione di alcune restrizioni in tema di oralità e contradditorio tra le parti, è auspicabile tuttavia che le novità introdotte in riferimento al deposito di atti, istanze, alla possibilità di celebrare determinate udienze da remoto (si pensi alle classiche “udienze filtro”) possano rappresentare un valido strumento per una più vasta riorganizzazione e avvio di un processo penale telematico in grado di ridurre tempi e costi sia alla macchina dello stato, sia agli avvocati, favorendo allo stesso tempo una maggiore partecipazione dei cittadini intesi come soggetti parte del procedimento penale.
Informazioni
Giordano, Quando sarà attivo il processo penale telematico? in ilpenalista.it
Reale, Decreto Ristori in G.U.: le novità apportate al processo da remoto in Il quotidiano giuridico
Santalucia, La giustizia penale di fronte all’emergenza da epidemia da COVID-19, in giustiziainsieme.it
Dolcini, G.L. Gatta, Carcere, coronavirus, decreto “cura Italia”: a mali estremi, timidi rimedi in Sistema Penale
Portale Deposito atti Penali: pubblicato il Manuale Utente, in Diritto e Giustizia, a cura di La redazione
De Lucia, Diritto penale e garanzie costituzionali supreme in DirittoConsenso, consultabile al seguente link: http://www.dirittoconsenso.it/2019/07/09/diritto-penale-e-garanzie-costituzionali-supreme/
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2020/10/28/269/sg/pdf per consultare il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137 (“Decreto ristori”)
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2020/11/09/279/sg/pdf per consultare il D.L. del 9 novembre 2020, n. 149 (“Decreto ristori bis”)
[1] Consultabile al link: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2020/10/28/269/sg/pdf
[2] Consultabile al link: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2020/11/09/279/sg/pdf
[3] Luigi Giordano, Quando sarà attivo il processo penale telematico? in ilpenalista.it
[4] In caso di custodia dell’arrestato o del fermato la persona arrestata o fermata e il difensore possono partecipare all’udienza di convalida da remoto anche dal più vicino ufficio della polizia giudiziaria attrezzato per la videoconferenza, quando disponibile. In tal caso, l’identità della persona arrestata o fermata è accertata dall’ufficiale di polizia giudiziaria presente.
[5] M. Reale, Decreto Ristori in G.U.: le novità apportate al processo da remoto in Il quotidiano giuridico
[6] Il deposito degli atti si intende eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali, secondo le modalità stabilite dal provvedimento.
[7] In tema, si veda Portale Deposito atti Penali: pubblicato il Manuale Utente, in Diritto e Giustizia, a cura di La redazione
[8] Santalucia, La giustizia penale di fronte all’emergenza da epidemia da COVID-19, in giustiziainsieme.it
[9] Per un confronto con le misure adottate durante i mesi di marzo e aprile 2020: Dolcini, G.L. Gatta, Carcere, coronavirus, decreto “cura Italia”: a mali estremi, timidi rimedi in Sistema Penale