Cripto-valute

Le cripto-monete come valuta nazionale

Le cripto-monete come valuta nazionale: come fare e quali sono le operazioni necessarie per la reale attuazione?

 

Le cripto-monete come valuta nazionale: come fare e quali sono le operazioni necessarie per la reale attuazione?

Negli scorsi mesi, a seguito della c.d. “Ley bitcoin” emanata il 9 giugno 2021 dal governo di El Salvador si è parlato tantissimo della possibilità di rendere delle cripto-monete “valuta nazionale”, ma quali sono i requisiti per rendere effettiva questa scelta? Cosa vuol dire concretamente rendere una valuta “nazionale”?

Preliminarmente si rammenta che El Salvador, da oltre venti anni, non ha più una moneta nazionale e che il “Colón” (moneta ufficiale di El Salvador) viene utilizzato solo come riferimento nazionale; situazione simile è quella di Panama (che da oltre un secolo usa il dollaro) e dell’Ecuador (che lo ha adottato dal 2000).

Ebbene, il primo aspetto da analizzare riguarda l’attuale utilizzo delle cripto-monete da parte degli utenti/cittadini. Ad oggi la detenzione di cripto-monete sembra essere ancora un’operazione di risparmio/investimento, a scapito della mera detenzione di moneta come mezzo di acquisto. Ciò assurge ad effetto sulla psiche per la maggior parte dei detentori di cripto-monete, i quali utilizzano le monete digitali solo ove necessario e spesso lo fanno unicamente liquidandole, ossia non trasferendo la quantità di cripto-moneta necessaria per il soddisfacimento del soggetto creditore.

In generale, una moneta a corso legale è lo strumento di pagamento impiegato in un paese (o in un gruppo di paesi, basti pensare all’Euro), avente potere liberatorio (chi paga con essa può estinguere i debiti), potere acquisitorio (comprare beni o servizi) e potere trasformatorio (investire in titoli, in immobili, in beni rifugio). Principalmente, una moneta avente corso legale dà a chi la possiede la certezza di poterla usare in tutto il territorio, in quanto nessuno può rifiutarsi di accettarla.

Pertanto, la principale caratteristica di una “Valuta Nazionale” può dirsi quella di prevedere che chiunque possa pagare beni e servizi, aprire conti correnti o pagare debiti usando tale valuta. Dunque, basterà trasferire una quantità di valuta equivalente al valore del debito al soggetto creditore per essere liberati del debito, senza che la controparte debba accettare espressamente quel tipo di pagamento. In altre parole, quando paghiamo con una valuta non nazionale è come se stessimo facendo un’offerta al creditore, che è libero di accettare o rifiutare.

Di fatto, pagare con una cripto-moneta (così come ogni altra valuta non riconosciuta a livello nazionale) è molto più simile ad un baratto che ad un sistema di pagamento tramite trasferimento di valore. Immaginiamo di pagare un debito tramite trasferimento di proprietà di un bene che naturalmente possiederà un determinato valore economico, la controparte può decidere di accettare o no quell’accordo, che potrebbe essere più o meno vantaggioso. Naturalmente la divisibilità delle cripto-monete permette di frazionare il valore fino ad arrivare molto vicini al reale valore della transazione. Similmente a quanto accadrebbe se si possedesse dell’oro e si fosse in grado di separarlo, fornendo alla controparte la quantità giusta per saldare il debito.

Chiarito questo concetto, passiamo alle infrastrutture ed alle procedure necessarie per permette ad una cripto-moneta di essere una vera valuta nazionale:

 

Impossibilità da parte degli esercenti a rifiutare un pagamento con quella valuta

Rendere una cripto-moneta una valuta di Stato comporta l’impossibilità da parte di tutti i cittadini, di tutte le attività commerciali e delle società, di rifiutare suddetto pagamento. Basti pensare a quello che è da poco accaduto in Italia con i sistemi di pagamento elettronico, che non possono più essere rifiutati dagli esercenti.

In maniera indiretta, ciò comporta l’obbligo per ogni cittadino di avere tutti i mezzi necessari, non tanto al pagamento tramite cripto-moneta – dal momento che il comune cittadino potrebbe pretendere di pagare con la valuta “classica” –, ma alla riscossione di un pagamento fatto con cripto-monete, da parte di un altro soggetto che in quanto debitore, decide di avvalersi di questo metodo di pagamento per soddisfare il credito nei confronti dell’altro cittadino.

Nel caso delle cripto-monete il cittadino:

  • deve essere massimamente digitalizzato;
  • deve possedere un wallet;
  • deve possedere dispositivi che siano in grado di gestire il wallet;
  • deve essere in grado di utilizzare correttamente i software necessari alla gestione del wallet, in modo da controllare che i pagamenti giungano al proprio patrimonio;
  • deve essere in grado di effettuare delle operazioni matematiche, anche con il supporto della strumentazione disponibile, in modo da svolgere correttamente le operazioni di “cambio” per definire la quantità di cripto-moneta necessaria al pagamento del debito, dal momento che il valore di questi asset può fluttuare anche di molto, in pochissimo tempo;
  • deve acquistare sistemi per la contabilità che siano in grado di gestire le entrate ed i fondi detenuti dal soggetto in cripto-monete.

 

È importante dire che El Salvador non è una nazione altamente digitalizzata e che quindi la decisione di rendere una cripto-moneta “Valuta di stato” sembrerebbe un’operazione che richiederà parecchio tempo per divenire effettiva. Immaginiamo per un attimo che domani si decidesse di rendere Bitcoin “Valuta nazionale” in Italia[1]. Saremmo in grado di rendere tale scelta effettiva nella nostra quotidianità? L’Italia, a differenza di El Salvador, è altamente digitalizzata, pertanto, essa possiede, in astratto, alcuni dei requisiti necessari. Al momento, un ostacolo potrebbe consistere nel gran numero di persone anziane e poco digitalizzate presenti nel nostro Paese, ma tali soggetti difficilmente percepiscono pagamenti da altri soggetti, poiché spesso si tratta di pensionati.

Altro problema sarebbe quello legato alla difficoltà nella gestione dei pagamenti per la mancanza di un intermediario che possa tutelare il consumatore. Immaginiamo cosa succederebbe se Tizio, per errore, invece, di trasferire fondi al concessionario Beta dal quale sta acquistando un’automobile, lo facesse a Caio, un terzo soggetto estraneo? In tale ipotesi, Tizio potrebbe solo sperare nella buona fede di Caio, il quale ha erroneamente ricevuto i fondi, e nel fatto che esso decida di restituirgli il suo denaro.

 

Conclusioni

In conclusione, oltre ai soprarichiamati problemi tecnici, vi sono innumerevoli altre incognite che bloccano l’adozione delle cripto-valute, tra i quali occorre menzionare gli aspetti negativi della decentralizzazione, e, dunque, la mancanza di un soggetto centrale che sia in grado, tra l’altro, di proteggere i consumatori. Si rammenta che anche la Consob, il 28 aprile 2021 ha richiamato l’attenzione con un Comunicato con il quale Consob e Banca d’Italia mettono in guardia “contro i rischi insiti nelle cripto-attività” proprio per informare tutti i cittadini dei rischi legati alle cripto-monete e alla loro detenzione.

 

Questo articolo è stato scritto da un autore di LegalTech Italia, partner di DirittoConsenso


Un robot per giudice

Un robot per giudice?

Usare un robot per giudice per decidere i termini della custodia dei figli non è uguale a Netflix che ti consiglia un film

 

Un robot per giudice in Cina

Xiaofa lavora al Tribunale di Pechino. Offre consigli legali e aiuta gli utenti a comprendere la terminologia giuridica. Ha in memoria risposte a più di 40.000 domande sulle controversie e può gestire 30.000 argomenti legali. Cosa lo rende unico? Xiaofa è un robot! I teorici della cospirazione possono tuttavia tirare un sospiro di sollievo: l’apocalisse AI[1] non è (ancora) vicina.

Questo “giudice” virtuale, le cui abilità sono basate su tecnologie intelligenti di sintesi vocale e di immagine, sarà utilizzato solo per il completamento di “lavori di base ripetitivi”. Ciò significa che l’IA si occuperà principalmente della ricezione online delle controversie e di fornire una guida agli utenti. Nella sua mossa verso un sistema giudiziario intelligente, la Cina ha schierato più di cento robot nei tribunali del paese, i quali si potranno occupare di recuperare i precedenti, riducendo il carico di lavoro delle autorità. Alcuni dei robot hanno sono anche specializzati, ad esempio in diritto commerciale o nelle controversie di lavoro.

 

Un robot per giudice negli USA

Nella Corte Superiore della Contea di Los Angeles in California, il tribunale più grande del mondo, Gina aiuta i residenti a gestire le loro citazioni per divieto di sosta. Conosce cinque lingue e aiuta più di 5.000 cittadini al mese. Gina non è una vera IA, poiché è programmata per lavorare secondo percorsi predefiniti. Tuttavia, ha posto le basi per un’automazione più sofisticata.

Los Angeles sta ora lavorando al progetto Jury Chat Bot, che sfrutterà una vera AI, ha detto a ZDNet Snorri Ogata, CIO della Corte Superiore di Los Angeles. Il chatbot è stato creato per essere in grado di comprendere il linguaggio naturale e svolgere servizi di traduzione. Il tribunale sta inizialmente concentrando i suoi sforzi intorno al processo di convocazione della giuria.

 

Il linguaggio non verbale

Passiamo al linguaggio non verbale. L’autore esperto di AI Terence Mauri sostiene che le macchine rileveranno i segnali fisici e mentali di chi mente con una precisione del 99,9%, che potranno farlo esaminando soggetti che parlino tutte le lingue conosciute e che rileveranno se qualcuno sta mentendo più di quanto non possa fare un umano. I “giudici robot” avranno telecamere che cattureranno e rileveranno modelli di discorso imprevedibili, immotivati aumenti della temperatura corporea e particolari movimenti delle mani e degli occhi. Le informazioni saranno poi analizzate per rendere un giudizio presumibilmente impeccabile sul fatto che un imputato o un testimone stia dicendo o meno la verità. Mauri si aspetta che le macchine saranno comuni nei processi civili e penali in Inghilterra e Galles tra cinquant’anni circa.

 

Giudizi e pregiudizi

Gli algoritmi di intelligenza artificiale, per definizione, non nascono perfetti né possono diventarlo, poiché, per essere utilizzati, devono essere codificati dagli umani, utilizzando dati storici. Quindi utilizzare l’intelligenza artificiale nelle aule giudiziarie ha, oltre ai vantaggi, potenziali vulnerabilità, considerato che, siccome questi sistemi utilizzano dati demografici passati, hanno un alto rischio di recare pregiudizi intrinseci. Ad esempio, un tasso più alto di afroamericani è incarcerato rispetto ai bianchi, il che potrebbe rendere più probabile che un algoritmo discrimini in base alla razza[2].

 

Le conclusioni?

Sembrano esserci più domande che risposte. Non è ancora chiaro quale ruolo avranno gli algoritmi di AI nel quadro giuridico-legale ed in che modo i governi controlleranno questo fenomeno. E non è ancora chiaro quali tecnologie potranno diventare senza confini e come i vari governi e le autorità legali sceglieranno di controllare il loro uso. Tuttavia, il giorno in cui la tecnologia diventerà il giudice del comportamento umano buono e cattivo ed imporrà sanzioni appropriate è davvero da qualche parte, nel futuro.

 

Questo articolo è stato scritto da un articolista di LegalTech Italia, partner di DirittoConsenso


Deepfake

Deepfake: cosa è e come proteggersi

Il Deepfake: cosa è e come funziona la tecnologia che mette in dubbio l’identità delle persone nei video e nelle videocall

 

Cosa è il Deepfake?

Il Deepfake è una tecnologia che, attraverso machine learning, deep learning ed intelligenza artificiale[1], permette di modificare un video, in particolare permettendo di sovrapporre le immagini di un volto su quello del soggetto protagonista del video, facendo in modo che il soggetto scelto per sostituire il protagonista ne imiti movenze ed espressioni. Il Deepfake permette in questo modo all’impostore di parlare liberamente: sarà il software a camuffare la sua voce e renderla del tutto simile alla voce del protagonista del video. Unendo queste due funzioni, possiamo creare un video nel quale appariamo e parliamo come un’altra persona.

 

Come è nato il Deepfake?

Il tutto è nato come gioco: i primi utenti di questa tecnologia utilizzarono il Deepfake per inserire la faccia di Nicholas Cage nelle scene che hanno reso grandi gli attori di Hollywood. Immaginate, ad esempio, la famosissima scena della porta di Shining, quella in cui la porta viene ripetutamente colpita con l’accetta. Conosciamo tutti molto bene questa scena. Ma ecco che arriva la sorpresa! Invece di Jack Nicholson, oltre la porta troviamo Nicholas Cage. La stessa operazione è stata ripetuta con altri film, come il Padrino, o Matrix, ed anche con alcuni discorsi dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Proprio in virtù dei risultati cui può condurre, la tecnologia Deepfake, sin dall’inizio, ha invero destato preoccupazioni. Basti pensare alla possibilità di falsificare, o addirittura creare da zero, una dichiarazione, magari facendola pronunciare, falsamente, al leader di una nazione.

La situazione sembra essere oggi diventata ancor più seria a causa della pandemia globale, la quale ha fatto sì che assemblee, consigli di amministrazioni e dichiarazioni di ogni tipo avvengano tramite sistemi di videochiamata. Si pensi ai danni economici che potrebbero essere causati da un malintenzionato che riesca ad accedere ad un consiglio di amministrazione fingendosene il presidente, oppure di un soggetto che riesca a fingersi alto manager di una società e rilasci false dichiarazioni allo scopo di lucrare sulla conseguente fluttuazione del valore delle azioni.

 

Il Deepfake nelle mani sbagliate

Ed invero, la tecnologia Deepfake è stata già utilizzata per portare a compimento truffe e raggiri. Come riporta il Wall Street Journal, ad esempio, l’amministratore delegato di una società energetica con sede nel Regno Unito, credendo di essere al telefono con il suo capo, l’amministratore delegato della società madre tedesca, ha eseguito l’ordine di trasferire immediatamente 220.000 euro (circa 243.000 dollari) sul conto bancario di un fornitore ungherese. In realtà, la voce apparteneva a un truffatore che utilizzava la tecnologia vocale AI per camuffare la propria voce ed imitare l’amministratore delegato tedesco. La compagnia assicurativa ha spiegato che l’amministratore delegato ha riconosciuto il sottile accento tedesco nella voce del suo capo e, inoltre, che il tono della voce era quello dell’uomo. Il truffatore, non ancora identificato, ha chiamato la compagnia tre volte: la prima per iniziare il trasferimento, la seconda per dichiarare falsamente che era stato rimborsato, e una terza volta cercando un pagamento successivo.  È stato a questo punto che la vittima è diventata scettica; poteva vedere che il presunto rimborso non era andato a buon fine, e ha notato che la chiamata era stata fatta da un numero di telefono austriaco. Nessun secondo pagamento è stato quindi inviato ma del primo, effettuato, si sono perse le tracce: spostato dal conto bancario ungherese ad uno in Messico, è stato poi ulteriormente trasferito. Poiché nessun sospetto è stato identificato, poco si sa su quale software sia stato usato o come siano stati raccolti i dati vocali necessari per imitare il dirigente tedesco, tuttavia il caso ben rappresenta uno dei molti modi possibili in cui l’apprendimento automatico può essere usato come arma.

 

Come proteggersi, dunque, da un possibile attacco che utilizzi la tecnologia Deepfake?

Naturalmente, casi diversi richiedono soluzioni differenti.

Partiamo dalle comunicazioni live. In questo caso ci può venire in aiuto uno dei sistemi informatici di identificazione dell’identità di un soggetto come da regolamento eIDAS. Utilizzando, quindi, il principio secondo cui un soggetto si può identificare digitalmente utilizzando il fattore multiplo, cioè utilizzando un processo che risponda ad una delle domande: “qualcosa che sa”, per esempio una password, “qualcosa che possiede” (e che utilizza in maniera esclusiva), ad esempio, il proprio smartphone e “qualcosa che è”, quali impronte, scansione retina etc. Accompagnando, quindi  la comunicazione ad un sistema che utilizzi l’identificazione almeno a doppio fattore (cioè che risponda a due delle suddette domande), saremo in grado di proteggerci e di non farci ingannare da una faccia o una voce conosciuta. Ad oggi molte soluzioni utilizzano un sistema di doppio fattore che utilizza i principi “qualcosa che sa” e “qualcosa che ha”: in pratica si utilizza una password ed il cellulare del soggetto per inviargli un OTP con il sistema degli sms, che al momento risulta il più sicuro. Questa procedura viene svolta sia in fase di accesso, sia quando si svolgono determinate operazioni.
La tecnologia degli SMS permette anche di avere un secondo canale di garanzia, legato al soggetto intestatario dell’utenza telefonica.

Più difficile risulta invece l’identificazione di un soggetto tramite un video. Giorno dopo giorno, grazie alle caratteristiche del Machine learning, diventa sempre più difficile capire se il volto è “originale” oppure se è stato “coperto”.

 

Tecnologia in continua evoluzione

Inizialmente si potevano notare diverse imperfezioni, in particolare poteva accadere che vi fossero delle imperfezioni grafiche, come punti sfocati, piccoli glitch, cambi improvvisi del colore della pelle. Tra i vari segnali che dovrebbero farci capire che il video è stato contraffatto troviamo la differenza di luce tra l’ambiente ed il volto della persona. Immaginiamo di avere una fonte di luce proveniente dal lato destro dello schermo, ma guardando il viso della persona notiamo che la sezione del viso che si trova nella metà sinistra dello schermo risulta più chiara/illuminata: in questo caso dobbiamo dubitare del video perché probabilmente stiamo vedendo un video contraffatto.

 

Conclusioni

È quindi senza dubbio alcuno utile anche per i difensori e per i consulenti legali conoscere le caratteristiche e le potenzialità di questa tecnologia, per i danni che può causare ed i risultati cui può condurre. E, sotto altro verso, quanto sopra non è che la conferma di come l’identità digitale sia ormai un argomento d’obbligo quando si parla di digitalizzazione e di come siano stati passi fondamentali l’emanazione dell’eIDAS e l’utilizzo di sistemi di identificazione pubblici, come lo SPID in Italia.

 

Questo contributo è stato redatto da un articolista di Legaltech Italia, partner di DirittoConsenso.it