Transfer pricing

Transfer pricing

La disciplina sul transfer pricing mira ad assicurare una corretta ripartizione dell’onere d’imposta nelle operazioni che avvengono tra società site in Stati diversi ma appartenenti allo stesso gruppo

 

Perché esiste una disciplina apposita per il transfer pricing

Partiamo col dire che è stato necessario introdurre una disciplina sul transfer pricing a ragione della crescente internazionalizzazione e globalizzazione delle imprese e del conseguente aumento degli scambi internazionali tra società appartenenti allo stesso gruppo.

Quando imprese indipendenti pongono in essere delle transazioni tra di loro, le condizioni dei loro rapporti commerciali e finanziari (per esempio, il prezzo dei beni trasferiti o dei servizi forniti e le condizioni di tali operazioni) sono generalmente determinati dalle forze di mercato. Quando invece ad effettuare transazioni sono imprese associate, i loro rapporti commerciali e finanziari potrebbero non essere direttamente influenzati allo stesso modo da forze di mercato esterne, perché sebbene anche in questo caso l’operazione veda coinvolte due società distinte, esse fanno entrambe capo allo stesso soggetto, soggetto che ha così l’opportunità di attuare politiche di pianificazione fiscale “mirate”. Il rischio è quello che la materia imponibile venga trasferita, in occasione dello scambio, da Stati ad elevata fiscalità a Stati con una minore pressione fiscale.

Al fine di preservare la capacità impositiva statale è quindi compito dell’Autorità finanziaria rilevare discrepanze tra:

  • il prezzo di vendita di un bene materiale o immateriale o di prestazione di un servizio applicato in regime di libero mercato
  • il prezzo effettivamente applicato nell’operazione infragruppo.

 

Il progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) lanciato dall’OCSE nel 2013 ha dimostrato che le politiche di pianificazione fiscale utilizzate dalle imprese multinazionali prevedono di frequente una traslazione dei profitti dagli Stati in cui il valore attinente alla base imponibile viene realizzato a Stati con una fiscalità privilegiata[1]. Nel corso del G20 tenutosi a Lima nel 2015 è stato quindi definito un pacchetto di 15 azioni BEPS, regole di soft law volte a colmare le lacune presenti nelle legislazioni nazionali per una riforma della fiscalità internazionale.

Il d.l. 50 del 24 aprile 2017 modificativo dell’art. 110 TUIR ha poi adeguato il nostro ordinamento alle Linee Guida OCSE sul transfer pricing.

In base all’art. 9 delle Linee Guida se due imprese sono vincolate da condizioni, convenute o imposte, diverse da quelle che sarebbero state convenute tra imprese indipendenti, gli utili che non sono stati conseguiti da una delle due imprese a causa di queste condizioni possono essere inclusi nel reddito di questa e tassati di conseguenza. In altre parole, l’Amministrazione finanziaria può rettificare il reddito dichiarato da un’impresa per adeguarlo al principio di libera concorrenza.

Bisogna però ricordare che sarebbe sbagliato partire dal presupposto che tutte le operazioni infragruppo mirano in partenza alla traslazione di profitti verso Paesi con una minore pressione fiscale, perché le singole imprese reagiscono in base a situazioni economiche derivanti da condizioni di mercato e dispongono a volte di un notevole margine di autonomia grazie al quale possono negoziare tra loro come se fossero imprese indipendenti. Ad esempio, i dirigenti locali possono avere interesse a registrare utili elevati e, di conseguenza, potrebbero non essere disposti a definire prezzi che ridurrebbero gli utili delle loro società.

Altri fattori, diversi da quelli fiscali, possono inoltre alterare i rapporti commerciali e finanziari esistenti tra imprese associate. Queste possono, ad esempio, essere soggette a pressioni contrastanti da parte dei poteri pubblici (nel proprio Paese così come nel Paese estero) in materia di determinazione del valore dei beni in dogana, di dazi antidumping o di controlli sui cambi o sui prezzi. Ancora, distorsioni dei prezzi di trasferimento possono essere causate dalle esigenze dei flussi di cassa o da pressioni degli azionisti nelle multinazionali ad azionariato diffuso.

Tutti questi fattori e molti altri possono incidere sui prezzi di trasferimento e sull’ammontare degli utili realizzati dalle imprese associate nell’ambito di un gruppo multinazionale[2].

 

Determinazione del giusto prezzo di trasferimento

Tornando alla disciplina interna sul transfer pricing, l’art. 110 co. 7 TUIR prevede che le componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato che:

  • direttamente o indirettamente controllano l’impresa
  • ne sono controllate
  • o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa

siano determinate con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, nel caso in cui dall’operazione derivi un aumento del reddito.

La medesima disposizione si applica anche se dal trasferimento deriva una diminuzione del reddito, ma secondo le modalità e alle condizioni stabilite dall’art. 31-quater del D.P.R. 600/1973.

La congruità del prezzo di trasferimento praticato dalle società infragruppo verrà quindi verificata paragonandolo al prezzo di un’operazione comparabile intercorsa in regime di libera concorrenza tra società non collegate.

Ai sensi dell’art. 3 del Decreto del 14 maggio 2018[3] del Ministero dell’Economia e delle Finanze, le caratteristiche economicamente rilevanti o i fattori di comparabilità che devono essere presi in considerazione per stabilire se due operazioni possano essere messe a confronto sono:

a) i termini contrattuali delle operazioni;

b) le funzioni svolte da ciascuna delle parti coinvolte nelle operazioni, tenendo conto dei beni strumentali utilizzati e dei rischi assunti, inclusi il modo in cui queste funzioni si collegano alla più ampia generazione del valore all’interno del gruppo multinazionale cui le parti appartengono, le circostanze che caratterizzano l’operazione e le consuetudini del settore;

c) le caratteristiche dei beni ceduti e dei servizi prestati;

d) le circostanze economiche delle parti e le condizioni di mercato in cui esse operano;

e) le strategie aziendali perseguite dalle parti.

 

Il raffronto tra due operazioni comparabili deve avvenire sulla base del metodo più appropriato fra quelli di seguito elencati:

  1. metodo del confronto di prezzo: basato sul confronto tra il prezzo praticato nella cessione di beni o nella prestazioni di servizi in un’operazione controllata e il prezzo praticato in operazioni non controllate comparabili;
  2. metodo del prezzo di rivendita: basato sul confronto tra il margine lordo che un acquirente in una operazione controllata realizza nella successiva rivendita in una operazione non controllata con il margine lordo realizzato in operazioni non controllate comparabili;
  3. metodo del costo maggiorato:  basato sul confronto tra il margine lordo realizzato  sui  costi  direttamente e indirettamente sostenuti in un’operazione  controllata  con  il  margine  lordo realizzato in operazioni non controllate comparabili;
  4. metodo del margine netto della transazione: basato sul confronto tra il rapporto tra margine netto ed una base di commisurazione appropriata, che può essere rappresentata, a seconda delle circostanze, da costi, ricavi o attività, realizzato da un’impresa in una operazione controllata e il rapporto tra il margine netto e la medesima base realizzato in operazioni non controllate comparabili;
  5. metodo transazionale di ripartizione degli utili: basato sull’attribuzione a ciascuna impresa  associata  che  partecipa  ad un’operazione  controllata  della  quota  di  utile,  o  di  perdita, derivante da tale operazione, determinata in base alla ripartizione che sarebbe  stata  concordata in operazioni non controllate comparabili, tenendo conto del contributo  rispettivamente offerto alla realizzazione dell’operazione controllata dalle imprese associate  ovvero  attribuendo  a  ciascuna  di esse  una quota  dell’utile o della  perdita  che  residua  dopo che alcune delle funzioni svolte in relazione all’operazione controllata sono state valorizzate sulla base di uno dei metodi descritti nelle  lettere  da a) a d) che precedono.

 

Nel caso in cui questi metodi possano essere applicati indistintamente con lo stesso grado di affidabilità, è preferibile utilizzare uno dei primi tre e in particolare quello del confronto del prezzo.

Il contribuente può applicare un metodo diverso da quelli descritti qualora dimostri che:

  • nessuno di essi può essere applicato in modo affidabile per valorizzare un’operazione controllata in base al principio di libera concorrenza;
  • tale diverso metodo produce un risultato coerente con quello che otterrebbero imprese indipendenti nel realizzare operazioni non controllate comparabili.

 

La verifica dell’Agenzia delle Entrate

Al contribuente che consegni con apposita istanza all’Amministrazione finanziaria la documentazione idonea a consentire il riscontro della conformità del prezzo di trasferimento al principio di libera concorrenza non sarà applicabile la sanzione prevista all’art. 1 co. 2 del Decreto legislativo 471/1997 in materia di sanzioni tributarie non penali[4], sanzione che va dal 90% al 180% della maggior imposta dovuta o della differenza del credito utilizzato.

La presentazione dell’istanza innesca l’attività istruttoria dell’Agenzia delle Entrate che verificherà se la variazione in aumento registrata nel reddito di una società residente in un altro Stato a fronte della stessa variazione in diminuzione nel reddito della società italiana, a seguito di una transazione infragruppo, sia conforme al principio di libera concorrenza. Terminata l’istruttoria, l’Agenzia delle Entrate emetterà un atto motivato di riconoscimento o mancato riconoscimento della conformità della variazione reddituale.

La verifica compiuta dall’Amministrazione finanziaria dovrà essere effettuata applicando lo stesso metodo utilizzato dall’impresa, se questa ha utilizzato uno dei cinque espressamente elencati nel D.M. 14 maggio 2018 (o il metodo diverso equivalente) per dimostrare la conformità al principio di libera concorrenza.

 

Nuovo kit documentale anti-sanzioni

Con la pubblicazione del provvedimento 23 novembre 2020, n. 360494, l’Agenzia delle Entrate ha aggiornato le disposizioni contenute nel D.M. 14 maggio 2018 relative alla documentazione che il contribuente deve presentare per ottenere l’atto di riconoscimento della conformità del prezzo di trasferimento.

La documentazione del contribuente considerata idonea a consentire una proficua verifica della determinazione del prezzo è costituita da:

  • Un Masterfile: fornisce una panoramica del business del gruppo multinazionale, inclusa la natura delle operazioni commerciali a livello globale, le politiche generali dei prezzi di trasferimento e l’allocazione a livello globale del reddito e delle attività economiche, al fine di consentire alle amministrazioni fiscali di valutare la presenza di un significativo rischio di elusione nei prezzi di trasferimento.
  • Una documentazione nazionale: fornisce informazioni più dettagliate sull’analisi dei prezzi di trasferimento di specifiche operazioni infragruppo tra società site in Stati differenti[5].

 

Il nuovo kit da un lato risponde ad esigenze di certezza dei contribuenti che sono messi nella condizione di sapere e quindi di fornire all’Agenzia delle Entrate i documenti e le informazioni di cui essa ha bisogno per compiere correttamente la verifica, accrescendo di conseguenza e d’altro lato, l’efficacia della verifica stessa.

Informazioni

Il transfer pricing, profili tecnici e spunti operativi, documento di ricerca, Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Fondazione Nazionale dei Commercialisti.

Linee Guida OCSE sui prezzi di trasferimento © OECD 2018 https://www.mef.gov.it/documenti-allegati/2018/xAllegato_3x_Linee_Guida_OCSE_sui_prezzi_di_trasferimento_per_imprese_multinazionali_e_amministrazioni_fiscali.pdf

D.M. 14 maggio 2018 https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/05/23/18A03544/sg

La riforma dei reati tributari, Giulia Annunzi http://www.dirittoconsenso.it/2020/12/10/la-riforma-reati-tributari/

Nuovo kit documentale Agenzia delle Entrate: https://www.ipsoa.it/documents/fisco/iva/quotidiano/2020/11/24/transfer-pricing-collaborativo-qual-documentazione-idonea-anti-sanzioni

[1] Il transfer pricing, profili tecnici e spunti operativi, documento di ricerca, Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Fondazione Nazionale dei Commercialisti.

[2] Linee Guida OCSE sui prezzi di trasferimento © OECD 2018 https://www.mef.gov.it/documenti-allegati/2018/xAllegato_3x_Linee_Guida_OCSE_sui_prezzi_di_trasferimento_per_imprese_multinazionali_e_amministrazioni_fiscali.pdf

[3] D.M. 14 maggio 2018 https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/05/23/18A03544/sg

[4] La riforma dei reati tributari, Giulia Annunzi http://www.dirittoconsenso.it/2020/12/10/la-riforma-reati-tributari/

[5] Nuovo kit documentale Agenzia delle Entrate: https://www.ipsoa.it/documents/fisco/iva/quotidiano/2020/11/24/transfer-pricing-collaborativo-qual-documentazione-idonea-anti-sanzioni


Industrial Design

Industrial design: cos'è e come viene protetto

Non una mera questione di forma: l’aspetto del prodotto condiziona le nostre scelte d’acquisto. In Italia la tutela dell’industrial design è disciplinata nel codice della proprietà industriale, ma c’è spazio anche per il diritto d’autore e la CGUE sembra andare proprio in questa direzione

 

Introduzione

Per prima cosa cerchiamo di capire a quali norme facciamo riferimento quando parliamo di industrial design.

Laddove negli ordinamenti di common law esiste un’unitaria categoria denominata proprietà intellettuale che ricomprende al suo interno tanto le opere artistico-letterarie quanto le opere suscettibili di applicazione industriale, nel nostro ordinamento le due tipologie di opere sono tenute distinte e protette rispettivamente dalla legge sul diritto d’autore e dalle disposizioni contenute nel codice della proprietà industriale (d’ora in poi cpi)[1].

Ai sensi dell’art.1 cpi, la proprietà industriale comprende:

  • marchi ed altri segni distintivi
  • indicazioni geografiche
  • denominazioni di origine
  • disegni e modelli (meglio noti con il nome di industrial design)
  • invenzioni
  • modelli di utilità
  • topografie dei prodotti a semiconduttori
  • informazioni aziendali riservate
  • nuove varietà vegetali

 

A fronte della crescente incidenza dell’aspetto del prodotto sul numero delle vendite, il settore dell’industrial design ha conosciuto nel tempo una forte espansione; tant’è che per prodotto registrabile come disegno o modello ai sensi dell’art. 31 comma 2 cpi, intendiamo non più solo l’oggetto industriale o artigianale di per sé, ma anche singole componenti, imballaggi, presentazioni e simboli grafici.

 

Quest’evoluzione si inserisce nel più generale quadro di mercato in cui a cambiare è stato il modo di fare innovazione.

Secondo l’economista austriaco Joseph Alois Schumpeter, l’innovazione può consistere nella:

  1. immissione sul mercato di un prodotto nuovo e notevolmente diverso;
  2. immissione sul mercato di una nuova tecnica produttiva;
  3. conquista di un nuovo mercato.

 

Egli propone inoltre la seguente distinzione:

  • in passato l’innovazione era di tipo prettamente radicale: caratterizzata da un alto livello di cambiamento e di rischio;
  • attualmente è soprattutto di tipo incrementale: si sostanzia nel graduale miglioramento della tecnologia ottenuto durante lo sviluppo del suo ciclo di vita[2].

 

Di conseguenza, ad una competizione basata quasi esclusivamente sul prezzo si è affiancata negli anni una competizione marcatamente non-price, basata invece sull’aspetto del prodotto.

 

I disegni e modelli nel cpi

In base all’art. 31 comma 1 cpi, può costituire oggetto di registrazione come disegno o modello l’aspetto dell’intero prodotto, o di una sua parte, quale risultato dalle caratteristiche di:

  • linee
  • contorni
  • colori
  • forma
  • struttura superficiale
  • materiali del prodotto stesso ovvero del suo ornamento

 

A condizione, però, che l’aspetto così inteso risulti essere nuovo e abbia carattere individuale:

  • nuovo: l’aspetto del prodotto non deve essere identico a quello di un prodotto precedentemente divulgato; in altre parole, stando al parere di un tecnico di settore (es. designer), non deve differire dall’aspetto di un prodotto anteriore per la sola presenza di dettagli irrilevanti.
  • carattere individuale: l’aspetto del prodotto deve produrre nel “destinatario finale informato ed attento” un’impressione complessiva differente rispetto a quella ingenerata da prodotti precedenti[3].

 

Secondo i sostenitori della teoria cd. minimale per ritenersi soddisfatto il requisito dell’individualità è sufficiente che l’aspetto induca l’utilizzatore informato — quell’utilizzatore che prima di procedere all’acquisto compie delle ricerche o si tiene comunque costantemente aggiornato— a supporre di trovarsi di fronte ad un prodotto diverso da quelli già visti.
L’opposta corrente di pensiero ritiene invece necessario che la differenza rispetto ai prodotti precedenti, oltre che essere percepibile, debba anche essere tale da influenzare in qualche modo il comportamento economico del consumatore, suscitando in quest’ultimo una maggiore attenzione o, ancor meglio, essere tale da influire sulla sua propensione all’acquisto.

Nella maggior parte dei casi, le occasioni di acquisto di un oggetto carente di questa capacità attrattiva calano, il che spiega come mai le imprese investano continuamente nell’innovazione del design dei loro prodotti.

 

Il diritto d’autore

L’art. 44 cpi fa espresso rimando all’art. 2 n. 10 della legge n. 633/1941 (legge sul diritto d’autore relativa alla protezione delle opere artistico-letterarie, d’ora in poi l.d.a.) che recita: “Sono comprese nella protezione […] le opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico

 

L’articolo sembrerebbe così offrire protezione alle opere cd. “uniche”: opere della scultura, della pittura o delle altre arti figurative che – anche quando si sostanziano in veri e propri oggetti d’arredo – appartengono ad una categoria considerata ontologicamente diversa da quella del design.

Un esempio è la chaise longue à réglage continu di Le Corbusier, definita come la chaise longue per antonomasia: “Caratterizzata da un equilibrio perfetto fra purezza, geometria e corporeità, è considerata un vero e proprio progetto di architettura domestica”[4].

La chaise longue di Le Corbusier è quindi di per sé una sedia — tipico prodotto registrabile come modello — che per le sue caratteristiche ha assunto nel tempo lo status di icona del design, tutelabile allora dalla l.d.a. in quanto opera in grado di esprimere la creatività del suo autore.

 

È importante sottolineare che la protezione offerta dalla l.d.a. è estremamente vantaggiosa rispetto a quella offerta dal cpi:

  • Disegni e modelli (cpi): per acquisire il diritto di sfruttare in regime di monopolio l’aspetto di un prodotto è necessario ottenere un atto di registrazione, procedere al pagamento della tassa di registrazione e poi, periodicamente, al pagamento della tassa di mantenimento dei diritti acquisiti; la protezione così ottenuta dura al massimo 25 anni.
  • Opere artistico-letterarie (l.d.a.): il diritto d’autore sorge automaticamente in capo all’autore dell’opera al momento della creazione, senza la necessità di richiederne la registrazione e procedere al pagamento delle relative tasse; la durata dei diritti segue la vita dell’autore e prosegue per i 70 anni successivi alla sua morte.

 

 

I numeri della contraffazione

L’intera economia italiana dipende da una qualche forma di proprietà intellettuale ed è infatti caratterizzata da una densità di DPI (diritti di proprietà intellettuale) superiore alla media europea: nel 2010 i settori ad alta densità di DPI hanno contribuito per il 40,8% alla formazione del PIL nazionale e per il 26,8% all’occupazione in Italia. Tuttavia, proprio per questo motivo l’economia italiana è particolarmente sensibile all’immissione in commercio di prodotti contraffatti.

Le stime più attendibili basate sui dati forniti dalle autorità doganali e su metodo GTRIC (General Trade-Related Index of Couterfeiting), indicano che le importazioni di prodotti contraffatti e piratati in Italia ha raggiunto nel 2016 il 4% del totale delle importazioni di prodotti autentici per un valore di 12,4 miliardi di euro.

Nel mondo, il commercio di prodotti contraffatti e piratati che violano marchi e brevetti italiani ha raggiunto nel 2016 una cifra pari a 31,7 miliardi di dollari equivalente al 3,6% delle vendite totali per il settore manifatturiero italiano (nazionali + esportazioni)[5].

Nel 2016 il valore delle importazioni di prodotti contraffatti e usurpativi nell’Unione Europea ammontava invece a 121 miliardi di euro, ossia il 6,8% delle importazioni dell’Unione, rispetto al 5% registrato nel 2013.
Tuttavia, anche economie ad alto reddito non appartenenti all’OCSE, quali Singapore e Hong Kong, stanno diventando bersaglio di questi fenomeni[6].

 

La giurisprudenza

A fronte di una simile situazione, i produttori tentano sempre più spesso di tutelare i propri interessi facendo ricorso alla più longeva protezione offerta dal diritto d’autore.
Tuttavia, nel valutare l’applicazione della l.d.a. ad un prodotto che nasce come industriale, i giudici italiani tendono a considerare il requisito del valore artistico richiesto dall’art. 2 n. 10 l.d.a., come aggiuntivo rispetto a quello dell’originalità dell’opera, generalmente richiesto per la sussistenza del diritto d’autore.
Sembrano allora poter essere legittimamente protetti dalla l.d.a. solo quei prodotti che abbiano ottenuto un particolare apprezzamento da parte del pubblico e riconoscimenti in ambito culturale, privilegiando così le opere che si trovano sul mercato da lungo tempo a scapito di quelle più recenti[7].

Nella sentenza Cofemel – Sociedade de Vestuário SA contro G-Star Raw CV, C-683/17, emessa dalla CGUE nel settembre 2019, la Corte ha stabilito che nessun requisito ulteriore può essere richiesto dal legislatore nazionale rispetto a quelli indicati nella Direttiva Infosoc (Direttiva 2001/29/CE sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione): l’originalità dell’opera.

Affinché un’opera sia protetta dal diritto d’autore è necessario e sufficiente che sia originale.

 

Vediamo allora cosa si intende per opera e per originalità.

  1. Sono stati individuati dei parametri oggettivi che consentono ai terzi e alle autorità di discernere con certezza i casi in cui l’aspetto del prodotto costituisca opera tutelabile dal diritto d’autore:
  • il riconoscimento da parte degli ambienti culturali ed istituzionali circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche
  • l’esposizione in mostre o musei
  • la pubblicazione su riviste specializzate
  • l’attribuzione di premi

 

2. L’aspetto del prodotto potrà essere considerato originale se in grado riflettere le scelte libere e creative della personalità dell’autore.

 

Stando quindi alla sentenza, il diritto d’autore sorge regolarmente in capo all’autore di disegni e modelli che presentino carattere di originalità e siano oggettivamente identificabili dal pubblico, senza che vi sia la possibilità per il giudice nazionale di verificare la sussistenza di ulteriori requisiti come, ad esempio, il valore artistico dell’opera.

 

Conclusioni

Se da un punto di vista meramente economico la linea seguita dalla CGUE sembrerebbe la più ovvia considerato il problema della contraffazione, dal punto di vista giuridico è assolutamente non scontata né tantomeno esente da ricadute in campo applicativo.

Bisogna infatti ricordare che la l.d.a. nasce per proteggere le opere che appartengono:

  • alla letteratura
  • alla musica
  • alle arti figurative
  • all’architettura
  • al teatro
  • alla cinematografia.

 

Trattasi a colpo d’occhio di opere aventi natura artistica e non industriale.
Inoltre, a differenza del diritto di privativa industriale, il diritto d’autore non protegge l’idea in sé né il suo supporto fisico, bensì l’espressione creativa della personalità dell’autore riconoscibile nella sua opera.

Vedremo, quindi, come il giudice nazionale recepirà l’orientamento della Corte di Giustizia Europea.

Emerge però con chiarezza l’intento della CGUE di ripensare l’ambito d’applicazione del diritto d’autore. La Cofemel non è che infatti una delle ultime di una serie di importanti sentenze (vedi: Infopaq, BSA, FAPL, Painer, Football Dataco, SAS, Levola Hengelo, Cofemel e la recentissima Brompton Bycicle, relativa alla protezione della forma funzionale di una bicicletta pieghevole tramite diritto d’autore) nelle quali “la Corte sembra voler rispondere ad una semplice quanto fondamentale domanda: quando sorge il diritto d’autore?”[8].